La Complainte
de la Butte.
Neuvième Chapitre: le grand comedién
Oh yes I'm the great pretender (ooh ooh ooh)
Pretending I'm doing well (ooh ooh ooh)
My need is such
I pretend too much
I'm lonely but no-one can tell
Non
riusciva a non cantare, mentre ascoltava
le canzoni dei Queen, anche se stava finendo di ultimare un delicato ritocco a
Photoshop. Ormai conosceva quel Greatest Hits a memoria, e poteva abbinare ogni canzone a un qualche
suo momento della sua vita.
I Want it All e We Will Rock You erano la sua colonna sonora del suo arrivo a
Parigi, con la testa piena di sogni, di buone intenzioni e di ottimismo.
Who Wants to Live Forever gli ricordava gli ultimi giorni con sua
madre, e The Show Must
Go On l’accompagnava fuori dal cimitero, a funerale finito.
Bohemian Rapsody
per i tempi dell’Università, e sulle note di Innuendo gli tornavano in mente gli incontri clandestini con Bankotsu. Chissà perché, poi. Forse a causa di quell’assolo
di chitarra che suonava alle sue orecchie così liberatorio ed energico.
The Great Pretender,
la canzone che lo stereo suonava in quel momento, calzava perfettamente alla
suo stato d’animo di quel giorno.
Suikotsu,
che finiva di sbucciarsi un kiwi sul lavandino dell’angolo cottura, si voltò
verso di lui, fissandolo sorridendo mentre il ragazzo imbracciava il mouse del
computer come microfono e dondolava la testa a ritmo della musica. Sull’acuto
di Freddy Mercury gli si
avvicinò, tuffando le dita tra i capelli ribelli per fargli reclinare la testa
all’indietro, verso di lui, e stampandogli un bacio sulle labbra. “Dovresti
cantare più spesso, sai? Hai una bella voce.”
Jakotsu
gli restituì il sorriso, arrossendo lievemente.
E adesso penserà che vado in brodo
di giuggiole ogni qualvolta mi fa un complimento. Pensò. “Se continuo a
distrarmi così, però, non riuscirò mai a finire questa foto.”
“E’
un modo carino per dirmi: lasciami in pace?”
Il
ragazzo alzò una spalla con aria vaga, cercando di stuzzicarlo. “Prendila come vuoi…”
Suikotsu
si lasciò cadere sul divano, e per un
po’ lo fissò in silenzio, mentre lavorava. Conscio dei suoi occhi puntati su di
sé, Jakotsu fece di tutto per rimanere concentrato
sul programma, ignorandolo.
Dopo
pochi minuti di silenzio, rotti solo dalla musica suonata dallo stereo, Suikotsu gli domandò se quella sera sarebbe andato a
dormire a casa sua.
Jakotsu
storse il naso: “Domani Kagura ha la visita di
controllo, al mattino presto, e mi piacerebbe esserci. Se venissi a dormire chez toi
rischierei di tardare, domattina.”
“E
allora rimango a dormire qui anche stanotte?”
“Così
facendo però Kagura non dormirebbe, non si
riposerebbe e domattina sembrerebbe uno zombie.”
Suikotsu
gli si avvicinò e si mise in ginocchio davanti a lui, guardandolo negli occhi,
serio: “C’è qualcosa che non va, Jackie?”
L’altro
gli sorrise e prese a picchiettare l’indice sulla sua fronte. “Perché? E’ una
cosa che ti innervosisce?” ridacchiò.
“Sei
irritante quando fai così” cercò di togliere il dito del ragazzo dalla sua
fronte, senza riuscirci: quando voleva Jakotsu sapeva
essere veloce e letale, nei suoi dispetti. “Perché vuoi farmi innervosire?”
“Perché
mi piace il tuo lato oscuro e selvaggio, Schizofrenico!”
Finalmente
l’altro riuscì a bloccargli entrambe le mani, attirandolo a sé. “Idiota”
bisbigliò, coprendo un sorriso. “Non svegliare il can che dorme, Jackie.”
Il
ragazzo si morse le labbra per non ridere: bastava così poco, a volte, per
trasformare l’umore di Suikotsu da tranquillo e
sereno a iracondo e furioso. Gli negò le labbra, per provocarlo ulteriormente,
voltando la testa morbidamente di lato, ormai sicuro di averlo in pugno. Ma
invece di avere un qualche scatto impulsivo e passionale, l’altro scosse
semplicemente la testa, divertito. “Sei proprio strano.”
Weird.
Jakotsu
si incupì, ma cercò di non darlo a vedere.
“Perché
mai dovrei innervosirmi dei tuoi dispetti?” Suikotsu
continuava a guardarlo sorridendo, le mani tra le sue. “Quando sono con te è
l’ultima cosa al mondo che mi viene in mente di fare.”
Jakotsu
sorrise malizioso: “L’avevo notato” disse, meritandosi un buffetto sulla
guancia dall’altro.
“Sul
serio. Mi fai sentire sereno, contento.”
Finalmente guadagnò le sue labbra. “Felice.” Gli baciò una guancia,
lasciandogli le mani e attirandolo a sé. “Appagato.”
Jakotsu
lo lasciò fare, abbandonandosi all’abbraccio del ragazzo. Aveva quasi voglia di
piangere. Si sentiva il Re degli Stupidi.
Lui e Suikotsu stavano insieme da quasi un
mese, ed invece di essere su una nuvola paradisiaca, si sentiva di giorno in
giorno meno interessato, più apatico.
Nonostante
i suoi capricci, le sue bizze e i suoi
sbalzi d’umore, Suikotsu sembrava tranquillo e
sereno, e si mostrava sempre disponibile nei suoi confronti, e non sembrava
pesargli la sua convivenza e il suo rapporto con Kagura:
anzi! Dopo una iniziale e reciproca freddezza conoscitiva, i due sembravano
andare d’amore e d’accordo.
Kagura
pensava che fosse davvero ottimo per lui. “E’ carino, gentile, e sembra molto
preso da te.” Erano state le sue testuali parole d’approvazione.
Jakotsu
sospirò. La sua amica aveva perfettamente ragione: Suikotsu
era un uomo d’oro.
E
allora perché non riusciva a tuffarsi completamente nella loro storia? Si stava
facendo trasportare dal flusso degli eventi. Forse succede così i primi tempi cercò di convincersi per
l’ennesima volta. Soprattutto dopo
un’esperienza come la mia. Sono solo sentimentalmente traumatizzato.
Il
rumore della chiave nella toppa e della serratura che si apriva gli fece
staccare improvvisamente. Kagura entrò, cavalletto
sottobraccio, e quando li vide si arrestò, con la faccia mortificata. “Ops. Scusate, esco subito” disse, facendo cenno di
indietreggiare. Poi però cambiò idea. “Devo andare prima in bagno. Ma voi fate
come se non ci fossi!” gridò, dirigendosi verso la toilette, continuando a
portare il cavalletto di legno con sé.
Suikotsu
sospirò. “Che tempismo… fine momento magico.” Jakotsu alzò le spalle, dandogli un buffetto sulla guancia.
Era colpevolmente sollevato dall’entrata di Kagura.
Tornò a concentrarsi nuovamente sul computer e sul suo lavoro lasciato a metà.
La
donna riemerse dal bagno dopo pochi minuti, con l’inseparabile cavalletto
comicamente trascinato. Approfittando delle spalle che le dava Suikotsu, mormorò all’amico un “Mi dispiace” accorato,
dirigendosi verso la porta. Quasi allarmato, il ragazzo scosse la testa,
facendole cenno di restare. “Non devi affaticarti troppo Kaguretta,
e poi oggi c’è freschino fuori.”
La
donna gli restituì uno sguardo interrogativo, ma appoggiò gli attrezzi ed entrò
in salotto. “Si, in effetti… ormai se ne è andata
anche la luce giusta.” Si avvicinò a Jakotsu, e con
un cenno gli chiese se qualcosa non andasse. Forse aveva notato qualche ombra
scura sulla sua faccia?
Lui
scosse la testa. Poi le fece segno che ne avrebbero parlato dopo.
“Ho
chiesto a Yura di venire a cena da noi, vi spiace?”
domandò, mettendosi comoda sul divano, sotto lo sguardo terrorizzato di Jakotsu, che si toccò involontariamente la zazzera castana.
“Così non faccio la terza incomoda con voi piccioncini.”
“Sei
proprio un elemento di disturbo insopportabile”
La canzonò Suikotsu, sedendosi al suo fianco. “Pensavamo
infatti di chiuderti in bagno, mentre noi ci concedevamo una cena a base di
cibo cinese, consumata a lume di candela e con musica lounge
di sottofondo.”
“E
osereste negarmi il riso con pollo e boccioli di bamboo?”
“Certo
che no. Te lo facevamo passare dalla fessura sotto la porta.” Rise l’altro,
gettando un’occhiata a Jakotsu, come a cogliere una
sfumatura di sorriso sul suo volto. Ma il ragazzo pareva serio e concentrato
sul proprio lavoro, e non sembrava assolutamente degnarli di un briciolo di
attenzione. Anche Kagura notò questo atteggiamento,
davvero insolito per il suo amico, che era solito abbandonare qualsiasi cosa
pur di farsi una risata o per una battuta, ma per non far impensierire Suikotsu fece finta di nulla, e brontolò su quanto i due
fossero crudeli nei confronti di una povera fanciulla in stato interessante.
“A
proposito di stato interessante, Jackie mi ha detto che domani avrai la
visita.”
Kagura
annuì, non riuscendo a trattenere un sorriso. “Dovremmo già vederne il sesso.”
“Cosa
preferiresti, maschio o femmina?” domandò Suikotsu,
interessato.
Preferirebbe sapere chi
è il padre, piuttosto. Pensò Jakotsu,
sollevando un sopracciglio e lasciandosi scappare un lieve sbuffo.
La
donna alzò le spalle, indecisa. “Sinceramente non ho molte preferenze in
merito.” Ponderò le due situazioni, e le definì di poca differenza. “Forse femmina…”
“Hai
ragione. Se fosse maschio si sentirebbe solo, qui dentro!” commentò il ragazzo
al computer, con una risatina, mentre gli altri due gli davano dello stupido e
gli tiravano un paio di cuscini.
Il
campanello trillante annunciò l’arrivo di Yura. Jakotsu scattò in piedi, e per poco non rovesciò il
computer portatile a terra.
“Presto,
Suikotsu, prendi un berretto e nascondiamoci i
capelli, prima che quella pazza ci faccia sembrare due mohicani!”
strillò Jakotsu, correndo comicamente verso la
propria camera da letto.
“Si
può sapere che ti prende?”
Kagura
l’aveva acchiappato in corridoio e l’aveva trascinato, con una forza quasi
sovraumana per il suo corpo e il suo stato, dentro al bagno, chiudendo la porta
a chiave per evitare qualsiasi fuga improvvisa.
Jakotsu
fece finta di essere sorpreso e si indicò con aria innocente.
“Ti
conosco abbastanza per riuscire a capire quando c’è qualcosa che ti rogna.” Lo
sguardo della donna era piantato nella sua faccia, a pochi millimetri, alzandosi
sulle punte dei piedi per studiare meglio la sua espressione, che in quel momento
era di terrore puro. “Tu e Suikotsu avete litigato,
forse?”
Impaurito,
senza difese né vie di fuga, il ragazzo fu costretto a scuotere con forza la
testa castana. Alcune ciocche di capelli scapparono dalla forcina e si
liberarono, ribelli, sulla sua testa.
“Allora
hai conosciuto qualcun altro?”
Anche
questa volta negò, la chioma che continuava a sfuggirgli dall’acconciatura.
“Dì
un po’: non si tratterà mica di Bankotsu, vero?” Il tono minaccioso di Kagura gli faceva gelare il sangue nelle vene. Se quelli
erano gli ormoni della gravidanza, allora c’era da sperare in un parto
prematuro: continuando così non sarebbe arrivato vivo a Settembre.
“No… davvero… è che…”
Dall’altra
parte della porta, Yura chiese se andasse tutto bene,
prima di proporsi per andare alla rosticceria cinese all’angolo a prendere la
cena. Entrambi acconsentirono.
“E’
che...?”
Jakotsu
allargò le braccia, sconfitto. “Non lo so… è che… che diamine… non so neppure
più io cosa voglio. Mi piace un lato di Suikotsu che
non vuole più farmi vedere. Adoro il suo lato oscuro…
ma lui dice che io lo rendo sereno e che di arrabbiarsi quando ci sono nei
paraggi è l’ultima cosa che gli viene in mente di fare”
“Dormo
nella camera accanto, me ne sono accorta.”
Kagura gli scoccò uno sguardo di fuoco, sembrando
trattenersi dal picchiarlo selvaggiamente. Girò la chiave nella toppa, aprendo
la porta. “Dovresti parlargliene, davvero. Sono sicura che discutendone
troverete una soluzione.”
Uscirono
in corridoio, con la donna che vestiva un sorriso confortante indirizzato a Suikotsu, che stava apparecchiando la tavola. Guardò Jakotsu con un sopracciglio alzato, per poi scoppiare a
ridere. Lui, un po’ irritato, gli domandò che ci fosse di così divertente. Poi
si guardò allo specchio del corridoio: “Oh mio dio!! Sembro una gorgone… Kagura, guarda come mi
hai conciato, tu e le tue stupide paranoie!” strillò, indispettito, mentre si
infilava le mani nei capelli.
Yura
scelse proprio quel momento per aprire la porta, e nel vederlo così
indaffarato, le si dipinse sul volto un’espressione estasiata. Gettò
l’involucro della rosticceria verso Kagura, che lo
afferrò al volo per pura fortuna, e poi si avventò sul ragazzo, trillando che
ci avrebbe pensato lei a sistemare il tutto. Per tutta risposta, lui si gettò
terrorizzato verso la camera, cercando di barricarsi al suo interno. La ragazza
non demordeva, continuando a spingere la porta, mentre dall’altra parte Jakotsu chiedeva soccorso agli altri due, che invece si
guardavano perplessi, indecisi se mettersi a ridere o a piangere.
“Interveniamo?”
domandò Suikotsu, guardando la ragazza che batteva,
in forza, l’altro, riuscendo a spalancare la porta ed ad entrare nella camera,
da dove iniziarono a provenire rumori di lotta ed insulti di vario tipo e in
varie lingue.
Kagura
alzò le spalle. “Io non posso. Sono incinta.” Cinguettò, accarezzandosi la
pancia per sottolinearlo.
“Cominci
ad usare questa scusa un po’ troppo spesso, per i miei gusti…”
“Dai,
lasciami dormire…” mugugnò, scansandosi quasi
infastidito.
Lui
sembrò sorpreso, ma non insistette, abbandonandosi fra i cuscini. “Credevo che
nel tuo invito a dormire qui ci fosse implicito anche dell’altro.” Rispose, con
tono acido. “Scusa se ho pensato male… eh!”
Jakotsu
avvertì una fetta di senso di colpa. Non aveva senso trattarlo male e cercare
di essere freddo e distaccato. Così facendo l’avrebbe solo fatto soffrire, e di
certo lui non aveva fatto nulla per meritarselo. Si puntellò sui gomiti, voltandosi verso l’altro. “Mi dispiace”
mormorò. Forse aveva ragione Kagura, dovevano
parlarne. Ma come fare? Non era mai stato un asso nei discorsi, né tantomeno ad
esporre problemi o a discutere soluzioni. Non sapeva nemmeno da che parte
iniziare.
“C’è
qualcosa che non va?” domandò Suikotsu, appoggiando
la schiena contro la testiera del letto e guardandolo preoccupato.
Jakotsu
sospirò, facendo un cenno vago con la mano. “E’ una cosa strana, e temo sia
proprio colpa mia.”
L’altro
lo invitò a parlarne, mettendolo ancora più a disagio. Si coricò supino, con le
braccia incrociate dietro la testa, cercando di trovare le parole adatte per
affrontare il discorso senza offenderlo o ferirlo. “Temo che mi piaccia solo un
lato di te.” Si pentì subito di aver
detto quella frase, come sempre era stato troppo diretto e per niente
sensibile. Le parole erano uscite fuori dalla sua bocca prima che riuscisse ad
elaborarle. E, dall’espressione ferita di Suikotsu,
avevano proprio fatto centro. Si alzò a sedere anche lui, chiedendogli scusa.
“Non volevo ferirti. E’che mi è sempre piaciuto il lato di te che non ami
mostrare alla gente comune. Il tuo lato imprevedibile, nervoso. Sono uno
stronzo, lo so, ma non posso fare a meno di preferirlo al tuo essere sempre
così dolce e disponibile.”
Suikotsu
ascoltò in silenzio, torturandosi il labbro inferiore con i denti. “Lotto
contro i miei scatti d’ira da quando ne ho memoria, cerco di fare in modo di
contenermi e di essere un persona normale… e poi tu
mi dici che non ti piace affatto tutto ciò? Sai che fatica faccio? Il mio
psicologo si è comprato l’appartamento con i miei soldi. E quando finalmente
credo di esserci riuscito, ecco che spunta uno stronzetto incontentabile che preferisce la liason dangereuse ad un rapporto vero.” Fece
per alzarsi, ma Jakotsu lo trattenne, domandandogli
ancora scusa.
“Io
ho paura, davvero, di lanciarmi in una storia seria. Sono terrorizzato
dall’idea di vedere calpestati ancora una volta i miei sentimenti. Suikotsu, scusami, ti prego.”
Lui
gli rivolse uno sguardo gelido “Pensi ancora a lui?”
“A
Bankotsu?” Il ragazzo annuì, temendo che la sua
espressione parlasse più delle sue labbra. “Si. No. Forse. E’ che… Bankotsu è sempre stata la
mia ossessione irraggiungibile. La persona che ho amato, per cui ho fatto tanti
piccoli sacrifici, primo fra tutti la mia dignità, per cui mi sono illuso e per
cui non valevo così tanto. Non posso fare a meno di chiedermi cosa ho
sbagliato, perché non sono riuscito a farlo restare con me, e se provasse
qualcosa nei miei confronti. Tutte queste cose, che non potrò mai sapere, mi
tormentano e irretiscono la mia capacità di affezionarmi alle persone.”
“Non
mi pare che non ti sia affezionato alla tua coinquilina.”
“Con
lei è diverso. Prima di tutto, perché non potrei mai innamorarmi di Kagura. Secondo, perché lei è una di quelle poche persone
che hanno tutto la mia stima e la mia fiducia. Il destino ci ha fatto
incontrare, in un modo stranissimo, in una situazione assurda, in un momento in
cui avevamo entrambi bisogno di qualcuno. Lei è tutt’altra cosa.”
Suikotsu
rimase silenzioso, sembrava indeciso se andarsene o meno. Stringeva le lenzuola
tra le nocche, dando la schiena a Jakotsu.
Ecco, abbandonato la
seconda volta sullo stesso letto. Ormai sta diventando una fastidiosa abitudine
pensò,
volgendo lo sguardo fuori dalla finestra. Nessuna luce accesa, nel palazzo di
fronte, nessuna situazione da spiare, nessuna faccia confortante. Kagura probabilmente nell’altra stanza era nel mondo dei
sogni, e non se la sentiva di svegliarla solo per raccontarle del suo
fallimento con una persona per cui poteva essere importante.
Inaspettatamente,
Suikotsu non si mosse per alzarsi. Dopo pochi istanti
si allungò sul letto, verso di lui, attirandolo a sé. Sembrava a dir poco
furioso, quasi trasfigurato. Il cuore di Jakotsu gli
balzò in gola per l’inattesa reazione.
“Ti
prometto che ti farò dimenticare la tua storia con Bankotsu.”
Sussurrò, roco. Sul viso gli si allargò un sorriso indecifrabile, quasi
inquietante. “E festeggeremo questo evento alla grande. Il prossimo mese, ti
porterò ad una festa indimenticabile, vedrai Jackie.” Promise, avvicinandosi.
“Trovo
che sia più che comprensibile una sua reazione del genere.” Commentò Kagura, dopo aver ascoltato il discorso (che comunque aveva
afferrato per lo più a spezzoni la sera precedente, con l’orecchio appoggiato
alla parete della sua camera), mentre scendeva alla fermata della
metropolitana. “Cosa avresti fatto tu nei suoi panni?”
Jakotsu
piegò la testa di lato, mentre una smorfia pensierosa gli si disegnava sul
volto. “Si, forse avrei fatto così anche io.” Chiocciò. “C’è da dire che da
arrabbiato Suiky è davvero un portento!” aggiunse,
alzando il pollice in segno di promozione, mentre la donna alzava gli occhi al
cielo ed emetteva un lamento esasperato.
“L’unica
cosa che non riesco a decifrare è la festa di cui ha parlato. Da dove salterà
fuori? Chissà cosa avrà voluto dire.” Aprì la porta dell’ambulatorio, e salutò
la segretaria della dottoressa, che li fece accomodare direttamente nella sala
delle visite.
“Non
sto più nella pelle…” mormorò Jakotsu,
sorridendo. Anche Kagura si lasciò sfuggire un mezzo
sorriso, ed ammise di essere curiosa.
“Solamente
curiosa? Andiamo, Kaguretta, oggi sapremo di che
colore prendere il fiocco!” cinguettò l’altro. “Sai quanti negozi d’infanzia ho
notato in giro?”
Lei
emise uno sbuffo divertito. “Li ho notati anche io.”
La
dottoressa entrò, salutandoli cordialmente. “Sono contenta di rivederla ancora,
signora.”
“Signorina”
la corresse Jakotsu, meritandosi una gomitata da
parte dell’amica. “Non credo che questa cosa abbia molta rilevanza, no?”sbottò,
coricandosi sul lettino e alzandosi la maglietta come indicato dalla
dottoressa, che rimase per un istante a studiarne le forme arrotondate
“Eh,
già. Ha messo su una bella pancetta.” Se ne compiacque, accendendo la macchina
per l’ecografia e spalmandole il gel. “Vediamo quanto è cresciuto questo
gigante. Dovremmo essere già entrati alla tredicesima settimana, vero?”
Kagura
annuì, iniziando a sentirsi agitata.
Ogni volta che pensava alla visita di controllo, temeva di trovare
qualcosa di anomalo nel bambino, e la sera prima aveva faticato a prendere
sonno anche per quel motivo, oltre che per i suoi rumorosi vicini di camera.
“Credo di iniziare a sentirlo muoversi” annuì, pensando a quando, in un
pomeriggio lavorativo, quella piccola vita l’aveva sorpresa, reclamato
attenzione agitandosi dentro di lei.
Jakotsu
lanciò uno strillo indignato, domandandogli perché non gliel’avesse detto
subito. La dottoressa si lanciò scappare un risolino divertito, mentre
accendeva il monitor.
Questa
volta il fagiolino era diventato più grande, non si faceva fatica a trovarlo.
Ed ecco che si vedevano le braccia e le gambe (o, come si lasciò scappare Jakotsu, le zampine), e la sua testolina fare capolino da
dietro il cordone ombelicale.
“Sembra
in forma” ammise Kagura, emozionata. “E’ cresciuto
molto, no?”
“Altrochè, Signorina.
Se continua così avrà un bel pupattolone. E’ in forma
smagliante, tra l’altro. Certo, per esserne sicuri al cento per cento dovremo
fare analisi più accurate, ma così, di prima vista, posso assicurarle che sta
procedendo tutto per il meglio.”
“E
si riesce già a vedere se è maschio o femmina?” domandò impaziente Jakotsu, saltellando su un piede solo per l’entusiasmo.
La
dottoressa fece una smorfia per indicare che era un po’ difficile. “E’ ancora
un po’ prestino” aggiunse, notando l’espressione dispiaciuta del ragazzo. “Ma
alla prossima visita sono sicura che vedremo qualcosa di più.” Lo rabbonì,
prima di fargli ascoltare nuovamente il rumore del cuoricino del piccolo. I due
si guardarono, scambiandosi un sorriso.
“E
adesso passiamo agli esami del sangue.” Gli interruppe, prendendo l’occorrente
per il prelievo.
Jakotsu
impallidì. “Deve proprio usare quell’ago?” balbettò.
“Jackie,
il sangue non ha facoltà di teletrasportarsi nelle provette.” lo canzonò
l’amica, alzandosi la manica.
“Ma
quell’ago è ENORME.” Protestò lui. “Non ne può usare uno più piccolo?”
“Guardi
che questo è l’ago più piccolo e innocente che ci sia.” Spiegò la dottoressa,
divertita. “E le posso assicurare che non lo userò contro di lei.”
“Ci
può scommettere: io non mi faccio infilzare da cosi così lunghi e duri come quello.”
“Avrei
pensato il contrario.” Commentò ironica Kagura.
“Quindi.
Se fosse maschio, che ne dici di André? O Remi?” erano appena entrati in uno
scompartimento della metrò abbastanza sgombro, riuscendo anche ad accaparrarsi
due posti a sedere vicini.
Kagura
alzò gli occhi al cielo. “E questi da dove saltano fuori?”
“Beh,
André, l’amato di Lady Oscar!” rispose, come se fosse una cosa ovvia. “Era così
affascinante con quel ciuffo sugli occhi!”
“Era
guercio” puntualizzò lei. “E gli sparano.”
“Si,
ma prima di morire si fa Lady Oscar! L’unica femmina che sia stata in grado di
procurarmi qualche dubbio circa la mia natura.”
“E
Remi da dove salta fuori?” domandò, fingendo esasperazione. “Oh, no… non mi dire…”
“SI!!
Il Dolce Remi, quello di Senza Famiglia! Ha segnato la mia infanzia…”
“Pensa
un po’, credevo che tu fossi caduto dal seggiolone, invece. Comunque,
scordatelo, è troppo deprimente.”
“Ma
nooo! Era pieno di speranza.”
“Speranza
un corno” strillò lei. “E’ morta più gente in una sola puntata che in tutta la
durata della peste bubbonica seicentesca!”
Jakotsu
mise il broncio, incrociando le braccia al petto. Lei lo guardò, ridendo, e lo
carezzò, prendendolo un po’ in giro. Si sentiva euforica, e non riusciva a
nasconderlo. “Ti prometto che, se si trattasse di un maschietto, lo chiamerò
Jacques” Il ragazzo la fissò interrogativa. “Perché sembra il tuo nome in francese”
“Sciocchina”
sibilò lui, cercando di nascondere il proprio rossore. “Non vedo l’ora che
queste due settimane passino per sapere chi sarà il nuovo arrivato. E se fosse
femmina? Che ne dici di un bel Marianne?”
“Ma
ce l’hai con la Rivoluzione, tu?”
“Avevo
un debole per Lady Oscar, te l’ho già detto!” sospirò, appoggiando poggiando il
mento al seggiolino vuoto di fronte al loro. “Colette? Chantal?”
Kagura
fece una smorfia di disapprovazione. Non aveva ancora pensato ad un singolo
nome. “Vorrei un nome carino e originale. Ma non so ancora quale.”
“Cunegonde è
abbastanza originale per te?”
“Ma
sei sicura che sia un essere umano?” Yura fissava il
fotogramma dell’ecografia senza capire. Alzando gli occhi al cielo, Jakotsu gliela sfilò di mano e la girò nel verso giusto. “Certo
che a guardarlo sottosopra fa un altro effetto di sicuro.”
La
ragazza ora ci si raccapezzava meglio. “Tò! Guarda che
zampettine carine!” pigolò.
“Ma
non sono zampettine! Sono manine. E piedini!” la
corresse Jakotsu, indispettito.
“Beh,
sembrano zampettine di insetto, non trovi?”
Questa
volta fu Kagura a roteare gli occhi all’insù e ad
intervenire, strappandole la foto dalle mani, per attaccarla, al posto dell’altra,
sul frigorifero. “Un po’ di rispetto. Non è ancora nato, o nata, e già
discutete sul suo lato estetico. Vorrei aver visto voi, quando eravate a
tredici settimane di gestazione.”
Il
ragazzo rise: “Secondo me a Yura erano già spuntate
le tette. Deve essere stato semplice scoprire che era femmina.”
“Idiota.”
Sibilò lei, mettendosi inconsapevolmente a posto il decolté. “In ogni caso, Kagura, quand’è il prossimo controllo?”
“Tra
due settimane avrò il risultato degli esami, se tutto va bene sino al prossimo
mese posso stare tranquilla.”
La
ragazza sospirò serena. “Che carina…” cinguettò. “Ma,
scusate la domanda. Dove lo metterete il bambino?”
Gli
altri due si scambiarono uno sguardo interrogativo. “In che senso?” chiese Jakotsu. “nel forno?”
“Ma
no, sciocco! Voglio dire… questo appartamento è così
piccolo per due persone… figurarsi per tre.”
Il
silenzio scese nella casa, mentre i due si guardavano intorno, spaesati, e Yura li fissava, senza credere alle proprie orecchie. “Non
ditemi che non ci avevate ancora pensato…”
Jakotsu
si grattò nervosamente la nuca, Kagura si torturò le
dita, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Beh, sai…
è successo così in fretta, e abbiamo avuto così tante cose a cui pensare che…”
“Non
ci posso credere.”
“Però
ha ragione.” Ammise Jakotsu. “Gli spazi saranno un
problema da gestire. Dobbiamo trovarci un altro appartamento, Kaguretta.”
La
donna sospirò, annuendo.
“Oh… ma è un peccato!” piagnucolò la ragazza. “Ho sempre
visto Jackie sempre così legato a questo appartamento, colorato da lui… con tutti questi cuscini…
sarà un trauma per te lasciarlo!”
Kagura
mostrò segni di disagio, uscendo dalla stanza, mentre il ragazzo fissava Yura come se volesse riempirla di botte. “Embè, cosa c’è? Mi dispiace davvero!”
La
raggiunse nella sua camera, dove si era rifugiata, seduta sul letto con un’espressione
smarrita. Si sedette al suo fianco, cingendole le spalle con il braccio. “Suvvia,
Kaguretta, che hai adesso?”
“Non
voglio che tu lasci questo appartamento per colpa mia.” Le vide gli occhi
inumidirsi. “E’ il tuo Chateau Jakò,
piccolo, colorato ed eccentrico come piace a te. E io ho rovinato tutto.”
“Ma
scherzi Kagura?” rise il ragazzo, abbracciandola. “Chateau Jakò è
ovunque io vada. Certo, ormai abito in questo appartamento da sei anni, mi
dispiace un po’ lasciarlo, ma traslocheremo in una casa più grande, per la
miseria! Cercheremo qui vicino, così non prenderemo il metrò per andare al
negozio, e lo coloreremo tale e quale a questo, così non soffriremo di
nostalgia. Avrai una camera più grande, magari grande abbastanza per infilarci
anche il lettino del piccolo e un armadio più spazioso di questo. E magari con
pareti più spesse, così tu non sarai svegliata dai miei rumori e io non sarò svegliata
dal pianto del bambino. Kaguretta, direi che non
andrà tanto male, no?”
Ma
la donna non smetteva di piangere. “Ti sto costringendo a cambiare la tua vita
e le tue abitudini per me. Sono solo un peso, un ostacolo alla tua storia con Suikotsu e ai tuoi progetti. Sono così mortificata…”
“No,
sei così stupida. Kaguretta, se non facessi queste
cose volentieri, ti rispedirei al mittente con un bel calcio nelle chiappe.
Dai, smettila con questo piagnisteo…”
La
reazione di Kagura peggiorò. “Sono sicura che sia una
femmina” disse, tra un singhiozzo e l’altro, mentre anche Yura,
incuriosita e un po’ preoccupata di aver combinato un disastro, faceva capolino
dalla porta. “E che avrà una marea di problemi. Sarà sempre in pericolo, io
sarò una madre possessiva ed apprensiva e la terrò chiusa in casa, così poi lei
si ribellerà, uscirà di notte calandosi dalla finestra e scapperà con il primo
ubriacone che incontrerà, che la metterà incinta a sedici anni e l’abbandonerà.”
Scoppiò in un pianto disperato. “Così io sarò nonna a quarantasei anni!”
Jakotsu
e Yura si scambiarono uno sguardo basito. Entrambi si
strinsero le spalle, senza sapere bene cosa fare. “Gli ormoni?” suggerì la
ragazza.
“La
depressione dovrebbe essere post parto, non pre!” Poi
staccò le mani dagli occhi bagnati e rossi della donna. “Calarsi dalla
finestra? Ma chi ti ha messo incinta, Indiana Jones?”
Rieccomi con il mio aggiornamento
seriale. A vous madame! Grazie alle mie ‘solite’ e preziose
recensore, non abbandonatemi in mezzo alla tastiera del mio Acer nuovo!
Tic tac, momento di stupidità:
Sto tentando di introdurre, con scarsi risultati, la mia (dolce?) metà al
magico mondo dei manga, ed in particolare di Inuyasha. Quando gli ho raccontato
che Inuyasha, in quanto mezzo demone, per una notte al mese si trasforma in
umano lui ha constatato che non sarei mai potuto andare d’accordo con uno come
lui.
“Perché, scusa?”
“Beh, lui una volta al mese si
trasforma in umano. E tu una volta al mese non sei umana.”
Ho impiegato qualche secondo per
afferrare il senso reale della frase e il velato riferimento che comportava.
Quando l’ho capito ho invocato il Vicodin del Dr
House e una Colt.
E che dire quando su Cultoon (canale di Sky)è passata la puntata dove c’era
quell’emanazione in costume adamitico di Narakulo
senza faccia che andava a rubarla ad altri? (oddio, mi sfugge il nome ora come
ora…)Si è messo a cantare la canzone di Elio e le storie Tese “Tutto nudo e
senza il cacchio” – anche perché in una scena si vedeva che non era solo la
faccia a mancargli.
Eeeehhhh. Mollo tutto e scappo a Parigi
anche io.
E.C.