Anime & Manga > Ranma
Segui la storia  |       
Autore: Mana Sputachu    08/04/2016    3 recensioni
Ero convinta della bontà delle nostre leggi, che sposare l’uomo che mi avrebbe battuta fosse la cosa migliore, senza accorgermi di come il nostro modo di vivere funzionasse finché limitato a quelle montagne.
Ero libera come un uccello in gabbia, ma per rendermene conto avevo, ironicamente, dovuto attendere il momento in cui mi avrebbero davvero dato quella libertà.
Non perché la meritassi, ma perché era la mia punizione.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cologne (Obaba), Mousse, Shan-pu
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

4. Nevermore

 

Cos it's all in the hands of a bitter, bitter man

Say goodbye to the world you thought you lived in…


 

15 Marzo 1990

 

Pochi giorni dopo partimmo in fretta e furia per la Cina.

Io, la bisnonna e Mu-Si.

Il Consiglio voleva risolvere la cosa alla svelta e nella maniera… migliore possibile.

Ricordo distintamente il brivido che provai nell’udire quelle parole: i decani di Joketsuzoku ritenevano che eventuali punizioni dovessero essere esemplari per tutto il villaggio, e una situazione come la nostra meritava la più severa delle pene.

E la loro idea di severo era ampia. Molto ampia.

Ma continuare a rimuginarci su non sarebbe servito a rimandarla o a cambiare le carte in tavola: potevamo solo presentarci lì e sperare nella clemenza dei kami.

 

***

 

Shanghai è esattamente come la ricorda.

Grande, caotica, piena di gente e di profumi che quasi aveva dimenticato e che adesso le impregnano le narici; se fosse stata una gita di piacere, Shan-Pu si sarebbe concessa un paio d’ore girando senza meta gustando dei baozi; ma l’occasione è infausta e il tempo stringe, e diversi treni e un carretto di fortuna dopo giungono finalmente nei pressi di Joketsuzoku. Anche il villaggio è proprio come lo ricorda: piccolo, chiuso, diffidente verso il mondo esterno.

Gli sguardi dei suoi compaesani sono sfacciati ed eloquenti: «Davvero è andata a letto con Mu-Si?», «Shan-Pu è sterile?», «Con che faccia si è ripresentata al villaggio?».

Cerca di evitarli camminando a testa alta e guardando dritto davanti a sé; di quando in quando si volta verso Mousse, che al contrario di lei sembra non curarsi assolutamente di ciò che pensano gli altri… come ha sempre fatto, fin da quand’era bambino.

Obaba li precede e i passi svelti ne rivelano l’agitazione: la situazione è critica e fare aspettare gli anziani può solo aggravarla.

La calca comincia a disperdersi, e davanti a loro finalmente si intravede la sede del Consiglio di Joketsuzoku.

 

***

 

L’atmosfera era dannatamente tesa, e gli sguardi fissi su di noi - su di me - non aiutavano a stemperarla. Volevo solo scappare, andare in un posto dove nessuno mi conosceva e non sapeva della colpa che mi portavo dietro.

Non avevo idea di cosa mi aspettasse una volta al cospetto degli anziani: quale punizione avevano in serbo per me? Mi avrebbero chiusa in prigione, o torturata?

Mi avrebbero uccisa?

 

***

 

È la prima volta che Shan-Pu entra nella sala del Consiglio di Joketsuzoku, e inevitabilmente si lascia distrarre da tutto quello sfarzo, quello splendore: lascia correre lo sguardo sulle colonne rosse laccate, sui decori dorati, sui dragoni e i legni intarsiati che adornano le pareti, e non riesce a non pensare a quanto sia distante dal suo villaggio; un lusso che si contrappone alla povertà della gente là fuori, ma che non ha mai intaccato il loro orgoglio amazzone.

La sala in cui vengono portati, tuttavia, è spoglia e tetra, con scranni su entrambi i lati per i membri del Consiglio; di fronte a loro vi è il pulpito riservato alle cariche più alte, e tra loro adocchia subito Wei-Zan, il membro più anziano e rispettato del Consiglio; tra lei e Obaba non è mai corso buon sangue, e Shan-Pu ha il sospetto che quel sorriso beffardo nasconda una voglia di rivincita celata per anni.
Forse il suo errore è ciò che gli anziani aspettano da più di un anno e lei gliel’ha servito su un piatto d’argento.

«Tu sai perché ti trovi qui, Xian-Pu?»
La pronuncia cinese del suo nome la fa trasalire distogliendola dai suoi pensieri; non la sentiva da tanto tempo. Annuisce velocemente, ma a Wei-Zan non basta: «Rispondi ad alta voce.»
«S-sì.»

«Bene. Ti renderai conto, quindi, di quanto grave sia la situazione… e non mi riferisco solo al tuo» si ferma un attimo, ghignando «errore con Mu-Si, ma soprattutto alle conseguenze.»

Mousse non batte ciglio, e anzi sostiene il loro sguardo senza alcun timore; Shan-Pu gli invidia quell’apparente sicurezza, lei che al momento preferirebbe morire lì sul colpo invece di attendere l’esito di quell’udienza.

«Il consiglio ha discusso a lungo sui provvedimenti da prendere» prosegue Wei-Zan, «in centinaia di anni non si era mai verificata una situazione del genere: per nostra fortuna le donne di Joketsuzoku sono sempre state forti e in grado di mettere al mondo figli sani, quindi non abbiamo mai avuto necessità di stilare delle leggi in caso di sterilità. Ma a quanto pare c’è sempre una prima volta» ridacchia, una risata fastidiosa come unghia su una lavagna; poi si zittisce e volge lo sguardo verso Mousse: il ragazzo cerca di mostrarsi calmo ma lo stupore sul suo viso è evidente a tutti in sala; Shan-Pu lo osserva in un misto di paura e… rimorso. La bisnonna non aveva detto nulla a Mousse se non lo stretto indispensabile per giustificare il viaggio: lo aveva convinto che il motivo era la loro notte brava, ma era totalmente ignaro della situazione della ragazza.
E lei adesso si sente in colpa.
La voce della decana interrompe i suoi pensieri: «Giovanotto, spero tu ti renda conto del guaio in cui vi siete cacciati.»
«Sì.»

«Spero anche che tu sia pentito di ciò che hai fatto.»
«No.»

Tanta schiettezza e sfacciataggine colgono di sorpresa Wei-Zan e gli anziani, persino Obaba lo guarda sconvolta; Shan-Pu è combattuta tra la tentazione di picchiarlo per farlo rinsavire e l’invidia per quella sicurezza nel prendersi la  responsabilità delle proprie azioni, affrontandone le conseguenze.

Un colpo di mano sullo scranno e Wei-Zan riporta il silenzio in aula: «Visto che le cose stanno così, è ora che vi comunichi quanto il consiglio ha deciso.»

 

***

 

Passai in rassegna ogni ipotesi possibile e immaginabile senza sapere quale fosse la peggiore… ma quando comunicarono la loro decisione mi resi conto che esistono molti modi di intendere la parola “punizione”.

 

***

«Dopo lunghe e accese discussioni, siamo giunte alla conclusione che le opzioni sono due» tuona la vecchia, e di nuovo rimane in silenzio per qualche secondo; forse, pensa Shan-Pu, la loro disperazione è un enorme fonte di sollazzo per lei.

«Opzione numero uno: tornate a Joketsuzoku e riprendete la vostra vecchia vita da dove l’avevate lasciata.»

Un ringhio da parte di Mousse lascia intendere che per il ragazzo non è una soluzione accettabile: tornare significa vivere nella vergogna, ridursi a reietti rifiutati da tutti, persino dalla famiglia.

«Opzione numero due: rimanete in Giappone, se lo desiderate. Ma non potrete mai più fare ritorno a Joketsuzoku o avere contatti con qualcuno del villaggio.»

Shan-Pu è allibita.

Di tutte le punizioni che ha immaginato quella è di sicuro la più inaspettata.

Libertà.

Poter vivere senza più seguire le regole del villaggio o preoccuparsi delle conseguenze, ignorando il giudizio degli altri perché ormai lontani.

Senza poter più vedere la propria famiglia, cancellata da Joketsuzoku come non fosse mai esistita.

La peggiore delle punizioni camuffata da opportunità.

Wei-Zan probabilmente sa quale sarà la loro scelta, e quando Mousse si alza ed esce dalla sala sorride, probabilmente soddisfatta dalla piega presa dagli eventi.

«Mu-Si ha fatto la sua scelta. Tu cos’hai deciso, Xian-Pu?»
 

***

 

C’è sicuramente della crudele ironia nel dover scegliere il male minore in una situazione che farà schifo in ogni caso.

Ricordo che rimasi in silenzio per diversi minuti chiedendomi cos’era meglio fare, se seguire Mu-Si e dimenticare Joketsuzoku o rimanere e accettare il peso della vergogna. Mi voltai verso la bisnonna sperando nel suo supporto, o almeno in uno sguardo preoccupato: mi guardò di sfuggita per poi voltarsi nuovamente verso il consiglio.

E allora capii qual’era la scelta migliore per me.

 

***

 

Senza fiatare, Shan-Pu si volta verso l’uscita.

L’andatura è incerta ma acquista sicurezza ad ogni passo, e quasi senza accorgersene si trova fuori e il suo sguardo incrocia quello dei suoi compaesani, che la scrutano e la giudicano come avevano fatto solo un’ora prima.

Davanti a quegli occhi curiosi la sua sicurezza vacilla: per un attimo vorrebbe tornare dentro, prostrarsi ai piedi di Wei-Zan e implorare il suo perdono.

«Shan-Pu.»

La ragazza si volta verso Mousse, che la attende all’uscita: la sua espressione è serena, sicura, quella di chi è convinto di aver fatto la scelta giusta.

Basta quello a donarle abbastanza fiducia da camminare a testa alta davanti alle altre amazzoni, senza voltarsi indietro.

Non è più Shan-Pu di Joketsuzoku.
Shan-Pu se ne va dal villaggio da donna libera.

 

***

 

Ero libera, è vero.

Ma a quale prezzo?

Avevo perso la mia identità, la mia storia, me stessa. Non sapevo più chi ero.
Questa e tante altre domande affollavano la mia testa durante un viaggio di ritorno lungo e silenzioso. Ad esclusione di poche parole, io e Mu-Si non parlammo per buona parte del tempo; immagino che nessuno dei due ne avesse voglia, soprattutto lui, impegnato probabilmente a rimuginare su quanto successo e quello che ci aspettava una volta tornati a Nerima.

Che ne sarebbe stato della mia vita, da quel momento in poi? Avrei continuato a gestire il Neko Hanten? Ne sarei stata capace?

Arrivammo al ristorante all’alba del giorno dopo, tornando in punta di piedi come quando eravamo partiti: faceva male vederlo vuoto, senza la voce della bisnonna a impartirci ordini; di dormire non se ne parlava proprio, almeno per me, così passai le ore seguenti a riordinare una già ordinata cucina, fare l’inventario delle provviste, piegare i tovaglioli. Quando finalmente crollai esausta su una sedia erano ormai le sette inoltrate, e forse complice la stanchezza feci una cosa che non avevo ancora fatto, tranne dopo la mia visita medica: piangere.

Piansi a dirotto, piansi tutte le lacrime che avevo trattenuto in quei giorni sforzando di mostrarmi forte e stoica anche quando non la ero; piansi fino ad addormentarmi sul tavolo, dove Mu-Si mi trovò qualche ora dopo.

 

***

 

«Shan-Pu? Ehi?»

Nonostante il mal di testa e quel terribile dolore al collo, la ragazza riesce a sollevare lo sguardo verso la voce: Mousse la guarda a qualche centimetro di distanza, evidentemente sorpreso nel trovarla ancora al piano di sotto.

«Che ci facevi qui a quest’ora?» chiede il ragazzo, e lei si limita a guardare l’orologio a parete: le dodici e trenta. In una giornata qualsiasi per il ristorante sarebbe ora di punta, pensa distrattamente.

«Ieri notte non riuscivo a dormire» replica lei, alzandosi e sgranchendo i muscoli «e così sono rimasta qui a sistemare e- ouch!»

«Tutto ok Shan-Pu?»
«Sì sì, solo una fitta…» mente lei portando una mano al ventre. L’universo cerca di ricordarle la sua condizione in ogni istante, anche quando vorrebbe solo dimenticare.

«Ne sei sicura?» insiste Mousse, e lei sbuffa: ha sempre detestato quella sua stupida insistenza, quel suo… tenerci a lei. «Sicurissima» borbotta, massaggiandosi istintivamente la pancia dolorante. Quando nota che lo sguardo indagatore del ragazzo è ancora fisso su di lei, decide di dirigersi in cucina con la scusa di preparare qualcosa da mettere sotto i denti: in questo modo spera di convincere quell’impiccione che non ha nulla di cui preoccuparsi, e lei forse potrà smetterla di pensare per un po’.

«Non mi sembri in forma.»

Ancora?

Shan-Pu decide di ignorarlo, o finirà per lanciargli addosso la pentola di acqua bollente; afferra due porzioni di noodles, delle verdure e del pollo che spera non sia andato a male durante i loro giorni di assenza. Quei movimenti meccanici riescono ad allontanare i pensieri e per un po’ riesce a svuotare del tutto la mente, trovando finalmente un po’ di quiete.

Ma la sua pace interiore sembra destinata a durare poco, perché durante il pasto Mousse si azzarda ancora a domandare: «Come va il dolore alla pancia?»
«Meglio» risponde a denti stretti, sperando che il ragazzo riesca a leggere tra le righe.

«Sicura? Vuoi parlarne?»

Shan-Pu si impone di non saltargli al collo: «Sono sicura, e no, non voglio parlarne.»

Per qualche minuto regna il silenzio, almeno finché Mousse non torna alla carica: «Forse raccontare tutto ti farebbe bene.»
«Quello che mi farebbe bene» sbotta lei, alzandosi e dirigendosi in cucina con i piatti «è dimenticare. E le tue continue domande non mi sono d’aiuto!»
«Sono solo preoccupato per te» balbetta il ragazzo, ma lei ha smesso di ascoltarlo: «Non preoccuparti per me! Non ho bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle, sono una guerriera io! Sono un’ama…» si ferma, perdendo d’un colpo tutta la spavalderia: «sono… ero un’amazzone…»

«Oh, Shan-Pu!» le si avvicina di scatto Mousse, ma lei si allontana: «Non toccarmi! Sto… sto bene. Sto benissimo!»

«No che non stai bene! Ma ti senti? Sei sconvolta, ferita, hai bisogno di sfogarti-»
«E dovrei farlo con te?!»
«Ti rimane forse qualcun altro?» risponde amaramente il ragazzo, e la frase sembra sortire un qualche effetto su Shan-Pu, che distoglie lo sguardo; Mousse le si avvicina, in un goffo tentativo di scuse: «Scusami, non volevo… è che tenerti tutto dentro così ti logora e basta! Dovresti…»
«...confidarmi? Raccontarti tutto?» ride lei, una risata amara che nasconde una sofferenza terribile. «Cosa dovrei dirti? Che è tutta colpa mia, perché qualche mattina fa sono andata a cercare Ranma e ho scoperto che ama Akane? Che me l’ha detto in faccia?» urla, lasciando scendere le lacrime. «Dovrei dirti di come ho cercato di aggredire quel maschiaccio, e di come Ranma me l’abbia impedito calciandomi così forte da rendermi sterile? Che l’imbarazzo che ho provato all’ambulatorio era insopportabile, e che sono andata a cercare Ranma una seconda volta per vendicarmi e dirgli cosa mi aveva fatto… e che quando ha cercato di farsi perdonare io stavo per cedere?»

Shan-Pu è un fiume in piena, e Mousse non può che osservare quel torrente di parole in silenzio.

«Cosa vuoi che ti dica, Mu-Sì? Che mi sento… vuota? Inutile? Che per un capriccio ho perso tutto quello che avevo? Ho perso la possibilità di avere bambini, la… la mia identità» singhiozza, accasciandosi sulle ginocchia. «Non sono più un’amazzone… cosa sono? Che cosa mi rimane?!»

Shan-Pu si lascia andare al pianto e alla disperazione, continuando a stringere quella pancia ormai difettosa. Senza accorgersene Mousse le si avvicina e osa un abbraccio, a cui lei però non si oppone, anzi si lascia cullare da lui, che pare essere rimasto il suo unico punto fermo nella vita.

L’ironia del trovare un appiglio nell’unica persona che fino a poco tempo prima avrebbe voluto lontana da sé non le sfugge.

 

***

 

Ancora una volta Mu-Si si era dimostrato quello maturo tra noi due.

Aveva sopportato le mie urla, i miei modi bruschi, ed era rimasto lì a raccogliere tutti i miei pezzi e cercare di rimetterli insieme.
E se non ci fosse stato lui, sarei ancora lì a piangermi addosso.



 

Say goodbye to the world you thought you lived in...

Say goodbye.


 

Soundtrack: Any other world - Mika


 


***

Questo capitolo è quello decisivo, in cui finalmente Shan-Pu va in contro alle conseguenze del suo errore ma soprattutto di quelle del calcio (involontario) di Ranma: è stato interessante da scrivere, ma è anche quello in cui sono entrata nel campo delle ipotesi riguardo il modo di comportarsi di Shan-Pu, Mousse e Obaba - cosa intrapresa in piccola parte nei precedenti capitoli, ma che da qui e nei prossimi due (che sono anche gli ultimi) si fa più importante - e per questo ho preferito cambiare gli avvertimenti e inserire l' OOC. Penso di essere rimasta abbastanza fedele ai loro caratteri pur avendoli buttati in una situazione assolutamente fuori dagli schemi takahashiani, ma insomma, sarete voi a dirmi se ho cannato di brutto o no. XD
Chi segue me e il socio Subutai Khan da un po' probabilmente avrà riconosciuto il nome Wei Zan: ai tempi in cui scrivevamo Secret la creammo come membro anziano del consiglio di Joketsuzoku; visto che dovevo comunque crearne uno per questa storia, ho voluto riesumare questo personaggio e autocitare una delle storie di cui sono co-autrice e alla quale sono ancora tanto affezionata. :D E non escludo di farlo ancora in futuro. XD
Penso di non avere altro da aggiungere, come sempre potete trovarmi su Facebook e nel gruppo per le mie fanfiction nel caso vogliate fare due chiacchiere (sempre gradite!).
Alla prossima settimana, e grazie per aver letto fin qui!

Mana

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ranma / Vai alla pagina dell'autore: Mana Sputachu