(Se notate qualche errore grammaticale ditemelo pure, odio scrivere sgrammaticato. xDD)
Ciao, Freddie. Buonasera.
Ti scrivo da un desktop nero. nero nero nero.
Lo sai perché ho messo il desktop nero? Perché dice che si
sprecano meno Watt, o quel che è. Non so cosa sono, quindi per me è meglio dire
che si spreca meno energia. E poi, a me il bianco mi fa male. Mi fa venire la
sinusite. E, dirai giustamente te, cosa c’entra la sinusite col bianco? Ecco,
Freddie, il fatto è che non lo so neanche io. E’ solo che so che quando guardo
troppo a lungo uno schermo bianco, o una luce bianca, ecco poi finisce che mi
fanno male gli occhi. Poi da lì mi prende mal di testa e poi la sinusite. E’
tutto collegato. Occhi-fronte-naso. E ti giuro che ci sto male! E’ una cosa che
mi capita spesso, di questi tempi. Ma di questi tempi sono capitate così tante
cose! Te le racconterò tutte, te lo prometto. Magari, posso anche falsare la
data e scrivere un giorno facendo finta che sia un altro. Questo mi farebbe
sentire meglio. Ok, aspetta, voglio dirti un’altra cosa ma è meglio che me la
appunti in mente. Prima devo finirti il discorso sulla sinusite. Se c’è davvero
una cosa - e c’è - che odio di me è che quando scrivo non finisco mai un
discorso. E così che al tema in classe a un tratto mi ricordo di quel discorso
interminato, e metto la classica frase che io odio “Ho detto che…” e riattacco
col discorso. Vedi, Freddie? Ho già cambiato discorso. Ma ora te lo finisco. Io
odio non finire i discorsi. Mi fa davvero arrabbiare leggere un libro con una
fine che non si spiega, una fine che non mi soddisfa, come dire? Se posso dire
una porcata, è come un orgasmo non arrivato. Non finito, ecco. Magari mi
capisci meglio. Mi dà noia quando la gente, i poeti, scrivono frasi, o
discorsi, che non hanno una fine. Credo che sia una cosa comune, riscontrata.
Cioè, te guardi un film, leggi un libro, senti una persona parlare, e questo
finisce il discorso in modo insoddisfacente. E te ti chiedi: “Ma come? No scusa
non ho capito ripeti.” E se è un libro ti rileggi la frase fino a trovare un
senso logico, o comunque cerchi di darti una spiegazione. Mentre con un film
premi due freccette indietro e poi replay. Replay. Replay. Fino a quando,
giustappunto, non riesci a darti una spiegazione. Ma con una persona? O con un
discorso? Eh no, è impossibile. Perché sulle persone non ci sono i tastini “due
freccette indietro”, “due freccette avanti”, “replay” come su windows media
player. E se gli chiedi spiegazioni, o gli chiedi di ripetere, dopo un po’ si
stufano. E c’hanno ragione, porca la foie grais! Che è pure buona. E un discorso, dicevo. Un discorso è parte
di un brano, di una riflessione, di un libro o di un racconto. E stufa,
fermarsi e rileggere sempre quel discorso. Perché poi magari scopri che la
spiegazione c’era due righe più tardi. E questo fa incazzare, cribbio. O
almeno, a me succede così. E’ per questo che cerco sempre di finire i discorsi,
se la gente me lo permette. Infatti la gente che più non sopporto è quella che non
ti ascolta o che non ti lascia finire i discorsi. La prima, fa incazzare le
prime volte è vero, ma poi ti abitui a registrare i tuoi discorsi nella mente e
poi te li riformuli. E poi magari scopri che non erano tanto male. Allora li
conservi, per qualcuno che sia più degno e ben disposto ad ascoltare di quel
tizio che non ti ha ascoltato prima. Per le seconde, a me quelle danno
parecchia noia perché stai parlando, magari in un impeto poetico senti che quel
discorso che stai faticosamente formulando, beh ecco senti che quel discorso
ha una gemma in fondo,senti che è importante, che vale, che brilla, lo stai per
terminare e quelli mettono la loro vociaccia gracchiante sulla tua piena di
ardore. E questo fa incavolare, perché perdi la foga del momento e magari se
ripeti quel discorso, finendolo, a un altro/altra che sia, non ha più quel
brillio di prima. Perché penso che i discorsi assumono un’importanza anche a
seconda di chi li legge o chi li ascolta. Però credo anche che due discorsi
diversi in quanto a forma, ma uguali in significato, possano essere davvero
molto diversi in base ai momenti in cui li si scrive. No, non se sei arrabbiato
e allora imprechi o se sei innamorato e quindi sei ottimista, ma in quanto a
suoni. Mi spiego meglio. (Dovete
sapere che odio leggere qualcosa che non
capisco e non poter chiedere a qualcuno cosa significhi, chiedendo a me
stessa
“No aspetta un attimo che vuol dire?” invano). Uno scrive
una cosa, una normale
banalissima cosa. Fai conto che in un universo parallelo lo stesso
“uno” scrive
la stessa “una normale banalissima cosa”, però
questo mentre la scrive sente l’aspirapolvere
di sua madre in funzione. Ecco, son sicura che la stessa “una
normale
banalissima cosa” riesce poi diversa dalla “una normale
banalissima cosa” dell’
“uno” nell’ altro universo parallelo. Poi,
vabbè, cosa c’entra, uno (non l’ “uno”
di prima intendo, ma uno a caso. Dovrei smetterla con questa mia mania
dell’ “uno”)
ci s’abitua, anche la madre viene a picchiare alla porta con la
bocca dell’aspirapolvere,
in cerca degli ultimi pelucchi rimasti. Però ribadisco che per
me le due “una
normale banalissima cosa” riescono diverse. Sì,
perché poi la madre la smette
con l’aspirapolvere, tutto ridiventa come prima, però te
sei frastornato perché
adesso senti le voci di quegl’altri (compreso tuo padre che fa
battute senza
senso ridendo da solo) e quel bzzzzzzzzz dell’aspirapolvere che
ti aveva
mandato in panne in cervello facendoti scrivere la “una normale
banalissima
cosa” in pace non c’è più, e il tuo cervello
si riattiva e inizi a scrivere
cose sensate. Ecco, penso che la scrittura creativa finirebbe lì
se uno
scrivesse la sua “una normale banalissima cosa” in modo
sensato. Non sarebbe
più “una normale banalissima cosa”. Che ne so,
magari sarebbe un libro sulla
pesca, o su un hobby, o sulla psicologia umana, o su una dannatissima
cosa più
sensata di “una normale banalissima cosa”, o magari poi lo
stesso che l’ha
scritta, avendo imboccato la strada della scrittura sensata (e non
prendetelo
come un diminutivo), arriva a scrivere cose tipo Gomorra, o addirittura
Guerra
e Pace. Questo significa che la scrittura creativa è inutile e
così lo sono
anche gli autori di questa. Ma tanto poi nessuno ci crede per i motivi
sopraccitati.
Ah, una cosa: mia madre ha finito proprio poco prima che
iniziassi il discorso sulla scrittura sensata e su quella creativa di picchiare
con il bocchettone dell’aspirapolvere alla porta. Notate un filo di senso nei
discorsi successivi? No? Eddai, non fate i cattivi. Almeno fatemelo credere.
Almeno fatemelo credere, che sono vicina ad imboccare la strada della scrittura
sensata. Anch’io voglio arrivare a scrivere Gomorra.
(Comunque sia, per il momento spero ci sia un qualcuno in
un universo parallelo, che abbia scritto la stessa “una normale banalissima
cosa” senza sentire il bocchettone dell’aspirapolvere sbattere contro la porta,
magari così vien qualcosa di meglio. Di più sensato.)
(Lo so, lo so, che non è un finale soddisfacente. Ma tanto
ormai dovrete abituarvici, a questa nuova malattia. Io l’ho già contratta. La
scrittura creativa, sì, proprio quella delle “una normale banalissima cosa” è
così. Lascia i finali di merda, insoddisfacenti. Questa è l’unica somiglianza,
se così si può chiamare, con la scrittura sensata. Solo che gli scrittori
creativi sono dei minchioni e lasciano i finali di merda perché non sanno fare
un finale decente. Mentre quei bastardi degli scrittori sensati lasciano i
finali di merda perché appunto sono dei bastardi - anzi, ora che è di moda, dei
“bastards sons of Dioniso”, che nome più creativo un ci poteva essere - e ci
godono a vedere la gente che piano piano s’ammala di questa nuova malattia. Che
malattia? No, niente scabbia. Niente rabbia. Sto parlando della “sindrome da
finale letto”. Ma ne parlerò più tardi).
(Eddai però questo concedetemelo. Almeno io, di tutti quei
minchioni di scrittori creativi, vi do un filo di speranza - non di senso -
alla fine. E io le mantengo le promesse! Non sono mica come quei pirla di politici
italiani!)
(Dai senza offesa. Povero Brunetta).