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Autore: Lanyze    06/04/2016    5 recensioni
Naruto aveva conosciuto l'amore, lo aveva conosciuto in un paio di occhi neri come la notte senza stelle, lo aveva sentito addosso, l'amore. Lo aveva accolto dentro di sé, lo aveva perso, sentito spezzarsi, bruciare, consumarlo e, credeva, esaurirsi, ma un giorno, in un caffè, lo vide ricominciare.
Prima fanfiction in assoluto. Dopo averne lette tante sulla coppia che mi ha convertito allo yaoi e che è assolutamente canonica (solo che l'autore non se ne è accorto), ho deciso di scriverne una. Spero sia di vostro gradimento.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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-On a Wednesday in a café, I watched it begin again
 
Note: prima fanfiction in assoluto. Ispirata alla canzone di Taylor Swift “Begin Again”. Chiaramente una SasuNaru in un incrocio tra passato e presente, quindi per rendere tutto meno confuso, i dialoghi del passato saranno messi sulla destra, mentre gli altri seguono cronologicamente il filo della storia, in linea con il testo. Un ringraziamento speciale va alla mia Beta tester, nonché santa donna della mia compagna di vita N: grazie per avermi sopportato e per aver perso la testa con me!
E niente, ci ho provato! Buona lettura.
 
Aveva conosciuto l’amore. L’aveva conosciuto in un paio di occhi neri come le notti senza stelle. L’aveva visto e l’aveva sentito addosso, l’amore. Quello che leggi nelle favole e che guardi nei film sul divano col cioccolato e un’amica, film che a lui non son mai piaciuti. Lo faceva per Sakura, quando era depressa e voleva piangere. Non aveva mai capito quel masochismo femminile per cui si tende ad inabissarsi ancora di più quando tutto è già di per sé
oscuro e in bilico. Spingere quelle lacrime ad esaurirsi definitivamente come se non fosse mai abbastanza. Ma Naruto voleva bene a Sakura e ogni volta che lei aveva il cuore spezzato correva, prendeva il gelato, la pizza, la birra, l’abbracciava forte e poi la stringeva sul divano, di fronte all’ennesimo film romantico – drammatico e quella volta pianse anche lui, una lacrima piccola, quasi impercettibile. E così quando vide Sasuke il giorno successivo capì. Quando erano cambiate le cose? Da quanto tempo l’amicizia nascondeva quel legame che era diventato troppo forte? Non lo seppe mai, pensò che forse era sempre stato così o che era successo tanto lentamente da essere impossibile definire un tempo, un luogo e un come preciso. Perché? Non sapeva nemmeno quello. Sasuke era Sasuke. Sas’ke, come lo chiamava solo ed unicamente lui, nonostante i rimproveri iniziali e le occhiate omicide che, con il passare dei giorni, furono rivolte solo a chi osava storpiare quel nome al di fuori di Naruto.
E adesso?
 
<< Sa… Sas’ke ti va se… se oggi studiamo insieme… ecco.. >>
<< Stai perdendo le capacità linguistiche dobe? Che hai? >>
<< Un problema in matematica, ecco cosa ho! E sai che odio chiederti qualsiasi genere di favore, quindi non rendere le cose ancora più difficili, teme che non sei altro! >>
<< Come vuoi, ma non aspettarti trattamenti di favore, ascolta e impara, senza lamentarti >>
<< Almeno posso fare merenda col ramen? >>
<< No. >>
<< Ahh... teme – stronzo! >>
 
Era bello, bello da togliere il respiro, e adesso era lì, sopra di lui, in quel letto che li ha visti crescere, tra incubi e paure, speranze e sogni infranti. Quanti silenzi aveva sopportato Naruto in quella stanza? Quante urla, pugni e insulti aveva scagliato Sasuke tra quelle quattro mura? Un giorno tutto va bene e l’altro, all’improvviso, muore un pezzo di te. Itachi era sempre stato simpatico a Naruto, lo ascoltava quando litigava con Sasuke e così riusciva almeno ad immaginare come potesse essere avere una famiglia, qualcuno con cui sentirsi a casa. Dall’orfanotrofio lo avevano adottato, gli stessi lo avevano poi abbandonato, lì, in quella stessa casa, con il necessario per andare avanti, quanto bastava a qualcuno che non era come loro. “Diverso”, lo definivano. Biondo, ambrato, occhi azzurri tra volti candidi e sguardi scuri, in un accostamento che stonava a volte davanti a Naruto, ma mai quando guardava lui. Armonia, eleganza, bellezza. Ora erano queste le parole giuste per descrivere Sasuke.
 
                                                                                                 << Non hai mai avuto fratelli, o un padre o una madre, tu non
                                                                                                     puoi capire Naruto, non puoi capire cosa si prova ad avere
                                                                                                     tutto e poi rimanere senza… niente… lasciami in pace >>
                                                                                                     Silenzio…
                                                                                                 << E’ vero che non so niente di genitori e di fratelli, però
                                                                                                     quando sono con il maestro Iruka… immagino sarebbe così
                                                                                                     avere un papà… mentre quando sono con te… penso che                 
                                                                                                     sarebbe così avere un fratello e Itachi era… >>
 
Fratello… mai fu scelta parola più sbagliata. Sasuke non era un fratello, non si baciano i fratelli. Non senti la terra mancarti sotto i piedi quando ti sfiora un fratello e non hai i brividi quando ti stringe forte e ti sussurra “ti voglio”.
Era un bacio caldo, umido, travolgente, come se lo avessero trattenuto per tanto, troppo tempo. Un contatto passionale e a tratti violento di cui entrambi sentivano il bisogno e non ci volle molto prima che i respiri divenissero più smorzati, che i vestiti fossero strappati, che i corpi fossero attaccati, sudati, struscianti che le mani si muovessero frenetiche, cercando ed esplorando luoghi da sempre nascosti agli occhi, ma così familiari al contatto. Nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare quanto fosse potente l’amore, solo in quel momento ne ebbero un soddisfacente assaggio. Perdersi. Perdersi in chi è tanto diverso da te da somigliarti fin nelle viscere. Come percorrere strade opposte, ma dirigersi verso la stessa meta e ritrovarsi in ogni passo fino alla fine del viaggio. Mischiarsi, diventare una cosa sola com’è giusto che sia. Come se fosse proprio quello il tuo posto nel mondo. Sopra, vicino, accanto, dentro di lui. Sasuke questo lo sapeva bene, da un po’ di tempo in realtà, da quando Naruto gli aveva alzato la testa, guardato negli occhi e urlato che sarebbe dovuto andare avanti, sempre, che avrebbe dovuto rialzarsi, sempre, e che lui ci sarebbe stato, sempre, ad alleviare e caricarsi sulle spalle almeno un po’ del suo dolore. E averlo lì, in quel momento, ansimante e languido sotto di lui, era come riuscire finalmente a sentire il calore di un raggio di sole, evanescente e sottile, tra un cielo pieno di nuvole. Il grigio, la nebbia e il freddo erano scomparsi, esisteva solo blu, azzurro, turchese, sfumature inesprimibili di uno sguardo acceso ed ora supplicante di avere di più. E chi era lui per negarglielo? Era un completamento irrazionale, cercarsi senza freni, riempirsi senza trattenersi. Forte, sempre più forte, come se l’ultimo giorno della loro vita fosse quello e tanto bastava per sentirsi vivi anche per la morte a venire. Infondo, sempre più infondo come se raggiungersi così non fosse ancora abbastanza. Svuotarsi, sciogliersi, lasciar scivolare fuori tutto quello che ti rimane, quell’essenza frivola per uno, ma necessaria per l’altro. Fecero l’amore, ancora e ancora. Rimanevano in silenzio, ancora e ancora, lasciando spazio solo a suoni leggeri e gemiti di un piacere ormai liberato, da troppo assopito e da sempre esistito.
 
<< Che cosa succede adesso teme?>>
<< Che vuoi che succeda? Non ho intenzione di smettere adesso che ho iniziato! >>
<< Devo dedurre che questo è il tuo modo per dire “stiamo insieme”? >>
<< Mmh… allora ogni tanto lo fai funzionare quel neurone! >>

<< Sempre il solito bastardo… ehi, ma che fai?... Anche il maniaco! >>
<< Usa quella bocca in un altro modo dobe e taci! >>
 
Che sapore ha la felicità? Naruto avrebbe sicuramente risposto “quello di Sasuke”. Erano occhi che si cercavano, dita che si sfioravano e baci che si rubavano. Erano sorrisi appena accennati, parole velate e desideri inibiti che scoppiavano di nascosto, lontano dal mondo, fuori da una realtà che sembrava ostile. Non che a loro importasse, non che qualcuno se ne accorgesse, ma non era il momento. Per un po’ sarebbe andata bene così.
E il liceo finì, il tempo dei dubbi e delle indecisioni andò scemando, fino a ritrovarsi di fronte ad una scelta per l’avvenire, sicura e fondamentale.
 
<< Non chiedermi di continuare così Sasuke perché non lo sopporterei >>
<< E credi che a me faccia piacere? Ma mio padre… >>
<< Non gli hai neanche parlato! Come fai a dire che non lo accetterà, che non ci proverà almeno! >>
<< Perché lo conosco, so cosa vuole da suo figlio, cosa si aspetta da un Uchiha! >>
<< E tu Sas’ke? Tu cosa vuoi? Portare avanti un nome o stare con me? >>
 
Era quella la domanda a cui non avrebbe mai voluto rispondere, quella che sapeva sarebbe arrivata, ma a cui continuava a cercare risposta, anche dopo averla ascoltata, una, due, più volte, fino a quando non comprese che quella sarebbe stata l’ultima. Quando capì che lo avrebbe perso per sempre se non si fosse deciso.
 
<< Non credevo l’avresti fatto >>
<< Hai basse aspettative, dobe >>
<< Ha urlato? >>
< >
<< Te ne pentirai, Sasuke? >>
<< … Aiutami a portare questa roba e poi andiamo a dormire, sono stanco! >>
 
Mesi dopo Naruto si ricordò che Sasuke aveva sviato. Lo faceva spesso ultimamente. Si limitava ad accennare risposte, a insistere affinché lui capisse anche senza parole, a sospirare e infine a passare fuori la maggior parte del tempo. Da quando avevano cominciato a vivere insieme, la via in discesa si era trasformata in un labirinto. Ogni volta che a Naruto sembrava di aver trovato l’uscita, compariva un muro, ed era Sasuke a costruirlo, tutte le volte. Cominciò a chiedersi se avesse fatto qualcosa di sbagliato, se avesse detto qualcosa fuori luogo senza accorgersene. Cominciò a credere di non bastare, di non avere più niente da dare e che Sasuke si fosse pentito.
 
<< Mi spieghi cosa ti prende? >>
<< Sono stanco >>
<< Mi chiedo di cosa… se tu sia stanco per il lavoro o per altro >>
 
<< Sasuke stasera andiamo al cinema? >>
<< Perché non ci vai da solo? O con… come si chiama quella? Sakura? >>
<< Ooh, insomma basta! Basta! Non ce la faccio più, che hai? Qual è il tuo problema adesso eh? Sei stanco anche di domenica? >>
<< Non ho voglia di parlare, stai zitto! >>

<< No che non sto zitto! E troppo tempo che sei così… stano! E io ci ho provato, davvero! A lasciarti i tuoi spazi, a starti vicino, ad aspettare, ma rimani sempre troppo… lontano. È colpa mia? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Parla Sasuke, cazzo! >>
<< Sì, sì, sì Naruto sì, è colpa tua, che parli sempre troppo, che vuoi quello che io non posso darti! >>
<< Di che stai parlando Sasuke? >>
<< Devo andare via… io… non ce la faccio, non è quello che voglio Naruto, ho bisogno di andare >>
 
Che rumore fa il cuore quando si spezza? Sicuramente Naruto avrebbe risposto “quella della porta che si chiude dietro le spalle di Sasuke”. Non aveva il coraggio di fermarlo, non ce la faceva. A cosa sarebbe servito? Era lui a non bastargli, era lui ad essere un tassello sbagliato nella sua vita già incasinata. Una carriera. Un volto. Un titolo. Il potere Uchiha. Da quando Itachi se ne era andato, Sasuke aveva avuto tutto sulle sue spalle, il peso di una famiglia distrutta, di un nome da portare avanti. Doveva prendere il posto del fratello, doveva riempire almeno in parte quel vuoto incolmabile che si era aperto intorno a lui, a casa e fuori, in un mercato che vantava i migliori. E Naruto lo aveva sostenuto. Lo aveva sollevato e aperto la strada, finché non era diventato un ostacolo. Finché non si era spinto fin troppo oltre, per poi entrare dentro, in profondità, nel cuore di chi un cuore non lo dimostrava mai, ma Naruto sapeva che c’era, sapeva che i brividi non li sentiva solo lui, sapeva che ogni sera in quel letto facevano l’amore e non semplice sesso. E andava bene, dio! All’inizio andava così maledettamente bene che a Naruto sembrava fosse solo un sogno. Eppure il suo profumo per casa, la sua voce flebile e roca all’orecchio, il suo sapore acre sulla lingua erano lì, ogni giorno, vicini e poi un po’ più distanti e ancora e ancora. Lontani. Come se si fosse rotto qualcosa. Era difficile, dannatamente difficile stare accanto a Sasuke, combattere ogni giorno con i suoi demoni, urlare contro i suoi silenzi e poi unirsi disperatamente in un letto troppo sgualcito. Una volta Sasuke lo aveva guardato, dopo l’amplesso, come si guarda una finestra in una stanza senz’aria, gli aveva sfiorato delicatamente la guancia poggiando la fronte sulla sua, respirandolo. E Naruto sapeva che quello era il suo modo per dirgli ti amo, per raccontargli il suo amore riposto e celato, e ogni volta Sasuke sperava che capisse, che bastasse, perché ci provava a fare di più, ma non ci riusciva mai.
Erano buio contro luce, il nero contro l’azzurro e questo divenne pesante, troppo pesante per una persona sola. Qualcosa si era spezzato. Qualcosa si era rotto e Sasuke se ne era andato e nessuno l’aveva fermato.
E così Naruto ha conosciuto il dolore. Anzi lo ha rincontrato, come se lo stesse aspettando, dietro un angolo ben nascosto per uscire al momento più opportuno. Lo ha rivisto in una mano insanguinata scagliata forte contro uno  specchio, in una fotografia ingiallita di tre ragazzini e il loro maestro, non tutti sorridenti, ma sicuramente tutti felici. Nel vuoto accanto a lui di un materasso adesso troppo grande e nell’attesa di un suono, dal telefono o dalla serratura, che non arrivava mai. Era troppo, non era fatto per stare da solo, non era pronto per quella solitudine graffiante e malinconica, ma allo stesso tempo non voleva nessuno accanto a sé. Non come faceva con Sakura, non come i suoi amici avrebbero voluto. Loro non capivano, loro non sapevano cosa era Sasuke. Doveva farci i conti, doveva sopportare, nella consapevolezza dell’incertezza del “passerà”. E così partì, Naruto. Partì per scoprire sé stesso, non come quando affronti una crisi esistenziale, ma nel vero senso della parola. Si buttò nella storia della sua famiglia, nella caccia di un parente lontano, nella ricerca di occhi simili che potessero comprenderti, raccontare. E ci riuscì, qualcuno c’era. Distante, nelle lontane terre cubane, ma c’era.
 
<< E tu saresti? >>
<< Uzumaki, mia madre era Kushina, mio padre… non lo so, ho letto si chiamava Minato N… >>
<< Avete gli stessi occhi >>
<< Come scusa? >>
<< Mh… io sono Jiraya, tuo padre era mio nipote, sua moglie una donna forte, sono a tua disposizione. Ma prima… ehi, cameriera ci porti qualcosa, che sia roba forte eh! Ce ne sarà bisogno! >>
 
Era strano quell’uomo, sicuramente fuori dagli schemi, ma infondo lo stesso Naruto non era poi così ordinario, come Shikamaru spesso gli diceva. Passarono i mesi e Naruto crebbe, conobbe nuove persone, si innamorò della vita e del viaggio, dietro ad un vecchio fin troppo giovane dentro, concentrato di saggezza ed euforia a cui Naruto sentiva di appartenere. E poi tornò a casa. Pronto a ricominciare, nella stessa casa. Era strano come fosse cambiato tutto rimanendo sempre uguale. Aprì le finestre e si lasciò coccolare dal sole di una primavera già troppo calda.
 
Si guardò nello specchio, a Sasuke non piaceva quella felpa arancione, ma a Naruto sì. E poi mise le cuffie pronto ad uscire, quella canzone che Sasuke non capiva, ma Naruto sì. Ed entrò in quel locale credendo di aver fatto tardi, di doversi scusare, di sentire rimproveri scocciati, ma non fu così. Lui non era così. Gli sorrise e lo fece accomodare e Naruto trovò molto carino quel gesto che Sasuke non avrebbe mai fatto. Ed ora parlavano, serenamente, di fronte ad un caffè, lui rideva gettando la testa all’indietro, dicendo che era divertente. Naruto lo trovò strano e nuovo. Sasuke non glielo diceva mai. E passarono le ore come se fossero secondi, veloci, pieni e Naruto assaggiò emozioni diverse, nessuna preoccupazione, nessuno sforzo per comprendere, nessun silenzio da decifrare. Quel ragazzo era diverso. E si incamminarono verso la sua macchina e Naruto stava quasi per parlare di Sasuke, per tirarlo fuori, ma la sua voce lo precedette raccontando di un film, del Natale e della neve. Sasuke odiava il Natale. Naruto stava tornando a respirare. Aveva passato gli ultimi mesi a credere che l’amore spezzasse, bruciasse, finisse e invece, un mercoledì, in un cafè, lo vide ricominciare.
                                                                                           << Sasuke! Cosa ci fai qui >>
                                                                                            << Na… Naruto! Tu cosa ci fai qui? A New York? >>
                                                                                            << Te l’ho chiesto prima io teme! >>
                                                                                            << Non cambi mai eh? Lavoro, dobe >>
                                                                                            << Ah… già… senti io.. >>
                                                                                             << Quando torni in Giappone? >>
                                                                                             << Eh? Non lo so… in verità sono… >>
                                                                                             << Quando sarai a casa, fammelo sapere, ho                           
                                                                                                   bisogno di parlarti, bastano pochi minuti, ma
                                                                                                   devo farlo >>
                                                                                               << Io non so se voglio parlare, Sasuke >>
                                                                                               << Ti prego Naruto, solo pochi minuti >>
                                                                                               << … Torno a casa lunedì! >>
                                                                                                << Allora ci vediamo mercoledì… al solito posto.
                                                                                                     Scusa devo andare, grazie Naruto >>                                        
                                                                                         
E quel mercoledì, in quel cafè, quello di sempre, quello di cui non era necessario chiarire l’indirizzo, Naruto e Sasuke parlarono, tanto. I pochi minuti divennero lunghe ore e le parole non sembravano mai abbastanza. Sasuke era diverso, Naruto era cresciuto. Non aveva dimenticato, non lo aveva mai fatto, ma Sasuke era Sasuke. Solo lui riusciva ad essere diverso rimanendo sempre lo stesso. E andava bene così, andava maledettamente bene così. Gli raccontò della sua vita, di suo padre, del posto che aveva lasciato Itachi e che lui aveva egregiamente occupato. Gli parlò di una mancanza, forte e disperata, di un dolore, carico e lacerante, di indecisioni, incertezze e incompletezza e di uno sbaglio a cui doveva necessariamente rimediare. E Naruto scoppiò. Un po’ pianse, un po’ urlò, gli parlò del vuoto, della solitudine e di Jiraya, dei posti che aveva visitato e di un amore mai dimenticato. Ci volle poco per ritrovare l’alchimia, per sentire le scintille, per accorciare le distanze. Ora le parole erano superflue, bastavano gli occhi, bastava sfiorarsi per riprendersi ciò che a loro è sempre appartenuto.
Naruto aveva conosciuto l’amore, lo aveva conosciuto in un paio di occhi neri come la notte senza stelle, lo aveva sentito addosso, l’amore. Lo aveva accolto dentro di sé, lo aveva perso, sentito spezzarsi, bruciare, consumarlo e, credeva, esaurirsi, ma un giorno, in un cafè, lo vide ricominciare.
  
   
 
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