Storie originali > Generale
Segui la storia  |      
Autore: Rum Tum Tugger    03/04/2009    2 recensioni
Partorito in una sera piena di pensieri, i quali, naturalmente, sono stati accennati ma non finiti. Io odio non terminare discorsi. *voce tipo Puffo Brontolone*
Genere: Generale, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una normale banalissima cosa

(Se notate qualche errore grammaticale ditemelo pure, odio scrivere sgrammaticato. xDD)





Ciao, Freddie. Buonasera.
Ti scrivo da un desktop nero. nero nero nero.
Lo sai perché ho messo il desktop nero? Perché dice che si sprecano meno Watt, o quel che è. Non so cosa sono, quindi per me è meglio dire che si spreca meno energia. E poi, a me il bianco mi fa male. Mi fa venire la sinusite. E, dirai giustamente te, cosa c’entra la sinusite col bianco? Ecco, Freddie, il fatto è che non lo so neanche io. E’ solo che so che quando guardo troppo a lungo uno schermo bianco, o una luce bianca, ecco poi finisce che mi fanno male gli occhi. Poi da lì mi prende mal di testa e poi la sinusite. E’ tutto collegato. Occhi-fronte-naso. E ti giuro che ci sto male! E’ una cosa che mi capita spesso, di questi tempi. Ma di questi tempi sono capitate così tante cose! Te le racconterò tutte, te lo prometto. Magari, posso anche falsare la data e scrivere un giorno facendo finta che sia un altro. Questo mi farebbe sentire meglio. Ok, aspetta, voglio dirti un’altra cosa ma è meglio che me la appunti in mente. Prima devo finirti il discorso sulla sinusite. Se c’è davvero una cosa - e c’è - che odio di me è che quando scrivo non finisco mai un discorso. E così che al tema in classe a un tratto mi ricordo di quel discorso interminato, e metto la classica frase che io odio “Ho detto che…” e riattacco col discorso. Vedi, Freddie? Ho già cambiato discorso. Ma ora te lo finisco. Io odio non finire i discorsi. Mi fa davvero arrabbiare leggere un libro con una fine che non si spiega, una fine che non mi soddisfa, come dire? Se posso dire una porcata, è come un orgasmo non arrivato. Non finito, ecco. Magari mi capisci meglio. Mi dà noia quando la gente, i poeti, scrivono frasi, o discorsi, che non hanno una fine. Credo che sia una cosa comune, riscontrata. Cioè, te guardi un film, leggi un libro, senti una persona parlare, e questo finisce il discorso in modo insoddisfacente. E te ti chiedi: “Ma come? No scusa non ho capito ripeti.” E se è un libro ti rileggi la frase fino a trovare un senso logico, o comunque cerchi di darti una spiegazione. Mentre con un film premi due freccette indietro e poi replay. Replay. Replay. Fino a quando, giustappunto, non riesci a darti una spiegazione. Ma con una persona? O con un discorso? Eh no, è impossibile. Perché sulle persone non ci sono i tastini “due freccette indietro”, “due freccette avanti”, “replay” come su windows media player. E se gli chiedi spiegazioni, o gli chiedi di ripetere, dopo un po’ si stufano. E c’hanno ragione, porca la foie grais! Che è pure buona. E un discorso, dicevo. Un discorso è parte di un brano, di una riflessione, di un libro o di un racconto. E stufa, fermarsi e rileggere sempre quel discorso. Perché poi magari scopri che la spiegazione c’era due righe più tardi. E questo fa incazzare, cribbio. O almeno, a me succede così. E’ per questo che cerco sempre di finire i discorsi, se la gente me lo permette. Infatti la gente che più non sopporto è quella che non ti ascolta o che non ti lascia finire i discorsi. La prima, fa incazzare le prime volte è vero, ma poi ti abitui a registrare i tuoi discorsi nella mente e poi te li riformuli. E poi magari scopri che non erano tanto male. Allora li conservi, per qualcuno che sia più degno e ben disposto ad ascoltare di quel tizio che non ti ha ascoltato prima. Per le seconde, a me quelle danno parecchia noia perché stai parlando, magari in un impeto poetico senti che quel discorso che stai faticosamente formulando, beh ecco senti che quel discorso ha una gemma in fondo,senti che è importante, che vale, che brilla, lo stai per terminare e quelli mettono la loro vociaccia gracchiante sulla tua piena di ardore. E questo fa incavolare, perché perdi la foga del momento e magari se ripeti quel discorso, finendolo, a un altro/altra che sia, non ha più quel brillio di prima. Perché penso che i discorsi assumono un’importanza anche a seconda di chi li legge o chi li ascolta. Però credo anche che due discorsi diversi in quanto a forma, ma uguali in significato, possano essere davvero molto diversi in base ai momenti in cui li si scrive. No, non se sei arrabbiato e allora imprechi o se sei innamorato e quindi sei ottimista, ma in quanto a suoni. Mi spiego meglio. (Dovete sapere che odio leggere qualcosa che non capisco e non poter chiedere a qualcuno cosa significhi, chiedendo a me stessa “No aspetta un attimo che vuol dire?” invano). Uno scrive una cosa, una normale banalissima cosa. Fai conto che in un universo parallelo lo stesso “uno” scrive la stessa “una normale banalissima cosa”, però questo mentre la scrive sente l’aspirapolvere di sua madre in funzione. Ecco, son sicura che la stessa “una normale banalissima cosa” riesce poi diversa dalla “una normale banalissima cosa” dell’ “uno” nell’ altro universo parallelo. Poi, vabbè, cosa c’entra, uno (non l’ “uno” di prima intendo, ma uno a caso. Dovrei smetterla con questa mia mania dell’ “uno”) ci s’abitua, anche la madre viene a picchiare alla porta con la bocca dell’aspirapolvere, in cerca degli ultimi pelucchi rimasti. Però ribadisco che per me le due “una normale banalissima cosa” riescono diverse. Sì, perché poi la madre la smette con l’aspirapolvere, tutto ridiventa come prima, però te sei frastornato perché adesso senti le voci di quegl’altri (compreso tuo padre che fa battute senza senso ridendo da solo) e quel bzzzzzzzzz dell’aspirapolvere che ti aveva mandato in panne in cervello facendoti scrivere la “una normale banalissima cosa” in pace non c’è più, e il tuo cervello si riattiva e inizi a scrivere cose sensate. Ecco, penso che la scrittura creativa finirebbe lì se uno scrivesse la sua “una normale banalissima cosa” in modo sensato. Non sarebbe più “una normale banalissima cosa”. Che ne so, magari sarebbe un libro sulla pesca, o su un hobby, o sulla psicologia umana, o su una dannatissima cosa più sensata di “una normale banalissima cosa”, o magari poi lo stesso che l’ha scritta, avendo imboccato la strada della scrittura sensata (e non prendetelo come un diminutivo), arriva a scrivere cose tipo Gomorra, o addirittura Guerra e Pace. Questo significa che la scrittura creativa è inutile e così lo sono anche gli autori di questa. Ma tanto poi nessuno ci crede per i motivi sopraccitati. 

Ah, una cosa: mia madre ha finito proprio poco prima che iniziassi il discorso sulla scrittura sensata e su quella creativa di picchiare con il bocchettone dell’aspirapolvere alla porta. Notate un filo di senso nei discorsi successivi? No? Eddai, non fate i cattivi. Almeno fatemelo credere. Almeno fatemelo credere, che sono vicina ad imboccare la strada della scrittura sensata. Anch’io voglio arrivare a scrivere Gomorra.

(Comunque sia, per il momento spero ci sia un qualcuno in un universo parallelo, che abbia scritto la stessa “una normale banalissima cosa” senza sentire il bocchettone dell’aspirapolvere sbattere contro la porta, magari così vien qualcosa di meglio. Di più sensato.)

(Lo so, lo so, che non è un finale soddisfacente. Ma tanto ormai dovrete abituarvici, a questa nuova malattia. Io l’ho già contratta. La scrittura creativa, sì, proprio quella delle “una normale banalissima cosa” è così. Lascia i finali di merda, insoddisfacenti. Questa è l’unica somiglianza, se così si può chiamare, con la scrittura sensata. Solo che gli scrittori creativi sono dei minchioni e lasciano i finali di merda perché non sanno fare un finale decente. Mentre quei bastardi degli scrittori sensati lasciano i finali di merda perché appunto sono dei bastardi - anzi, ora che è di moda, dei “bastards sons of Dioniso”, che nome più creativo un ci poteva essere - e ci godono a vedere la gente che piano piano s’ammala di questa nuova malattia. Che malattia? No, niente scabbia. Niente rabbia. Sto parlando della “sindrome da finale letto”. Ma ne parlerò più tardi).

(Eddai però questo concedetemelo. Almeno io, di tutti quei minchioni di scrittori creativi, vi do un filo di speranza - non di senso - alla fine. E io le mantengo le promesse! Non sono mica come quei pirla di politici italiani!)

 

(Dai senza offesa. Povero Brunetta).

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Rum Tum Tugger