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Autore: Pauline MillerEunaNotte    11/04/2016    3 recensioni
“Lo sai che per me è troppo amaro questo tipo di caffè.”
“E mettici lo zucchero.”
“Con lo zucchero diventa dolce, ma resta lo stesso amaro.”
Come la nostra amicizia, riflettè Mai.
“Vuoi un bacio?”, chiese Kanami.
Ma che...? Non sto sbarrando gli occhi, vero? Non li sto sbarrando? la professoressa quasi si strozzò con la sua stessa saliva, che non riusciva a deglutire, prima di accorgersi che...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO IV

YEDID NEFESH

 

 

"Lo sapevi che Nanako Kujo e Shuichi Watanabe si sposano?”, disse Kanami Matsuda a Mai Ojiwara alzando improvvisamente la testa dagli esercizi di inglese che l'amica le aveva assegnato e sui quali si stava scervellando da un bel po'.

“Ti vedo molto concentrata sui tuoi compiti, oggi” rispose sarcasticamente l'insegnante, mentre trafficava nella cucina di Kanami, aprendo e chiudendo una serie di antine e cassetti. “Dove tieni la caffettiera? Non posso farti il caffè con la teiera – e ho trovato solo quella.”

“E' nel secondo pensile a destra, sul primo ripiano. Allora?”

“Allora cosa?”

“Allora lo sapevi che Nanako Kujo e Shuichi Watanabe si sposano?”

“Impressionante” fece Mai, con il tono di quando la notizie invece non le interessavano per nulla, anzi erano da inserire nella lista delle cose di cui non curarsi minimamente, appena sotto a “i risultati delle semifinali del campionato regionale di curling” o “come toelettare il proprio iguana”.

“Non ti ricordi nemmeno chi sono, vero?” intuì Kanami.

“Perché, dovrei conoscerli? Pensavo fossero dei tuoi ex-colleghi, modelli o celebrità varie”.

“Ma dai, non ti ricordi di Shuichi-Pollicino-Watanabe e di Nanako Kujo, detta Monte Fuji, la ragazza più alta della nostra scuola, nonché suo irraggiungibile oggetto del desiderio?”

“Ah-a, ora ricordo... irraggiungibile nel vero senso della parola... lui le arrivava sì e no allo sterno!”

“Beh a quanto pare, in un modo o nell'altro si devono essere raggiunti.”

“Lui avrà usato una scaletta!”, rise Mai, facendo sorridere anche l'amica.

“Beh, comunque si sposano. Me l'ha detto lei una settimana fa, l'ho incontrata dal dentista. Mi ha detto che è molto felice, e che è tutto merito tuo!”

“Mio?! E cosa c'entro io adesso? E non dirmi che si amano quei due! Pensavo che si sposassero per unire i domini dei nani a quelli dei giganti, affratellando sotto una sola corona le loro genti, da secoli e secoli impegnate in una lunga ed estenuante guerra leggendaria...”  Mai pronunciò, quasi declamando, l'ultima parte, come una consumata attrice drammatica vecchia scuola potrebbe fare, e sottolineando il tutto con movenze teatrali delle braccia ed espressioni buffe.

“Dio mio, Mai! Mi fai morire... non posso ridere così tanto, mi fai saltare i punti che ho nella gengiva... Comunque c'entri, eccome, non ti ricordi che Watanabe-kun ti commissionò una poesia?”

“Ah-a... Mmmm.. no, non ricordavo precisamente... Come vuoi che mi ricordi, Kanami-chan? Avrò scritto poesie per metà degli studenti a quei tempi... L'abitudine di lasciare lettere d'amore negli armadietti era molto in voga e nessuno dei ragazzi sapeva mai cosa scriverci dentro.”

“E così tutti a rivolgersi alla Cyrano del club di poesia...”

“Ho sempre detestato quel nomignolo. Non ho il naso così lungo.”

“Concordo: naso corto, lingua lunga. E poi hai sempre avuto una penna magica da cui uscivano haiku meravigliosi.”

“Esagerata! Solo perché sapevo combinare insieme diciassette sillabe, non ero certo un genio.”

“Se tutti venivano da te è perché eri la migliore poetessa della città!”

“Se tutti venivano da me è perché la mia tariffa era bassa...” si schermì Mai, che era lì lì per arrossire per i complimenti.

“Due confezioni di Pocky per un haiku, se non ricordo male?”

“Esatto! Hai una buona memoria!”

“Lo ricordo perché un pacchetto lo davi sempre a me...”

Mai si voltò, ufficialmente per cercare le tazzine, ma in realtà per nascondere il viso alla vista dell'amica. Questo ricordo le sembrava così sdolcinato, e così imbarazzante. Con il senno di quattordici anni dopo, poi, non capiva come Kanami non si fosse mai chiesta perché una delle due scatole di dolci spettava sempre e solo a lei, e il fatto di rivangare l'argomento adesso le sembrava poter pericolosamente riaprire l'interrogativo.

Cercò un modo simpatico per chiudere in fretta l'argomento, senza doverlo cambiare bruscamente. “Già. Adesso comunque chiederei molto di più. L'affitto non si può pagare in Pocky. Senti, ma... per fare un bonifico in cioccolato fondente, secondo te, bisogna avere aperto un conto corrente presso una banca svizzera?”

Kanami si lamentò per la freddura, lanciando verso Mai la prima cosa che trovò sottomano (nella fattispecie, una spazzola blu), ma allo stesso tempo rise ugualmente come una ragazzina.

“Ecco il caffè!” annunciò la professoressa portando la tazzina fumante alla sua “studentessa”, che l'accolse stiracchiandosi sulla sedia come se fosse stata lì ad ammuffire da giorni e giorni, quando invece era solo poco più di mezz'ora che stava faticando sul suo compito di inglese.

“Occhio che scotta, attenta alla tua gengiva!” avvertì Mai, vedendo che l'amica stava aggredendo la sua bevanda bollente senza alcuna pietà né pazienza, da vera caffeinomane incallita.

“Non posso, non resisto. Ma tu non bevi?”

“Lo sai che è per me è troppo amaro questo tipo di caffè.”

“E mettici lo zucchero.”

“Con lo zucchero diventa dolce, ma resta lo stesso amaro.”

Come la nostra amicizia, riflettè Mai.

“Vuoi un bacio?”, chiese Kanami.

Ma che...? Non sto sbarrando gli occhi, vero? Non li sto sbarrando? la professoressa, quasi si strozzò con la sua stessa saliva, che non riusciva a deglutire, prima di accorgersi che l'amica stava indicando i cioccolatini argentati, al centro della tavola, che, peraltro la stessa Mai le aveva portato in omaggio di ritorno da un recente viaggio in Italia.

“Si chiamano così, vero?”, riprese Kanami.

“Ah, sì, sì, SI'!”

Che giornata del cazzo! esclamò dentro di sè Ojiwara-sensei, prendendo un cioccolatino, scartandolo e rendendosi conto la frase appena pronunciata mentalmente le avrebbe procurato, secondo i propri parametri di giudizio, almeno un mese di turno fisso di pulizia dei vetri dell'intera scuola, e rendendosi conto che stava sudando e che moriva dal caldo. Oltretutto l'aforisma trovato nel cioccolatino recitava: “Dall'amicizia all'amore c'è la distanza di un bacio. ”

“Cosa combinano le tue studentesse al club di danze popolari?”Kanami cambiò argomento come se nulla fosse, apparentemente ignara di tutto il trambusto che avveniva all'interno della testa di Mai.

“Mah, sono passata prima a vederle. Stanno iniziando a provare una danza ebraica per lo spettacolo che ho affibbiato loro. “Yedid Nefesh” è il titolo del brano.”

“Che bel suono, cosa significa?”

“'Compagno dell'anima' o qualcosa del genere. E' una musica molto struggente (si balla anche ai matrimoni da quel che ho capito) e mi commuove vedere Nishimura e Kanbayashi ballare su questo romantico valzer. Ma deve essere successo qualcosa che mi è sfuggito, perché c'è aria di tensione tra le due.”

“Si certo, immagino come sarai commossa!!! E immagino come non indagherai affatto su questo presunto misterioso “qualcosa” che ti è sfuggito. Ma senti, parlando di arcani, e ritornando al discorso di prima, delle poesie cioè”, proseguì l'ex-modella, ricollegandosi a quanto detto ancor prima del caffè, “mi viene in mente ora che non avevo ancora finito il discorso. Il punto a cui volevo arrivare, prima, è che anche io ho ricevuto un haiku ai tempi della scuola e... penso che sia stato scritto da te.”

“Ah, sì? Possibile, non ricordo. Chi te lo mandava?” rispose Mai fingendo disinteresse, e rammentando invece perfettamente di aver rifiutato di comporre qualsiasi tipo di poesia per qualsiasi tipo di studente di qualsiasi sesso che dichiarasse l'intenzione di volerlo recapitare a Kanami, indipendentemente dalla quantità dei Pocky offerti in pagamento.

“Veramente questa è la domanda che io vorrei fare a te.... Me lo sono chiesta per tutti questi anni e tu devi per forza sapere chi te l'ha commissionato. Non riporta alcun mittente. Vado a prendertelo, magari ti torna in mente qualcosa” e, detto questo, sparì brevemente nella zona notte.

Ojiwara-sensei si slacciò un bottone della camicia.

Aria.... le serviva aria! Quel pomeriggio stava prendendo una piega un po' troppo particolare, e lei aveva iniziato a sentirsi molto meno professoressa e a tornare molto più studentessa imbranata alle prese con una brutta cotta di vecchia data. Inoltre stava iniziando a sospettare qualcosa su quell'haiku...

“Eccolo qui.”

Mai strappò il foglio dalle mani di Kanami e lesse. E avrebbe preferito non aver letto.

Scoppiano i grilli-

ma assorda l'assenza

della tua voce.

Era indubbiamente, indiscutibilmente, inequivocabilmente l'haiku che la giovane Ojiwara aveva scritto durante la pausa estiva dell'ultimo anno, dopo che l'amica si era trasferita a Tokyo per il lavoro del padre e, quindi, nel periodo in cui Mai pensava che non l'avrebbe mai più rivista. Solo alla fine di agosto, infatti, i genitori di Kanami avevano parzialmente modificato la propria decisione e stabilito che la figlia avrebbe comunque finito l'anno scolastico al Makarekawa per non compromettere gli studi fino ad allora fatti e che, perciò, per i rimanenti mesi fino al diploma, sarebbe stata ospitata da una zia.

Ma come era finita quella poesia nelle mani di Kanami? Mai non se ne capacitava. E' vero, aveva pensato più volte di spedirgliela a Tokyo, ma non ci era mai riuscita, nemmeno quella volta in cui l'aveva addirittura infilata in una busta, indirizzata, affrancata e portata fino all'ufficio postale. Nemmeno quella volta aveva trovato il coraggio di infilare la busta nella buca delle lettere.

“Mai vista in vita mia!”, dichiarò, mentendo, Mai.

“Ne sei sicura? A me sembra il tuo stile.”

“Gli haiku si somigliano tutti”, statuì la professoressa, improvvisando. “E poi c'erano altri sei componenti nel club di poesia, nell'ultimo anno, e probabilmente qualcuno di loro, come me, scriveva poesie conto terzi... oppure avevi uno spasimante dal cuore sensibile ma tanto, tanto timido da non essersi iscritto al club pur essendo un poeta nato.”

“Ma tu come fai a sapere che è stata scritta durante il nostro ultimo anno?” indagò Kanami, sospettosa.

Di nuovo il sudore, freddo stavolta, mentre Mai cercava di imbastire una risposta. “E' ovvio, perché ...”

Ma nessuno seppe mai cos'era così ovvio, perché in quel momento si aprì la porta e ne entrò un ubriaco, ubriachissimo marito di Kanami, che faticava a reggersi in piedi, dopo l'ennesimo “incontro di lavoro” tra colleghi, finito a sorsi di Sakè – troppi – come al solito.

La moglie si precipitò a sorreggerlo e lo accompagnò premurosamente al divano, mentre lui, ondeggiando pericolosamente e rischiando di finire contro la vetrinetta piena di animaletti di ceramica, notava infastidito la presenza di Mai.

“Ojiwara-sensei, che piacere vederti qui, anche oggi. Tu non hai una casa tua? O semplicemente ci hai preso gusto a intrufolarti in quelle degli altri?” Non era un mistero che all'uomo non piacesse la frequentazione della moglie con l'insegnante d'inglese, e quando era brillo perdeva anche la sua finta buona educazione e la ruffianeria tipica degli addetti alle pubbliche relazioni, diventando offensivo.

“Matsuda-san, buongiorno. Vedo che reggi sempre meglio l'alcool. La tua presenza in questa casa è come una benedizione del cielo. Sei un uomo di-vino, in effetti.”

Kanami portò un bicchiere d'acqua per il marito. Chissà perché le mogli troppo devote pensano sempre che è possibile risolvere una sbronza medio-grave con un semplice bicchiere d'acqua.

“Dai, Mai-chan, ci penso io qui, vai pure a casa, adesso” disse, in un evidente stato di disagio.

“Sì Mai-chan, vai, vattene!”, fece eco lui, facendole il verso. “Hai sentito cos'ha detto mia moglie?”, disse, calcando sulla parola “mia”.

“Guarda che una donna non è un oggetto di proprietà.”

“Questo è tutto da vedere. Io dispongo come credo delle cose che mi appartengono”, disse lui, afferrando sua moglie per un braccio, con una mano e tenendola per il mento con l'altra, mentre cercava di baciarla a forza, nel suo delirio alcolico, per dimostrare poi chissà cosa.

“Mi fai male, Takeshi! I punti...”

Mai perse le staffe alla vista di Kanami che supplicava invano il marito di lasciarla andare e, trovando nei paraggi il bicchiere d'acqua ancora pieno, glielo versò addosso in un attimo. Mentre lui, preso alla sprovvista, lasciava andare la moglie, entrambe fuggirono in fretta sul pianerottolo per avere un attimo di tregua. Le raggiunse il rumore del bicchiere infranto che l'uomo doveva aver lanciato contro la porta.

“Sinceramente, Kanami-chan.... secondo me non ti conviene ritornare lì dentro. Se vuoi ti posso ospitare, per stanotte o per qualche giorno, o...”

“Non ti preoccupare, ha fatto così tante altre volte, poi si calma... Anzi sono sicura che tra poco si addormenterà, considerato il livello della sua puzza di alcool. Fa sempre così. Domani mattina sarà di nuovo un agnellino.”

“E domani sera sarà di nuovo un demonio! Appunto perché fa sempre così, non puoi andare avanti in questo modo! Non è la prima volta che assisto a scene di questo tipo tra di voi! Non capisci che non cambierà?”

“Non ti preoccupare, davvero.”

“Come faccio a non preoccuparmi, se so che tu se da sola con quella bestia?”

“Quella bestia però è mio marito. Ti ho detto che devi stare tranquilla. E' la mia vita, Mai-chan, e non sono una bambina, so quello che faccio.”

A me non sembra, pensò Mai, ma, vedendo che insistere peggiorava solo le cose, controvoglia salutò l'amica, non prima di averle fatto promettere una dozzina di volte di chiamarla sul cellulare in caso di ulteriori difficoltà, e si diresse verso casa, fermandosi un po' a bighellonare nei dintorni per essere pronta ad intervenire in breve tempo in caso di emergenza.

...

Erano circa le dieci di sera quando il campanello suonò nell'appartamento di Mai Ojiwara.

La professoressa si recò ad aprire la porta in vestaglia e si trovò di fronte una tremante, piangente e visibilmente contusa Kanami Matsuda.

“E' ancora valida l'offerta di ospitalità? Posso pagarti per il disturbo. Ho portato il contante”, disse Kanami, cercando di sorridere tra le lacrime e allungando verso l'amica una confezione di Pocky.

“Stupida” rispose Mai, prendendo comunque i dolci e facendola entrare.

Non ci fu bisogno di fare domande, quello che era successo si poteva leggere sulla faccia a chiazze rosse della povera Kanami senza necessità di spiegazioni o didascalie. E non ci fu bisogno per Mai di esprimere il proprio supporto con frasi di circostanza, quando un abbraccio fu più eloquente di mille parole.

Era un abbraccio dolce, che diceva pressapoco: “Io sono qui per te, qualsiasi cosa sia successa e qualunque cosa debba avvenire, e non me mi allontanerò mai”. Era un abbraccio che non chiedeva niente, ma che dava solo: dava calore, affetto e protezione, tutto quello di cui una persona poteva avere bisogno, in casi come questo.

Kanami capì questo linguaggio silenzioso e, benché il suo cervello in quel momento fosse un gomitolo ingarbugliato di pensieri, di tristezza e di delusione per la fine fallimentare di un progetto che, alla fine, era tutto ciò che era rimasto della sua vita, benché la domanda “Cosa farò adesso?” continuasse a rimbalzare martellando nella sua testa come in un flipper guasto, riuscì, poco alla volta, a calmarsi e a rallentare il flusso dei pensieri.

“Ojiwara-sensei?!? Ho finito di rivestirmi. Ora vado.” disse improvvisamente una ragazza bionda con la divisa del Makarekawa sbucata dal nulla. Anzi, sbucata dalla camera da letto della professoressa Ojiwara. Con un “Sayounara” e una strizzatina del suo occhio strabico uscì dalla porta d'ingresso, ringraziando, inchinandosi e lasciando il gelo tra le due donne rimaste nella stanza.

“Mai...” sussurrò Kanami con un'espressione vuota, sciogliendosi in fretta dall'abbraccio di poco prima. “Co... cosa vuol dire: 'ho finito di rivestirmi?' E... chi è quella ragazza? Tu... tu ti... vedi... con le tue studentesse?”

“Non... Oh, no, Kanami... ti assicuro che... che non è come sembra...!”

“Tu, tu, TU!” Iniziò a gridare senza ritegno Kanami, che, trovando nei dintorni i cuscini del divano, ritenne di doverli scagliare violentemente a terra. “Tu, Ojiwara-sensei, hai una relazione con una tua studentessa minorenne! E' così, vero Mai-chan? Confessa questa cosa indegna! Sei una persona... pessima!”

“Kanami-chan, ti prego, domani ti spiegherò tutto, ora sei troppo agitata, e stanca! Adesso non crederesti a nessuna giustificazione, perché sei troppo nervosa e devi farti una dormita. Vieni, ti preparo il mio letto, e io dormirò sul divano...” disse Mai cercando di prenderla per mano per guidarla verso la sua stanza.

“Ah no, grazie!” si scansò Kanami, inviperita. “Nel letto dove fai sesso con una minorenne no, risparmiamelo. Dormirò io sul divano.” Stette un secondo in riflessione e poi sbottò: “Oddio no, non dirmi che lo fate pure sul divano? Non ci posso pensare... Dove posso dormire, allora?”

A Mai Ojiwara veniva quasi da sorridere tra sé e sé, mentre cercava nell'armadio un futon da preparare per l'amica. Si sentiva in colpa per essere un po' felice mentre l'ex-modella era in quello stato pietoso, ma... cosa poteva farci? Kanami era a casa sua, aveva lasciato suo marito e forse, sì, forse era... un po' gelosa?


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Buongiorno, anzi buonasera cari lettori!
Spero che il finale di questo capitolo non vi abbia troppo sconvolto e che in generale il tutto non vi sembri troppo drammatico o pesante, comunque ricordatevi cosa dice Ojiwara-sensei... e datele un po' di fiducia...
;)

Ringrazio Geofender che è rimasta l'unica a recensirmi per ora... non lasciatela troppo sola!
E ringrazio la mia beta-reader D.

A presto!!!

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Dimenticavo!
Piccolo glossario
L'haiku è un componimento poetico tipicamente giapponese, la sua particolarità è essere composto da un numero fisso di versi e sillabe, 3 versi: il primo di 5 sillabe, il secondo di 7 e il primo ancora di 5. Deve contenere un riferimento alle stagioni ed una cesura, cioè un cambio improvviso (di tono, di argomento)
Il futon è il tipico letto giapponese che avete visto in tutti gli anime, quello che si stende a terra e sembra a grandi linee un sacco. Solitamente quando non si usa viene piegato in tre e chiuso in un armadio.
I Pocky in Italia sono conosciuti come Mikado (bastoncini ricoperti di cioccolato, in giappone sono disponibili in molti gusti (ad esempio, alla fragola, alla vaniglia).
Il Sakè è una bevanda alcolica tipicamente giapponese che si ottiene dalla fermentazione del riso
   
 
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