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Autore: Walking_Disaster    06/04/2016    1 recensioni
{ DA: Inqusition, DorianxInquisitore (Cailen) }
OS introspettiva in terza persona quasi esclusivamente Dorian!centric. Si colloca dopo la prima volta in cui hanno fatto sesso, i giorni/le notti successiv* a quanto successo. L'opzione di dialogo che fa da prompt alla FF è la risposta che l'Inquisitore ("tra di noi c'è già qualcosa di più" - o una cosa simile) dà a Dorian quando lui confessa che nel Tevinter certe attività tra uomini sono concesse solo per puro divertimento.
Dorian mi ammazza e io ci scrivo sopra, capitemi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dorian Pavus, Inquisitore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Cervo

A me, Ele e Dorian.

 

 

 

C'era di più tra loro”, aveva detto l'Inquisitore. E chissà che definizione aveva quel “di più”. “Di più” nel senso – potevano divertirsi? Sorridersi e ammiccarsi? “Di più” - che non sarebbero finiti a fare del sesso una sola volta?
I “di più” nel mondo di Dorian erano così incredibilmente relativi che quasi si sarebbe guardato allo specchio per capire meglio – per capire se era ancora lui a vivere in quell'enorme castello. I “di più” erano stati studio. Esercizio, feste, silenzio, rimproveri, educazione, rispetto, schiaffi. Doveva diventare più bello, perché era un Pavus e un giorno avrebbe dovuto generare un erede. Doveva diventare più forte, perché era un magister.
Poi c'erano i momenti in cui quella cortina di “di più”, gelidi e pesanti sulle spalle che si erano rinforzate con gli anni, si dipanavano appena e lo lasciavano respirare. Era come essere perennemente sott'acqua, perennemente sottoposto alla pressione e alla mancanza d'ossigeno. Poi si apriva uno spiraglio e lui saliva rapido verso la superficie e si gonfiava i polmoni – nei bordelli, stringendo talmente forte le lenzuola sudice tra le dita da farsi male. Chiudeva gli occhi, fingeva d'essere altrove e centellinava ogni momento passato ad illudersi sul suo futuro; un futuro non scritto, lontano anni luce, in compagnia di Amore – con la A maiuscola (maschile). Poi anche il sesso finiva, i sorrisi si spegnevano e il letto veniva rifatto per il cliente successivo – e Dorian ripiombava nel suo ricco mondo opulento e così dannatamente obsoleto.
Quando aveva compreso di essere diverso c'erano ancora le illusioni. C'era ancora l'innocenza di un ragazzino che si straniva, arricciava il naso e non capiva perché arrossisse quando il suo compagno di giochi gli rivolgeva parola. Era un tempo in cui Dorian ancora sapeva cosa significava imbarazzarsi – perché l'imbarazzo sono le guance rosse dell'innocenza, e lui non lo era più da anni. Perché imbarazzarsi significava tenerci e lui – oh, lui aveva tenuto a così poche cose...
c'erano ancora quei ridicoli calzini che arrivavano poco sotto al ginocchio e fiammelle timide che si aprivano su palmi di mani di latte e una zazzera arruffata che doveva sempre spostarsi dagli occhi. Disciplina era stata la parola d'ordine, lignaggio la spada, casata il trono.
E Dorian – Dorian aveva visto troppe volte sua madre piangere a causa di una vita che non voleva e i litigi di due sconosciuti forzati a condividere il letto per dovere. D'altronde l'idea era quella: quello sarebbe stato il suo destino e via a spaccarsi la schiena su libri più pesanti di lui.
Sarebbe stato semplice abbassare il capo e lasciarsi sommergere completamente dall'oceano che teneva sulla schiena. Molto semplice – troppo semplice per una persona che amava così tanto la vita da opporsi ad un sistema intero. Perché per quanto il diverso sia prezioso, è diverso – per definizione. E quindi da temere.
Amare la vita nella sua interezza – il dolore, la gelosia, il piacere, un tramonto, un ideale, l'amore e la rabbia – quelle non erano usanze del Tevinter. Non erano usanze del Tevinter o dei Pavus, ma erano usanze di Dorian – così fintamente convinto di se stesso da non capire quando la maschera si sbriciolava e quei complimenti che si sprecavano al vuoto venivano fatti con sincerità e convinzione da una terza persona. Perciò si era spaventato – come un cervo, maestoso e bello, ma cresciuto in gabbia e lasciato libero. La freccia arrivava e lui, non abituato alla guardia alta, restava di stucco.
Fortunatamente per il mago non era stata una freccia ad arrivargli addosso, ma l'interesse vivo, vibrante e reale di un'altra persona. Un interesse sconosciuto, così piccolo e delicato come un pulcino, da osservare compiere i primi passi nell'aia e pigolare timidamente al mondo. E come un pulcino quell'interesse andava custodito, così prezioso da brillare negli occhi dal colore indefinibile di Dorian. Guardato con sospetto, sgualcito già prima di nascere, era stato accolto con diffidenza. Poi però aveva capito: Dorian, per la prima volta in vita sua, era voluto. Non per le sue capacità magiche, non per la sua bellezza o per il suo cognome – per Dorian. Perché anche Dorian aveva un peso nel mondo che troppo l'aveva ignorato.
Era stata una rivoluzione, il febbrile agitarsi d'uno sciame d'api impazzito – un incredibile caos che l'aveva travolto, stordendolo. E allora guardia alta, come il cervo liberato. Guardia alta e il cacciatore non l'avrebbe avuto, si diceva. Ma la freccia era stata più veloce e proprio al cuore l'aveva colpito e ora sanguinava copioso – sangue nuovo, bianco come il latte e brillante. Ed ora Dorian, sporco, splendeva – perché ascoltato; perché le sue parole smettevano d'essere menzogne, spazzate via dal vento. Diventavano semi che germogliavano, delicati e nuovi, ed era Cailen ad insegnargli come prendersene cura.
Non era semplice per Dorian accettare l'idea di essere la reale priorità di qualcuno per il puro e semplice voler bene – senza secondi fini vili e viscidi. Non era semplice per Dorian pensare di non poter dare niente in cambio, perché semplicemente l'altro non voleva niente in cambio. Al giovane mago del Tevinter gli era sempre stata richiesta l'imbellettata, perfetta, falsa parte peggiore di sé – un rospo vestito da principe. Ora il punto di vista ruotava, si spostava completamente, da sotto era in su, da destra a sinistra e gli si richiedeva l'altra parte: nascosta, piccola e pallida, ma era quella migliore, con tutti i difetti del caso che sarebbero stati amati incondizionatamente – era questo ciò che gli sussurravano i baci posatigli sulle palpebre chiuse, le carezze lasciate vagare sulla curva delle cosce o il sorriso sfiorato con la punta delle dita.
E Dorian si sentiva incapace di ricambiare quell'enorme e candida nube dentro cui era e si limitava a galleggiare senza capire, col dubbio che tutto sarebbe scoppiato da un momento all'altro, come uno specchio infranto.
E quindi Dorian aveva paura, ma c'erano tante cose che non sapeva. Per esempio non sapeva come sorrideva al suo Inquisitore quando lo guardava. Ma Cailen l'aveva notato: sorrisi piccoli, disegnati su quelle labbra morbide, dolci come il miele. Aveva notato come il timore gli oscurasse il viso quando gli pareva di esporsi troppo e le sue ritirate su fronti sicuri, rapide e confusionarie. Aveva notato la nostalgia del Tevinter, il bisogno spasmodico d'essere amato e conosciuto, di mettere la testa fuori dall'acqua e lasciarcela – perché era questo che Dorian Pavus si meritava: amore, troppo a lungo negatogli. E Dorian era un cervo cresciuto in una gabbia, manchevole della fiducia necessaria per accucciarsi e lasciarsi ammirare al sole e tuttavia così bisognoso di potersi lasciar andare.
Ed allora Cailen aveva deciso che avrebbe pensato lui ad avvicinarlo, piano, senza spaventarlo. Dandogli ciò di cui aveva bisogno anche senza accorgersene. Era per questo che gli baciava le palpebre, gli accarezzava la curva delle cosce e gli sfiorava le labbra quando sorrideva.
E fu per questo che quella notte, quando Dorian gli sussurrò che la luce del marchio lo disturbava con il solito atteggiamento impostato e teatrale, Cailen gli prese la mano e gliela strinse.
“Così non darà più fastidio.”
Aveva sussurrato in risposta, la luce verdognola adesso soffocata dalle dita intrecciate di ciò che resisteva in quel mondo corrotto: loro due.
Chiaramente Dorian restò a scrutare il buio per altro tempo ancora, dopo essersi ritrovato con la mano stretta in quella dell'altro.
E da quella notte ogni notte si stringono le mani, perché la luce dà noia e Dorian vuole dormire. Ed è strano, ma è ogni notte da allora che Dorian è tornato ad arrossire.

 

 

 

 

Walking_Disaster's corner:
Cambiare lido ogni tanto fa bene e non avendo più un fandom principale si scrive su ciò che prende – che al momento è Dragon Age. Do la colpa alla Bioware, a Morrigan, Hawke, Anders e Isabela (i miei primi bambini per la vita). Alla mia bff che invece di volere il mio bene mi ha iniziato a questo videogame, a Dorian per essere così schifosamente Dorian (non so se si capisce dalla OS, ma sto avendo qualche problema a non prendermelo a cuore) e a Ele, che mi sopporta, mi supporta e mi imbottisce di fan art /sweetie conosciuta in un free group di Les Mis. Se non è destino questo io non so che cosa sia.
Spero mi facciate sapere che ne pensate e di non aver fatto un gran casino e basta.
Enjoy,
WD

 

   
 
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