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Autore: Nereides    10/04/2016    1 recensioni
Diane Lesley è in debito di due promesse, una fatta ad una ragazza sconosciuta, mentre le teneva la mano e aspettava l'arrivo dell'ambulanza, l'altra fatta ad un amico, un eterno Peter Pan con la fobia per i legami. Cercherà di tener loro fede, tra fantasmi del passato con il volto dell'affascinante Edward Hamilton e lo spietato e freddo cugino della ragazza, Mark Hansen, che il destino continuerà a mettere sulla sua strada. La vita di Diane alla Derbydale University si ritroverà intrecciata agli scomodi segreti delle due famiglie più potenti della città e metterà a dura prova le sue amicizie, le sue certezze e i suoi principi.
Sentirsi soli in un dormitorio universitario è difficile, ma quella sera si sentiva più sola che mai. Due promesse, due pesi, due debiti che aveva stretto senza sapere se sarebbe riuscita a colmarli. Un segreto pericoloso, che rischiava di rovinare tutto ciò che aveva costruito con tanta fatica se solo fosse uscito da quelle mura di cartongesso, così leggere, fragili e inaffidabili.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Debt of Promise




III





Edward Hamilton guardava sprezzante le vie di una città che conosceva fin troppo bene. Con animo insofferente muoveva lo sguardo oltre il finestrino oscurato e rimpiangeva solo che nessuno, a parte l’autista, vedesse il suo disprezzo. Odiava tutto di quella città, l’aria stessa con quella pesantezza salata del mare gli dava fastidio. A volte si chiedeva come avesse fatto a resistere fino ai vent’anni prima di andarsene e cercava di dimenticare che, per quanto lontano fuggisse, sarebbe sempre dovuto tornare.
-Aspettami qui, non ci metterò molto.-
Toccò il suolo della sua città natia dopo quasi due anni e nonostante avesse frequentato solo per pochi mesi la Darbydale University si ricordava ancora la strada per l’ufficio del rettore. L’ultima volta che c’era stato Thomas Finneran era talmente dolorante da aver perso la voglia di scherzare. Sorrise senza accorgersene, ma le due studentesse che incrociò lungo le scale si fermarono a guardarlo con occhi sognanti. Era la sua maledizione quella di non passare mai inosservato, sia per il cognome che portava sia per il suo aspetto da bello e dannato. Sorriso affascinante, sguardo pericoloso e una movenza particolarmente accattivante lo rendevano il sogno proibito di molte donne. Anche di quella con enormi occhiali rotondi seduta fuori dalla porta del rettore e che sembrava sul punto di avere un attacco di panico. Susan Coyle lo osservò bussare alla porta e aspettare con le mani sprofondate nelle tasche il permesso di entrare, senza avere il coraggio di fargli notare che c’era prima lei. Non l’aveva nemmeno vista, nascosta dietro il ficus della sala d’aspetto, ma ne fu felice. Non si era mai sentita a suo agio con Edward nei paraggi.
Il faldone che teneva sulle gambe scivolò a terra spaventando più lei che l’oggetto dei suoi pensieri. Quando Edward si voltò, Susan era già intenta a raccogliere i fogli per evitare la pessima figura di doverlo salutare e sentirsi rispondere che non si ricordava nemmeno chi fosse.
-Coyle, sei tu?- Sentendosi chiamare per nome, Susan alzò gli occhi verdi sull’erede della famiglia più potente di Darbydale e si sforzò di sorridere. Era cambiata molto in due anni, mentre gli occhi di ossidiana che la stavano fissando erano esattamente come se li ricordava. Un salto nel buio, adrenalinico e tentatore.
-Edward- lo salutò tornando composta e sistemandosi gli occhiali sul naso. –Non sapevo che fossi tornato in città.-
-Sei diversa- le disse, e senza il minimo rispetto la squadrò da capo a piedi. Susan rise nervosamente. L’ultima volta che aveva visto Edward era ancora una ragazzina romantica che indossava abiti in pizzo e passava notti infernali con scomodi bigodini per avere i capelli mossi. Il cambiamento era stato radicale e persino l’impassibile Hamilton ne sembrava colpito. Susan aveva dato un taglio netto ai capelli optando per un deciso long bob che le conferiva carattere ed eleganza al tempo stesso. Portava occhiali dalla montatura nera e indossava quasi esclusivamente abiti della stessa tonalità, possibilmente di Chanel e possibilmente attillati.
-Tu invece sei sempre lo stesso. Ti fermerai molto?-
-Ne dubito- rispose, terminando l’ispezione e ricordandosi che nessuno ancora gli aveva risposto. Provò a bussare di nuovo, questa volta con più impeto.
-Credo ci sarà da aspettare parecchio. C’è Thomas dentro.-
-Che novità- replicò sarcastico, per poi andare a sedersi di fronte a lei. La ragazza era tornata a leggere con estrema attenzione i fogli che aveva sulle gambe, ignara di essere ancora oggetto del suo interesse. Professionale, raffinata e con lunghe gambe coperte solo da una gonna di cotone: la novità stuzzicò la curiosità di Edward, che si era già immaginato una giornata noiosa e priva di emozioni.
-Sei stata eletta alla fine?- le domandò.
Susan alzò distrattamente gli occhi. –Per due anni di fila, ma probabilmente questo sarà il mio ultimo giorno da console, a meno che tu non abbia un’idea brillante per la festa di inizio anno. Thomas si è fatto sospendere e non ha portato a termine l’unico compito che aveva promesso di fare. E ora è troppo tardi.-
-Il solito idiota.-
Susan annuì, ma a quanto pare anche il suo interesse quasi maniacale per lui era cambiato insieme al suo aspetto e tornò alla sua lettura. Due anni prima quella ragazza che ora lo ignorava senza troppi problemi era talmente innamorata di lui da essere imbarazzante. Ridicola nei suoi miseri tentativi di attirare la sua attenzione. Solo una volta Edward le aveva concesso una piccola soddisfazione e l’aveva baciata. Non le aveva detto, però, che si trattava di una scommessa e l’aveva lasciata che pendeva fisicamente dalle sue labbra. Ora, invece, quelle labbra che due anni prima non l’avrebbero mai tentato erano le più invitanti che avesse mai visto e si rivolgevano a lui con sprezzante indifferenza.
-In Europa vanno molto di moda i galà.-
Susan si stupì di essere stata interrotta per la terza volta, ma l’argomento le interessava. Aveva fatto quella domanda a Edward perché era disperata, non perché sperava davvero che potesse aiutarla.
-Cioè vestiti da sera e guanti fino ai gomiti?- gli domandò, scoprendo che non era poi così difficile reggere il suo sguardo.
-Esatto.-
In quel momento la porta dell’ufficio si spalancò. Thomas ne uscì con le spalle incurvate e un’espressione afflitta. Dietro di lui l’imponente Mark Hansen cercava di mantenere un contegno più civile anche se lo sguardo truce con cui seguiva ogni passo di Finneran tradiva il suo stato d’animo. Il rettore stava ancora finendo con le raccomandazioni quando si bloccò all’improvviso.
-Edward Hamilton- disse, guardando sorpreso il ragazzo in giacca e cravatta che gli stava tendendo la mano.
-Oh signore santissimo- borbottò Thomas, alzando finalmente lo sguardo dai suoi piedi. –Non ci posso credere. Sei davvero tu?!-
-Thomas, neanche il tempo di arrivare e tu ti sei già fatto buttare fuori.-
Il biondo Finneran gli diede una pacca sulla spalla così forte e lo investì di così tante domande che tutti, tranne lui, si accorsero dell’evidente fastidio che il suo entusiasmo suscitava nell’amico di vecchia data.
-Coyle, tocca a te giusto?- il rettore interruppe quel momento senza troppe cerimonie. La ragazza, trovandosi improvvisamente al centro dell’attenzione, scattò in piedi e arrossì.
-Oh, in realtà ho risolto il mio problema- disse con un filo di voce. –Ma grazie lo stesso, signore.-
Se ne andò sorridendo e lanciando un breve sguardo di intesa con Edward, che la guardò allontanarsi chiedendosi come avesse fatto a non notare prima le sue gambe. Thomas però reclamò con infantile insistenza la sua attenzione e fu costretto a fermare la sua fantasia per concentrarsi sulla marea di parole che gli vomitava addosso. Innervosito, per toglierselo di dosso gli promise che più tardi si sarebbero incontrati per una birra e seguì il rettore nell’ufficio. L’unico che non gli fece le feste fu Mark, ma Edward non se ne curò. L’antipatia reciproca risaliva alla nascita dell’universo.
 -Finneran, facciamola finita in fretta. Sono stanco di vedere la tua faccia- disse Mark, incamminandosi senza aspettarlo. Il sorriso di Thomas si trasformò in una smorfia di sofferenza ricordandosi di quanto era appena successo nell’ufficio del rettore. Non li aveva sospesi e aveva classificato l’avvenuto come incidente, e per quello Mark avrebbe dovuto ringraziarlo fino a che fosse campato perché, anche se l’idea era stata del calcolatore Hansen, aveva scelto di non dire la verità sull’aggressione. Il fatto che si sentisse responsabile passava in secondo piano non appena vedeva la faccia altezzosa di Mark. In fin dei conti, quindi, se l’erano cavata piuttosto bene e aveva anche riavuto la sua carica di console. L’unico problema erano il prezzo che avevano dovuto pagare per tanta gentilezza.
-E’ in arrivo nuova manovalanza!- esclamò felice come una pasqua la professoressa Katrina Smith. Thomas non aveva mai messo piede nella biblioteca del campus e non se l’aspettava di certo così. Ampie finestre circondavano la parete più lunga, permettendo di avere un’ottima visuale sul giardino interno e sui suoi folti frassini. Non c’era un labirinto di scaffali in cui si era già immaginato di perdersi né l’odore di chiuso e di vecchio, ma scrivanie con computer e tablet a disposizione di ogni studente. Non sapeva nemmeno che ce ne fossero tre, di piani così.
La professoressa fece loro strada fino a un tavolo libero dove Thomas riconobbe una figura che conosceva bene. I suoi indomabili capelli rossi erano unici in tutto il campus, così come il suo impegno come insegnante di ripetizioni. Diane non ricambiò il suo sorriso quando lo riconobbe.
-Occupatene tu, Leslie. Hanno sessanta ore da smaltire e siamo autorizzate ad assegnare loro i casi più disperati.-
-Ma professoressa … - tentò di protestare Diane, ma la professoressa Smith se n’era già andata prima che le replicasse che i casi disperati li aveva davanti a sé. Erano tre anni che frequentava la Darbydale University e in tre anni non aveva mai scambiato una parola con Mark Hansen. Ora erano tre giorni che si vedeva costretta a stare nella sua stessa stanza contro la sua volontà. La coincidenza non sembrava piacere nemmeno allo Hansen che, vedendola, aveva alzato gli occhi al cielo.
-Diane, tu non hai idea di chi ho appena incontrato!- esclamò Thomas, investendola con un’ondata di esaltazione ad un volume troppo alto. Metà biblioteca si girò a rimproverarlo e lui urlò uno “scusate” in risposta. Poi tornò a piantare gli occhi blu sull’amica. –Edward!-
Le sopracciglia di Diane scattarono in alto. -Hamilton?- chiese. Mark sorrise impercettibilmente. C’era un unico Edward a Darbydale e portava un cognome che tutti conoscevano. La sua domanda era davvero stupida.
-Sì sì, lui! Ci credi? E’ tornato! Questo posto non sarà più un mortorio finalmente!- Thomas riuscì ad esprime tutta la sua gioia anche sussurrando. Diane non poté che dargli ragione. Deglutì e tornò a concentrarsi sul suo compito, ma Thomas non aveva ancora esaurito del tutto l’entusiasmo.
-Stasera ci incontriamo. Ci sarai anche tu vero? Chiederò anche agli altri, dobbiamo dargli un benvenuto come si deve!-
-Oh, mi dispiace- disse Diane. –Stasera ho gli allenamenti.-
-Avete intenzione di fare salotto tutto il pomeriggio?- si intromise Mark. –A differenza vostra, non ho tempo da perdere.-
Diane lo guardò storto e Thomas sbuffò sonoramente, borbottando qualcosa sulla sua insopportabile pesantezza, ma non si oppose.
-D’accordo- cominciò Diane. –Come ve la cavate con la matematica?-
-Ehm … - fece Thomas.
-Nessun problema- rispose invece Mark.
-E con la fisica o l’inglese?-
-Con fisica intendi educazione fisica, vero?- chiese Thomas, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Mark e lo sguardo rassegnato di Diane.
-Facciamo così- esordì poi. –Thomas, tu aiuterai me nella digitalizzazione dei libri e in casi straordinari darai ripetizioni di chimica. Almeno le ossidoriduzioni te le ricordi?-
-… Hai una tavola periodica da prestarmi?-
Diane sospirò e decise di investire i suoi sforzi sull’altro candidato. –Hansen, tu mi sembri un po’ più ferrato sulle materie scientifiche.-
-Un po’ più ferrato? Sono il migliore della facoltà di ingegneria!-
Diane quasi spaccò la matita che aveva in mano pur di resistere all’impulso di cacciarlo fuori a calci. –Perfetto- disse con un sorriso sforzato. –Allora, se non avete altre domande, potete cominciare subito.-
Spedì Thomas al secondo piano, lontano da ogni tentazione di lanciarsi un’altra volta contro Mark e assegnò a quest’ultimo lo studente peggiore che avessero. Matthew Potter, nipote del rettore, scansafatiche professionista dalle capacità di attenzione di un criceto russo, la faceva dannare fin dal primo anno. Era il classico studente che non ha voglia di studiare, ma viene costretto dalla famiglia e non osa ribellarsi per non perdere il favore del paparino ricco sfondato. Diane non lo sopportava, ma non poteva liberarsene senza che anche il rettore lo venisse a sapere.
Sorrise soddisfatta osservando Mark mettersi le mani tra i capelli e placare con difficoltà l’istinto naturale di tirargli il libro in testa pur di farlo rimanere concentrato. Ci era passata anche lei e ora aveva ottenuto una duplice vendetta. Matthew non avrebbe avuto il coraggio di fare tanto lo sbruffone con Mark Hansen come insegnate, e Mark avrebbe dovuto sforzarsi di essere civile una volta tanto. Era certa che sapesse chi fosse il suo insopportabile studente e non era così stupido da inimicarselo.
Si sbagliava. Dopo neanche mezzora, Matthew si alzò spostando la sedia con un tale fracasso da battere l’urlo di Thomas e si diresse battagliero verso la sua postazione. Capelli in disordine e aspetto trasandato a parte, tutto in lui sembrava esprimere per la prima volta determinazione.
-Io con quello non ci voglio stare!- esclamò. Come Thomas, interpretò il verbo sussurrare in modo del tutto soggettivo.
-Non è bravo?- gli chiese. Sfidava che gli dicesse il contrario, Mark era un genio.
-E’ insopportabile!- Diane sorrise divertita. –Ha detto che sono un troglodita senza cervello. Non può rivolgersi così a uno studente! Se non fai qualcosa lo riferirò a chi di dovere. E che diavolo vuol dire troglodita?!-
 La responsabile delle lezioni guardò il suo nuovo assunto sedere imbronciato, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo chiaro puntato in avanti con tenacia. Non avrebbe mai addolcito i modi e non avrebbe mai fatto uno sforzo per qualcosa di cui non gliene importava nulla. Diane, quindi, si vide costretta a fare marcia indietro e a mettere da parte il piacere personale. Spedì Mark al secondo piano e mise Thomas con Matthew.
Andò meglio e, inoltre, senza la presenza ingombrante di Mark, il clima era molto più disteso. Poté quindi concentrarsi sul suo di studio e concludere il pomeriggio in tutta tranquillità.
La biblioteca sembrò ingrandirsi man mano che si svuotava e si riempiva di echi solitari. La luce aranciata del tramonto entrava dalle enormi finestre e rendeva più piacevole la fine della giornata. Le ultime lezioni terminarono e i professori si unirono alla massa di studenti che si dirigeva alla stazione della metropolitana. Anche la professoressa Smith, dopo aver verificato che Mark e Thomas avessero fatto il loro dovere, se ne andò. E mentre Thomas cercava di convincerla per l’ennesima volta ad unirsi ai festeggiamenti per il ritorno di Edward, Mark disse che aveva fretta e fece per andarsene.
-Andate nello stesso posto, offrile almeno un passaggio- lo bacchettò Thomas.
-Il centro sportivo è qui dietro, ci vado a piedi- replicò scocciato, ma la sua precisazione non risolse il problema. Mark e Diane erano costretti ad andare nello stesso posto e inevitabilmente si incamminarono uno accanto all’altro. In religioso silenzio, attraversarono il giardino interno del campus, illuminato solo da fiochi lampioni, e imboccarono la via che portava direttamente alla palestra. Diane non aveva previsto quell’eventualità e si trovò a corto di idee.
-Come sta Hilary?- gli domandò. Non che ci tenesse particolarmente a fare conversazione con la persona meno loquace sulla faccia della terra, ma il peso delle sue due promesse cominciava a farsi sentire. –E’ tornata a casa?-
-Sì, oggi pomeriggio- gli rispose, per poi voltarsi a guardarla. –Ancora non ho capito come la conosci.-
Diane si strinse nervosamente le mani. –Non la conosco, in realtà. Volevo vederla perché quella notte, alla festa di Thomas, ho chiamato io l’ambulanza, ed ero in pensiero.-
Mark, all’improvviso, scoppiò a ridere. La tenue luce artificiale creava uno strano gioco di ombre sul suo viso, lasciando intravedere i suoi denti bianchi ma nascondendo il suo sguardo. Diane si chiese come potesse un atto di gioia come un sorriso esprimere tanto disprezzo.
-In pensiero!- le fece eco. –Certo, in pensiero per la ricompensa che ti aspetti di ricevere. Hilary è stata generosa? Quanti zero ha dato alla sua inutile vita?-
 Diane si fermò, sperando di aver sentito male. Non credeva possibile che avesse appena accostato l’aggettivo inutile alla parola vita. Le vennero i brividi, e non solo perché si stava riferendo a sua cugina, sangue del suo sangue; era terribile solo il fatto che potesse concepire un’idea tanto malata. –Chi ti credi di essere per giudicare inutile una vita?- gli chiese, e questa volta era il suo sguardo ad essere desideroso di ferire.
-Ti prego, Leslie, non venirmi a fare la morale. Tu hai fatto molto peggio di me.-
-Io non ho chiesto nessuna ricompensa ad Hilary, che razza di persona lo farebbe?- chiese, indignata. Ma subito dopo averlo chiesto, ebbe la risposta, ed era più semplice di quanto pensasse. –Tu. Tu lo faresti.-
-Non stiamo parlando di me, ma di te- replicò Mark, ricominciando a camminare come se niente fosse e scansando lo sguardo di puro disprezzo che gli rivolse. –Colei che appena mentito sul fatto di conoscere Hilary e mi ha ricattato per poterla vedere. Cosa nascondi?-
-Io non nascondo proprio niente!- esclamò. –Sei tu che mi hai costretto a tanto! E hai accetto, per una stupida moto! Ti importa così poco di tua cugina?-
-Anche meno- rispose con una freddezza che la lasciò senza parole. Aveva sentito tante voci sull’anima nera di Mark Hansen, così tante che non credeva fossero vero. Nessuno arriva a farsi una nomea degna di Attila senza che vi sia del falso in quelle dicerie tanto sconvolgenti quanto poco credibili. Invece erano tutte vere: Mark non solo aveva il ghiaccio al posto del cuore, ma non aveva nemmeno un’anima. Per la prima volta Diane ebbe paura di lui, e quando si voltò a guardarla, ferma qualche metri prima di lui, sussultò.
-Cosa c’è? Non avevi allenamento? Ah già, anche quella era una menzogna, come ho fatto a dimenticarlo?-
Diane rimase immobile, subendo il suo sguardo di disprezzo, senza riuscire a contrastarlo. Osservò il profilo delle sue spalle allenate pensando di aver intrapreso una guerra contro un avversario impossibile da battere.
Uno che si lanciava contro la parete di una caffetteria e se ne andava senza farsi il minimo scrupolo. Che pensava di poter fare tutto da solo, persino guidare una moto con un braccio ferito e sanguinante.
Uno che andava ad allenarsi nonostante i dieci punti di sutura a quello stesso arto.
Uno che non era in grado di provare emozioni né sentimenti.






Ringrazio Be_My_Friend  e J Blaise per aver inserito "Debt of Promise" tra le seguite e Larylallax addirittura tra le preferite! 

A presto,



Nereides
   
 
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