Dimmelo in metriche barbare, amore:
pàralizzàta e ìncolòre.
Trangugiamo foschi nettari
in vista di mille, e cento ancora sperperi:
con le palpebre tirate su dal più bieco diletto
- domani, ma poi è già domani, con che coraggio alzarsi dal letto –
scriviamo
di quando Pascoli rilevò che quei petali
erano un poco sgualciti;
s’arriva alla fine, crepare di maggio,
ci vuole tanto, troppo d’impegno;
latrano i cani, olezzo di viole,
- io poi la odio, la rima con –ole –
non sò bene dove
volevo arrivare;
beh, autoironico lo era anche Orazio
- sòffoco sòffoco sòffoco –
forse una punta più colto:
lui avrebbe saputo far rima con viole,
alzarsi dal letto, farla meno banale,
e per arrivàre?
Non lò sénti come sta bene morìre?
Note
Fonosimbolismo: la mia mente vuota e accidiosa riempita dall'eco sfibrante del distico "immagini mortuarie" nella poesia decadente, nel mio manuale. Immagino sia un po' questo. Non venitemi a dire che vi ho parlato anche stavolta d'amore, eh...concedetemi solo la frase iniziale. Giochiamo a quanti riferimenti pseudocolti trovate, se vogliamo.
Tre poesie in otto giorni è molto di più che non salutare. Ormai respiro in poesia: e sembra - e solo sembra - che sia l'unica cosa che io riesca a fare.
(rima incatenata, la chiamerei, ma ho smarrito anche quella memoria)