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Autore: Sakurina    03/04/2016    6 recensioni
Dopo la devastante battaglia finale contro Papillon, Ladybug scompare nel nulla, lasciando Adrien nella disperazione.
Affranto, pentito e sconsolato, Adrien si trascina di giorno in giorno, finché un giorno Marinette torna a scuola.
Ma la situazione non è quella che Adrien si aspetta...
[Basically Adrinette]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPITRE 2.
 

Era quello il momento.
Tutti quegli anni di combattimenti, di peripezie, di sacrifici... tutto portava lì, in quel preciso istante.
Lei e Papillon si guardavano finalmente negli occhi, dopo tutti quegli anni di inseguimenti.
L’ultimo akuma da lui creato era stato particolarmente potente: dopo aver rischiato di dover chiudere il negozio per via della concorrenza sleale di un grande supermercato della zona, il papà di Marinette aveva lasciato che il suo cuore si riempisse dell’oscurità dell’akuma di Papillon, tramutandosi in un potentissimo nemico che aveva raso al suolo buona parte di Parigi.
Di Chat Noir nemmeno l’ombra.
Dopo esser rimasta ferita ad una spalla e ad aver rischiato la vita più volte, Ladybug riuscì a liberare suo padre dall’akuma, ma c’era qualcosa di strano. Il padre era corso verso la periferia della città, invece di devastarne il centro come tutte le persone akumatizzate prima di lui. Era riuscito a portare Ladybug in una zona boschiva al sud di Parigi: qui, senza la protezione di edifici o di altri impedimenti, aiutata dagli intrecci labirintici creati da rami e alberi, era stato facile per lei rubargli di mano la baguette di pane akumazzita e liberarlo dal male.
Mentre Ladybug adagiava il padre contro un albero in attesa che si riprendesse, una risata ben conosciuta attirò la sua attenzione. La ragazza si lanciò verso quella direzione, finché il suolo non si mise a tremare: uno sciame di farfalle nere la travolse all’improvviso, buttandola a terra mentre il fiume di farfalle oscure si riversava in un laghetto. Qui creò una voragine nel suolo artificiale, nel quale tutta l’acqua che cadeva dalla cascatella superiore iniziò a riversarsi, creando uno profondo strapiombo sovrastato da un’ampia cascata.
Ladybug si alzò da terra, guardando terrorizzata il grande canyon che si era aperto di fronte a lei: non riusciva a vedere dove andasse a finire l’acqua che vi si riversava dentro.
La risata di Papillon la attirò nuovamente e la ragazza lo scorse sull’alto della cascata, tronfio della sua impresa.
“Buonasera Ladybug. Quale onore conoscerti personalmente.”
“Papillon...”
“Come ben saprai, ho dato ordine al caro signor Dupain di rapire Adrien e, nonostante il tuo Miraculous abbia risistemato tutto a Parigi, posso assicurarti che il tuo caro amico è ancora al sicuro nelle mie segrete. Ahahahah!”
“Maledetto... cosa pensi di ottenere tenendo in ostaggio Adrien?!” urlò la ragazza, impietrita da quelle parole, conscia che la sua trasformazione sarebbe durata ancora pochissimo.
“Se solo tu volessi prestarmi i tuoi Miraculous, Ladybug, sono sicuro che riusciremmo a trovare un accordo equo per entrambi.”
“Te lo puoi scordare!”
In quel momento, un’ombra scura taglio la visuale di Ladybug, atterrando con un tonfo al suo fianco.
“Chat Noir! Dove diavolo eri finito?!” si adirò la ragazza, che quella volta se l’era davvero vista brutta. “Papillon, ridammi Adrien! Chat Noir, dobbiamo assolutamente liberare Adrien!”
Chat Noir la guardò con sguardo malinconico, senza dire nulla.
Nessuna battuta sul suo arrivo, nessuna spiegazione sul suo ritardo, nessun aggiornamento sulla situazione corrente.
“Chat Noir, che succede?”
“Ladybug, dammi i tuoi Miraculous e riavrai Adrien sano e salvo...” intervenne con voce profonda il loro nemico.
“Non scenderò mai a patti con te, Papillon!”
 “Ladybug, forse dovresti fare... come dice...” sussurrò il suo compagno, con voce amara.
“Cosa stai dicendo, Chat Noir?! Sei impazzito?!”
“Lui... lui ha promesso... di usare i Miraculous solo per riportare in vita la madre di Adrien... è una cosa buona, no? Noi... potremmo provare a fidarci... solo questa volta...” continuò Chat Noir, avvicinandosi a lei con sguardo basso e colpevole.
Più lui si avvicinava, più lei arretrava, fissandolo con occhi sbarrati ed increduli. Cosa intendeva dire? E perché mai Papillon avrebbe voluto riportare in vita la madre di Adrien? Doveva essere un trucco, uno sporco trucco usato per ingannare Chat Noir.
Il suo compagno allungò le mani verso di lei, in un gesto pacato di richiesta.
Voleva i suoi orecchini.
“Chat Noir... perché mi stai facendo questo... perché?”
“Ladybug, ti prego... io...” cercò di spiegarle l’amico, ma non sembrava essere convinto al 100% delle sue azioni.
“Io... io non scenderò a patti col male, Chat Noir... se la madre di Adrien è morta, non c’è nulla che possiamo fare per riportarla indietro... fa male, lo so, ma non possiamo giocare a fare Dio...”
“Chat Noir, prendi i suoi Miraculous, ORA!” ringhiò Papillon, riversando un nuovo sciame di farfalle oscure verso i due eroi.
“Chat Noir, io non so cosa ti abbia detto o fatto Papillon, ma cerca di capire che è un inganno, uno sporco inganno...” Ladybug lo guardò con occhi imploranti, distrutta. I suoi orecchini ormai suonavano e se Chat Noir non combatteva al suo fianco, la partita era persa. L’unica opzione era la fuga.
Mentre si preparava a scappare via, Chat Noir la fermò, afferrandola per entrambe le braccia, mentre la marea oscura si scagliava contro di loro. Di quel passo, avrebbe colpito entrambi.
“TIKKI... AIUTAMI!” aveva urlato Ladybug, concentrandosi per raccogliere dentro di sè tutta l’energia che le restava.
Improvvisamente il suo corpo iniziò ad emanare un potente fascio di luce rossa costellata di macchie nere: Chat Noir venne scaraventato via, così come la marea di farfalle oscure, che vennero liberate tutte dall’oscurità e lasciate libere di volare lontano, come un tornado bianco che si sollevava dal parco parigino. Il turbine rosso colpì Papillon, facendogli perdere il suo bastone nell’acqua e facendolo cadere ai piedi della cascata.
Ladybug si accasciò al suolo, priva di forze.
Chat Noir si sollevò da terra, ferito e scosso dall’avvenimento. E rimase fermo, a qualche metro di distanza, a fissarla impietrito mentre il suo costume da supereroina svaniva nell’aria come brillante polvere di rubino, per rivelare il corpo inerme e stanco di... Marinette Dupain-Chang.
Accanto a lei, un piccolo kwami rosso a pois giaceva privo di sensi.
La ragazza non seppe cosa accadde in quei brevi istanti. Si ricordava solo di star sognando Adrien e, subito dopo, le era apparsa sua madre. La madre di Adrien. Bella come l’aveva vista nella foto sul desktop del ragazzo.
Svegliati, Marinette, le aveva sussurrato la signora Agreste.
Marinette aprì gli occhi stanchi, per trovarsi davanti Chat Noir, pallido e sconvolto, che la fissava dall’alto. Era inginocchiato accanto a lei senza dire né fare nulla.
“Hai... tro... vato... Adrien?” gli chiese lei, con un filo di voce.
“Non ce n’è bisogno, Marinette. Adrien sta bene.” Le aveva sussurrato Chat Noir con voce spezzata, dopo qualche secondo di silenzio, accarezzandole la frangetta scomposta.
“No, tu...” ribatté lei, ma subito il ricordo del tradimento del compagno le tornò alla mente e la pugnalò dolorosamente al petto. Le veniva da piangere a pensare che Chat Noir l’aveva tradita così, dopo tutto quello che avevano passato insieme, dopo tutto quello che avevano condiviso... dopo averlo persino baciato!
Con un gesto stizzito, Marinette spinse via la mano di Chat Noir dal suo volto, girandosi sui gomiti e iniziando a strisciare verso il bosco, verso Parigi, verso Adrien. Doveva trovarlo e liberarlo, non importava chi fosse adesso, se Marinette o Ladybug.
Nel voltarsi, la ragazza scorse la sua piccola kwami distesa a terra senza forze e, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, la raccolse, tenendosela stretta al petto.
“Oh, Tikki...” pianse con voce spezzata.
“CHAT NOIR!” urlò improvvisamente la voce roca di Papillon, che si era trascinato silenziosamente fino al bordo del burrone per recuperare il suo bastone “UCCIDI LA RAGAZZINA E PRENDI IL SUO MIRACULOUS, ORA!”
Papillon era furente e, non appena preso il bastone, si sarebbe personalmente premurato di attaccare Lad—Marinette.
Con uno scatto felino, Chat Noir lanciò il suo bastone contro quello di Papillon, infrangendo così il loro patto, il loro legame, la loro unione. L’arma di Chat Noir colpì la mano di Papillon: il suo bastone oscuro cadde nel burrone e Papillon, preda della disperazione, si sbilanciò in avanti per riprenderlo, cadendo anche lui nella profonda voragine.
Un urlo disperato sfuggì dalle labbra di Chat Noir mentre vedeva il padre svanire nelle profondità tenebrose di quel dirupo senza fine.
Passarono alcuni infiniti istanti finché alcuni versi sofferenti non attirarono la sua attenzione, portandolo a voltarsi verso Marinette.
La ragazza aveva ripreso a strisciare sui gomiti, sofferente, indolenzita, ferita, per raggiungere in qualche modo il bosco.
“Marinette...” sussurrò Chat Noir, con voce debole.
“Non... avvicinarti... Chat Noir... io... devo and.. a...re a... salv... are...”
“Lo so, ma non ce n’è bisogno, Marinette” sospirò il ragazzo, sollevando di peso l’amica per farla sedere sulle ginocchia.
“Lasciami stare” ringhiò lei, con occhi gonfi e ricolmi di lacrime, mentre cercava di divincolarsi dalla presa del compagno.
“Ho scoperto che Papillon era mio padre, Marinette. Mi sono lasciato convincere che... che... io lo sapevo in cuor mio che era sbagliato, però...” le disse lui con voce spezzata, mentre si mordeva con forza il labbro inferiore.
“Chat Noir...”
“No, Marinette” le rispose lui, sollevando la mano e richiamando nell’anello la sua trasformazione.
La ragazza osservò con occhi sbarrati e ricolmi di lacrime il costume di Chat Noir svanire in un vortice di granelli oscuri, risucchiati uno a uno dal suo anello per rivelare l’identità di...
“Adrien...”
Il suo nome fu solo un soffio di fiato dalle sue labbra, quasi impercettibile.
Adrien la guardò con occhi lucidi e distrutti.
Era lì di fronte a lei, inginocchiato di fronte a lei. Con lo sguardo più triste, devastato e distrutto del mondo.
Lì, dove pochi secondi prima c’era Chat Noir.
Chat Noir, quella che l’aveva tradita.
Mentre Adrien doveva essere...
Quello che...
L’adrenalina le esplose nel corpo all’improvviso, come una colata di fuoco vivo.
Marinette sollevò la mano e, forte e precisa, colpì la guancia di Adrien in pieno con un potente schiaffo.
Adirata e fuori di sè, la ragazza si alzò in piedi e, barcollando, si trascinò verso la vegetazione.
Adrien non la seguì.
 
Marinette si svegliò con un sobbalzo, spaventata e col fiatone. Il volto era bagnato di lacrime, così come il cuscino.
Si guardò intorno agitata, il cuore che le pulsava furiosamente nel petto, il sudore che le imperlava la fronte.
Il sole dell’alba infuocava le persiane della sua cameretta, filtrando all’interno come fiamme che incendiavano tutto ciò su cui si posavano. Come la parete rosa su cui un tempo erano appesi i poster di Adrien, ora staccati. Non se ne erano mai davvero andati, perché avevano lasciato un alone più chiaro proprio nel punto in cui erano stati appesi per quasi tre anni.
Debolmente, la ragazza strisciò fuori dal letto, fissando con occhi vacui la sua cameretta.
Niente foto di Adrien, niente Tikki che la salutava con voce squillante e allegra. Un’altra vita.
Una vita molto più brutta ora che li aveva persi entrambi.
Lo sguardo della ragazza sostò per qualche secondo sulla scatola appoggiata ai piedi della scrivania e, per un attimo, le venne il folle desiderio di aprirla: di guardare tutte quelle foto e quei ricordi legati ad Adrien che aveva raccolto in tutti quegli anni per provare a ritrovare in essi il ricordo di quel meraviglioso sentimento che la legava a lui.
Ma non voleva. Non poteva.
Avevano chiuso.
Lei, Ladybug, Adrien, Chat Noir.
Quell’odioso quadrato doveva finire.
Per un attimo le venne da ridere. Le tornò alla mente quell’occasione, qualche giorno prima della fine, in cui Adrien aveva confessato a Ladybug i suoi sentimenti.
Per lei era stato terribile, il giorno più brutto della sua vita, pensava.
Quant’era stata sciocca.
“Basta Marinette... baste pensare a queste cose...” sussurrò fra sè e sè, fissandosi allo specchio. “Papillon è ancora vivo, devi riportare in forze Tikki al più presto. Non puoi pensare ad altro.”
 
Avrebbe avuto senso cambiare scuola? A nemmeno sei mesi dalla fine dell’anno? Già ne aveva persi tre per il suo viaggio in Cina, sarebbe stato drammatico cambiare scuola così.
Ma poi, che importava? Se non riusciva a trovare la Fonte, poteva anche fregarsene della scuola. Ma mica poteva mollare scuola e dire: “Ehi mamy, ehi papy, mollo tutto e vado a cercare la Fonte per riportare in forze un piccolino esserino antico che è in grado di trasformarmi in Ladybug!”
Che assurdità.
Sollevò lo sguardo.
Ma no, non ce la faceva.
Ogni volta che alzava lo sguardo e intravvedeva la chioma bionda di Adrien lì davanti a lei le affioravano le lacrime agli occhi e un senso di nausea insopportabile la devastava.
Non ce l’avrebbe mai fatta.
Marinette si voltò verso l’ampia finestra della classe e con occhi lucidi fissò le grosse nuvole scure che si avvicinavano a Parigi, preannunciando tempesta.


“Quanto tempo ho ancora a disposizione, Maestro?” chiese Marinette con voce seria, mentre stringeva  lo smartphone all’orecchio con mano tremante.
“Uff...” sospirò l’anziano maestro al di là della cornetta “Qualche settimana... due o tre al massimo...”
“Ho capito. Ora devo andare, stasera farò un altro giro di perlustrazione” asserì la ragazza, mettendo giù la chiamata ed uscendo dal bagno delle ragazze.
La scuola era ormai vuota da qualche ora. Si era rinchiusa in biblioteca a cercare qualche libro che potesse aiutarla, ma la collezione scolastica non era molto assortita. Quella sera avrebbe provato in biblioteca.
Si diresse a grandi passi verso il portone di uscita, ma non si era accorta che già da qualche ora la pioggia aveva iniziato a scrosciare impervia. Sarebbe arrivata inzuppata in biblioteca.
Decise di attendere qualche minuto appoggiata al portone, nella speranza che la pioggia si indebolisse abbastanza da farla arrivare almeno fino alla fermata della metro in stato decente.
E mentre se ne stava lì, a braccia conserte a fissare la pioggia, alcuni passi riecheggiarono nell’atrio alle sue spalle, finché una sagoma fin troppo conosciuta non si fermò di fianco a lei.
Adrien la guardava con occhi tristi, anche se forzava un lieve sorrisino, nella vana speranza di smorzare la tensione.
“Scherma?” gli chiese lei d’istinto, fissando il borsone sulle spalle del ragazzo.
“Già. Mi tengo allenato” rispose lui, sovrappensiero.
“Già, anche perché se qualche cattivone attaccasse Parigi, ci saresti solo tu a proteggerla adesso” replicò lei con tono ironico.
Adrien distolse lo sguardo, ferito, un’espressione infastidita sul volto.
In quel momento, la sua auto privata si fermò davanti alla scuola.
“Sarà per sempre così d’ora in poi? Tra di noi?” le domandò lui con tono stanco.
Un tuono illuminò i loro volti, attutendo lo scroscio della pioggia.
Marinette avrebbe voluto rispondere piccata, ma non sapeva cosa dire. Aveva solo voglia di piangere, piangere tanto, piangere a lungo, uno di quei pianti con i singhiozzoni e i lacrimoni e tutto il resto. Cosa aspettava Adrien ad andarsene?
Il ragazzo la guardò per qualche secondo e, notando che Marinette non rispondeva e che gli occhi le diventavano lucidi, decise che non era il caso di insistere.
Finalmente, Adrien aprì l’ombrello, pronto ad andarsene senza dire una parola. Ma il ragazzo si fermò, si voltò e, dopo un attimo di esitazione, le allungò il suo ombrello e lei, con occhi sbarrati, non poté fare a meno di prenderlo.
“Cerca di non chiudertelo addosso stavolta, my lady” le disse lui, prima di voltarsi e correre verso l’auto parcheggiata.
Marinette si portò l’ombrello freddo contro una guancia e iniziò a piangere.
Si era ricordato di quel momento. Quel momento magico in cui lei si era innamorata di lui. Quel momento che aveva dato inizio a quel circolo infinito di dolore.
Pianse tutta la notte, insieme al cielo di Parigi e, quando la pioggia si quietò, finalmente la ragazza riuscì a prendere sonno.
Finché lo smartphone non iniziò a squillare improvvisamente.
Marinette si svegliò e afferrò il telefono: erano le 3 di notte. La chiamata era da parte del Maestro.
Poteva solo aspettarsi il peggio.
“Maestro, Tikki è...?”
“No, mia cara. Scusa se ti disturbo a quest’ora ma in realtà... è per Adrien. È ridotto piuttosto male.”
Marinette trasalì, spaventata da quelle parole.
Cos’aveva fatto quel folle? Si era schiantato in auto? Aveva inghiottito una palla di pelo? Era corso a combattere? Si era fatto fregare da Papillon?
“Arrivo subito!” lo liquidò Marinette, lanciandosi giù dal letto e vestendosi in tutta fretta con le prime cose che trovava.
Nella fretta, la ragazza inciampò sulla scatola dei ricordi di Adrien, sparpagliando tutte le sue foto al suolo.
“Oh... no no no... no...” scoppiò in lacrime Marinette, raccogliendo tutti i suoi tesori per rimetterli al loro posto.
Marinette raccolse la foto di Adrien che più le piaceva, una foto in cui sorrideva così naturalmente che le scaldava sempre il cuore guardarla. La ragazza si asciugò le lacrime e ripose la foto nella scatola.
“Arrivo, Adrien”.
 
 
Awww... mi sono commossa un po’ a scrivere il pezzo della pioggia, lo ammetto. Per chi non lo avesse visto si riferisce al pezzo in cui Marinette si innamora di Adrien in “Origins” <3
E sono commossa anche dalle bellissime recensioni che mi avete fatto Nim, StiveCoppola, Kiaretta_scrittrice92, finexshade, ilariapokemon e Erin_05! Essendo un fandom nuovo per me hanno significato davvero tantissimo, grazie infinite!
Vorrei specificare che non sarà una long-issima fiction, ma spero di finirla fra uno o due, massimissimo tre capitoli! Grazie nuovamente a tutti! E una maledizione a te, Muzza, per avermi iniziata a Ladybug. Sob.
  
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