Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Lady A    12/04/2016    7 recensioni
«[…] Mi sono fermato in Francia per due motivi. Per dare l’ennesima dimostrazione a me stesso che il mio cuore adesso non prova più amore per lei e… per voi. Sì per voi. Vi confesso che in questi sette lunghi anni mi è capitato sempre più spesso di pensarvi Madamigella Oscar, il ricordo della vostra immensa grazia, dei vostri bellissimi lineamenti e dei vostri meravigliosi occhi azzurri sono stati in grado di placare come nient’altro le profonde sofferenze di questi lunghi anni. E sempre pensando a voi, ho capito quanto davvero ho sbagliato con la Regina. Lei resterà sempre nel mio cuore, ma ora posso dirvi con certezza che riesco a pensarla in maniera diversa… mentre per voi… per voi mi sono accorto di provare qualcosa di profondo, di molto profondo Oscar… non voglio sconvolgervi ma credetemi, ci tenevo a dirvi che nell’eventualità che ricambiaste i miei sentimenti, desidererei come niente al mondo sposarvi…»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rosa nata ieri


 
Aprii gli occhi nel silenzio di un nuovo inizio. Il sole venne al mondo fiero, rintagliando un proprio spazio tra le nubi che velavano il cielo.
Il giorno che più temevo era arrivato così com’era passato, colmo di tristezza per me, ma inesorabilmente frenetico e pieno di gioia per quelli che mi circondavano.
Oscar aveva lasciato tutto il mondo dietro di sé per l’uomo che amava, l’unico ed inimitabile conte Hans Axel di Fersen! Insieme avevano abbandonato la Francia, diretti in Svezia per l’imminente matrimonio.
Il Generale Jarjayes da sempre fedele alla Corona, aveva sagacemente caldeggiato quest’unione che avrebbe allontanato definitivamente il conte svedese dall’ormai impopolare Regina Maria Antonietta.
Sforzandomi di concentrare i miei pensieri altrove, mi alzai dal letto con stanchezza, spento come un fuoco impavido che aveva bruciato per l’intera notte. Inciampai su alcune bottiglie che avevano accompagnato la mia infelice serata. Le raccolsi e con un sospiro le poggiai sul tavolo della mia stanza. Appena vestito, mi occupai di farle sparire dagli occhi vigili di mia nonna, che solo la sera prima mi ero ritrovato a dover confortare per la partenza di Oscar. Avvertivo anch’io terribilmente la sua mancanza. Molti erano stati gli avvenimenti che avevo visto sfuggire come sabbia dalla mani, senza poter far nulla per trattenerli.
Non ne avevo diritto.
In un soffio di vento, avevo visto Oscar cambiare a tal punto da non capire più chi lei fosse.
Vederla felice e raggiante in quegli abiti femminili per Fersen, aveva confuso e distrutto il mio cuore.
Dov’era finita la Oscar caparbia, orgogliosa e spavalda che amavo e ammiravo? La mia compagna di giochi, studi, lotte, cavalcate e duelli instancabili?
La salutai con un doloroso contegno.
Con rispetto e dovuto riguardo, diedi addio alla donna che era diventata. Felicemente sottomessa ad un amore che dopo lunghi anni d’attesa aveva scoperto ricambiato.
Era felice con lui. Me lo ripetevo di continuo senza trarne un reale sollievo.
Non ero nessuno per impedirle di vivere una simile gioia. Fin da bambino, avevo sempre anteposto la sua felicità alla mia.
Mi guardai allo specchio, sistemandomi i capelli, la giacca di fustagno e il fazzoletto di seta attorno al collo. Con amarezza mi sforzai di sorride. Chiusi gli occhi per un breve istante, lasciandomi carezzare dal tiepido assalto di luce del giorno nascente. Afferrai una brocca d’acqua, riempendo un bicchiere. Quando mi apprestai a bere, il vetro si sgretolò penosamente tra le mani. Sinistro, il sangue imbrattò ogni cosa. Mi irrigidii, stringendo le labbra. Disperato gettai a terra ogni cosa. Sedie, tavolo, bicchieri, brocca e catino. Temetti di impazzire. Privo di fiato caddi in ginocchio. Solo allora capii di star piangendo fragile come un bambino venuto al mondo.


Trascorsero molte settimane. Arrivò la primavera a schiudere con i suoi delicati ciliegi in fiore, le lunghe giornate. Quel nauseante senso di dolorosa perdizione, continuò inesorabilmente ad accompagnarmi nei giorni a seguire. Ne fui quasi contento. In quei momenti, era solo la sofferenza a ricordarmi di essere ancora vivo. La sua mancanza chiuse ogni mio senso.
Smisi perfino di ubriacarmi. Bere avrebbe ridestato antichi ricordi di lei; di noi, un tempo uniti come fratelli.
Una sera di luna piena, libero dalle solite mansioni, reggendo le redini del mio cavallo, mi inoltrai nelle viscere più misere di Parigi. Un groviglio di strade strette e affollate, infangate da un disgustoso odore proveniente dalle numerose concerie, ma non solo. Numerosi erano i cadaveri ormai in decomposizioni di bambini, mendicanti, vagabondi e prostitute che erano stati abbandonati a loro stessi, riversi senza alcuna pietà e rispetto, in vincoli bui e umidi. Mi si strinse il cuore a quella visione.
Accanto a me, la Senna scorreva serena ma erano molti i parigini che spesso colpiti da vaiolo, tubercolosi o sifilidi, venivano gettati nelle sue acque. Ogni giorno le morti erano sempre più numerose e i cimiteri avevano sempre meno spazio per seppellire i loro corpi.  
Il Signore ha creato tutti gli uomini uguali. Avevo ascoltato per la prima volta quelle parole da Padre René, sacerdote di una piccola chiesa nella periferia di Parigi. Avevo cominciato a frequentarla poco dopo il rientro di Fersen dall’America. Ci riunivamo lì due o tre volte alla settimana. Contadini e nobili parlavano insieme di una nuova Era. Discutevamo della presente situazione della Francia e anche di quella futura, la speranza di tutti era quella di vivere una vita migliore, liberi dalle disuguaglianze.
In quel momento, mi resi conto di quanto quei bei discorsi servissero a poco.
Bisognava agire e al più presto.

«Inseguitelo! E’ il Cavaliere Nero!».

Uno sparo gelò l’aria.
Mi voltai nell’abbraccio della luce soffusa della luna.
Vidi alcune guardie in sella ai loro fieri destrieri. Impeccabili nelle loro divise, mi oltrepassarono senza degnarmi di uno sguardo, inseguendo la pista del ladro. Sembravano diretti nei pressi di Place de la Concorde. Pregai che non la catturassero. In quei mesi, il Cavaliere Nero si era prodigato molto nell’aiutare i poveri, mettendo ogni qualvolta a repentaglio la sua stessa vita.
Ammiravo molto la sua figura e la sua dedizione.
Bottoni d’oro, d’argento, monete, anelli, gioielli, orologi e pietre preziose; con agilità e astuzia spogliava ogni notte i nobili della loro frivolezza. In breve tempo la sua fama aveva raggiunto tutta la regione, il popolo parigino lo acclamava con fervore, era il germoglio della speranza.
Nel silenzio cupo della notte un gemito mi indusse a voltarmi. Da lontano, reggendo con una mano la sua spalla ferita, avvolto da un mantello, un’oscura figura cercò di alzarsi in piedi. Poco distante da lui, un cavallo nero.
Mi avvicinai esitante. La maschera nera ricadde dal suo volto, svelando ai miei occhi la sua identità.
Lo riconobbi con stupore.
Bernard Chatelet, giornalista di “Le Vieux Cordelier”!
Era lui il fantomatico Cavaliere Nero!
Conoscevo già Bernard, anche se superficialmente. La prima volta che lo vidi fu una sera lontana, alla Bonne Table,  in compagnia del giovane Robespierre. Oscar era ancora con me. Successivamente lo avevo visto più volte parlare nella piccola chiesa che ero solito frequentare. Era un ottimo oratore, forse uno dei migliori. Condividevo molte delle sue idee e ideali e le condivido tutt’ora.
Velocemente, reggendolo, lo aiutai a rialzarsi. La ferita al braccio si presentava molto profonda, muoversi per lui, divenne ben presto fonte di dolore, tuttavia non lo diede a dimostrare. Stringendo i denti, si lasciò guidare in una strada più isolata. Bisognava estrarre il proiettile e procedere con le medicazioni al più presto.

«Ti prego… porta questi gioielli alla famiglia Marillac… abitano dall’altra parte del quartiere, di fianco alla bottega di un fabbro, non puoi sbagliarti! Il marito è gravemente malato, se non intervengono in tempo con le cure… per lui sarà troppo tardi…».

Il suo piglio determinato, i suoi pugni stretti, la sua voce colma di sincera disperazione mi colpirono profondamente. Vidi il fuoco brillare nel suo sguardo. Malgrado il dolore, Bernard strinse le mie spalle.
Attendeva una risposta.
Non mi sarei mai tirato indietro.

«Farò come avete detto, ma voi restate qui. Tornerò il prima possibile ad aiutarvi…».

Mi consegnò la refurtiva. Una collana d’oro, alcuni orecchini e anelli, incastonati da smeraldi e rubini. Mi guardai attorno circospetto. Raggiunsi la casa da lui indicata. Un’abitazione poco illuminata, costituita da una sola stanza, priva di riscaldamento e acqua. In mancanza di camini, molti parigini usavano pericolosi bracieri o fornelletti in terracotta sui quali si ritrovavano spesso a cucinare. L'acqua invece, veniva procurata presso fontane pubbliche o da pozzi il più delle volte inquinati, scavati nei cortili di alcune dimore.
L’unica finestra posta molto in alto, era priva di vetri.
Mi arrampicai, confondendomi nelle tenebre della notte.
Disponevano di un unico letto. La moglie e i figli, alcuni molto piccoli, erano sistemati intorno al capezzale dell’uomo. Provai tanta pena per loro. Insieme ai preziosi, depositai alcune mie monete d’oro. Disponendo il tutto in un sacco, lo gettai nella finestra, allontanandomi nel silenzio dell’ombra.
Dopo quell’accaduto, una fiamma di vita mi crebbe nel cuore.

Il Palais-Royal, dimora del Duca D’Orléans, era frequentato da moltissimi giovani.
Aspiranti avvocati, artisti, giornalisti. Erano in molti a frequentare assiduamente il suo salotto.
Accompagnai Bernard lì, dove venne curato. Entrambi eravamo perfettamente coscienti di quali fossero i reali intenti che spingevano il Duca ad accogliere e celare negli interni del suo palazzo un nemico della nobiltà.
Parlammo a lungo quella sera, dove ebbe inizio per me, un’altra vita.
Parigi si arricchì di un nuovo Cavaliere Nero.

Trascorse un mese esatto da quel giorno.
Ogni notte io e Bernard ci dividevamo e prodigavamo in piccoli furti nella abitazioni più nobili della capitale.
Scoprii di avere una vocazione segreta per quel lavoro.
Quella sera di primavera, dove il cielo era ricoperto di stelle e la luna vegliava limpida dall’alto, venni inseguito da alcune guardie, ma mi fu abbastanza facile depistarle.
L’ombra era mia amica.
Fui convinto di averle del tutto seminate quando avvertii dei passi alle mie spalle. Sussultai. Coperta in parte da una chiaro mantello, una figura femminile si offrì al mio sguardo. Avanzò lentamente verso di me, muovendosi con distinta grazia nel suo abito di seta.
Ebbi la sensazione che mi sorridesse.

«Ho sentito molto parlare di voi… io non ho bisogno di tutto questo…».

La sua voce risuonò calda e vellutata. Mi porse uno scrigno colmo di monete e pietre preziose.

«Conto molto su di voi… Cavaliere Nero!».

Le nostre mani si sfiorarono appena. La guardai esitante.
Ebbi l’impressione di conoscerla. Non mi sbagliai.

«Io… vi ringrazio…».

Sorrisi riconoscente, inchinandomi per poi confondermi nella notte.

Solo la mattina successiva capii chi realmente fosse.
Contessa Astrée De Flamel, nipote di Madame Jarjayes, giovane pittrice dal carattere libero e solitario, originaria della Provenza, vissuta per un lungo periodo in Inghilterra. Dopo la partenza di Oscar, soggiornò alcuni mesi da noi, aveva venticinque anni allora. Lunghi capelli neri, il più delle volte raccolti in uno chignon, occhi azzurri e un colorito fresco, delizioso.

«Credo che questo sia vostro…».

Al mio rientro quella mattina, Astrée mi raggiunse nelle cucine. Ci trovammo uno di fronte l’altro. Riconobbi il suo sorriso. Tra le mani stringeva il nastro blu che credevo di aver perso nella fuga.

«Siamo dalla stessa parte André, ma mi raccomando, fate sempre molto attenzione…».

Con dolcezza si voltò, scivolando nella mia vita. 

 
  
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