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Autore: hiromi_chan    10/04/2016    7 recensioni
Se questa fosse una fiaba (cosa che non è) inizierebbe così: c'era una volta un ragazzo chiamato Merlin. Sì, beh, capisco che già il nome possa far venire in mente robe magiche e simili, ma vi garantisco che non c'è un bel niente di fantasy, in questa storia.
… Anche se abbiamo una mezza specie di bestia e una donna che ha tutte le credenziali per essere definita strega cattiva.

{La Bella e la Bestia retelling; modern!AU}
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balinor, Galvano, Hunith, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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~Parte settima~

 

 

Per Arthur sostenere lo sguardo della gente era difficile. Non era sempre stato così, ovviamente. Una volta, quando era più giovane, quando era ancora bello, essere guardato non avrebbe mai potuto rappresentare un problema. Anzi, era qualcosa che gli faceva piacere.

L'Arthur dei suoi primi vent'anni era stato un ragazzo arrogante che credeva che tutto gli fosse dovuto per via della sua scaltrezza, del suo aspetto e del sacco di soldi che il suo solo cognome portava con sé.

Era stato molto, molto stupido, una persona di cui non andava fiero...

Cosa avrebbe detto quell'Arthur dell'uomo che ora non riusciva nemmeno a tener testa agli occhi innocenti e inflessibili del suo domestico?

«Perché distoglie sempre lo sguardo quando le parlo?» disse Merlin, che era assurdo e un enigma e un turbine di caos e occhiali da gufo e pigiami con le renne e pantofole con la faccia di Babbo Natale – ma che sapeva, anche, porre domande sorprendentemente acute.

«Non lo faccio» rispose Arthur, fissando il camino.

Si rigirò tra le mani la tazza di tisana che Merlin aveva appena portato dalla cucina e sprofondò nella poltrona.

Le braci crepitavano nella stanza illuminata da quel che ne restava del fuoco e dal bagliore discreto di due abat-jour.

«Lo sta facendo anche ora. Sta esattamente-» la voce di Merlin virò verso una risatina acuta e incredula, «sta esattamente fissando il camino mentre le parlo.»

«Dev'essere un'abitudine» ammise di malavoglia Arthur.

Subito dopo aver pronunciato l'ultima sillaba sentì di essersi già scoperto troppo.

«Allora la perda, quest'abitudine» disse Merlin, che stava seduto sulla poltrona davanti alla sua e teneva le gambe incrociate, le ginocchia spigolose che spuntavano in fuori, i piedi assicurati sotto il pigiama.

Arthur si accorse di fissarlo (ma era colpa di Merlin, ovviamente, perché sedeva in modo davvero strano – potete alzare gli occhi al cielo, qui, vi do il permesso... l'avrei fatto anch'io).

Arthur si riscosse e ribatté: «Pensi che sia facile perdere un'abitudine?»

No, non lo era, soprattutto se ti eri esercitato tanto per acquisirla quanto Arthur. Soprattutto se eri diventato un maestro nel catalogare le espressioni di chi ti guardava, tanto da poter calcolare con precisione matematica quando le occhiate goffe e mortificate si trasformavano in disgustate... Quando gli sguardi si assottigliavano, come fosse stato Arthur quello da temere, il mostro che il suo volto presentava al mondo.

Non era affatto facile perdere un'abitudine se avevi tanta esperienza da poter dire tra te 'ecco che ora evitano una cicatrice sulla guancia e si concentrano sul naso, ma non possono farlo perché ce n'è un'altra anche lì'...

Sì, Arthur sapeva prevedere l'istante in cui sarebbe diventato una creatura miserabile solo dai guizzi della faccia di chi aveva davanti. L'istante in cui chi lo vedeva fuori riusciva, per un orribile miracolo, a vederlo anche dentro.

E non avrebbe mai, mai, mai potuto sopportare di leggere quei segni anche in Merlin.

Merlin che intanto era scattato un po' in avanti al suono di un 'Ma se lei non ci sta neanche provando!', facendo fuoriuscire buona parte della tisana dalla tazza.

«È ovvio che devo sempre fare tutto io...» borbottò il domestico, inciampando nella complicata operazione dello sciogliere l'intrico delle gambe. Lanciò un'occhiataccia alla poltrona, inforcò gli occhiali sul naso come se nulla fosse accaduto e poi fronteggiò Arthur...

Il quale era rimasto ad osservare tutto ciò con un'espressione discretamente rapita, sebbene, se glielo chiedeste, non lo ammetterebbe neanche sotto tortura.

Merlin sollevò la mano destra e la portò accanto al viso di Arthur, così, semplicemente. Poggiò i polpastrelli sotto il mento di Arthur, e lui era così stupito e intento a trattenere il fiato che lo lasciò fare.

Merlin spostò l'inclinazione del volto di Arthur molto, molto lentamente, fino a che non l'ebbe davanti al proprio. «Meglio» mormorò, un sorrisino soddisfatto e privato, come se stesse parlando tra sé. «Okay?»

«Okay» sussurrò Arthur.

«Okay» ripeté in tono assente Merlin, mentre le palpebre cadevano appena e il suo sguardo scivolava piano sul naso di Arthur, sull'angolo della bocca – ma non come se stesse prendendo atto della sua mostruosità, no...

Fu più come una carezza.

Allora Arthur impietrì sotto il tocco di Merlin, muscoli e tendini che si facevano di marmo all'accenno di un contatto per lui così sconosciuto.

Merlin si schiarì la gola e parve tornare indietro da un posto lontano. Si grattò il collo e tornò alla sua poltrona con quella sua andatura ciondolante, le spalle all'ingiù. «Quindi... come va con il lavoro?»

«Il lavoro» ripeté Arthur scetticamente (in realtà in testa aveva ancora una marea di '?!?!?!' da prima e non era in grado di produrre nulla di meglio, cercate di capirlo).

«Stavo tentando di fare conversazione, va bene?» disse Merlin. «In genere per conoscersi meglio si fa così.»

Arthur si sentì di nuovo tutto strano all'idea che Merlin volesse conoscerlo meglio, e questo gli fece abbassare la guardia. «Il lavoro va bene» concesse.

All'espressione carica di aspettativa di Merlin Arthur non poté che iniziare a sciogliersi e raccontare di più. Merlin aveva un'espressione carica di aspettativa molto convincente.

Ora, c'è un dettaglio che potrebbe essermi sfuggito visto che Merlin è assolutamente disinteressato a faccende come bilanci e contabilità, e dunque non mi pareva pertinente raccontarvelo prima... ma si dà il caso che Arthur avesse una passione autentica e un po' commovente per le pratiche aziendali, e che svolgesse il proprio mestiere, seppur da casa, con una certa dose di entusiasmo.

Quella che ne seguì fu dunque una descrizione noiosissima sul business dei Pendragon che ebbe l'effetto di far cadere Merlin preda di un leggero sonnecchiamento. L'unico motivo per il quale non si addormentò, il realtà, fu proprio la luce che accendeva il volto di Arthur, che era così bello mentre gli raccontava di numeri e grafici e delle probabilità che gli azionisti scegliessero ancora di investire nella loro ditta...

«Almeno abbi la decenza di sembrare interessato visto che hai chiesto, idiota!» sbottò Arthur quando si accorse che Merlin non lo ascoltava più, arcigno e molto meno affascinante se tornava ad essere il solito asino.

«Ma sono interessato! E per dimostrarglielo le faccio anche una domanda: perché porta avanti tutte le pratiche da casa e non va in azienda, tipo, mai?»

«Ovviamente» rispose Arthur, digrignando i denti e scandendo le sillabe con lentezza estrema come se stesse tentando di farsi capire da uno straniero, «non potrei farlo in azienda.»

Merlin piegò la testa di lato.

«... Stando al pubblico. Al pubblico, Mer-lin, capisci?»

Due sopracciglia nere si aggrottarono.

«... Tu hai seriamente qualche danno celebrale.»

«Davvero io non capisco» gli parlò sopra il suo domestico. «È lei che parla in modo criptico. Non solo lei è tutto criptico sempre, ma ci parla anche-»

«Morgana pensa sia giusto» disse Arthur, strofinandosi la fronte con una mano, e forse l'aveva detto un po' troppo forte. «In questo modo si evita qualunque tipo di disagio e io posso portare avanti il mio lavoro in tutta tranquillità, senza che...» Si bloccò.

«Senza che qualcuno la veda?» completò Merlin per lui. Aveva il viso chiuso in un'espressione stretta, ora.

Arthur tacque e Merlin si alzò, fronteggiandolo ancora. Per un attimo sembrò volesse dire qualcosa, fare qualcosa che...

Ma poi gli sfilò la tazza dalle mani, oscillando su una pantofola sola.

«Se sta parlando del disagio di dover avere a che fare con la sua pessima personalità, allora lo capisco. Altrimenti...»

Arthur affondò le dita sui braccioli della poltrona.

Merlin alzò il mento e gli disse, così, semplice e tranquillo e sicuro:

«Altrimenti non c'è alcun motivo perché chiunque dotato di un briciolo di cervello dovrebbe sentirsi a disagio ad averla accanto. Sul serio».

E poi fece una specie di imbarazzante cenno col capo e se ne andò, lasciando Arthur smarrito nella sua poltrona, nella sua casa, nel suo piccolo mondo che d'improvviso aveva spalancato le porte.

 

~

 

Quando Arthur il mattino dopo scese in salone (perché ormai il dettagliatissimo programma che imponeva quali piani frequentare in quali giorni per potersene stare per conto suo era andato a farsi benedire), trovò una cosa bizzarra.

C'era Merlin, al centro della sala. E, sebbene la sua presenza al centro della sala fosse già abbastanza bizzarra di suo, con tutto ciò che comportava per il povero cuore di Arthur, no, non era esattamente lui la cosa bizzarra. Mi sto riferendo all'enorme albero di Natale che svettava dietro Merlin.

Il domestico, quando si accorse dell'arrivo di Arthur, assunse l'espressione di una lontra spaventata (una lontra molto graziosa, però) e lasciò scivolare a terra lo scatolone che teneva tra le braccia. Poi si parò davanti all'enorme abete come se potesse nasconderlo alla vista di Arthur, il che era francamente ridicolo anche per lui.

«Non guardi!» esclamò con urgenza.

«Eh?»

«Non guardi ancora! Non ho finito di decorarlo!»

«Che diavolo...» Arthur si premette le dita sulle tempie. «Che cos'è?»

«Duh... un albero di Natale?» fece Merlin, portandosi una mano sul fianco.

«Lo vedo, idiota!» sbraitò Arthur, scendendo le scale di corsa. «E come accidenti hai fatto a portarlo- no, aspetta, aspetta, perché l'avresti portato qui?»

«Beh, a casa mia a Natale si fa l'albero...»

«Esatto. A casa tua. Ti pare di essere a casa tua?»

Merlin aprì la bocca ma Arthur, che si sentì di colpo invaso da uno spiacevolissimo calore, gli parlò sopra (perché non andava bene, perché Merlin non poteva davvero aprire le porte del suo mondo e poi infilargli zitto zitto una cosa invasiva come un albero in casa, e infine perché sì):

«Non hai nemmeno pensato di chiedere il permesso, che diavolo! Per una bravata del genere un normale domestico sarebbe stato licenziato su due piedi!»

E, nel momento esatto in cui quelle parole avevano lasciato le sue labbra, Arthur lo realizzò: Merlin non era un normale domestico, per lui.

Preso in contropiede, e per non lasciarsi fregare dall'ennesima espressione aperta e speranzosa di Merlin, aggiunse, dandosi un tono pomposo: «E poi, ti pare questo il modo di decorare un albero? Hai messo la stella sulla punta tutta storta!»

E fu così che al centro del salone di Villa Pendragon, dopo molti, molti, molti anni, un albero di Natale tornò a rallegrare l'atmosfera.

(In seguito Merlin propose di andare a prendere Mordred per vestirlo da renna e Arthur si oppose categoricamente. Un compromesso venne raggiunto quando si decise di portare comunque Mordred in casa e di farlo giocare con le decorazioni rotonde).

 

 

No, non è finita.

Sarebbe carino terminare qui, oggi, ma le storie più belle sono quelle irte di difficoltà, e per ora le cose sono state più o meno facili per i nostri eroi, giusto? Insomma, a questa storia manca l'ingresso ufficiale di un cattivo. O meglio, una cattiva. Che è esattamente quella che spalancò il portone della villa con un trillante 'Sono io, fratellino, ho pensato di portarti...'.

Le parole le morirono in gola nell'assorbire la scena davanti a lei: Arthur era seduto sul tappeto, la giacca abbandonata chissà dove e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Il suo viso rovinato era disteso come lei non aveva mai visto, lo sguardo caldo puntato su un tipetto tutto arruffato che, in ginocchio, batteva la mani per attirare le attenzioni di Mordred.

Morgana Pendragon, avvolta nella sua pelliccia bianca, si accigliò.

Che diavolo significava?

 

 

 

 

 

 

 

 

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