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Autore: goccia_chan    06/04/2016    2 recensioni
Successe tutto in pochi secondi, non ebbi nemmeno il tempo di rendermene conto, un dolore lancinante, il peggiore che avessi mai provato mi percorse tutto il corpo facendomi urlare dalla paura e dalla disperazione più nera. Quell’uomo che adesso torreggiava sopra di me, aveva aperto uno squarcio nella mia carne che partiva dalla spalla destra fino ad arrivare al centro del petto. Mentre urlavo mi portai le mani alla ferita che vennero subito investite dal sangue rosso e caldo che sgorgava a fiotti dal mio esile corpo
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jaggerjack Grimmjow, Nuovo personaggio, Retsu Unohana, Urahara Kisuke
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 L’incontro


La luce argentea della luna perenne dell’Hueco Mundo illuminava il paesaggio notturno conferendo al deserto un colore biancastro fatiscente.
Il panorama era completamente piatto e anonimo, un saliscendi di dune spazzate dal vento dalle quali, di tanto intanto, si ergeva qua e là un albero spoglio che sembrava avesse voluto sfidare l’ostilità di questo mondo rimanendo pietrificato e conferendo un aspetto ancor più spettrale allo scenario.

Il vento sferzava incessante scuotendo il mantello grigio che faticava a ripararmi dai granelli di sabbia spostati dalle folate di aria ghiacciata che mi graffiavano la pelle. Procedevo affondando i piedi nelle dune desertiche diretta verso ciò che rimaneva di Las Noches.

Erano passati tre giorni dalla cattura di Aizen e la dodicesima brigata aveva rilevato per pochi minuti una debole reiatsu all’interno della fortezza costruita dallo shinigami traditore. Così era stata organizzata una spedizione per conoscere l’origine di quella energia spirituale dato che il comandante Yamamoto non voleva rischiare di avere una altra simpatica sorpresina organizzata da Aizen.
Per la missione eravamo stati scelti io, Nanami Itou, ovvero il terzo seggio della quarta brigata, il terzo seggio delle dodicesima divisione Akon e un membro dell’undicesima brigata Sōjirō Kusaka*.

Conoscevo Kusaka dai tempi dell’accademia e contrariamente a molti dei membri dell’undicesima brigata, sempre pronti a fare a botte come ragazzini per una qualsiasi scemenza, lui si era sempre dimostrato relativamente tranquillo, socievole e anche gentile nei miei confronti, ma distruttivo, frenetico e senza pietà nella lotta contro gli hollow.
Potevamo quasi definirci amici, quando ci incontravamo parlavamo spesso e a volte scherzavamo pure, ma c’era sempre un certo distacco, una sorta di muro invisibile che ci separava, anzi che separava praticamente tutti da me.
Unohana-san mi ripeteva spesso che ero troppo ligia al dovere, troppo rigida e che non mi divertivo mai, che dovevo lasciarmi andare.
Forse in parte era vero.
Non che non mi interessasse avere degli amici, solo che mettevo al primo posto pratica e allenamenti per diventare una shinigami di cui potessi rendere fiera la mia madre adottiva.
Pensandoci bene era l’unica cosa che mi interessasse veramente, era quello che potevo definire lo scopo della mia esistenza. Alla fine non mi importava nemmeno troppo che gli altri mi vedessero come una sorta di automa, anche se non la ero…

Il mio flusso di pensieri si arrestò improvvisamente poiché venimmo salutati da un ex shinigami. Anzi dall’ex capitano della dodicesima divisione, Urahara Kisuke: un uomo di mezza età avvolto in un haori marrone con uno strano cappello a righe bianche e verdi che copriva in parte i capelli biondicci.
«Ben arrivati, avete fatto un buon viaggio?»

Ci stava aspettando?
Come faceva a sapere che saremmo venuti qui?
E cosa ci fa lui qui???


«Visto che non abbiamo incontrato ancora nessun hollow direi di si» rispose secco Kusaka, era evidentemente a disagio, trovarsi in quel luogo doveva irritarlo parecchio. Era teso, il viso contratto in una smorfia di disgusto per il mondo degli hollow.

«Ma quanto siamo seri…tu invece devi essere Nanami-san, dico bene?» rivolgendosi a me.

«mi conosce?»

«ho sentito tanto parlare di te…» nascondendo il sorriso dietro a un ventaglio

«Come mai si trova qui?» volevo cercare di capire cosa ci facesse da solo nell’Hueco Mundo

«Anche io come voi ho sentito quella reiatsu e sono venuto a controllare...»
«Da solo?»

«No, c’è lei con me» indicando con un cenno del capo un piccolo gatto nero che si stava strusciando contro le sue caviglie.

«Un gatto?» ero decisamente perplessa…

«Magari non è solo un gatto»

Rinunciai definitivamente a cavargli fuori qualche informazione, le sue risposte vaghe ed enigmatiche iniziavano decisamente a irritarmi, essere dei pazzi strampalati doveva essere una caratteristica dei capitani della dodicesima.

«Vediamo di non rimanere troppo qui fuori, non voglio attirare tutti gli hollow della zona..» Kusaka ci riprese da quella conversazione che aveva preso una piega totalmente inutile e ci riportò al motivo della missione.

Penetrammo nella fortezza di Las Noches attraverso un’ enorme voragine nel muro principale che probabilmente era crollata a causa dei combattimenti di qualche giorno prima e iniziammo l’esplorazione di quello strano luogo.
Una serie infinita di corridoi e camere che si ripetevano quasi all’infinito, sempre uguali e tutte bianche.Sembrava una sorta di ospedale psichiatrico fatto apposta per far impazzire la gente, ma molto più probabilmente era stato studiato per disorientare i probabili invasori e direi che ci riusciva piuttosto bene.
Ero decisamente confusa e anche i miei compagni si guardavano attorno con l’aria di chi non ha la più pallida idea di dove stia andando, di cosa stia cercando, se quella stanza è la stessa o una nuova, se quel corridoio è già stato percorso. L’unico che camminava deciso e a passo sicuro era Kisuke che sembrava esattamente sapere quale strada, svincolo e direzione prendere ogni volta.
Beato lui.

Proseguendo nella ricerca arrivammo in una stanza che, a giudicare dal suo aspetto, doveva essere una sorta di laboratorio scientifico. Moltissimi strumenti erano caduti e si erano rovesciati a terra, i vetri dei vari utensili erano sparpagliati qua e là e il contenuto liquido di quelli che probabilmente erano beute e becher di laboratorio si era rovesciato creando uno strato appiccicaticcio sul pavimento.
Mi avvicinai al tavolo di acciaio del laboratorio e vidi la mia immagine riflessa sulla superficie liscia e metallica del bancone: la frangia pettinata di lato e lievemente disordinata incorniciava assieme ai capelli mossi, lunghi e biondi il mio volto ovale. Gli occhi verdi profondi brillavano dietro a lunghe ciglia nere, le labbra rosee sottili e il naso fine e lievemente all’insù completavano il mio viso.
Facendo scivolare lo sguardo lungo il piano mi accorsi di una macchia di sangue situata sull’angolo del tavolo e vidi alcune gocce sul pavimento che si susseguivano regolari verso una stanza adiacente e decisi di seguirle.
Diedi prima un’occhiata ai miei compagni: Akon e Urahara erano incantati ad osservare gli strumenti, le sostanze, gli strani esseri conservati in liquidi maleodoranti; sembravano bambini al parco giochi, mentre Kusaka se ne stava solo in un angolo ad osservare la camera con un’espressione imperscrutabile sul volto.
Non appena feci un passo per scavalcare l’uscio delle porta e dirigermi verso la sala adiacente sentii provenire da essa una debole reiatsu e mi precipitai a controllare.

C’era una persona a terra.

Anzi un ragazzo dai capelli azzurri.

Corsi nella sua direzione il più in fretta possibile e mi gettai a terra per controllare che fosse ancora vivo.
Era a pancia in giù e respirava a malapena, immerso in una pozza di sangue rappreso.
Facendo attenzione lo misi supino scoprendo così il volto: sulla guancia destra era attaccato un frammento di maschera di hollow, una mascella felina.
Era un arrancar.
Teneva gli occhi chiusi, probabilmente era talmente debole da non riuscire nemmeno a tenerli aperti, era letteralmente coperto di sangue e ferite da taglio, una più profonda dell’altra. Era già un miracolo che fosse vivo.

«non hai intenzione di curarlo vero?» Kusaka era comparso dietro di me mentre mi facevo su le maniche del kimono per prepararmi a lavorare.

«sono un membro della 4 brigata, il mio compito è garantire supporto medico ai feriti, ed è quello che ho intenzione di fare» replicai fredda senza battere ciglio.

«non è uno shinigami!» protestò mentre anche gli altri ci raggiungevano.

«per quanto mi riguarda non fa alcuna differenza» inginocchiata a lato dell’arrancar iniziai a recitare un potente canto di kido curativo insegnatomi da Unohana e il corpo dell’hollow venne avvolto da una piramide di luce rossa dal cui vertice cadevano dei piccoli fiocchi di luce verde che penetravano nei tagli iniziando a rimarginarli.

«Nanami, se non lo lasci morire… lo ammazzo io» Mi voltai pronta a ribattere ma le parole mi morirono in bocca quando vidi il lato destro del viso di Kusaka illuminato dai bagliori rossastri del kido.
Guardai la sua cicatrice, appena nascosta dalla frangia, che si estendeva dalla fronte e attraversava l’occhio destro fino ad arrivare a metà guancia e mi diedi della stupida. Quella ferita gliel’aveva inferta un’hollow tanti anni prima dopo aver massacrato tutti i suoi compagni di missione.
Lui si era salvato per il rotto della cuffia, era normale che fosse risentito del mio comportamento, era colpa di uno di quegli esseri senza anima se molti dei suoi commilitoni e amici ora non c’erano più, era colpa di uno di loro se portava un segno permanente che gli ricordava tutti i giorni cosa era accaduto, non avevo preso minimamente in considerazione i suoi sentimenti…

«su calma ragazzi» Urahara aveva parlato giusto in tempo per spezzare la tensione

«Nanami-san continua pure quello che stai facendo»

«si certo e quando questo si risveglia ci ammazza tutti come cani» ribatté duro Kusaka.

«se sono riuscito a mettere un sigillo ad Aizen credo di poter riuscire a fermare uno dei suoi scagnozzi malconcio»

«s…s-shini..gami non m-mi sotto…valutare»

Mi girai all’istante, l’arrancar aveva aperto gli occhi azzurro ghiaccio e ci stava fissando.
Si stava già riprendendo.

Era impossibile, il kido guaritivo non era così potente!

Eppure le ferite miglioravano di secondo in secondo a vista d’occhio, l’unica spiegazione al fatto che fosse sopravvissuto e che stesse guarendo a quella velocità, era che possedeva una capacità rigenerativa decisamente superiore a quella di un qualsiasi shinigami.
Annullai il kido avanzato per passare a un metodo più tradizionale, dovevo avere maggiore controllo sui progressi di guarigione, non avevo intenzione di farci ammazzare.
Con le mani illuminate da una luce verde iniziai a passarle lungo il corpo dell’arrancar, soffermandomi più a lungo sui tagli più profondi.

«d-donna…smetti di guarirmi….non voglio la pietà…di uno shinigami»

«non lo faccio per pietà. Tu hai bisogno di cure e io posso dartele, è tutto quello che mi serve sapere»

«tsk, stai sprecando energie. I tuoi amichetti muoiono dalla voglia di farmi fuori»

Diedi una alzata di spalle «vorrà dire che farò un po’ di pratica»

«mi stai prendendo per il culo? Donna faccio fuori te e i tuoi amichetti!»

«ridotto così? In questo momento hai una reiatsu appena percettibile ma non sei ancora in grado di muoverti...vedi di non fare minacce a vanvera. Sta zitto e fatti guarire!»
Passai lentamente le mani sull’enorme torace martoriato rigenerando a poco a poco i tessuti. I graffi avevano lascito il posto alla pelle sana e tonica, i tagli più profondi a ferite granuleggianti in via di riparazione, le costole fratturate ritornavano progressivamente al loro posto saldandosi e lasciando ai polmoni la possibilità di rigenerarsi.
Man mano che sfioravo la pelle di quello che era inizialmente un corpo martirizzato lo vedevo ritemprare e prendere vita sotto le mie lunghe dita affusolate, quasi lo stessi ricreando, il kido guaritivo era quasi un miracolo, la vera manifestazione dell’energia spirituale.
Feci scorrere le mani sull’addome scolpito dell’arrancar aggirando il foro, al contatto la pelle non era più fredda e pallida, ma tiepida e rosea, stava veramente progredendo a una velocità sensazionale, esitai arrivata alla cinta dell’ hakama, dovevo stare attenta, presto sarebbe stato in grado di muoversi.

«tranquilla tesoro, vai pure un po’ più giù»

Lo fissai sconcertata mentre mi rivolgeva ghigno beffardo, tolsi in una frazione di secondo le mani imbarazzata e rosso in volto «ma come diavolo ti viene in mente?» strillai a mezza voce.

«allora sei ancora una signorina…non preoccuparti, se non sai come fare, ti guido io» sbattendomi praticamente in faccia un sorrisetto malizioso che in quel momento gli avrei strappato via a unghiate tanto ero furente.

«tu…maledetto hollow» Kusaka si avvicinò estraendo lentamente la katana, determinato a finirlo in un colpo solo.

«Kusaka, lascai perd..! »

L’intera facciata del muro adiacente venne sfondata in un istante facendo esplodere calcinacci che volarono per tutta la stanza.
Un boato terrificante e un enorme braccio viola comparvero dalla voragine aperta nella parete, seguiti da una gigantesca maschera da hollow bianca caratterizzata da una mascella smisurata e due piccole corna.
L’essere si voltò immediatamente verso l’arrancar ferito come se non stesse cercando altro. Probabilmente la reiatsu instabile e debole del suo simile doveva averlo attirato per nutrirsi di lui.
Tutti i miei compagni sfoderarono immediatamente le loro katane e si prepararono a combattere.

Un ombra.
Fu l’unica cosa che vidi.







Sōjirō Kusaka*: hai fini della storia ho recuperato nome e caratteristiche fisiche dell’antagonista del film “the diamonddust rebellion” inserendolo nel contesto del racconto.
  
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