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Autore: Evilcassy    02/04/2009    1 recensioni
Che la fortuna aiutasse gli audaci, Kagura Onigumo ne aveva già avuto prova. Scappata illesa (e creduta morta)a Parigi, ora cercava di rifarsi una vita completamente nuova, diversa, e soprattutto, LIBERA. E quando si trovò davanti alla vetrina di uno studio fotografico, a Montmartre, dove un cartello affisso segnalava la ricerca di una commessa, pensò che la ruota della fortuna avesse iniziato a girare per il verso giusto. Per Lei. - Spin-Off di This Time Around - [/SOSPESA -INCOMPLETA]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Kagura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '- This Time Around -'
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La Complainte de la Butte.

 Neuvième Chapitre: le grand comedién

Oh yes I'm the great pretender (ooh ooh ooh)
Pretending I'm doing well (ooh ooh ooh)
My need is such
I pretend too much
I'm lonely but no-one can tell

Non riusciva a non cantare,  mentre ascoltava le canzoni dei Queen, anche se stava finendo di ultimare un delicato ritocco a Photoshop. Ormai conosceva quel Greatest Hits a memoria, e poteva abbinare ogni canzone a un qualche suo momento della sua vita. 

I Want it All  e We Will Rock You erano la sua colonna sonora del suo arrivo a Parigi, con la testa piena di sogni, di buone intenzioni e di ottimismo.

Who Wants to Live Forever  gli ricordava gli ultimi giorni con sua madre, e The Show Must Go On l’accompagnava fuori dal cimitero, a funerale finito.

Bohemian Rapsody per i tempi dell’Università, e sulle note di Innuendo gli tornavano in mente gli incontri clandestini con Bankotsu. Chissà perché, poi. Forse a causa di quell’assolo di chitarra che suonava alle sue orecchie così liberatorio ed energico.

The Great Pretender, la canzone che lo stereo suonava in quel momento, calzava perfettamente alla suo stato d’animo di quel giorno.

Suikotsu, che finiva di sbucciarsi un kiwi sul lavandino dell’angolo cottura, si voltò verso di lui, fissandolo sorridendo mentre il ragazzo imbracciava il mouse del computer come microfono e dondolava la testa a ritmo della musica. Sull’acuto di Freddy Mercury gli si avvicinò, tuffando le dita tra i capelli ribelli per fargli reclinare la testa all’indietro, verso di lui, e stampandogli un bacio sulle labbra. “Dovresti cantare più spesso, sai? Hai una bella voce.”

Jakotsu gli restituì il sorriso, arrossendo lievemente.  E adesso penserà che vado in brodo di giuggiole ogni qualvolta mi fa un complimento. Pensò. “Se continuo a distrarmi così, però, non riuscirò mai a finire questa foto.”

“E’ un modo carino per dirmi: lasciami in pace?”

Il ragazzo alzò una spalla con aria vaga, cercando di stuzzicarlo. “Prendila come vuoi…

Suikotsu si lasciò cadere sul divano,  e per un po’ lo fissò in silenzio, mentre lavorava. Conscio dei suoi occhi puntati su di sé, Jakotsu fece di tutto per rimanere concentrato sul programma, ignorandolo.

Dopo pochi minuti di silenzio, rotti solo dalla musica suonata dallo stereo, Suikotsu gli domandò se quella sera sarebbe andato a dormire a casa sua.

Jakotsu storse il naso: “Domani Kagura ha la visita di controllo, al mattino presto, e mi piacerebbe esserci. Se venissi a dormire chez toi rischierei di tardare, domattina.”

“E allora rimango a dormire qui anche stanotte?”

“Così facendo però Kagura non dormirebbe, non si riposerebbe e domattina sembrerebbe uno zombie.”

Suikotsu gli si avvicinò e si mise in ginocchio davanti a lui, guardandolo negli occhi, serio: “C’è qualcosa che non va, Jackie?”

L’altro gli sorrise e prese a picchiettare l’indice sulla sua fronte. “Perché? E’ una cosa che ti innervosisce?” ridacchiò.

“Sei irritante quando fai così” cercò di togliere il dito del ragazzo dalla sua fronte, senza riuscirci: quando voleva Jakotsu sapeva essere veloce e letale, nei suoi dispetti. “Perché vuoi farmi innervosire?”

“Perché mi piace il tuo lato oscuro e selvaggio, Schizofrenico!”

Finalmente l’altro riuscì a bloccargli entrambe le mani, attirandolo a sé. “Idiota” bisbigliò, coprendo un sorriso. “Non svegliare il can che dorme, Jackie.”

Il ragazzo si morse le labbra per non ridere: bastava così poco, a volte, per trasformare l’umore di Suikotsu da tranquillo e sereno a iracondo e furioso. Gli negò le labbra, per provocarlo ulteriormente, voltando la testa morbidamente di lato, ormai sicuro di averlo in pugno. Ma invece di avere un qualche scatto impulsivo e passionale, l’altro scosse semplicemente la testa, divertito. “Sei proprio strano.”

Weird.

Jakotsu si incupì, ma cercò di non darlo a vedere.

“Perché mai dovrei innervosirmi dei tuoi dispetti?” Suikotsu continuava a guardarlo sorridendo, le mani tra le sue. “Quando sono con te è l’ultima cosa al mondo che mi viene in mente di fare.”

Jakotsu sorrise malizioso: “L’avevo notato” disse, meritandosi un buffetto sulla guancia dall’altro.

“Sul serio. Mi fai sentire sereno, contento.”  Finalmente guadagnò le sue labbra. “Felice.” Gli baciò una guancia, lasciandogli le mani e attirandolo a sé. “Appagato.”

Jakotsu lo lasciò fare, abbandonandosi all’abbraccio del ragazzo. Aveva quasi voglia di piangere. Si sentiva il Re degli Stupidi.  Lui e Suikotsu stavano insieme da quasi un mese, ed invece di essere su una nuvola paradisiaca, si sentiva di giorno in giorno meno interessato, più apatico.

Nonostante i suoi capricci,  le sue bizze e i suoi sbalzi d’umore, Suikotsu sembrava tranquillo e sereno, e si mostrava sempre disponibile nei suoi confronti, e non sembrava pesargli la sua convivenza e il suo rapporto con Kagura: anzi! Dopo una iniziale e reciproca freddezza conoscitiva, i due sembravano andare d’amore e d’accordo.

Kagura pensava che fosse davvero ottimo per lui. “E’ carino, gentile, e sembra molto preso da te.” Erano state le sue testuali parole d’approvazione.

Jakotsu sospirò. La sua amica aveva perfettamente ragione: Suikotsu era un uomo d’oro.

E allora perché non riusciva a tuffarsi completamente nella loro storia? Si stava facendo trasportare dal flusso degli eventi. Forse succede così i primi tempi cercò di convincersi per l’ennesima volta. Soprattutto dopo un’esperienza come la mia. Sono solo sentimentalmente traumatizzato.

Il rumore della chiave nella toppa e della serratura che si apriva gli fece staccare improvvisamente. Kagura entrò, cavalletto sottobraccio, e quando li vide si arrestò, con la faccia mortificata. “Ops. Scusate, esco subito” disse, facendo cenno di indietreggiare. Poi però cambiò idea. “Devo andare prima in bagno. Ma voi fate come se non ci fossi!” gridò, dirigendosi verso la toilette, continuando a portare il cavalletto di legno con sé.

Suikotsu sospirò. “Che tempismo… fine momento magico.” Jakotsu alzò le spalle, dandogli un buffetto sulla guancia. Era colpevolmente sollevato dall’entrata di Kagura. Tornò a concentrarsi nuovamente sul computer e sul suo lavoro lasciato a metà.

La donna riemerse dal bagno dopo pochi minuti, con l’inseparabile cavalletto comicamente trascinato. Approfittando delle spalle che le dava Suikotsu, mormorò all’amico un “Mi dispiace” accorato, dirigendosi verso la porta. Quasi allarmato, il ragazzo scosse la testa, facendole cenno di restare. “Non devi affaticarti troppo Kaguretta, e poi oggi c’è freschino fuori.”

La donna gli restituì uno sguardo interrogativo, ma appoggiò gli attrezzi ed entrò in salotto. “Si, in effetti… ormai se ne è andata anche la luce giusta.” Si avvicinò a Jakotsu, e con un cenno gli chiese se qualcosa non andasse. Forse aveva notato qualche ombra scura sulla sua faccia?

Lui scosse la testa. Poi le fece segno che ne avrebbero parlato dopo.

“Ho chiesto a Yura di venire a cena da noi, vi spiace?” domandò, mettendosi comoda sul divano, sotto lo sguardo terrorizzato di Jakotsu, che si toccò involontariamente la zazzera castana. “Così non faccio la terza incomoda con voi piccioncini.”

“Sei proprio un elemento di disturbo insopportabile”  La canzonò Suikotsu, sedendosi al suo fianco. “Pensavamo infatti di chiuderti in bagno, mentre noi ci concedevamo una cena a base di cibo cinese, consumata a lume di candela e con musica lounge di sottofondo.”

“E osereste negarmi il riso con pollo e boccioli di bamboo?”

“Certo che no. Te lo facevamo passare dalla fessura sotto la porta.” Rise l’altro, gettando un’occhiata a Jakotsu, come a cogliere una sfumatura di sorriso sul suo volto. Ma il ragazzo pareva serio e concentrato sul proprio lavoro, e non sembrava assolutamente degnarli di un briciolo di attenzione. Anche Kagura notò questo atteggiamento, davvero insolito per il suo amico, che era solito abbandonare qualsiasi cosa pur di farsi una risata o per una battuta, ma per non far impensierire Suikotsu fece finta di nulla, e brontolò su quanto i due fossero crudeli nei confronti di una povera fanciulla in stato interessante.

“A proposito di stato interessante, Jackie mi ha detto che domani avrai la visita.”

Kagura annuì, non riuscendo a trattenere un sorriso. “Dovremmo già vederne il sesso.”

“Cosa preferiresti, maschio o femmina?” domandò Suikotsu, interessato.

Preferirebbe sapere chi è il padre, piuttosto. Pensò Jakotsu, sollevando un sopracciglio e lasciandosi scappare un lieve sbuffo.

La donna alzò le spalle, indecisa. “Sinceramente non ho molte preferenze in merito.” Ponderò le due situazioni, e le definì di poca differenza. “Forse femmina…

“Hai ragione. Se fosse maschio si sentirebbe solo, qui dentro!” commentò il ragazzo al computer, con una risatina, mentre gli altri due gli davano dello stupido e gli tiravano un paio di cuscini.

Il campanello trillante annunciò l’arrivo di Yura. Jakotsu scattò in piedi, e per poco non rovesciò il computer portatile a terra.

“Presto, Suikotsu, prendi un berretto e nascondiamoci i capelli, prima che quella pazza ci faccia sembrare due mohicani!” strillò Jakotsu, correndo comicamente verso la propria camera da letto.

 

“Si può sapere che ti prende?”

Kagura l’aveva acchiappato in corridoio e l’aveva trascinato, con una forza quasi sovraumana per il suo corpo e il suo stato, dentro al bagno, chiudendo la porta a chiave per evitare qualsiasi fuga improvvisa.

Jakotsu fece finta di essere sorpreso e si indicò con aria innocente.

“Ti conosco abbastanza per riuscire a capire quando c’è qualcosa che ti rogna.” Lo sguardo della donna era piantato nella sua faccia, a pochi millimetri, alzandosi sulle punte dei piedi per studiare meglio la sua espressione, che in quel momento era di terrore puro. “Tu e Suikotsu avete litigato, forse?”

Impaurito, senza difese né vie di fuga, il ragazzo fu costretto a scuotere con forza la testa castana. Alcune ciocche di capelli scapparono dalla forcina e si liberarono, ribelli, sulla sua testa.

“Allora hai conosciuto qualcun altro?”

Anche questa volta negò, la chioma che continuava a sfuggirgli dall’acconciatura.

“Dì un po’: non si tratterà mica di Bankotsu, vero?” Il tono minaccioso di Kagura gli faceva gelare il sangue nelle vene. Se quelli erano gli ormoni della gravidanza, allora c’era da sperare in un parto prematuro: continuando così non sarebbe arrivato vivo a Settembre.

No… davvero… è che…

Dall’altra parte della porta, Yura chiese se andasse tutto bene, prima di proporsi per andare alla rosticceria cinese all’angolo a prendere la cena.  Entrambi acconsentirono.

“E’ che...?”

Jakotsu allargò le braccia, sconfitto. “Non lo so… è che… che diamine… non so neppure più io cosa voglio. Mi piace un lato di Suikotsu che non vuole più farmi vedere. Adoro il suo lato oscuro… ma lui dice che io lo rendo sereno e che di arrabbiarsi quando ci sono nei paraggi è l’ultima cosa che gli viene in mente di fare”

“Dormo nella camera accanto, me ne sono accorta.” Kagura gli scoccò uno sguardo di fuoco, sembrando trattenersi dal picchiarlo selvaggiamente. Girò la chiave nella toppa, aprendo la porta. “Dovresti parlargliene, davvero. Sono sicura che discutendone troverete una soluzione.”

Uscirono in corridoio, con la donna che vestiva un sorriso confortante indirizzato a Suikotsu, che stava apparecchiando la tavola. Guardò Jakotsu con un sopracciglio alzato, per poi scoppiare a ridere. Lui, un po’ irritato, gli domandò che ci fosse di così divertente. Poi si guardò allo specchio del corridoio: “Oh mio dio!! Sembro una gorgone… Kagura, guarda come mi hai conciato, tu e le tue stupide paranoie!” strillò, indispettito, mentre si infilava le mani nei capelli.

Yura scelse proprio quel momento per aprire la porta, e nel vederlo così indaffarato, le si dipinse sul volto un’espressione estasiata. Gettò l’involucro della rosticceria verso Kagura, che lo afferrò al volo per pura fortuna, e poi si avventò sul ragazzo, trillando che ci avrebbe pensato lei a sistemare il tutto. Per tutta risposta, lui si gettò terrorizzato verso la camera, cercando di barricarsi al suo interno. La ragazza non demordeva, continuando a spingere la porta, mentre dall’altra parte Jakotsu chiedeva soccorso agli altri due, che invece si guardavano perplessi, indecisi se mettersi a ridere o a piangere.

“Interveniamo?” domandò Suikotsu, guardando la ragazza che batteva, in forza, l’altro, riuscendo a spalancare la porta ed ad entrare nella camera, da dove iniziarono a provenire rumori di lotta ed insulti di vario tipo e in varie lingue.

Kagura alzò le spalle. “Io non posso. Sono incinta.” Cinguettò, accarezzandosi la pancia per sottolinearlo.

“Cominci ad usare questa scusa un po’ troppo spesso, per i miei gusti…

 

“Dai, lasciami dormire…” mugugnò, scansandosi quasi infastidito.

Lui sembrò sorpreso, ma non insistette, abbandonandosi fra i cuscini. “Credevo che nel tuo invito a dormire qui ci fosse implicito anche dell’altro.” Rispose, con tono acido. “Scusa se ho pensato male… eh!”

Jakotsu avvertì una fetta di senso di colpa. Non aveva senso trattarlo male e cercare di essere freddo e distaccato. Così facendo l’avrebbe solo fatto soffrire, e di certo lui non aveva fatto nulla per meritarselo. Si puntellò sui gomiti,  voltandosi verso l’altro. “Mi dispiace” mormorò. Forse aveva ragione Kagura, dovevano parlarne. Ma come fare? Non era mai stato un asso nei discorsi, né tantomeno ad esporre problemi o a discutere soluzioni. Non sapeva nemmeno da che parte iniziare.

“C’è qualcosa che non va?” domandò Suikotsu, appoggiando la schiena contro la testiera del letto e guardandolo preoccupato.

Jakotsu sospirò, facendo un cenno vago con la mano. “E’ una cosa strana, e temo sia proprio colpa mia.”

L’altro lo invitò a parlarne, mettendolo ancora più a disagio. Si coricò supino, con le braccia incrociate dietro la testa, cercando di trovare le parole adatte per affrontare il discorso senza offenderlo o ferirlo. “Temo che mi piaccia solo un lato di te.”  Si pentì subito di aver detto quella frase, come sempre era stato troppo diretto e per niente sensibile. Le parole erano uscite fuori dalla sua bocca prima che riuscisse ad elaborarle. E, dall’espressione ferita di Suikotsu, avevano proprio fatto centro. Si alzò a sedere anche lui, chiedendogli scusa. “Non volevo ferirti. E’che mi è sempre piaciuto il lato di te che non ami mostrare alla gente comune. Il tuo lato imprevedibile, nervoso. Sono uno stronzo, lo so, ma non posso fare a meno di preferirlo al tuo essere sempre così dolce e disponibile.”

Suikotsu ascoltò in silenzio, torturandosi il labbro inferiore con i denti. “Lotto contro i miei scatti d’ira da quando ne ho memoria, cerco di fare in modo di contenermi e di essere un persona normale… e poi tu mi dici che non ti piace affatto tutto ciò? Sai che fatica faccio? Il mio psicologo si è comprato l’appartamento con i miei soldi. E quando finalmente credo di esserci riuscito, ecco che spunta uno stronzetto incontentabile che preferisce la liason dangereuse ad un rapporto vero.” Fece per alzarsi, ma Jakotsu lo trattenne, domandandogli ancora scusa.

“Io ho paura, davvero, di lanciarmi in una storia seria. Sono terrorizzato dall’idea di vedere calpestati ancora una volta i miei sentimenti. Suikotsu, scusami, ti prego.”

Lui gli rivolse uno sguardo gelido “Pensi ancora a lui?”

“A Bankotsu?” Il ragazzo annuì, temendo che la sua espressione parlasse più delle sue labbra. “Si. No. Forse. E’ che… Bankotsu è sempre stata la mia ossessione irraggiungibile. La persona che ho amato, per cui ho fatto tanti piccoli sacrifici, primo fra tutti la mia dignità, per cui mi sono illuso e per cui non valevo così tanto. Non posso fare a meno di chiedermi cosa ho sbagliato, perché non sono riuscito a farlo restare con me, e se provasse qualcosa nei miei confronti. Tutte queste cose, che non potrò mai sapere, mi tormentano e irretiscono la mia capacità di affezionarmi alle persone.”

“Non mi pare che non ti sia affezionato alla tua coinquilina.”

“Con lei è diverso. Prima di tutto, perché non potrei mai innamorarmi di Kagura. Secondo, perché lei è una di quelle poche persone che hanno tutto la mia stima e la mia fiducia. Il destino ci ha fatto incontrare, in un modo stranissimo, in una situazione assurda, in un momento in cui avevamo entrambi bisogno di qualcuno. Lei è tutt’altra cosa.”

Suikotsu rimase silenzioso, sembrava indeciso se andarsene o meno. Stringeva le lenzuola tra le nocche, dando la schiena a Jakotsu.

Ecco, abbandonato la seconda volta sullo stesso letto. Ormai sta diventando una fastidiosa abitudine pensò, volgendo lo sguardo fuori dalla finestra. Nessuna luce accesa, nel palazzo di fronte, nessuna situazione da spiare, nessuna faccia confortante. Kagura probabilmente nell’altra stanza era nel mondo dei sogni, e non se la sentiva di svegliarla solo per raccontarle del suo fallimento con una persona per cui poteva essere importante.

Inaspettatamente, Suikotsu non si mosse per alzarsi. Dopo pochi istanti si allungò sul letto, verso di lui, attirandolo a sé. Sembrava a dir poco furioso, quasi trasfigurato. Il cuore di Jakotsu gli balzò in gola per l’inattesa reazione.

“Ti prometto che ti farò dimenticare la tua storia con Bankotsu.” Sussurrò, roco. Sul viso gli si allargò un sorriso indecifrabile, quasi inquietante. “E festeggeremo questo evento alla grande. Il prossimo mese, ti porterò ad una festa indimenticabile, vedrai Jackie.” Promise, avvicinandosi.

 

“Trovo che sia più che comprensibile una sua reazione del genere.” Commentò Kagura, dopo aver ascoltato il discorso (che comunque aveva afferrato per lo più a spezzoni la sera precedente, con l’orecchio appoggiato alla parete della sua camera), mentre scendeva alla fermata della metropolitana. “Cosa avresti fatto tu nei suoi panni?”

Jakotsu piegò la testa di lato, mentre una smorfia pensierosa gli si disegnava sul volto. “Si, forse avrei fatto così anche io.” Chiocciò. “C’è da dire che da arrabbiato Suiky è davvero un portento!” aggiunse, alzando il pollice in segno di promozione, mentre la donna alzava gli occhi al cielo ed emetteva un lamento esasperato.

“L’unica cosa che non riesco a decifrare è la festa di cui ha parlato. Da dove salterà fuori? Chissà cosa avrà voluto dire.” Aprì la porta dell’ambulatorio, e salutò la segretaria della dottoressa, che li fece accomodare direttamente nella sala delle visite.

“Non sto più nella pelle…” mormorò Jakotsu, sorridendo. Anche Kagura si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, ed ammise di essere curiosa.

“Solamente curiosa? Andiamo, Kaguretta, oggi sapremo di che colore prendere il fiocco!” cinguettò l’altro. “Sai quanti negozi d’infanzia ho notato in giro?”

Lei emise uno sbuffo divertito. “Li ho notati anche io.”

La dottoressa entrò, salutandoli cordialmente. “Sono contenta di rivederla ancora, signora.”

“Signorina” la corresse Jakotsu, meritandosi una gomitata da parte dell’amica. “Non credo che questa cosa abbia molta rilevanza, no?”sbottò, coricandosi sul lettino e alzandosi la maglietta come indicato dalla dottoressa, che rimase per un istante a studiarne le forme arrotondate

“Eh, già. Ha messo su una bella pancetta.” Se ne compiacque, accendendo la macchina per l’ecografia e spalmandole il gel. “Vediamo quanto è cresciuto questo gigante. Dovremmo essere già entrati alla tredicesima settimana, vero?”

Kagura annuì, iniziando a sentirsi agitata.  Ogni volta che pensava alla visita di controllo, temeva di trovare qualcosa di anomalo nel bambino, e la sera prima aveva faticato a prendere sonno anche per quel motivo, oltre che per i suoi rumorosi vicini di camera. “Credo di iniziare a sentirlo muoversi” annuì, pensando a quando, in un pomeriggio lavorativo, quella piccola vita l’aveva sorpresa, reclamato attenzione agitandosi dentro di lei.

Jakotsu lanciò uno strillo indignato, domandandogli perché non gliel’avesse detto subito. La dottoressa si lanciò scappare un risolino divertito, mentre accendeva il monitor.

Questa volta il fagiolino era diventato più grande, non si faceva fatica a trovarlo. Ed ecco che si vedevano le braccia e le gambe (o, come si lasciò scappare Jakotsu, le zampine), e la sua testolina fare capolino da dietro il cordone ombelicale.

“Sembra in forma” ammise Kagura, emozionata. “E’ cresciuto molto, no?”

Altrochè, Signorina. Se continua così avrà un bel pupattolone. E’ in forma smagliante, tra l’altro. Certo, per esserne sicuri al cento per cento dovremo fare analisi più accurate, ma così, di prima vista, posso assicurarle che sta procedendo tutto per il meglio.”

“E si riesce già a vedere se è maschio o femmina?” domandò impaziente Jakotsu, saltellando su un piede solo per l’entusiasmo.

La dottoressa fece una smorfia per indicare che era un po’ difficile. “E’ ancora un po’ prestino” aggiunse, notando l’espressione dispiaciuta del ragazzo. “Ma alla prossima visita sono sicura che vedremo qualcosa di più.” Lo rabbonì, prima di fargli ascoltare nuovamente il rumore del cuoricino del piccolo. I due si guardarono, scambiandosi un sorriso.

“E adesso passiamo agli esami del sangue.” Gli interruppe, prendendo l’occorrente per il prelievo.

Jakotsu impallidì. “Deve proprio usare quell’ago?” balbettò.

“Jackie, il sangue non ha facoltà di teletrasportarsi nelle provette.” lo canzonò l’amica, alzandosi la manica.

“Ma quell’ago è ENORME.” Protestò lui. “Non ne può usare uno più piccolo?”

“Guardi che questo è l’ago più piccolo e innocente che ci sia.” Spiegò la dottoressa, divertita. “E le posso assicurare che non lo userò contro di lei.”

“Ci può scommettere: io non mi faccio infilzare da cosi così lunghi e duri come quello.”

“Avrei pensato il contrario.” Commentò ironica Kagura.

 

“Quindi. Se fosse maschio, che ne dici di André? O Remi?” erano appena entrati in uno scompartimento della metrò abbastanza sgombro, riuscendo anche ad accaparrarsi due posti a sedere vicini.

Kagura alzò gli occhi al cielo. “E questi da dove saltano fuori?”

“Beh, André, l’amato di Lady Oscar!” rispose, come se fosse una cosa ovvia. “Era così affascinante con quel ciuffo sugli occhi!”

“Era guercio” puntualizzò lei. “E gli sparano.”

“Si, ma prima di morire si fa Lady Oscar! L’unica femmina che sia stata in grado di procurarmi qualche dubbio circa la mia natura.”

“E Remi da dove salta fuori?” domandò, fingendo esasperazione. “Oh, no… non mi dire…

“SI!! Il Dolce Remi, quello di Senza Famiglia! Ha segnato la mia infanzia…

“Pensa un po’, credevo che tu fossi caduto dal seggiolone, invece. Comunque, scordatelo, è troppo deprimente.”

“Ma nooo! Era pieno di speranza.”

“Speranza un corno” strillò lei. “E’ morta più gente in una sola puntata che in tutta la durata della peste bubbonica seicentesca!”

Jakotsu mise il broncio, incrociando le braccia al petto. Lei lo guardò, ridendo, e lo carezzò, prendendolo un po’ in giro. Si sentiva euforica, e non riusciva a nasconderlo. “Ti prometto che, se si trattasse di un maschietto, lo chiamerò Jacques” Il ragazzo la fissò interrogativa. “Perché sembra il tuo nome in francese”

“Sciocchina” sibilò lui, cercando di nascondere il proprio rossore. “Non vedo l’ora che queste due settimane passino per sapere chi sarà il nuovo arrivato. E se fosse femmina? Che ne dici di un bel Marianne?”

“Ma ce l’hai con la Rivoluzione, tu?”

“Avevo un debole per Lady Oscar, te l’ho già detto!” sospirò, appoggiando poggiando il mento al seggiolino vuoto di fronte al loro. “Colette? Chantal?”

Kagura fece una smorfia di disapprovazione. Non aveva ancora pensato ad un singolo nome. “Vorrei un nome carino e originale. Ma non so ancora quale.”

Cunegonde è abbastanza originale per te?”

 

“Ma sei sicura che sia un essere umano?” Yura fissava il fotogramma dell’ecografia senza capire. Alzando gli occhi al cielo, Jakotsu gliela sfilò di mano e la girò nel verso giusto. “Certo che a guardarlo sottosopra fa un altro effetto di sicuro.”

La ragazza ora ci si raccapezzava meglio. “! Guarda che zampettine carine!” pigolò.

“Ma non sono zampettine! Sono manine. E piedini!” la corresse Jakotsu, indispettito.

“Beh, sembrano zampettine di insetto, non trovi?”

Questa volta fu Kagura a roteare gli occhi all’insù e ad intervenire, strappandole la foto dalle mani, per attaccarla, al posto dell’altra, sul frigorifero. “Un po’ di rispetto. Non è ancora nato, o nata, e già discutete sul suo lato estetico. Vorrei aver visto voi, quando eravate a tredici settimane di gestazione.”

Il ragazzo rise: “Secondo me a Yura erano già spuntate le tette. Deve essere stato semplice scoprire che era femmina.”

“Idiota.” Sibilò lei, mettendosi inconsapevolmente a posto il decolté. “In ogni caso, Kagura, quand’è il prossimo controllo?”

“Tra due settimane avrò il risultato degli esami, se tutto va bene sino al prossimo mese posso stare tranquilla.”

La ragazza sospirò serena. “Che carina…” cinguettò. “Ma, scusate la domanda. Dove lo metterete il bambino?”

Gli altri due si scambiarono uno sguardo interrogativo. “In che senso?” chiese Jakotsu. “nel forno?”

“Ma no, sciocco! Voglio dire… questo appartamento è così piccolo per due persone… figurarsi per tre.”

Il silenzio scese nella casa, mentre i due si guardavano intorno, spaesati, e Yura li fissava, senza credere alle proprie orecchie. “Non ditemi che non ci avevate ancora pensato…

Jakotsu si grattò nervosamente la nuca, Kagura si torturò le dita, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Beh, sai… è successo così in fretta, e abbiamo avuto così tante cose a cui pensare che…

“Non ci posso credere.”

“Però ha ragione.” Ammise Jakotsu. “Gli spazi saranno un problema da gestire. Dobbiamo trovarci un altro appartamento, Kaguretta.”

La donna sospirò, annuendo.

Oh… ma è un peccato!” piagnucolò la ragazza. “Ho sempre visto Jackie sempre così legato a questo appartamento, colorato da lui… con tutti questi cuscini… sarà un trauma per te lasciarlo!”

Kagura mostrò segni di disagio, uscendo dalla stanza, mentre il ragazzo fissava Yura come se volesse riempirla di botte. “Embè, cosa c’è? Mi dispiace davvero!”

La raggiunse nella sua camera, dove si era rifugiata, seduta sul letto con un’espressione smarrita. Si sedette al suo fianco, cingendole le spalle con il braccio. “Suvvia, Kaguretta, che hai adesso?”

“Non voglio che tu lasci questo appartamento per colpa mia.” Le vide gli occhi inumidirsi. “E’ il tuo Chateau Jakò, piccolo, colorato ed eccentrico come piace a te. E io ho rovinato tutto.”

“Ma scherzi Kagura?” rise il ragazzo, abbracciandola. “Chateau Jakò è ovunque io vada. Certo, ormai abito in questo appartamento da sei anni, mi dispiace un po’ lasciarlo, ma traslocheremo in una casa più grande, per la miseria! Cercheremo qui vicino, così non prenderemo il metrò per andare al negozio, e lo coloreremo tale e quale a questo, così non soffriremo di nostalgia. Avrai una camera più grande, magari grande abbastanza per infilarci anche il lettino del piccolo e un armadio più spazioso di questo. E magari con pareti più spesse, così tu non sarai svegliata dai miei rumori e io non sarò svegliata dal pianto del bambino. Kaguretta, direi che non andrà tanto male, no?”

Ma la donna non smetteva di piangere. “Ti sto costringendo a cambiare la tua vita e le tue abitudini per me. Sono solo un peso, un ostacolo alla tua storia con Suikotsu e ai tuoi progetti. Sono così mortificata…

“No, sei così stupida. Kaguretta, se non facessi queste cose volentieri, ti rispedirei al mittente con un bel calcio nelle chiappe. Dai, smettila con questo piagnisteo…

La reazione di Kagura peggiorò. “Sono sicura che sia una femmina” disse, tra un singhiozzo e l’altro, mentre anche Yura, incuriosita e un po’ preoccupata di aver combinato un disastro, faceva capolino dalla porta. “E che avrà una marea di problemi. Sarà sempre in pericolo, io sarò una madre possessiva ed apprensiva e la terrò chiusa in casa, così poi lei si ribellerà, uscirà di notte calandosi dalla finestra e scapperà con il primo ubriacone che incontrerà, che la metterà incinta a sedici anni e l’abbandonerà.” Scoppiò in un pianto disperato. “Così io sarò nonna a quarantasei anni!”

Jakotsu e Yura si scambiarono uno sguardo basito. Entrambi si strinsero le spalle, senza sapere bene cosa fare. “Gli ormoni?” suggerì la ragazza.

“La depressione dovrebbe essere post parto, non pre!” Poi staccò le mani dagli occhi bagnati e rossi della donna. “Calarsi dalla finestra? Ma chi ti ha messo incinta, Indiana Jones?”

 

 

Rieccomi con il mio aggiornamento seriale. A vous madame!  Grazie alle mie ‘solite’ e preziose recensore, non abbandonatemi in mezzo alla tastiera del mio Acer nuovo!

 

Tic tac, momento di stupidità: Sto tentando di introdurre, con scarsi risultati, la mia (dolce?) metà al magico mondo dei manga, ed in particolare di Inuyasha. Quando gli ho raccontato che Inuyasha, in quanto mezzo demone, per una notte al mese si trasforma in umano lui ha constatato che non sarei mai potuto andare d’accordo con uno come lui.

“Perché, scusa?”

“Beh, lui una volta al mese si trasforma in umano. E tu una volta al mese non sei umana.”

Ho impiegato qualche secondo per afferrare il senso reale della frase e il velato riferimento che comportava. Quando l’ho capito ho invocato il Vicodin del Dr House e una Colt.

E che dire quando su Cultoon (canale di Sky)è passata la puntata dove c’era quell’emanazione in costume adamitico di Narakulo senza faccia che andava a rubarla ad altri? (oddio, mi sfugge il nome ora come ora…)Si è messo a cantare la canzone di Elio e le storie Tese “Tutto nudo e senza il cacchio” – anche perché in una scena si vedeva che non era solo la faccia a mancargli.

Eeeehhhh. Mollo tutto e scappo a Parigi anche io.

E.C.

   
 
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