II. Promessa
“Ho vinto ancora io!” Dico a Costa,
schernendolo, dopo l'ennesima partita che ha perso a Grand
Theft.
“B-basta c-ca-ambiamo
gioco.”
“Aah, Costa, giocare con te non è
divertente.”
“N-non romp-pe-pere.”
Lancia il joystick in un angolo,
buttandosi a sedere sul letto accanto a me.
“D-dove s-sei a-a-a-a...”
“Uff! Non te lo dico dove
sono andato oggi.”
“Ah-ha! Un
app-puntamento gaga-galante,
e-eh?”
“Va a quel paese.”
Mi alzo e lo lascio lì, sdraiato sul mio letto con le
patatine in bocca e la play-station accesa.
Non posso mica raccontargli che mi sono visto con Axel; altro che appuntamento galante!
Sarebbe addirittura capace di ricamarci su chissà
quali storie schifose, con la sua fantasia da pervertito.
Mi dirigo al bagno, ma arrivato davanti alla porta mi rendo
conto di aver fatto la strada sbagliata.
Sono di fronte alla camera di Lena, bloccato con la mano alzata
a mezz'aria sopra la maniglia.
Riesco a sentire la sua voce giungere ovattata dalla stanza.
Senza neanche pensarci, accosto un orecchio al vetro che ci
divide.
“Cathy, cos'ho fatto?”
È indubbiamente lei. Parla in modo incerto, tremante:
si direbbe stia piangendo.
Fa una pausa, il fiato mozzato da ansimi convulsi.
“Sono un'idiota. Lui adesso mi
odierà.”
Altri singhiozzi, poi un tonfo.
Il suo pianto arriva ora più lontano.
“Come farò senza di lui?”
Pietosa.
Non voglio ascoltare un secondo di più queste idiozie.
Scendo gli scalini a due a due, verso l'ingresso di casa.
Prendo su il giubbotto e apro la porta.
Solo ora mi accorgo di non avere
idea di dove andare.
In attesa di giungere ad una decisione mi siedo sulle scale
davanti all'edificio; tanto è sicuramente meglio stare qui, che dentro
quel manicomio.
Improvvisamente le parole di Axel
mi tornano alla mente.
Ha detto di voler rinunciare a Lena.
Forse, se davvero ha intenzione di mantenere la promessa,
dovrei approfittarne.
Forse è proprio il momento giusto; lei ora mi vuole.
Na, ma che pensieri stupidi mi
vengono in mente? Con quella sgualdrina...puah.
Stare da solo non mi fa bene. Intenzionato a tornare da Costa
– magari una bella partitina alla Play mi aiuterà a distrarmi
– mi giro, ma non faccio in tempo a toccare il pomello della porta, che
quella si apre da sola.
Stringe fra le mani un sacchetto dell'immondizia e lacrima
silenziosa.
Mi vede e per un secondo si dà tregua, ferma il
pianto. Poi, nuovamente in preda a spasmodici singhiozzi, mi oltrepassa e si
allontana.
È pazza, incostante, imprevedibile - ho già
detto pazza? - e irascibile.
In due parole: Lena Schneider.
E io, stupido, ignorante, all'apparenza insensibile,
muscoloso immigrato turco, la seguo.
Chiaro sintomo della mia idiozia.
La raggiungo quando già è arrivata al bidone,
e ancora non ha smesso di lacrimare.
“Ehi Lena. Che fai
piangi?” Le
dico, per farla reagire.
Lei mi tratta come se fossi invisibile, continuando a
tentare invano di spingere il pesante sacco dentro il cestino stracolmo.
Ma non dovrei essere io quello arrabbiato? Non dovrei essere
io ad ignorarla e trattarla male?
Certo che sarebbe più gentile sparare alla croce
rossa, che offenderla in questo momento.
In effetti mi dispiace vederla
così, ma solo perchè sono il suo
fratello maggiore, sia chiaro.
“Guarda che è stata colpa tua. Non avresti dovuto andare a letto con Axel.”
Escono così, da sole, ma chissà perché
le mie parole non sembrano confortarla.
Però almeno un effetto lo sortiscono; finalmente lei
si gira e mi guarda in faccia.
“Se solo tu ti fossi deciso prima, e non avessi
raccontato balle a tuo padre...” La sua voce,
sebbene ancora incerta, riprende vigore
nell'accusarmi.
“Andiamo Lena. Se mi amavi perché l'hai
fatto?”
“Perché credevo che tu ci fossi andato con
quella prostituta. Ma ti giuro che ti amo e che vorrei che con Axel non fosse mai successo niente. Cem,
se potessi andare indietro nel tempo ti aspetterei.”
Mi guarda, e a giudicare dai suoi occhi tristi e acquosi si
direbbe che sia sincera.
Purtroppo questo non basta.
“Ma ormai l'hai fatto. Non posso fingere che non sia
così.”
“Se mi ami puoi farlo, puoi passarci sopra.”
“Scordatelo.”
“Allora attenderò che tu mi perdoni. So che prima o poi tornerai da me.”
Sul suo viso, la tipica faccia di quando vuole sembrare
sicura di sé, ma non crede neanche lei a quello che dice.
D'un tratto, non sopporto più la vista del suo labbro
sporgente incurvato verso il basso, delle lacrime asciugate sulle guance e dei
suoi occhi lucidi, supplicanti.
E in un secondo, eccomi varcare di nuovo la soglia
dell'ingresso.
Non era male l'idea della partita alla play-station con Costa.