Allora, lo so che il promo
era diverso…ma semplicemente ho iniziato a scrivere
una cosa e ho finito per scriverne un’altra…ho
preferito suddividere tutto il materiale due capitoli, altrimenti il prossimo
sarebbe stato troppo lungo, quindi penso di avervi facilitato in qualche modo
la lettura.
Tutti i discorsi in questo capitolo sono molto
importanti, perché vengono menzionati in seguito o
ripresi spesse volte da Kate. Non è il capitolo d’azione
che vi avevo promesso, ma sarà il prossimo e questo è
SICURO, quindi il promo seguente è per il capitolo
17, non il 16.
Abbiate un po’ di pazienza…dovrei riuscire a finire il
prossimo capitolo entro mercoledì prossimo, ovvero prima di andare in gita…se
non dovessi farcela per fortuna ci sono le vacanze di Pasqua!
Magari potrò avervi annoiato con questi due capitoli
più riflessivi e di transizione, ma vi prometto che nel prossimo troverete
tanti intrighi e colpi di scena (sperando di saperli scrivere decentemente) in
modo da rimediare a tutte le mie pecche precedenti!
Un grazie infinito va a ninfea306
e balakov, che sono sempre molto perspicaci nel
recepire le dinamiche interne dei personaggi e mi regalano tanta soddisfazione
con le loro recensioni.
Ed ecco finalmente il fantomatico PROMO
del CAPITOLO 17 nella sua versione DEFINITIVA:
“Sospiri soffocati sulla bocca di uno
sconosciuto.
Mani nei capelli che scorrono morbidi tra le dita.
"Sei la mia forza, Kate".
Lei non lo avrebbe saputo mai.”
Alla prossima!
EDIT: Sono in hiatus fino alla fine della scuola...mi dispiace per chi aspettava l'aggiornamento, ma sono molto impegnata.
***
Il vento le spingeva i
capelli in bocca, ma le sue labbra non riuscivano a chiudersi.
Con il cuore che batteva all’impazzata,
notò una chioma bionda, davanti a sé, sobbalzare allo stesso ritmo dei suoi
passi affrettati.
Continuò a sorridere come un’idiota.
“Questa è la libertà”, pensò Roxanne.
E continuò a crederlo per
molto altro tempo.
31 maggio
Eccomi
qui per ricapitolare le giornate da mercoledì ad oggi, ovvero venerdì. C’è un
bel po’ da dire, perciò non mi perderò in inutili sproloqui, ma passerò
direttamente ai fatti.
Dopo
la stupida vicenda delle Gallinelle, non è successo poi molto a scuola. Loro mi
stanno attaccate come sempre, mugugnando di tanto in tanto qualche lamento a cui non faccio proprio caso.
Ma
seriamente, come pensavano di poter riuscire ad accedere a Princeton, una delle
maggiori università d’America e del mondo?
Quando
pochi mesi fa avevano pronunciato quel discorso di lealtà nei miei confronti,
promettendo di seguirmi persino in capo al mondo, pensavo sul serio che
scherzassero.
Talvolta
nemmeno io sono consapevole dell’estensione della loro idiozia. Magari sotto
questo punto potrei anche sottovalutarle.
Eppure
la fine della scuola si avvicina e il miraggio del college non sembra poi così
lontano.
E’
proprio per questo che Justin deve aver avuto la strepitosa idea di organizzare una
serata in discoteca per tutti gli studenti dell’ultimo anno che vogliono
parteciparvi. Un modo per dare l’addio definitivo agli anni dell’high school, prima di intraprendere delle strade differenti nella
propria vita.
C’è
anche chi l’ha definito un anti-ballo di fine anno, visto che quello vero è già
avvenuto prima delle feste natalizie, per godere del suggestivo scenario
innevato.
Io
ho accettato di buon grado l’idea, coinvolgendo più persone possibili. Non ci
si può divertire se si è in pochi, d’altronde.
Le
Gallinelle si sono dimostrate altrettanto entusiaste e si sono subito date da
fare per la creazione degli inviti.
Mercoledì
mattina, uscendo dal bagno, mi sono scontrata con Roxanne che si stava precipitando
affannosamente fuori da un’aula.
«Dove
stai andando?», le ho chiesto un tantino perplessa.
Correre
per i corridoi non è affatto educato.
Lei
non mi ha risposto, mimando con le mani il segno “dopo”, per poi rigirarsi e
continuare la sua corsa.
L’ho
guardata andar via un po’ corrucciata.
«Allora
viene anche Anne, vero?», mi hanno chiesto in coro le
Gallinelle a pranzo.
Patty
Mason ed Eve Morrison, le amichette della Miller,
consumavano il loro pranzo da sole ai margini della mensa con una patetica
espressione in viso.
«Ma
certo», ho risposto, senza nemmeno averlo chiesto alla diretta interessata,
«preparate un invito anche per lei.»
«Ci
pensate? Tra qualche settimana la scuola terminerà…», ha sospirato
Nancy.
«…E
noi non vedremo più Kate!», le si è
accodata Sally, ricevendo delle esclamazioni accorate di assenso dalle altre
due.
«Non
parlate di me come se stessi per morire, per
favore», ho commentato esasperata da quelle patetiche scenette,
«E poi abbiamo ancora tutta l’estate davanti…non mi trasferirò poi così
all’improvviso.»
A
quelle parole ho visto Rita animarsi all’improvviso e battere vivacemente le
mani come una foca ammaestrata. «Ho avuto un’idea!»
Tale
esclamazione non indicava niente di buono in arrivo, ma le sue simili si sono
accese di eccitazione, domandando con frenesia: «Cosa? Cosa?»
Rita
ci ha guardate con occhi carichi di suspance,
malgrado io indossassi un’espressione enormemente
annoiata in viso.
«Che
ne dite di partire per una bella vacanza all’estero quest’estate? Solo noi
cinque…no, oppure potremmo invitare anche Anne! Così
potremmo stare tutte un po’ assieme prima che Kate ed
Anne inizino il college!»
Prevedibilmente,
la proposta è stata accolta con estatici gridolini da parte delle altre tre. Io
mi sono limitata a sbuffare.
«Kate! Tu verrai, vero?», mi hanno chiesto con frenesia.
«Sì,
certo», ho borbottato senza farci nemmeno caso. Quella sarebbe stata solo una
delle tante promesse che non avrei mantenuto.
«Evvai! RiRì sei un genio!», ha
esclamato Ashley, rivolgendosi a Rita con uno dei
loro patetici nomignoli.
Per
completare il quadretto si sono abbracciate con tanta dolcezza da far venire il
diabete.
Un
minuscolo sorriso è spuntato inconsciamente agli angoli delle mie labbra.
Certo.
Rita si riconfermava la più intelligente
del gruppo, ma elevarla a rango di genio era alquanto esagerato.
Nonostante tutto, ho lasciato
che si godesse il suo vano momento di gloria, per quanto ciò potesse
contare.
Più
tardi ho incontrato Roxanne solo alla lezione di francese, dove è arrivata
appena un secondo prima che il professore iniziasse a
spiegare.
Tenendo
il capo basso e lasciando che i suoi lunghissimi capelli sciolti le coprissero il volto, è scivolata in uno degli ultimi banchi,
cercando di mantenere l’anonimato.
Ho
passato un po’ di tempo a chiedermi come mai fosse così sfuggente, ma ho
ricevuto la mia risposta solo due ore dopo.
All’uscita
da scuola ho salutato le Gallinelle e sono andata a prendere un taxi. Mentre
attraversavo il cancello, però, ecco arrivare alle mie spalle un’ombra che mi
ha causato un grande spavento.
Si
trattava di Roxanne, che si è scusata per lo scherzo con un timido sorriso,
grattandosi la nuca in un gesto infantile.
«Ho
voglia di frappè», ha dichiarato un momento dopo senza nemmeno dire “Ciao”,
«vuoi venire con me? Conosco un posticino non molto lontano da qui che ne fa di
buonissimi.»
Non
avendo altro da fare ho accettato l’invito.
«Cos’è
successo stamattina?», le ho domandato allora, camminando accanto a lei.
Roxanne
si è sistemata meglio la borsa a tracolla sul fianco, addrizzando al tempo
stesso la gonna dell’uniforme.
«A
dire il vero, stavo scappando da Gutierez…», ha
detto.
«Da
Gutierez? E perché?», ho domandato, curiosa.
«Dovevo
consegnargli un documento…ma l’ho perso. E sai com’è Gutierez in questi casi: se l’avesse saputo mi avrebbe
fatto una paternale infinita, perciò…appena si è distratto sono scappata», ha
mormorato Roxanne, guardandosi sospettosamente intorno per assicurarsi che
l’assillante professore non fosse nei paraggi.
Io
ho riso di gusto.
«Sei
davvero strana», ho commentato divertita, «ma questo te l’avevo già detto,
vero?»
Roxanne
mi ha lanciato un’occhiata di sbieco; un’occhiata piuttosto ambigua.
«No,
non me l’avevi mai detto.»
Ho
chiuso la bocca di scatto, come se mi fossi morsa la lingua.
All’improvviso
non sapevo più cosa dire.
Dopo
pochi minuti di ambiguo silenzio, siamo arrivate al “posticino” consigliato da
Roxanne e ci siamo sistemate in uno dei tavolini posti all’esterno.
All’interno, il locale era davvero un buco, ma tutto sommato ben curato.
«Cosa?
Non ci sono frappè al mango?», ha domandato Roxanne poco dopo alla cameriera,
mentre ordinavamo.
«No,
mi dispiace. Però potresti provare quello al kiwi…»
«No,
se non c’è il mango non mi piace», ha risposto Roxanne con un broncio di
testardaggine, «prendo un caffè allora.»
«Bene,
per te?», ha domandato la signorina poi rivolgendosi a me.
«Un
tè alla pesca», ho risposto prontamente.
Roxanne,
quando la cameriera si è allontanata, ha sbuffato, afflosciandosi sul tavolino.
I lunghi capelli mogano le hanno sommerso completamente il viso.
«Uffa,
volevo il mio frappè al mango…», il suo mormorio era abbastanza soffocato.
Osservandola
di sottecchi, mi sono resa conto che non ricevevo più la stessa impressione di
sempre guardandola. C’era qualcosa che non andava.
Oppure
era solo la mia immaginazione?
La
cameriera è arrivata con le ordinazioni e Roxanne si è subito ricomposta.
Ha
aperto tre bustine di zucchero, svuotandole completamente nella sua tazzina.
Io
ho annusato brevemente il mio tè, prima di prenderne un sorso.
«Sai,
stavo pensando che…la vita è come il caffè», Roxanne
ha interrotto quel pacifico silenzio.
Io
le ho puntato gli occhi addosso, con un’espressione estremamente confusa.
Lei
ha sorriso brevemente. Troppo brevemente.
«Sì,
dai, non guardarmi così. Segui il mio ragionamento: il caffè è originariamente
amaro, no? Proprio come la vita, finché non lavori sodo per aggiungerci dello
zucchero. E più fatichi, più zucchero avrai per rendere più dolce la tua
esistenza!»
Ho
sbattuto le palpebre, se possibile ancora più perplessa di prima.
Roxanne
non ci ha fatto caso. Il capo chino sul suo caffè, continuava a zuccherarlo,
rigirando il liquido nella tazzina con un cucchiaino.
«Certo,
però, che se il caffè è pessimo sin dall’inizio, malgrado tutti i nostri sforzi
non avrà mai un buon sapore…»
Io
ho mandato giù un altro po’ di tè, sperando che mi permettesse di seguire
meglio quel delirio.
«E
se a qualcuno il caffè piacesse amaro?», ho domandato, sforzandomi di
comprenderla.
Roxanne
ha sgranato gli occhi, come se non potesse concepire una cosa del genere:
«Allora è semplicemente un masochista!»
Ho
provato a trattenermi, ma non ce l’ho fatta. Sono
scoppiata a ridere e le sue labbra si sono increspate in un sorrisetto
complice.
«Devo
ammettere che sentirti dire: “la vita è come il
caffè”, mi ha davvero spaventata…ma potrebbe essere una teoria interessante»,
ho commentato, stranamente ilare.
«Visto?»,
ha detto Roxanne, con un ghigno. Poi ha mandato giù un sorso del suo caffè iper zuccherato.
«Però
non credo che aggiungere dello zucchero dipenda solo da noi, comunque», ha
continuato dopo poco, «Ci possono essere un sacco di
imprevisti esterni che rendono la nostra vita amara e, per quanto ci si sforza,
certe cose non le puoi cambiare. Questo caffè, per esempio, è ancora amaro. Ci
vorrebbe un’altra bustina di zucchero.»
«Ne
hai già aggiunte tre», le ho ricordato.
«Sinceramente
non riesco a sentire la differenza», ha replicato. Il suo tono mi è sembrato
stranamente cupo.
Mi
sono ammutolita.
«E’
qualcosa di sottilissimo…come il confine che separa il fuggire dal correre.
Secondo te qual è la differenza in questo caso?»
Un
tranello? Una domanda a trabocchetto?
Non
riuscivo a capire cosa stesse cercando di chiedermi
attraverso tutti quei giri di parole.
Così
le ho risposto il più sinceramente possibile: «In apparenza non c’è alcuna
differenza. L’atto è lo stesso, ma la motivazione no.
Si fugge sempre da qualcosa che ci tormenta, che vogliamo evitare, invece
possiamo correre anche solo per passatempo.»
«E’
vero», ha commentato, «però vorrei che la differenza fosse più netta. Così da
non pensare di star fuggendo anche in questo caso.»
Poteva
trattarsi di una metafora che ricalcasse la sua
realtà?
«Perché
pensi di star fuggendo?», le ho domandato, senza riuscire a trattenermi.
Qualcosa
mi diceva che in quel momento avrei potuto chiederle qualsiasi cosa e lei mi
avrebbe risposto sinceramente, senza remore.
«Perché
per me ormai è diventata un’abitudine: sono scappata di casa dopo quello che è successo con…Liam», era la prima volta che lo
nominava in mia presenza dopo tutto quel tempo, «e sto scappando
ancora…accettando l’ammissione a Princeton.»
«Ma
trasferirsi in un altro stato per motivi di studio non equivale a scappare», le
ho ricordato.
Poi
improvvisamente ecco riemergere dalla mia mente quelle parole che avevo origliato durante una conversazione a cui non avrei
mai dovuto assistere: «Io non tornerò più
a Miami; ho già preso la mia decisione. Tra pochi giorni arriveranno le
conferme di ammissione dalle Università a cui Madison
ha fatto domanda per me. Sceglierò quella più lontana.»
Roxanne
ha scosso la testa, lasciando che alcune ciocche mogano le scivolassero sugli
occhi: «Sto scappando, lo so benissimo. Ma che altro posso fare?»
«Hai
un obiettivo, vero? Vedi qualcosa di fronte a te a cui
vuoi assolutamente arrivare, giusto?», ho domandato, allora, all’improvviso.
Roxanne
ha spalancato gli occhi. Adesso era il suo turno di essere confusa.
«Sì,
ma…»
«Allora
non stai scappando. Stai solo correndo verso il tuo futuro. E’ questa la
differenza», ho insistito con determinazione.
Roxanne
mi ha guardato per un po’, pensierosa.
Dentro
di me sapevo cosa mi aveva spinta a dire quelle cose.
Anche
io voglio gettarmi alle spalle il mio passato e se questo equivale a fuggire
come una codarda, non ammetterei mai di esserlo.
Ma
oltre a qualcosa da cui voglio allontanarmi, ho qualcosa verso cui dirigermi.
E’
questo quello che conta, giusto?
«E
sei sicura che questo ragionamento si possa applicare anche a me?», ha
domandato poi lei.
Io
l’ho guardata stordita, senza sapere cosa dire.
«Come
fai a dirlo?», ha ripetuto, accentuando lo scetticismo nella sua voce.
«Perché
ti conosco», ho risposto subito. Quella era l’unica cosa che mi fosse venuta in mente.
Roxanne
non sembrava ancora soddisfatta.
Era
come se si fosse intestardita persino sul fatto che stesse fuggendo dai suoi
fantasmi e non accettasse un’altra risposta, malgrado la cercasse avidamente.
«E
quale me
conosci?», mi ha domandato allora.
Carte
scoperte. Una bugiarda che ammette la sua natura. Un sorriso onnipresente che
si frantuma.
Ma
io potevo capirla. Perché anche io combatto questa battaglia: una battaglia tra
la vera me stessa e quel fantoccio allegro che mostro agli occhi del mondo.
«Le
conosco tutte», ho detto, lanciandole un’occhiata asciutta, «tra qualcuna di
queste deve pur esserci quella vera, no?»
La
Roxanne che piange per il suo amore impossibile. La Roxanne che fugge, ma trova
al tempo stesso il modo di andare avanti. La Roxanne che disinfetta le mie
ferite nel cuore della notte. La Roxanne bambina. La Roxanne che ha già
sbagliato troppe volte. La Roxanne assurdamente testarda. La Roxanne che
risolleva il mio umore. La Roxanne che agisce da intermediario tra me e le
Gallinelle. La Roxanne che adora sua sorella. La Roxanne che quando beve
alcolici diventa ubriaca d’affetto. La Roxanne che disegna solo quello che per
lei ha un’anima. La Roxanne che va pazza per i dolci. La Roxanne adorata, la
Roxanne invidiata. La Roxanne dai lunghi capelli mogano sciolti o legati in una
treccia. La Roxanne con gli occhiali o senza. La Roxanne secchiona. La Roxanne
a suo agio in metropolitana. La Roxanne a cui tremano
le mani. La Roxanne alla guida di un’enorme jeep. La
Roxanne che scrive di volermi bene. La Roxanne a cui
piace divertire raccontando storie assurde. La Roxanne che pensa in modo
differente. La Roxanne minuta che annega in una grossa felpa colorata. La
Roxanne pigra che indossa una tuta sotto l’uniforme. La Roxanne che mente, ma
non lo fa mai solo per se stessa.
Posso
dire senza dubbio di conoscerle tutte.
Mi
sono alzata in piedi, facendo strisciare la mia sedia all’indietro con un suono
spiacevole.
Il
suo caffè troppo poco zuccherato si
era ormai completamente raffreddato.
«Andiamo?»,
ho detto, dirigendomi verso il bancone del bar per pagare.
Annuendo
appena, lei mi ha seguita ubbidientemente senza dire una parola.
«Ah…e
questo sabato andremo in discoteca, ci sarai, vero?», le ho chiesto all’istante.
Ero
ben consapevole che fosse ancora un po’ scioccata dalla mia affermazione, ma
volevo alleviare tutta quella tensione.
Quale
modo migliore che cambiare argomento, quindi?
Per
un momento Roxanne mi ha guardato con degli occhi allucinati.
Ah già, lei non sapeva nulla dei nostri programmi…
«Prima
della cerimonia della consegna del diploma, abbiamo deciso di passare una
serata in discoteca, come addio ai tempi della scuola», ho spiegato, ciarlando
in modo naturale per far sì che smettesse di avere quell’espressione
sbigottita.
«Oh…»,
ha mormorato lei, sempre con lo sguardo basso, raccogliendo con perizia degli
spiccioli dal suo borsellino per saldare il conto.
«Ovviamente
tu ci sarai», ho asserito categorica, «Ho fatto già
preparare l’invito dalle Gal-ehm, dalle altre…perciò
l’unica cosa che ci resta da fare è trovare un
abbigliamento adatto per l’occasione!»
Roxanne
ha riso lievemente, lasciando che le sue guance si tingessero appena di rosa e
la sua fronte smettesse di essere contratta.
«Vuoi
davvero farmi credere che, pur avendo un armadio grande quanto una stanza, hai
davvero bisogno di comprare un altro vestito?», ha domandato ironicamente.
Sollevata
dal vederla nuovamente sorridere, le ho risposto incurvando furbamente le
labbra in un ghigno.
«Ma
certo. Tutti i vestiti che ho, li ho indossati almeno una volta e ho bisogno di
qualcosa di nuovo. E’ un evento epocale, dopotutto. E’ la festa d’addio alla
nostra adolescenza.»
Roxanne
ha alzato le sue iridi blu su di me, lanciandomi una strana occhiata.
L’ho
vista aprire la bocca un paio di volte, come se cercasse di dire qualcosa, per
poi condensare tutti i suoi sforzi precedenti in un unico solitario sospiro:
«Già.»
«E
ovviamente dovremmo trovare qualcosa anche per te», ho ripreso a dire, ignorando
volutamente la sua aria tutto ad un tratto pensierosa, «però…forse ho un’idea.»
Roxanne
mi ha fissata sinceramente incuriosita, «Che intendi?»
«Lo
vedrai», ho replicato suadente.
«Va
bene. Ma mi rifiuto di passare tutto il pomeriggio impegnata
in una staffetta da negozio a negozio», ha dichiarato categorica.
Io
le ho fatto un occhiolino complice, sfruttando tutta la mia avvenenza: «Oh
certo, non temere.»
Roxanne,
per ovvie ragioni, non è sembrata affatto convinta dalle mie parole.
Il
giorno dopo, dunque, ho dovuto trovare una scusa per trascinarla con me in uno
shopping sfrenato. Fortuna che, se presa adeguatamente per la gola, Roxanne sa
essere davvero un’ingenua.
«Lo
sai che ho trovato un bar che fa dei buonissimi frappè al mango?», ho buttato
lì con noncuranza, durante il pranzo.
Roxanne
ha lasciato cadere il muffin che era intenta a
divorare per la sorpresa.
«Davvero?!», ha esclamato troppo velocemente, per poi iniziare a
tossire. Probabilmente, per la troppa foga, un pezzo del suo dolce doveva
esserle andato di traverso.
«E’
vero. Si trova vicino alla stazione e molte persone me l’hanno consigliato», ho
risposto con affabilità.
«Frappè?»,
ha domandato Ashley.
«…al
mango?», le si è accodata Nancy.
«Esatto».
Quante
volte avrei dovuto ripetermi?.
«Lo
voglio anche io!», ha esclamato Sally, seguita a ruota dalle altre.
«Sì,
anche io!»
«Pure
io!»
Ho
pensato seriamente di cambiare il loro nome il Pecorelle,
piuttosto che Gallinelle, perché hanno il dannato vizio di accettare qualsiasi
proposta, senza nemmeno pensarci su. Come un gregge indisciplinato e confuso
si accodano alla prima di loro che prenda l’iniziativa, seguendola ciecamente
come se fosse il loro perduto pastore (okay, adesso magari mi sto lasciando
andare troppo a similitudini bibliche, quindi farei meglio a smetterla).
«Allora
andiamoci tutte insieme!» Roxanne ha colto al volo
quella proposta, piuttosto contenta.
«Certo!
Come faremo quest’estate!», è intervenuta Rita, pienamente sostenuta dalle sue
compagne che annuivano con feroce convinzione alle sue parole.
«Quest’estate?»,
ha domandato Roxanne, dubbiosa.
Ah,
giusto…le avevo detto della serata in discoteca, ma avevo tralasciato questo
piccolo particolare. Infondo nemmeno io avevo intenzione di andarci, perché
avrebbe dovuto farlo lei?
«Non
te l’ha detto Kate?», ha domandato Sally, rivolgendo verso
di me due orbite acquose, circondate da palpebre pesantemente truccate.
Io
non ho risposto, portando con artificioso stupore una mano alla bocca, fingendo
di essermene completamente dimenticata.
«Quest’estate
abbiamo in programma di partire per un viaggio in Europa…tutte
insieme…che ne dici?», le ha chiesto Rita, ovvero la persona che aveva avuto
quella meravigliosa idea.
Roxanne
sembrava esser stata presa in contropiede.
Odiavo
quell’espressione confusa che rivolgeva a chiunque le chiedesse qualcosa.
Era
come se avesse iniziato a vivere con la mente in un altro mondo e ogni tanto lo
abbandonasse per dare una pigra occhiata a quello che succedeva sulla terra,
dove il suo corpo si trovava.
Mi
infastidiva enormemente.
«Roxanne
verrà», ho dichiarato, allora, «Andremo tutte e ci divertiremo da pazze,
giusto?»
Come
previsto, alle mie parole le Gallinelle si sono infuocate di gioia. Bastava
così poco a farle felici!
Roxanne,
immobile, alle loro spalle, mi ha fissata con uno sguardo indecifrabile per
qualche secondo.
Sapevo
di averla intrappolata tra la sua voglia di indipendenza e lo spirito da
crocerossina così profondamente insito in lei.
Di
fronte a tanto entusiasmo, non si sarebbe mai tirata indietro. La sua natura
glielo impediva categoricamente. Le impediva di deludere qualcun altro. Le
impediva di crearsi nemici. Le impediva di liberarsi da questo circolo vizioso
di disperata ricerca d’amore e comprensione altrui.
Anche
io, d’altra parte, mi ero intrappolata con le mie stesse mani.
Avevo
ormai aderito ufficialmente a uno stupido progetto, ideato da menti stupide,
per perdere stupidamente il mio tempo.
Ma
Roxanne sapeva e continuava a
guardarmi, scavando all’interno della mia pelle.
«Va
bene», ha risposto dopo un po’, esibendo un sorriso praticamente perfetto: una
dose esatta di solarità, di luccichio di denti e di occhi dolcemente socchiusi
e piegati all’insù.
«Non
avevo comunque intenzione di tornare a casa per l’estate», ha dichiarato, «Anche perché il contratto di lavoro di Madison scadrà
alla fine del prossimo mese e quindi ci saremmo trasferite nuovamente a Miami
attorno a quel periodo.»
«No,
Anne, non andare! Vieni con noi! Ci divertiremo!», ha
cercato di convincerla Nancy, sfoggiando due occhioni da cucciolo.
«Sì,
sì, dai!»
«Va
bene, ragazze! Ho detto di sì!»
Il
sorriso di Roxanne risuonava assieme alle risatine delle Gallinelle, in un
ensemble di segreti e falsità mai svelate.
Disgustata
da quella scena ho abbassato la testa, lasciando che i capelli coprissero il
sorriso amaro che era spuntato sulle mie labbra.
Roxanne aveva deciso di continuare a scappare e
io le avevo appena dato l’occasione per farlo ancora.
«Oddio!
Oddio, aspetta! Oh! La prego, mi scusi…Ma
insomma! Dobbiamo per forza continuare a camminare in questo modo?!», ho domandato infuriata.
Le
Gallinelle, assieme a Roxanne, ridevano divertite, come se a loro la cosa non
importasse.
Mi
avevano presa a braccetto da ambo i lati e avevano insistito perché camminassimo
tutte in fila lungo il marciapiede. Ovviamente, per i passanti non era facile
evitare sei persone che bloccavano totalmente il passaggio, e molte persone mi
erano venute addosso spinte dalla folla. Agli uomini
non dispiaceva affatto quel contatto, anzi,
ma le donne sempre più spesso ci gridavano contro di stare più attente.
Abbassando
il capo imbarazzata e umiliata, continuavo a chiedere
scusa a tutti coloro che urtavamo per sbaglio, visto il totale disinteresse
delle altre.
Stavo
decisamente per avere una crisi di
nervi.
«Oh,
Kate, rilassati! Dopotutto sei
anche riuscita a trovare il vestito che cercavi, no?», ha cantilenato
Roxanne, alla destra di Ashley.
I
suoi cambi di umore erano diventati talmente repentini da farmi girare la
testa.
«Ti
stai vendicando, vero? Ti stai vendicando perché non siamo riuscite a trovare
il tuo benedetto frappè al mango,
giusto?», l’ho accusata, senza riuscire a reprimere la mia indignazione.
L’idea
di andarcene in giro a braccetto, d’altronde, era stata sua.
«Mannò», mi ha canzonato lei, avanzando soddisfatta tra Ashley e Nancy, «non ce l’ho con te perchè mi hai trascinata per negozi per più
di tre ore - come avevi promesso di non
fare - e nemmeno per il frappè che mi
avevi assicurato avremmo sicuramente mangiato…no, questo no!»
«Come
puoi pensare una cosa del genere, Kate! Anne non
sarebbe mai in grado di prendersela con nessuno!», l’ha subito difesa Sally,
senza afferrare il paese tono ironico usato precedentemente dalla Miller, «Però anche io volevo
assaggiare quel frappè!»
A
lei si sono accodati altri sonori lamenti di disappunto delle Gallinelle.
Io
ho scosso la testa per l’esasperazione, senza riuscire a camuffare il ghigno
apparso sulle mie labbra.
Immagino
che qualche volta anche a me tocchi subire delle pene per le mie malefatte…e se
un centinaio figure di merda possono assolvere la mia
anima, chissà che io non finisca persino in paradiso!
«Sei
troppo rigida e pignola», ha ripreso a dire Roxanne con un tono fin troppo onesto, «Ti devi lasciare andare! Non pensare a tutte le
persone con cui ti scontrerai, ma semplicemente concentrati sulle tue gambe!
Lasciati trasportare da loro!»
«Le
mie gambe si muovono automaticamente verso la soluzione meno problematica per
me, ovvero prendere un taxi e allontanarmi semplicemente da tutta questa
folla», le ho risposto puntigliosamente, abbastanza infastidita dalla sua
affermazione.
Lei
si è voltata verso di me e mi ha sorriso, piano, sollevando appena i bordi
delle labbra.
Il
suo sguardo brillava di una scintilla bonaria e indulgente, quasi affettuosa: «Lo so. E’ per questo
che te l’ho detto. Perché ti conosco.»
Se
accanto a me non ci fossero state Ashley e Nancy che
mi trascinavano quasi di peso, mi sarei fermata di botto in mezzo alla strada.
Ero completamente ed assurdamente scioccata.
E
poi ho ricordato le mie parole.
“Le conosco tutte”
E
le sue parole.
“Perché ti conosco”
Non
era un’affermazione, ma semplicemente una risposta lasciata in sospeso.
Avevo
perfettamente capito cosa voleva dirmi: non ero solo io a conoscere tutte le
sfaccettature del suo carattere, anche lei aveva imparato a capirmi col tempo.
Eppure
non me n’ero mai accorta.
Io avevo
sempre tenuto d’occhio Roxanne; una stupida ragazzina che un bel giorno era
piombata nella mia vita e l’aveva stravolta totalmente.
Dapprima
avevo cercato di liberarmene, è vero, ma lei, in qualche modo, era riuscita a
far sì che l’accettassi nella mia cerchia di amicizie e imparassi persino a
tollerare la sua presenza.
Ero
stata io ad analizzare ogni mossa di
Roxanne, impegnata a scovare qualche informazione che potesse smascherarla di
fronte agli occhi del mondo, verso il quale si presentava con un visetto da
bambina innocente e così buona da far venire il diabete.
Io
avevo passato quegli ultimi mesi con la costante ossessione che lei volesse privarmi della mia popolarità e del mio status e
sempre io ero riuscita a scoprire i
suoi più oscuri segreti. Come poteva lei sapere altrettanto di me?!
E
soprattutto cosa sapeva di me?
L’improvviso
clacson di un’auto mi ha fatto trasalire.
Ho
alzato gli occhi solo per vedere un uomo inveirmi contro, senza capirne
tuttavia il motivo.
«Kate!», hanno gridato le altre, sbracciandosi nella mia
direzione. Si trovavano sul marciapiede opposto. Ero rimasta indietro e non me
ne ero nemmeno accorta.
“Dio,
ma dove ho la testa?”, mi sono detta, scusandomi nel frattempo con l’autista
che alla vista del mio sorriso si è rabbonito notevolmente. L’ho visto sbuffare
lievemente e rimettersi alla guida in modo più calmo.
Dopo
aver attraversato lo spazio che mi separava da loro, Roxanne, abbandonando il
braccio di Ashley e Nancy mi è venuta incontro
porgendomi una mano con un sorrisetto canzonatorio: «Andiamo! Dammi la mano così non ti perderai!»
Mi
stava prendendo in giro, trattandomi come una poppante, solo perché mi ero distratta per un attimo.
Le
ho restituito uno sguardo glaciale. Avrei potuto fare l’offesa e stare al suo
gioco…ma non l’ho fatto.
Volevo
smettere di essere quella rigida e pignola per dimostrarle che non mi
conosceva.
Volevo
farle capire che le sue erano solo illusioni: io non sono mai stata compresa
facilmente.
Tutti
sono all’oscuro del mio carattere e, sebbene siano abituati a qualche mio
capriccio, non hanno mai avuto idea di cosa mi passi
per la testa. E non lo sa nemmeno lei.
Non
può saperlo lei.
E
dovevo farglielo capire.
Così,
ho deciso di fare qualche cosa di nuovo ed inaspettato.
Ho
afferrato quella piccola mano dalle dita mangiucchiate tesa a mezz’aria e l’ho
stretta tra le mie.
Poi
ho iniziato a correre.
«Ferma!
Piano! Oh mamma!», ha esclamato Roxanne, arrancando in difficoltà dietro di me.
Ho
alzato il mento, sentendo i capelli frusciare accompagnati dalla brezza prodotta
dalla velocità.
Adoro il vento.
Mi fa sempre sentire in qualche modo...completa.
«E
adesso chi è la rigida?!», ho gridato, voltandomi verso di lei.
Tutti
per strada ci guardavano, additandoci come stupide ragazzine che si divertono a correre mano nella mano, ancora nelle loro
uniformi, infastidendo i passanti.
Ma a me, stranamente, tutto quello non sembrava importare.
Volevo dimostrarle che sbagliava a considerarmi una persona prevedibile e l'avrei fatto.
Questo genere di capricci rientra nella mia natura, d'altronde.
Dopo
un primo momento di scombussolamento, ho sentito Roxanne iniziare a ridere
sonoramente.
Era
affannata, ma allo stesso tempo rincuorata.
«Pensavate
di lasciarci così, eh?», ha detto qualcuno alle nostre spalle.
Voltandoci
abbiamo visto Rita che, in testa alle Gallinelle, ci stava seguendo.
Roxanne
si è voltata verso di me e con uno sprint, mi si è affiancata, agitata ma al
tempo stesso tremendamente eccitata da quel gioco improvvisato.
«Corri!»,
ha ordinato e io, sospirando pesantemente, ma con un sorriso stampato in
faccia, le ho obbedito.
Ed ecco la tua risposta, Roxanne.
E' questa la differenza.
Noi
abbiamo deciso di correre.
Ma
corriamo solo per fuggire.