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Autore: _Even    04/04/2016    2 recensioni
«Se una storia è finita, se un'amicizia si è rotta, è meglio evitarsi per ricucire le ferite. Solo così ci risparmiamo altro inutile dolore.»
E se non tutto il dolore fosse inutile?
E se evitarsi non fosse possibile?
E se una storia non fosse del tutto finita?
X Factor 10. Due giudici. Una storia finita nel peggiore dei modi. Un album che ne percorre il destino.
[Mirco]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elio, Marco Mengoni, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Light in you
 
Quando il telefono di Marco suonò, lo squillo trovò i due amanti ancora teneramente stretti in un abbraccio, intenti a scambiarsi effusioni, finalmente liberi dal senso di colpa e dal rimorso.
 
Somehow I'm worth your while
I get to hold you first thing in the morning
Quel suono irritò e sconfortò Marco, il quale nascose prontamente il volto sulla calda spalla di Michael. Era come se il loro piccolo mondo incantato fosse stato violentemente invaso. Che sensazione detestabile.
«Non voglio rispondere» brontolò, la pelle dell’altro che attutiva la sua voce.
Egli ridacchiò, accarezzando dolcemente i suoi capelli. «Tu hai come la... sbornia da sesso?»
Stavolta toccò a Marco ridere, per poi rifilargli un debole pugno sul petto. Il trillo del cellulare persisteva e rovinò quell’atmosfera romantica e divertente, costringendo il proprietario di quell’aggeggio infernale ad allungare il braccio e, leggermente voltato il viso, recuperò il suddetto mefitico apparecchio.
«È Elio» constatò.
«Fai rispondere me!» esclamò Michael, pensando a chissà qualche battuta spiritosa da fare al suo collega.
«Non ci provare» lo redarguì. «Ha chiamato me e non te, ricordi?»
Sbuffò. Era un dato di fatto: dare a qualcuno, a chiunque, motivo di dubitare che la relazione tra Marco e Michael fosse puramente amichevole e cortese, sarebbe equivalso a un suicidio mediatico.
Dunque, anche se finalmente i loro cuori erano liberi di dirsi “ti amo”, la loro era una consapevolezza che andava in due sole direzioni: l’uno verso l’altro. Nascondersi era la norma.
Ma questo non li avrebbe scoraggiati.
Marco rispose: «Pronto?»
«Ce ne hai messo di tempo!» rise bonariamente Elio. «Volevo solo chiederti se hai saputo della tragica novità di X Factor.»
Michael, a quel punto, stava già gustando la debole nuca di Marco, torturandola con i denti. Tipico di quel dispettoso.
«Tragica novità?» domandò, cercando di scostarsi.
«Oh, dunque non sai niente!»
Marco gli fece cenno di smetterla, cosa che lo spinse a rincarare la dose di attenzioni verso la sua schiena, carezzandola con rapide lappate di lingua.
«Niente di cosa?» cercò di tenere la voce ferma, ma era difficile, vista la predilezione di Michael per la sua spina dorsale. La leccava con delizia, baciandola con tanta foga da succhiare, di tanto in tanto, lembi di pelle. Allontanò il telefono dalle labbra per concedersi un ansito di piacere. Dietro di sé, sentì dei gorgoglii soddisfatti che ben conosceva.
«Gli Home Visit sono stati anticipati, si parte tra due settimane.»
«Che cosa?»
Lo shock lo fece sollevare all’improvviso, ma così facendo colpì accidentalmente il naso di Michael, il quale se lo massaggiò con entrambe le mani, sopprimendo un urlo di dolore.
«Hai sentito bene, ragazzo» proseguì Elio, «i grandi capi avevano fatto un grande affare a Copenaghen, ma a quanto pare è saltato tutto. L’unico posto disposto a ospitare baracca e burattini, e a farlo entro una certa scadenza, è Taormina. Le registrazioni si faranno al Teatro Antico.»
Marco registrò quell’informazione mentre baciava il naso di Michael, come una mamma che guarisce il proprio piccino che si è fatto la bua. Sfiorò la sua guancia con la punta delle dita, consolandolo per il dolore.
Conosceva bene quel teatro, era stato il luogo d’inizio di uno dei suoi tour più belli, a dir poco indimenticabile. Era felice di non dover andare troppo lontano per valutare i talenti della sua squadra e, al contempo, esaltare le bellezze del suo amato Bel Paese.
«Beh, mi sembra un po’ precipitoso, ma non è che si possa fare granché, no?» commentò, non senza un certo nervosismo.
«Eh, lo so bene» sbuffò Elio. « Quando ci si mette di mezzo la burocrazia, restiamo tutti immancabilmente fregati.»
Marco concordò, senza ascoltarlo veramente: Michael aveva appena sorriso.
 
Then when I see you smile
Brighter than the new day and it's dawning
Il sorriso di quell’uomo, labbra sottili che concordavano una dentatura ampia, candida e perfetta. In quel sorriso, però, c’era molto più che bocca e denti: c’era luce, calore e fiamma viva. Ciò di cui realmente Marco non riusciva a capacitarsi era il modo in cui sprigionava quel bagliore: non come un faro nella notte, poiché il buio è facile a essere rischiarato; era come se tra milioni e milioni di luci, lui fosse la più potente, la più bella, in un modo tutto suo.
Amava quel sorriso. Amava quell’uomo.
I discorsi di Elio sfumarono in saluti e cordialità e la chiamata, in breve, terminò.
Michael si sollevò, allontanando il cellulare da loro. «Allora, cosa Elio voleva? Cosa lui ha detto che ti ha fatto uccidere il mio naso?»
«Oh, scusami tanto» gli prese il viso tra le mani e iniziò a riempirlo di teneri baci, tra i quali lo ragguagliò. «Gli Home Visit sono stati spostati. Tra due settimane andiamo a Taormina per girare il tutto.»
«Okay» rispose, laconico, godendosi tutti quei baci da parte di Marco.
«La cosa non ti disturba minimamente?»
«Perché? Io posso essere pronto a partire in due settimane, mi piace di viaggiare e mi piace Taormina. Quale è il problema?»
 
It really makes me wonder
If this is real life
Marco rise dolcemente. Non c’era davvero un limite a quanto poteva amare Michael: tutto diveniva semplice se lo accoglieva tra le sue amorevoli mani; perfino la sua vita appariva meno complicata, i suoi nodi si scioglievano, i dubbi e la disperazione erano stati dissipati da un bacio, da una carezza, da una parola dolce.
Strinse le gambe al suo busto.
«Ti ho mai detto che hai il sorriso più bello del mondo?»
 
Not a dream or spell I'm under
With the way, the way you make me feel like
La risposta non tardò ad arrivare con una naturalezza sconvolgente: «Sempre dopo che il tuo, amore.»
 
L’hanno chiamata “vita” perché “complicazione mortale” pareva brutto.
Due settimane dopo, ecco Marco precipitarsi all’aeroporto, tentando di non perdere il suo volo per Taormina. Il naso gli colava, la testa diveniva ogni secondo più pesante e a malapena respirava, per non parlare di quella ridicola febbre che, andando e venendo, lo tormentava parecchio.
A quale altro, povero, sfortunato idiota poteva venire l’influenza il giorno prima degli Home Visit?
Michael lo tempestava di chiamate, alle quali aveva ormai rinunciato a rispondere, tanta era la foga della corsa.
Una volta giunto a destinazione, dovette fare leva sulla sua celebrità per riuscire ad entrare su quel volo (usò al tattica del “sono un personaggio famoso e ho tanti impegni, per favore fammi salire su quell’aereo”). Fortuna che non tutte le hostess erano inflessibili come sembravano.
Quando giunse, sudato e con il fiatone, verso i posti di prima classe, vide Michael che, seduto accanto a Irene e dietro Elio, lo guardava e prendeva una gran boccata d’aria, per poi rilasciare un sospiro di sollievo, quasi con le lacrime agli occhi.
Marco si accasciò, sprofondando nel posto accanto a quello di Elio e nascondendosi dietro ai grandi occhiali da sole.
«Marco.»

In a crowded room I’m the only one
Then it’s just us two and the setting sun
Il modo in cui Michael lo chiamò, dolcemente, lo fece voltare subito. Era seriamente preoccupato.
«Io ho chiamato mille volte» spiegò, indicando il suo cellulare.
Marco non rispose, perché era inutile spiegargli che la sera prima era praticamente svenuto sul letto, messo K.O. dagli antibiotici e dal cortisone, per poi svegliarsi in ritardo per via di uno stordimento tale da fargli dimenticare di puntare la sveglia per le cinque del mattino.
Semplicemente, si abbassò gli occhiali da sole: il naso rosso e gli occhi, gonfi e iniettati di sangue, parlarono per lui.
Irene imprecò. «Sembri la bambina de L’esorcista all’opera.»
Michael poggiò la mano sulla fronte di Marco, il quale, pur sapendo di doversi ritrarre dal suo tocco, vi si protese: quella mano era fresca e delicata, gli faceva desiderare che restasse lì per sempre.
«Tu sei un po’ caldo» sospirò, sconfortato. «Come tu fai a registrare, in domani?»
Elio rifilò una pacca sulla spalla a entrambi. «Che vuol dire “come”? Andrà alla grande domani! Un paio di pasticche e torna come nuovo.»
«Mi stai suggerendo di drogarmi?» lo punzecchiò Marco, nonostante la voce nasale.
Le risate generali stemperarono l’ansia che le condizioni di salute del più giovane dei loro colleghi avevano destato. Avevano dei tempi serratissimi per fare le registrazioni e, pur concedendo a Marco più tempo per riprendersi dall’influenza, il massimo che gli si potesse dare era un giorno in più, ma certo era che in tre giorni sarebbero tornati tutti a Milano e Marco, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto farcela.
Il timore di tutti, soprattutto quello di Michael era che pur di farlo riprendere gli dessero qualche “spintarella”, come delle pilloline eccitanti che, precedentemente, aveva ben conosciuto nella sua carriera. Per questo, qualche minuto dopo la partenza dell’aereo, Michael gli poggiò una mano sulla spalla, a mille miglia d’altitudine dall’Italia.
«Irene dorme» sussurrò. «Elio?»
«Più o meno» commentò, osservandolo bofonchiare sotto i baffi e puntare il dito contro chissà chi, ad occhi chiusi.
Sospirò, mentre l’ilarità andava spegnendosi.
«Mi rifiuto di stare male proprio adesso» si lamentò, «e di certo mi rifiuto di farmi aiutare come so che loro vorrebbero.»
«Lo so, io non voglio che tu lo fai» gli carezzò il braccio. «Infatti io penso a te.»
Si voltò con discrezione. «Mi pensi tanto tanto?» lo prese in giro.
Michael sorrise e gli diede dello stupido. «Dico che, dopo che noi è in Taormina, io prendo cura di te. Così tu guarisci e non prendi quegli “aiuti”.»
«Lo faresti veramente?»
«No, io lo farò veramente» specificò.
Marco posò la propria mano sulla sua e rimasero così, per un tempo attimo infinito. Infine, stremato dalla malattia, egli si lasciò cullare dalle invitanti braccia di Morfeo.
 
«Sveglia, testa di sonno!»
Marco aprì gli occhi a fatica, le palpebre come cemento. Era in una camera d’albergo, una sontuosa suite dove i colori predominanti erano il castano del legno e il beige tendente al crema dell’arredamento. La passione per l’architettura e il grande senso estetico di Marco gli fornirono una temporanea distrazione dal freddo che sentiva penetrargli nelle ossa.
«Come ci sono arrivato qui in albergo?» chiese, senza effettivamente conoscere la risposta a quella bizzarra domanda.
Michael scoppiò a ridere: «Sui tuoi piedi, testa di sonno! Non ricorda che tu ha sceso dall’aereo come zombie, sei arrivato qui e sei come un morto sul letto?»
Ovviamente non ricordava nessuno di quei particolari, altrimenti chiedere sarebbe stato del tutto superfluo. Non aveva abbastanza energie o salute per rispondergli in quel modo, dunque si limitò a correggerlo.
«Non si dice “testa di sonno”» lo ammonì, sulla traduzione impropria della parola sleepyhead, «piuttosto “dormiglione”.»
Il volto di Michael era pura compassione, probabilmente dovuta alla voce nasale di Marco. Quest’ultimo si rannicchiò tra le coperte e se le tirò fin sopra la testa. Che pietà che doveva fare, ad affondare tra le lenzuola in piena estate, a Taormina per di più. Eppure i brividi non accennavano a passare.
«Michael» lo chiamò, con voce lamentosa.
Non ebbe bisogno di dire altro, che Michael si era già infilato sotto le lenzuola. Ai suoi occhi parve così aitante, con quel suo sprezzo del caldo afoso con il quale lo abbracciò forte e strofinò le sue membra, prede del gelo. Marco si strinse al suo petto, la stretta attorno a lui divenne più serrata e il respiro caldo di Michael andò ad infrangersi tra il suo collo e la sua spalla, donandogli tepore. Un sospiro di sollievo trovò la strada per abbandonare le labbra di Marco.
«Non voglio stare male» piagnucolò.
«Su, su, non fare così: più tu pensa di stai male, più peggio è.»
La grammatica non era di certo il suo forte, e il suo strafalcione strappò a Marco un piccolo sorriso.
I pensieri di Marco, i suoi dubbi e i suoi timori, forse per via della febbre che gli annebbiava la mente, vennero da lui espressi ad alta voce.
«Andrà tutto bene, vero? Tra le tue braccia va sempre tutto bene.»
 
There’s a light in you
And in everything you do
Michael rise, ben sapendo che in altre circostanze lo avrebbe preso in giro per quel comportamento sdolcinato. Ma, forse per via della recente riconciliazione, oppure per quel raffreddore atroce, o anche solo per una vena dolcemente stucchevole che si celava in lui, la sua reazione fu di passare una mano tra i capelli di Marco e dargli un bacio sulla fronte, coperta di un lieve strato di sudore.
«Tu dici?»
Annuì, convinto. «Per questo negli ultimi mesi andava sempre tutto male, perché non ero al mio posto.»
Non c’era bisogno che gli chiedesse a quale posto si riferisse.
Il posto di Marco era tra le braccia di Michael.
Quella consapevolezza provocò a entrambi una dolce, lieve fitta nello stomaco, tutt’altro che dolorosa, anzi, era la più soave delle sensazioni.
Per un paio d’ore, dimentichi dei doveri e degli impegni che essere celebrità comportava, semplicemente rimasero l’uno accanto all’altro, stretti come uno, mentre Marco sussurrava smancerie che, una volta guarito, si sarebbe vergognato anche solo di ricordare vagamente. Michael gliele avrebbe rinfacciate tutte, una per una, nei momenti più impensati. Marco avrebbe finto di essere offeso e lo avrebbe picchiato con la violenza di una piuma, perché far del male a Michael sarebbe stato il peggiore dei crimini.
Era così, tra loro due, da sempre. Un eterno gioco, più simile a una danza che a un inseguimento, dove ogni passo era inevitabilmente seguito da un altro che entrambi conoscevano a memoria, ma che mai i due contendenti si stancavano di scoprire come fosse la prima volta, il primo attimo del primo giorno.
«Marco» lo chiamò gentilmente, dopo un po’ che il suo respiro si era regolarizzato.
Un flebile mugolio gli giunse in risposta.
«Adesso io ti misuro la temperature, poi prende una aspirina e ti do, così tu puoi stare meglio» disse, iniziando ad allontanarsi da quel tenero abbraccio, nel quale Marco lo tirò nuovamente.
«Non ti spostare, sei così caldo» si lamentò.
«Se non ti guariscio io, poi ti guarisciono loro e tu sai come.»
Con gentilezza, ma in modo deciso, Michael lo scostò da sé e fu libero di alzarsi, per medicarlo come un infermiere di prim’ordine, tanto che Marco appena si accorse che gli veniva misurata la febbre finché non gli fu annunciato che stava sui 38 °C. Gli preparò un bicchiere con l’aspirina, che Marco bevve avidamente, vista l’arsura che sentiva in gola. Tornò immediatamente a distendersi, mentre Michael provvedeva a inumidire dei fazzoletti di stoffa. Marco, pur nella malattia, non ne ebbe mai abbastanza, di quelle dolci parole di ringraziamento che quell’uomo angelico meritava totalmente. Ah, e pensare che meno di un mese fa avrebbe preferito tagliarsi la lingua piuttosto che definirlo angelico, eppure eccolo lì, a poggiargli le pezze bagnate sulla fronte per abbassargli la temperatura.
 
Once again it seems you found a way
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Di quel primo giorno di permanenza a Taormina, Marco ricordò davvero poco.
Si svegliava a intervalli regolari, per poi riaddormentarsi. Ogni tanto Michael provvedeva affinché mangiasse, o lo aiutava ad alzarsi per raggiungere il bagno. Ogni volta che Marco apriva gli occhi, incontrava quelli di Michael, spalancati, vigili e attenti. Non si era riposato un secondo da quando erano atterrati, tanta era la sua premura nel vegliare su Marco.
La febbre iniziò a scendere progressivamente finché, calata la notte, essa non si stabilizzò intorno ai 37 °C. Una bella conquista, ottenuta a suon di pezze e di medicinali, oltre che di teneri abbracci e baci delicati.
Marco arrivò a mezzanotte, sveglio come un grillo e madido di sudore, per vedere Michael crollare dalla stanchezza, con il termometro stretto tra le mani. Sorrise nel vederlo, poi delicatamente gli liberò le dita e, poggiato il termometro sul comodino, si accoccolò al suo petto.
Cercò di recuperare i ricordi di quel giorno, ma pareva tanto difficile. Solo Michael, solo quel volto bellissimo e quella dolce voce, le sue cure e la sua premure: questo era tutto ciò che era sicuro di ricordare.
Tenne il viso sollevato, non avrebbe saputo dire per quanto. Sapeva soltanto che avere l’opportunità di guardare Michael in quel modo, pacifico e dormiente, lo riempiva di gioia. Rimase sveglio solo per sentirlo respirare, e quel fiato poi si infranse come spuma di mare sulla propria pelle. Sfiorò la sua guancia con le nocche, sussurrandogli per l’ennesima volta parole di ringraziamento, che l’altro non poté udire.

I figured I'll tell you why
I stay up some nights to hear you breathing
Una volta tanto, sentì di avere il cuore al posto giusto. In quei mesi lo aveva tenuto fin troppo nella testa, cercando di ragionarci e di dominare l’amore con la razionalità. A volte, la furiosa gelosia che provava nei confronti di Tim lo aveva fatto precipitare sotto i piedi, quel povero cuore, il quale era poi risalito precipitosamente nello stomaco quando lo aveva ritrovato, senza pur volere ammettere di amarlo ancora.
Adesso, però, il suo cuore era dove doveva stare.
Tra le mani di Michael.
 
With everyday that goes by
You are the one and only I believe in
Marco non poteva essere più felice, perché sapeva che aveva lasciato il suo cuore nel posto più sicuro possibile. Nel più bello. In un posto che, finalmente, era tutto suo.
I pensieri lo stremarono e, dopo un po’, provò a chiudere gli occhi, senza immaginare che il semplice respiro di Michael lo avrebbe cullato e rapidamente risucchiato in un sonno profondo.
 
«Amore, sveglia.»
Sorridendo teneramente, Marco aprì gli occhi.
Si ritrovò davanti un Michael vestito di tutto punto, con indosso una camicia dorata e dei pantaloni bordeaux, con cravatta in tinta. Semplicemente perfetto.
«Che bel nome che mi hai dato» sussurrò. «Amore.»
«Amore» ripeté, carezzandogli la guancia, «ti ho lasciato dormire più che può. Io deve fare mie registrazioni, tu hai due ore in più che me per venire nel teatro. Hai bisogno che ti aiuto?»
Marco si mise seduto sul letto. Le ossa gli dolevano un po’, come se avesse fatto uno sforzo fisico, e si sentiva la testa pesante. Ma respirava decisamente meglio e si sentiva molto più lucido: era decisamente sulla via della guarigione. Per cui declinò dolcemente la sua offerta di aiuto:
«Grazie, ma ora sto bene» dichiarò, per poi aggiungere «amore.»
Michael sorrise e gli diede un dolce bacio a fior di labbra, bacio che Marco si premurò di allungare, sia per mostrare quanto fosse in forze, sia perché il sapore delle labbra di Michael era l’unico che volesse avere sulla sua bocca in eterno.
«Grazie di cuore per ieri» disse, sulle sue labbra.
Michael scosse la testa. «Non ringraziarmi più, l’ho fatto con il piacere.»
Marco lo strinse in quel bacio, e proseguì a baciarlo, a lungo e soavemente. Lo gustò e lo assaporò, facendolo mugolare dolcemente, arrivò quasi a tentarlo, ma così facendo per poco non lo fece tardare e allora, a malincuore, furono costretti a separarsi.
 
If you'll agree to have me
Each day of your life
Ci mise un paio di minuti per trovare il coraggio di alzarsi dal letto, da solo e con la prospettiva di una difficile, quanto elettrizzante, giornata di lavoro.
Si preparò, dunque, per raggiungere i suoi concorrenti, non senza aver preso un’altra aspirina. Si sentiva più lento e pigro del solito, ma quello non lo avrebbe fermato. Era capace di andare in tour con il raffreddore: ascoltare sei band emergenti e selezionarne tre che avrebbero avuto accesso alla diretta non era meno difficile, o almeno così pensò per farsi forza da sé.
Una volta pronto scese nella hall dell’albergo e poi fuori, dove trovò un’auto ad attenderlo. Raggiunse entro breve il Teatro Antico e, a quel punto, diede sfogo a tutte le energie che non possedeva, ma che finse, per il bene delle telecamere e dei ragazzi, tesi come una corda di violino.
Gli altri giudici registrarono i loro Home Visit in luoghi vicini al teatro, non proprio nel sito, al centro delle colonne in pietra: quell’onore venne riservato a Marco, il nuovo, celebre e giovane giudice. Che imbarazzo.
Riuscì a resistere per tutte quelle ore soltanto grazie a una lieve brezza marina, che gli fornì un po’ di ristoro da quel sole cocente che gli picchiava proprio in fronte.
Alla fine di quelle ore estenuanti, scelse i talenti che sarebbero andati a comporre la sua squadra e non poté essere più fiero e orgoglioso del proprio operato: prime fra tutti, le Pop Culture, il cui nuovo nome era Ironicamente (Marco lo adorò); poi scelse una band che per lui era una novità assoluta, in quanto composta da tre vocalist e due musicisti, i Biscroma; infine, pur trovandosi indeciso tra un quartetto polifonico e le gemelle Di Specchio, scelse le ultime due, poiché lo avevano colpito sin dalla prima audizione per la loro bravura spontanea.
Gli Home Visit erano belli che andati.
Fu un lavoro duro, ma soddisfacente, che Marco svolse con somma gioia. Aveva lottato contro la febbre e il raffreddore pur di portarlo a termine, il caldo e l’eccessiva concentrazione, oltre che la musica ad alto volume, avevano peggiorato di suoi sintomi influenzali. Poteva definirsi esausto, ma felice come non mai.
Ora, però, non vedeva l’ora di tornare in albergo.
Chiamò Michael sul cellulare.
«Pronto?» rispose quello, dopo qualche secondo di attesa.
«Ho finito con le registrazioni» annunciò, sorridendo nonostante lo sfinimento. «Torniamo all’albergo.»
«Oh, Marco, io non posso. C’è problema.»
Problema? Iniziò a torturarsi le cuticole con i denti dal nervosismo. «Nulla di grave, spero.»
«No, certo» sospirò, spazientito. «Una donna è persa di sensi mentre cantava.»
«È svenuta?»
«Per me, non è stato così! Lei ha stonato e ha preteso di svenire per avere altra chance in provino.»
Ah, gli svenimenti finiti. Quanti ne aveva visti in quelli che, per lui, erano ben pochi anni di carriera, e d’altronde era quello che gli avevano suggerito di fare quando era ancora un concorrente del programma: “Se dimentichi le parole della canzone, o ti accorgi di stonare, fingi di svenire e salva la performance”! Figurarsi
«Spero che la cosa si risolva in fretta» tagliò corto. «Io inizio ad andare e ti aspetto.»
«E nel frattempo vivo» lo prese in giro, facendolo ridere. «Allora ciao, testa di letto!»
Marco fu sul punto di correggerlo di nuovo, ma Michael staccò la chiamata mandando in fumo quella possibilità.
Sorridendo, quest’ultimo tornò in albergo con la stessa auto sulla quale era arrivato al teatro. Una volta salito in camera, fu tentato di gettarsi sul letto e tornare sotto le coperte, raccogliersi in modo tale da somigliare a un bozzolo e aspettare che Michael tornasse. Ciò che fece, invece, fu riordinare e cambiare l’aria all’interno della camera da letto. Ci volle un’immane fatica da parte sua, tanto si sentiva debole, ma alla fine riuscì a dare alla stanza un aspetto presentabile: di certo, l’ultima cosa che desiderava era che Michael si mettesse a fare la colf per lui e che si mettesse a ripulire il macello che aveva combinato Marco. Era completamente folle, da escludersi a priori. Marco era un uomo grande e grosso, e come tale doveva saper gestire un banale raffreddore.
Poi pensò che, se era così che voleva ricambiare l’infinita gentilezza di Michael, era fuori strada. Avrebbe dovuto pensare a ben altro, a qualcosa di davvero grandioso, perché davvero quell’uomo gli aveva salvato il lavoro; non solo, gli aveva risparmiato quelle solite “pilloline magiche” che tanto piacevano ai produttori, le quali lo avrebbero fatto riprendere dal suo raffreddore il cinque secondi, oltre che farlo impazzire totalmente per le quindici ore successive.
 
I’ll try to make you happy
Like the way
The way you make me feel like
Rifletté sui modi che aveva a disposizione per ringraziarlo, e gli venne in mente di dargli tutto ciò che aveva con sé in quel momento: se stesso. Così, e faticando ancora più del dovuto, accese un bastoncino profumato che avevano dato in dotazione all’interno della toletta, poi riempì la vasca da bagno di acqua, schiuma e sali da bagno, fino a quanto non la vide piena di soffici bolle di sapone. Purtroppo non c’erano candele nella stanza che potessero creare l’atmosfera romantica e, francamente, non se la sentiva di scendere giù e chiedere alla receptionist di fornirgliele, anche perché ella si sarebbe certamente fatta delle domande, le quali avrebbero avuto una sola possibile risposta.
Pertanto, nel tentativo di evitare qualunque momento di imbarazzo, spense tutte le luci principali in ogni stanza, lasciando soltanto quelle periferiche. Nel complesso, si poté dire soddisfatto di quella pensata. Come tocco finale, si denudò completamente, dimentico della febbre e dell’accortezza, indossando soltanto gli slip viola dotati di push-up che Michael gli aveva regalato qualche compleanno fa.
Si guardò intorno, congratulandosi con se stesso: tra i profumi dei Sali da bagno e le luci soffuse, l’abitacolo evocava lussuria con una lieve nota di delicatezza, un binomio che, ne era certo, avrebbe incantato Michael.
 
In a crowded room
You are the only one
Pensò molto a lui, nella realizzazione di quell’oasi erotica: il suo Michael sarebbe tornato certamente stanco, dopo quell’increscioso imprevisto con la donna svenuta. Marco lo avrebbe condotto nel bagno, facendolo rilassare all’interno della vasca. Dopodiché lo avrebbe raggiunto e lì gli avrebbe offerto un lento e voluttuoso massaggio che, oltre a sciogliere la tensione del suo amato, avrebbe acceso il suo desiderio. Lo sperava davvero con tutto il cuore.
 
Now it’s just us two
And the setting sun
Marco stava ancora immaginando quel momento idilliaco, quando il diretto interessato bussò alla sua porta.
 
There’s a light in you
And everything you do
Once again it seems you’ve found a way
Deciso a non mostrarsi subito in tutta la sua gloria (se di gloria si poteva parlare), si infilò in fretta e furia un morbido accappatoio di spugna, si legò la cintura in vita e, infine, andò ad aprire, al colmo dell’impazienza.
 
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Solo che di fronte a lui non c’era Michael.
Ma un uomo alto e ben piazzato, sulla trentina almeno, dal volto indolente e dai capelli radi.
«Marco Mengoni?»
Il suo accento non gli piacque.
«Sì» rispose, timidamente.
L’uomo si esibì nel più sordido dei ghigni. Marco rabbrividì dalla testa ai piedi e tenne strette le estremità della cintura del suo accappatoio.
L’uomo non aveva certo bisogno di presentazioni: Marco aveva già capito tutto e pensò che sentirsi peggio non sarebbe stato neanche lontanamente possibile.
«Hello, you sow.» Ciao, scrofa. «I’m Tim
 
I love you even more than I love you yesterday.
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Mancano due capitoli alla conclusione di quest’opera.
Cosa dire? Nel rileggerla, mi accorgo che avrei potuto fare molto, ma molto meglio. Soddisfatta al 100%? Sicuramente no. Ma so che senza l’aiuto della mia beta, comeunangeloallinferno94, questa fan fiction sarebbe stata una vera schifezza. E, dunque, grazie per avermela salvata. Sei un angelo davvero.
Per chi non lo sapesse, questa canzone è "Ad occhi chiusi", nella versione inglese. Sì, lo so: brividi puri.
Baci.
  
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