Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Kim WinterNight    06/04/2016    5 recensioni
[Spin off dalla mia long 'Samuele'.]
La shot è completamente sul personaggio di Fabiano. Ho voluto analizzare aspetti del suo carattere attraverso un avvenimento poco simpatico.
La storia può essere letta anche da chi non segue la long, quindi fatevi sotto!
Spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Samuele'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Motherfucker, show me your violence





Guardai il pugno che tenevo stretto e ben serrato e mi sentii ancora più incazzato.

Certe cose mi facevano salire il sangue al cervello, anche se qualcuno ci teneva sempre a ripetermi che con la violenza non avrei risolto niente.

Osservavo la scena cercando di trattenermi, cercando di pensare a ciò che mi diceva sempre mio fratello, ma più guardavo e meno ero d'accordo con lui.

Possibile che dal tragitto che compievo per arrivare da casa allo studio di registrazione dovevo necessariamente imbattermi in situazioni di merda?

Tutto era raccapricciante: una ragazza se ne stava in mezzo al marciapiede, inchiodata sulla sua sedia a rotelle; la conoscevo di vista, ma l'avevo sempre snobbata, non so perché. A volte ero un vero e proprio stronzo, pur di non mostrare il vero me stesso agli altri, mi comportavo nel modo che odiavo maggiormente. Lei a volte mi salutava, qualche volta era capitato di parlarci, ma non ero mai andato oltre. Forse mi spaventava la sua condizione? O mi spaventava il fatto di doverle mostrare la mia sensibilità? Non lo sapevo.

E poi c'erano quei ragazzini, anche loro li conoscevo e sapevo che si trattava di teppistelli senza né arte né parte, pezzi di merda che non sapevano cosa fare dalla mattina alla sera e se ne andavano in giro per il paese a importunare chiunque gli capitasse a tiro.

Erano tre, quei coglioni, e stavano sbarrando la strada alla povera malcapitata, ridendo e sghignazzando. Per quanto lei provasse a gridargli contro e a muoversi per cercare di investirli con la sua carrozzella, loro stavano lì piantati come pali della luce e la prendevano per il culo, così, spudoratamente.

E io fermo, dall'altro lato della strada, a fissare quella scena e spostare ogni tanto lo sguardo sul pugno sinistro, indeciso sul da farsi.

Picchiare una persona non significa essere uomo.

Quelle parole mi tornarono in mente. Francesco me le aveva dette proprio la sera prima, ma in quell'istante non riuscivo a trovar loro un senso, perché insultare e seviziare una persona disabile era un'azione disgustosa, spregevole e tutt'altro che umana.

Forse, se avessi attraversato e avessi intimato loro di andarsene, sarebbe finita lì. Forse avrei potuto evitare di pestarli, erano solo dei ragazzini stupidi e ignoranti, anche se una lezione non avrebbe guastato di certo.

Ma quando notai il più alto dei tre afferrare la ragazza per i capelli e gridarle qualcosa di osceno in faccia, non fui più in grado di controllarmi. Tutto divenne rosso intorno a me, la rabbia finì per assalirmi come una furia impietosa e rischiai quasi di farmi investire quando partii di scatto per attraversare la strada.

«Ma cosa cazzo vuoi, Clara di Heidi? Lo decido io quando puoi passare!» stava sbraitando il mentecatto.

Poco dopo gli fui addosso, abbattendomi su di lui con tutto il corpo. Non dissi niente, non ce ne fu bisogno, cominciai soltanto a sferrare pugni con la mano sinistra, che era la più forte. Lo colpii alla cieca sulla faccia, il punto più sensibile ed esposto, anche perché desideravo ardentemente sfigurarlo e renderlo irriconoscibile agli occhi dei suoi poveri cari.

«Che cazzo fai, oh!» sentii gridare da uno dei teppisti, ma non gli badai e mi concentrai sul mio compito.

Il coglione mi mollò un pugno sul labbro e sentii subito il sapore metallico del sangue scivolare tra i denti, ma questo fu un incentivo in più per proseguire e mi diede la spinta necessaria per atterrarlo e schiacciarlo con il mio peso. Forse non ero tanto alto, ma avevo massa muscolare per via di tutto lo sport che facevo e non ci volle molto per inchiodarlo al marciapiede.

«Guai a te se la disturbi ancora» sputai tra i denti, e poi gli sputai in faccia, sapendo che avrebbe ricevuto anche il sangue della ferita che lui stesso mi aveva inferto. Era solo un bastardo figlio di puttana, non c'era il minimo pentimento nella sua espressione e nei suoi occhi da folle testa di cazzo.

Udii la ragazza mugolare, poi gli amichetti del mio rivale si adoperarono per separarci.

«Ehi Fabiano, lascialo andare. Ce ne andiamo, te lo leviamo dai coglioni, ma se continui così lo ammazzi» disse uno, che evidentemente conosceva il mio nome.

Prima di mollare la presa, abbattei un ultimo potente sinistro sul sopracciglio di quello schifoso, poi scattai in piedi e gli mollai un calcio sulla tibia e indietreggiai fino a ritrovarmi con la schiena contro il muro di una casa disabitata.

Osservai con disprezzo i due amici prelevare il mio avversario e trascinarlo via, mentre tutti e tre imprecavano e bestemmiavano con impeto, maledicendomi in tutti i modi possibili. Ansimavo come un pazzo e avevo un sapore orribile in bocca, sentivo l'adrenalina scemare pian piano e il corpo venire percorso da brividi sempre più forti.

Mi lasciai scivolare contro la parete e mi sedetti per terra, portandomi una mano al labbro per constatare che non ci fossero danni gravi in quel punto.

La vista mi si appannò per un attimo, ma quando riuscii nuovamente a mettere a fuoco, notai la ragazza spingere lentamente la sua sedia a rotelle verso di me. Guardandola, mi accorsi che aveva braccia muscolose a causa di quel movimento continuo, indossava una canotta azzurra e un paio di shorts in jeans, portava i lunghi capelli neri legati in una coda di cavallo e la sua espressione era preoccupata e turbata allo stesso tempo.

Non appena mi fu accanto, cominciò a frugare nella sua borsa a tracolla e ne estrasse un pacchetto di fazzoletti e delle salviette umidificate.

«Hai fatto una strage. Non c'era bisogno» mormorò, protendendosi verso di me. Rimasi pietrificato quando cominciò a ripulirmi la ferita con cura, cercando di non farmi male.

Non parlai finché non ebbe finito quell'operazione, e nel frattempo mi resi conto con orrore che, ancora una volta in quel paese di merda, tutti avevano fatto finta di non vedere e non sentire. Ne avrebbero sicuramente parlato in giro, ma nessuno aveva intenzione di immischiarsi in certe faccende, era sempre stato così e stranamente sparivano tutti quando c'era bisogno di aiuto.

«Mio fratello pensa che la violenza non risolva i problemi» esordii, tastando piano la ferita che un po' bruciava. «Ma io sono diverso da lui, e sfido chiunque a stare indifferente di fronte a una cosa così... così... squallida» aggiunsi con fervore, rimettendomi di scatto in piedi.

«Tuo fratello ha ragione» la sentii dire, e a quel punto mi voltai completamente nella sua direzione e la guardai dall'alto in basso, aggrottando la fronte.

«Non penso proprio. Quei tipi si meritavano una lezione, punto e basta» sentenziai, incrociando le braccia sul petto.

«Sì, ma tu non meritavi di essere ferito per me» ribatté.

«Ho fatto quello che mi sono sentito di fare, niente di più, niente di meno.»

Lei sorrise tristemente e distolse gli occhi dai miei, rimettendo a posto le cose che aveva usato per medicarmi la ferita.

Mi accovacciai di fronte a lei e controllai che non avesse subito qualche danno fisico, anche se immaginavo quale potesse essere il suo stato emotivo.

«Stai bene?» domandai, senza riuscire a evitare un tono preoccupato e apprensivo. Mi stavo pian piano spingendo al limite, e dovevo stare molto attento a non superarlo. In quel momento, totalmente a sproposito, mi ricordai che ero in ritardo per la sessione di registrazione con Samuele.

Fui sul punto di imprecare quando lei rispose: «Sopravviverò. Sopravvivo sempre».

Quelle parole mi spezzarono definitivamente il cuore e non riuscii a replicare, mi limitai a fissarla in silenzio, rimanendo in quella posizione anche quando il mio cellulare prese a squillare nella tasca dei jeans strappati che indossavo. Era un miracolo che funzionasse ancora dopo la collutazione appena avvenuta.

«Ti chiamano. Non rispondi? Io devo andare. E... grazie, anche se non c'era bisogno» ruppe il silenzio lei, facendo per spostare la carrozzella con l'intenzione di andar via.

La bloccai con fermezza. Il limite era lì, mi guardava, mi sussurrava qualcosa...

Fabiano, puoi superarmi, puoi lasciarti andare. Nessuno ti giudicherà, nessuno ce l'ha con te. Hai fatto l'eroe, ma gli eroi sono tali proprio perché provano emozioni. Sii forte e ascolta te stesso.

«Non andartene, ti accompagno io dove vuoi. Quei coglioni potrebbero essere in agguato da qualche parte» me ne uscii, superando il confine con un balzo così lungo e veloce che quasi non sentii la differenza. Ora mi trovavo in me stesso, davo ascolto ai miei sentimenti e sapevo che anche lei doveva saperli, perché sì e basta.

«Stavo solo tornando a casa, non ho bisogno di compassione» disse laconica, evitando di guardarmi.

Dovetti sforzarmi non poco per riuscire a rispondere: «Non ti sto compatendo. Voglio davvero aiutarti. Mi importa, okay?».

Lei tornò a concentrare i suoi occhi scuri su di me, come se mi stesse esaminando e volesse soppesare le mie parole. Parole che, mi rendevo conto, le risultavano sicuramente patetiche.

«Fabiano, stavi andando in studio?» domandò a bruciapelo.

«Sì.»

«Io sono Marika» si presentò, tendendomi la mano. Gliela strinsi e notai che aveva dita affusolate e unghie smaltate di azzurro e ben curate.

«Ti andrebbe di venire in studio con me?» mi sentii chiedere, e per la prima volta in vita mia non mi pentii amaramente di aver superato il limite che io stesso mi ero sempre imposto.

Marika sorrise e annuì.

Spinsi la sua sedia a rotelle in silenzio, finché non raggiungemmo lo studio e trovammo Samuele appollaiato sul gradino dell'ingresso, intendo a fumare.

Lui ci lanciò un'occhiata, ma non fece domande e rifiutò le mie scuse con un cenno del capo.

Non conoscevo nessuno più discreto di lui, io per primo spesso mi facevo gli affari degli altri, perché tendevo un po' ad assomigliare a Francesco.

Quando entrai in studio e fui avvolto da odori familiari, dimenticai tutto il resto: non vedevo l'ora di mettermi all'opera con ciò che amavo fare più di ogni altra cosa al mondo.


* * *


Cari lettori, so che forse non ve l'aspettavate, ma ecco a voi un bello spin off direttamente dalla mia – ormai infinita – long “Samuele”.

Qui, come avrete ben capito, si parla di Fabiano, il fratello minore di Francesco, che in apparenza sembra uno pieno di sé e anche un po' stronzo, ma qui ho voluto approfondire degli aspetti del suo carattere per farvelo conoscere meglio!

Il collocamento temporale di questa shot è esattamente dopo il capitolo 35, in seguito allo scontro tra Samuele e Ignazio :D

Chi fosse invece nuovo e non conoscesse il personaggio in questione perché non ha mai letto la long, be', non si preoccupi: la one-shot può essere benissimo letta separatamente dal resto, ma se siete curiosi di conoscere alcuni dei personaggi citati in questo scritto, non esitate a leggere nell'altra storia, sarete i benvenuti ^^

In ogni caso, spero che la lettura sia stata gradevole per chiunque, fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!

Kim ♥

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight