Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Jultine    08/04/2016    1 recensioni
Quando si dice "tratto da una storia vera".
A volte, una sana risata può nascondere qualcosa di molto pesante, qualcosa di polveroso. Qualcosa di molto simile alla muffa che si annida negli angoli e prosegue, striscia, fino ad occupare intere pareti.
E quando si rimane da soli, nella luce elettrica della metro, tutto diventa meno divertente.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Muffa

 

 

E` la prima volta che metto piede su un tram. Penso che quasi quasi mi vengono le lacrime agli occhi. E` una sensazione strana, un po' come quando si da il primo bacio e ci si sente per meta` sciolti nell'acido e per meta` nel burro.

Scatto un paio di foto: saranno la prova dell'esistenza di quel tram che, dopo ere di attesa febbrile, finalmente ho beccato.

Immagino che vi starete chiedendo dove sia diretta. Semplicemente e con tutta franchezza: da nessuna parte. In realta` una meta ce l'avevo ed era il Policlinico. Solo che volevo provare l'ebbrezza dell'avventura (essendo tra l'altro uscita di casa in netto anticipo) piombando a sorpresa sul tram. Metasorpresa, tra l'altro, perché non mi aspettavo affatto che passasse proprio da qui. E no, i binari non sono una prova. Sono come san Tommaso, io.

Comunque, arrivo al capolinea, stazione Centrale. Comodo, perche` il bus per il Policlinico passa proprio da qui. Mi ficco le cuffie nelle orecchie e mi sparo la playlist da blitz degli SWAT nei film d'azione, e attraverso la strada come se stessi andando incontro al mio destino, col vento che mi spelacchia il ciuffo. Artistico.

Per mia fortuna (non sono un asso nelle relazioni umane) la fermata dell'autobus e` deserta. Alle mie spalle c'e` una bancarella di fumetti usati, e con strabismo tattico getto uno sguardo per vedere se hanno roba su Deadpool. Con l'altro occhio controllo la situazione vetture. Niente su entrambi i fronti.

Intanto  al  mio  fianco  e`  spuntato  un vecchietto.  Mi dico che carino, come se avessi visto un gerbillo, e mi accendo una sigaretta.

Tace. Vorrei tanto che cominciasse a sproloquiare su Mussolini o a raccontarmi roba sulla guerra mentre io rimango muta e mite ad annuire. Magari l'autobus arriverebbe piu` in fretta. Magari.

L'autobus alla fine arriva ma con venti minuti di ritardo meridionale. Sospiro: dovro` correre come l'ultima volta e arrivare allo studio sudata come Bolt al traguardo e odorosa di cane bagnato. Colpa di quel tram tutto seducente che...

Policlinico, finalmente.

Entro dal retro, oltre la barra di sicurezza, dove ci stanno parcheggiate le ambulanze in pausa pranzo. Questa e` l'unica strada che mi permette di trovare il polo di psichiatria in mezzo all'intrico di vie, viali e viuzze. Che poi ognuna di queste ha il nome di qualche branca medica o malanno misterioso. Grazie, rinfrancante per davvero.

Ovviamente, dopo aver esplorato ogni anfratto come al solito, mi perdo. E qui scatta la maledizione: medici e infermieri scompaiono misteriosamente ogni volta che mi servono, e quindi praticamente una volta al mese, quando mi scapicollo qui.

Risco a beccare un inserviente poco conscio della propria esistenza e gli chiedo con tono pigolante: "Scusi, per psichiatria?"

"Pissichiacia? Allora..." e mi spiega tutto per filo e per segno.

"Grazie mille e buona giornata."

Non afferro molto, ma dopo un breve peregrinare ci arrivo. Saluto le gradinate del polo con un urlo animalesco di vittoria (ma anche di piacere, volendo essere sconci) e mi ficco nell'ascensore agitando gioiosa il sedere. Non vedo l'ora di ritrovare i miei amichetti del reparto (dai giovani psicotici agli adulti depressi o ludopatici) per intrattenermi con i soliti baratti di cibo e sigarette di contrabbando.

Ebbene si`.

L'idea me la diede un ragazzo schizofrenico che chiameremo A. Un giorno, mentre aspettavo che la mia psichiatra mi facesse chiamare, vidi che questo tizio aveva un pacchetto di sigarette di contrabbando. Io tutta eccitata dal brivido illegale, gliene chiesi una e cominciammo a parlare. Alla fine, visto che lui non aveva monetine, mi offri` tre sigarette per una merendina delle macchinette. Il resto e` storia.

Giungo in reparto con aria boriosa, senza ragione, tanto per darmi un tono da disagiata fra i miei simili. "Buondi`."

Mi arriva un moscio coro di "ciao".

Butto lo zaino per terra e mi ci accovaccio accanto. Controllo l'orologio: dieci minuti d'anticipo, sono davvero grande.

Perfetto, mi dico, è il momento di agire.

Tiro fuori dallo zaino tabacco e cartine, e comincio a mormorare tra me e me quanta fame io abbia e quanto tabacco buono mi sia portata dietro. Getto l'amo, insomma.

E qualcuno, un depresso per essere precisi, abbocca. "Ti secca se mi fai una sigaretta?"

Io gli sparo un'espressione che è tutto dire.

"Che dice se gliene rollo tre e lei mi offre un pacchetto di mikado?"

"Amuni`."*

Mentre tutta contenta finisco di rollare l'ultima sigaretta (e la merendina piomba nel cassetto della macchina) sbuca fuori dal nulla la mia psichiatra.

Cala il gelo. Lei sa, ma pensava avessi smesso. "Prenditi quei mikado e vieni dentro, dai."

Il suo tono non promette nulla di buono.

Ci addentriamo nel corridoio che porta allo studio (di fronte alla saletta dei tirostronzanti) e una volta giunte alla meta (mi cadono le gonadi) ci accomodiamo.

"La devi smettere di commerciare coi pazienti." Finge di essere seria, ma sorride sotto ai baffi. "Lo so, curami." e le mando un bacio.

Sospira.

"Quindi come sai?" "Sopravvivo."

"Mi devi dire qualcosa sui medicinali?" "Non che io sappia."

Stavolta si fa seria per davvero. "Smettila, avanti."

"Dunque" comincio "sempre le solite cose. Non posso dirti altro, diciamo che mi censuro. Non voglio che la gente che sta leggendo questo racconto faccia ulteriore gossip su di me."

"Racconto?"

"Questa cosa sta prendendo una brutta piega."

Ci mettiamo a chiacchierare del piu` e del meno, di problemi piu` veri che finti e di gioie piu` finte che vere. Tocco il culo ad una tirocinante fingendomi sbiellata, ci provo con la psichiatra in modo palesemente goliardico e poi mi dileguo. Arrivederci e grazie, con tanto di nuova  prescrizione.

In un'altra vita questa tipa fara` la pusher, ve lo dico io.

Mentre torno a casa in metro, sbocconcello la mia merendina di "contrabbando" e mi metto a rimuginare. Non ho voglia di sorridere, non adesso.

Guardo fuori dal finestrino. Mura, mattoni, case gialle, di nuovo mura umide e nerastre. Sembra la mia vita.

Forse questa storia di nascondere il disagio dietro battute di dubbio spirito comincia a fare la muffa, proprio come me e quei muri di cemento.

Fermata. Torno a casa.

Mi annuncio urlando che la doc me l'ha messa di nuovo nel culo.

"Come si chiamano le pillole?" chiede mia madre. "Vastasunazza**, parla bene!" bercia mio padre. "Abilify." rispondo io.

Saluto la mia gatta con un boffetto sul sederino. Vado a rintanarmi in camera, da sola.

E` vero, comincio a fare la muffa proprio come quelle mura nerastre della metro.

 

 

* andiamo; d'accordo

** sporcacciona

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Jultine