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Autore: OnnanokoKawaii    06/04/2016    3 recensioni
Doleva il cuore di Oikawa, gli faceva male e non avrebbe smesso. Tooru lo sapeva il perché.
Perché era colpevole. Perché per una stupida disattenzione aveva condannato a morte una persona innocente.
Innocente.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oikawa non aveva più lacrime ormai.

Appeso alla sua stampella insisteva a restare in piedi per omaggiare fino all’ultimo la bara che stava sfilando verso il buco nel terreno dove avrebbe riposato per molti, moltissimi anni.

La giornata era bella, con un sole caldo e luminoso nonostante sfosse ancora marzo, l’erba del cimitero era di quel verde acceso che quasi faceva male agli occhi, ma Oikawa non vedeva bellezza in tutto questo.

Lui vedeva solo il manto erboso deturpato da quella fossa profonda, la terra rossa che sembrava una ferita aperta che rifletteva solo una pallida imitazione del suo dolore.

Doleva il cuore di Oikawa, gli faceva male e non avrebbe smesso. Tooru lo sapeva il perché.

Perché era colpevole. Perché per una stupida disattenzione aveva condannato a morte una persona innocente.

Innocente.

Il dolore alla gamba sembrava scolorire in confronto a quello che sentiva al petto mentre davanti ai suoi occhi il verde e il sole sulla pelle lasciavano il posto alla penombra di una giornata piovosa che stava volgendo al termine. Ricordava il dolore alle membra, risultato dell’allenamento estenuante a cui e lui e Iwaizumi si sottoponevano quotidianamente.

Aveva aspettato che Hajime trovasse la forza di alzarsi dalla panca dove stava seduto immobile nonostante la pelle d’oca. Che trovasse la forza di asciugarsi e vestirsi.

Alla fine, come sempre ce l’aveva fatta e nel tragitto che percorrevano barcollando dalla stanchezza avevano preso il loro solito takoyaki dal chioschetto all’angolo.

Il semaforo era rosso, ma sapevano entrambi che sarebbe durato poco. Doveva durare poco. Oikawa, che odiava la pioggia a causa del suo ginocchio infortunato si era mosso per attraversare troppo presto.

Gli faceva male e voleva arrivare a casa per potersi godere la sensazione del ghiaccio sull’articolazione dolorante.

Pochi secondi troppo presto era sceso dal marciapiede senza controllare.

Non aveva visto il furgone che stava accelerando per non doversi fermare.

 

Poi nella sua testa tutto si faceva confuso... un urlo? Hajime probabilmente. Ricordava uno strattone violento, una stretta calda sulla sua mano e un urto così violento da farlo volare.

Ecco, quella sensazione la ricordava bene, il corpo leggero e sospeso a mezz’aria per un attimo che gli era sembrato infinito.

L’assenza di peso aveva poi lasciato il posto al dolore dell’urto violento contro l’asfalto.

Poi il buio.

Si era svegliato in un letto non suo, aveva cercato di muoversi perché stava scomodo e le fitte gli avevano tolto il fiato.

Sua madre e suo padre erano accorsi entrando nel suo campo visivo. Erano stravolti, avevano i visi stanchi nonostante i loro abiti fossero quelli eleganti e formali con cui andavano al lavoro.

Gli avevano detto che era stato investito. Che l’impatto o il volo gli avevano sgretolato un’anca. Aveva una protesi ora. Ovviamente la sua carriera nella pallavolo, la sua carriera appena nata era già finita. Ancora prima di iniziare davvero a divertirlo.

Che ingiustizia.

Gli faceva male tutto ma la sensazione strana che aveva alla spalla gli portò alla mente lo strattone, l’incidente. Fu in quel momento che chiese notizie di Iwaizumi.

Fu in quel momento che sua madre non riuscì più a trattenere le lacrime e suo padre evitò il suo sguardo.

Fu in quel momento che il mondo crollò.

Gli dissero che probabilmente lui era stato preso in pieno dal mezzo lanciato a velocità sostenuta. Era sopravvissuto all’impatto, era rimasto cosciente e aveva chiesto di lui nonostante metà del suo corpo fosse ridotta in poltiglia, nonostante stesse praticamente annegando nel proprio sangue.

Gli riferirono che si era spento pian piano in ambulanza a causa delle emorragie interne. I tentativi di rianimarlo erano stati inutili. Aveva resistito fino a quanto non gli avevano detto che lui era vivo.

Hajime Iwaizumi. Il suo migliore amico. Il suo amore segreto e mai confessato.

Aveva smosso mari e monti per riuscire ad andare al suo funerale.

I giornali mentivano. Non era stato Iwaizumi a muoversi troppo presto con semaforo ancora rosso e a farsi investire. Hajime lo aveva volontariamente strattonato via dalla traiettoria del mezzo finendo lui stesso investito.

Il suo migliore amico, la sua regione di vita, aveva abbracciato la morte pur di salvarlo.

“Cosa hai pensato in quel momento, Iwa-chan?”

Una domanda che assillava Oikawa da tre giorni, da quando aveva saputo cosa fosse successo. La stessa domanda che gli rimbalzava nel cervello mentre il dolore alla gamba gli annebbiava la vista al posto delle lacrime che non volevano più scendere ormai.

La vita aveva voluto ricordargli - nel più crudele dei modi - che dare per scontato che tutto sarebbe andato bene solo perché lui era stato convocato per il ritiro della nazionale under 19 era una pia illusione.

Una pia illusione era anche quella dei suoi familiari, che speravano avrebbe superato il trauma col tempo.

Come poteva superarlo?

La bara era arrivata davanti al buco che sarebbe stato il suo nido per gli anni a venire.

Come potevano pensare che avrebbe superato il dolore di aver perso il suo migliore amico?

Come in un sogno intravide il palanchino sollevare la lucida bara di legno di pino e tenerla sospesa per un lungo momento, per permettere a tutti di salutare Hajime ancora una volta.

No… non poteva finire così, non poteva essere finita così.

Aveva ancora così tante cose da dirgli.

La bara iniziò a scendere lentamente nella sua nuova culla di terra.

No! Non ancora! Aspettate!

Urlava dentro di sé, Oikawa, mentre si mordeva a sangue le labbra per non lasciar uscire nemmeno un sospiro.

Al suo fianco sua madre singhiozzava tra le braccia di suo padre.

Sbattè le palpebre e in quell’istante la cassa sparì oltre il bordo della fossa.

Fu come se gli avessero dato un pugno in pieno petto.

Eccola la realtà.

Era come se fino a quel momento avesse sperato in un brutto scherzo, in una specie di punizione per farlo pentire di aver attraversato senza guardare.

Fu il suono delle prime palate di terra a rendere tutto reale.

Iwaizumi non c’era più. Non sarebbe tornato. Non avrebbe mai più incontrato il suo sguardo verde, così limpido e saldo da farlo sentire protetto in ogni momento.

Non avrebbe più percorso la strada verso casa in sua compagnia.

Non avrebbe più alzato una palla per lui.

Tutto ciò che era stato il suo mondo stava svanendo soffocato da quella terra troppo rossa.

Seppellito in quella ferita sanguinante della terra.

Hajime non sarebbe tornato.

Era morto. Lo stavano seppellendo davanti ai suoi occhi eppure… aveva la sensazione che stessero seppellendo anche lui lì.

Si sentiva soffocare mentre il peso della terra lo schiacciava e il buio oscurava ogni cosa.

 

Era svenuto.

Incredibile.

Era crollato come un sasso al funerale del suo migliore amico dove non aveva versato nemmeno una lacrima.

Quindi eccolo di nuovo in ospedale, di nuovo in quel letto scomodo. Erano passati pochi giorni dall’operazione, la ferita era ancora incerottata  e i punti gli tiravano. La sua gamba destra era divenuta ben tre centimetri più lunga dell’altra.

Avrebbe dovuto mettere una soletta speciale nella scarpa sinistra per non creare problemi al bacino e alla schiena, avrebbe dovuto lasciare la pallavolo. Il club era tutto quello che aveva… no.

Hajime era tutto quello che aveva e di cui aveva bisogno.

Senza di lui, nemmeno la pallavolo aveva alcuna importanza.

Al funerale era venuta tutta la squadra, gli avevano stretto le mani così tanto da fargli male, avevano pianto, avevano provato dolore.

Ma tutto gli era scivolato addosso come la pioggia che in quel momento colava sul vetro della finestra.

Era possibile che il mondo fosse improvvisamente divenuto grigio e insipido? Privo di spessore e monotono come una canzone ripetuta fino alla nausea?

I giorni passavano tutti uguali, tra notti insonni e dolenti e lunghe sedute di fisioterapia.

Doveva imparare a camminare di nuovo.

Ma voleva?

No. Non gli importava di camminare, di tornare a fare una vita normale, di andare a scuola.

A scuola senza Iwaizumi? Non se ne parlava nemmeno.

Una vita normale… nemmeno con due gambe sane avrebbe potuto vivere normalmente ora che la sua ragione di vita non c’era più.

Passarono due mesi e in un modo o nell’altro tornò a camminare. Ma non volle tornare a scuola. Non ancora.

Trascorreva le giornate sul terrazzo o chiuso in camera sua a fissare il soffitto.

Per qualche tempo i suoi avevano cercato di spronarlo, i suoi compagni di squadra erano andati a trovarlo ma era chiaro a tutti che senza Hajime, Oikawa era divenuto un guscio vuoto, un sacco di carne e sangue senza uno scopo.

Di notte sentiva il cuore battergli nelle orecchie e si chiedeva come potesse quell’organo muoversi quando nel petto lui non sentiva altro che un vuoto infinito. Un vuoto che si espandeva pian piano, notte dopo notte, mentre il ricordo degli occhi di Iwaizumi lasciava il posto ad un brutto film che la sua testa aveva partorito in sostituzione dei ricordi mancanti.

Un film in cui l’amico lo strattonava sbilanciandosi.

Una pellicola guidata da un regista malato dove due ragazzi venivano investiti e sbalzati sull’asfalto mentre la pioggia cadeva.

Oikawa voleva svegliarsi, a quel punto, non voleva vedere il seguito. Ma era sveglio. Era sveglio e i suoi occhi erano spalancati, ma con gli occhi della mente non poteva smettere di vedere il suo amico ridotto a un ammasso di membra insanguinate, il viso sporco, graffiato e mortalmente pallido che si voltava al rallentatore a cercare il suo sguardo.

Vedeva il sangue sgorgare dalle sue labbra ceree ad ogni rantolo silenzioso.

Quando la consapevolezza iniziava a farsi largo negli occhi verdi di Hajime, Oikawa era costretto a vedere l’ultimo sospiro di sollievo lasciare il suo corpo prima che le iridi brillanti divenissero opache. Senza vita.

Continuava ad avere questa scena davanti agli occhi in ogni momento del giorno. E si torturava Tooru, continuava a guardarla, si obbligava a guardare ogni macabro fotogramma che il suo cervello decideva di propinargli, perché sapeva di meritarselo.

Sapeva che Iwaizumi era morto per colpa sua.

Per salvare la sua miserabile vita.

La stessa solfa si ripetè fino al 10 di Giugno.

Il compleanno di Iwa-chan.

Quel giorno il suo unico amore avrebbe compiuto diciotto anni.

Il sole splendeva beffardo, ridendo del suo dolore, del vuoto incolmabile nel suo petto e nella sua anima.

Aveva comprato lo stupido cofanetto di Jurassic Park, con la trilogia completa. Non sapeva nemmeno il perché. Lo aveva visto durante una delle sue lunghe camminate in solitaria e l’aveva comprato.

Lui lo avrebbe apprezzato.

Se tutto fosse andato per il verso giusto si sarebbero incontrati subito dopo pranzo, sarebbero andati a casa sua  e stravaccati sul divano avrebbero fatto la maratona di film sgranocchiando pop corn e bevendo coca-cola.

Se tutto fosse andato come doveva Oikawa non avrebbe avuto quella stupida stampella a cui appoggiarsi né quelle orribili scarpe ortopediche con il plantare scomodo e nemmeno la camminata buffa e ondeggiante con cui ormai si spostava.

Eppure non sarebbe cambiato nulla se quello avesse potuto ridargli colui che era il suo cuore, il suo fiato e la sua anima.

Come un fantasma ripercorse le strade che facevano insieme perdendosi nel viale dei ricordi.

L’angolo dove gli si era rotto il braccialetto che avevano vinto al festival di fine estate e il suo migliore amico si era fermato ad aiutarlo a raccogliere tutte le perline fino all’ultima.

Il chiosco dove compravano i ghiaccioli d’estate quando totnavano dal parco giochi.

Il campetto dove improvvisavano palleggi e schiacciate.

Passò davanti alla scuola materna dove i bambini sgambettavano felici dietro a una palla rossa. Si fermò davanti alla loro scuola elementare, lì avevano mosso i primi passi nella pallavolo; poi alle medie, alla Kitagawa Daiichi, avevano portato la squadra a vincere più e più volte assaggiando per la prima volta anche la delusione cocente della sconfitta.

La Shiratorizawa, la più forte tra le scuole.

La sua supremazia era indiscussa.

A quel tempo Hajime lo aveva salvato da sé stesso e dal terrore di essere sostituito in squadra dal piccolo Tobio Kageyama, una vera promessa nonché un talento davvero unico.

Lo aveva salvato ricordandogli che in campo si vince e si perde come squadra.

Loro due erano una squadra anche nella vita.

Non aveva pianto nemmeno una volta, Oikawa, non ci riusciva. Si sentiva un ipocrita a piangere per la persona che aveva ammazzato con la propria idiozia.

I suoi occhi erano asciutti anche quel giorno mentre ripercorreva le storie di una vita felice che sembrava non appartenergli più e che nonostante tutto era il suo tesoro più prezioso.

Camminò a lungo, arrivò lontano come non era mai andato da quando era stato operato. Aveva male alla schiena, l’anca gli mandava scosse di dolore che si propagavano a tutta la gamba.

Zoppicava visibilmente, ma non gli importava. Voleva arrivare in quel posto speciale.

Arrancò su per la lunga scalinata, attraversò i sentieri bucolici del parco fino a raggiungere il belvedere che si affacciava sul canale e dominava la parte  vecchia della città.

Lì lui e Hajime erano soliti trascorrere le ore prima delle partite. Quante albe avevano visto nascere dietro il tetto del comune, quante volte avevano visto il canale tingersi di viola rosso e arancio prima di trasformarsi in una colata d’oro.

Era uno spettacolo che non avevano mai rinunciato a vedere anche se significava alzarsi molto presto. Cosa che Tooru non amava particolarmente.

Ed eccolo lì, finalmente. Quel panorama familiare illuminato dal sole arancione del tardo pomeriggio.

La brezza leggera che gli scompigliava i capelli gli riportò alla mente la sensazione di leggerezza che aveva provato il giorno dell’incidente.

Aveva volato davvero.

Non era come saltare, era una sensazione ancora migliore perché la sensazione era proprio quella di avere le ali.

Il sole stava calando tingendo ogni superficie di arancio. Le ombre erano tutte sbagliate rispetto a quelle dei suoi ricordi, ma il canale riluceva  della stessa magia dorata che amavano contemplare in silenzio.

Salì sul parapetto, Oikawa, gustandosi la sensazione del vento tra i capelli. Se chiudeva gli occhi poteva immaginare che fosse la mano di Iwaizumi, mentre il bacio caldo del sole sulle sue labbra poteva essere un suo bacio.

Il suo primo bacio.

Conservato gelosamente per colui che non era più lì.

Mentre il sole gli baciava le labbra con la delicata dolcezza che Oikawa aveva sempre immaginato avrebbe avuto Hajime, i suoi occhi si aprirono, e in quel momento, in quel perfetto momento, confuso tra sogno e realtà Tooru bisbigliò quelle parole che gli erano rimaste incastrate in gola per troppo tempo.

-Ti amo Iwa-chan. Ti ho sempre amato -.

Forse fu solo il suo delirio a fargli sentire una carezza calda sulla guancia e un sussurro che sembrava rispondergli.

-Ti ho sempre amato anche io -.

Fu in quel momento che le lacrime trovarono la strada e sgorgarono dai suoi occhi, annebbiando il panorama della città dorata in quell’attimo perfetto prima del buio.

L’attimo in cui Oikawa spalancò le ali e volò più in alto del sole, sorretto da un vento gentile a cui non importava delle sue lacrime, perché presto si sarebbero mescolate con l’oro liquido che segnava la strada per raggiungere, finalmente, il suo amore.

   
 
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