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Autore: miss potter    12/04/2016    6 recensioni
Uno Shadowhunter, un pianoforte ed uno Stregone che non sa tenere le mani a posto.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Play me.

 



 




“Magnus?”

Intimidito dall’atmosfera opalescente del lussuoso e giusto un po’ lugubre loft dello Stregone di Brooklyn, il cacciatore di demoni fece capolino dalla soglia come un leprotto in esplorazione, ogni nervo in tensione, occhi e orecchie vigili. Aveva fatto visita al Nascosto in svariate occasioni, tutte – più o meno – per questione di affari, e quell’appartamento, come del resto il suo enigmatico proprietario, non finiva mai di stupirlo.

A piccoli passi incerti, Alec vi si addentrò, guardingo ma allo stesso tempo incuriosito da quell’apparentemente innocuo silenzio regnante su ogni stanza, come su di una tomba tappezzata di quadri dal valore inestimabile. Innumerevoli, infatti, erano i party tenuti da Magnus Bane, inguaribile festaiolo ed amante del bello e dannato. Se dilatava le narici, il ragazzo poteva quasi sentirne il profumo, di quelle serate volte allo sballo estremo, dell’alcol versato sui tappeti persiani, o magari su un angolo del divano a forma di labbra sfuggito alla magia riparatrice dello Stregone… Ed era per questo che Alec si ritrovò a sorridere tra sé, divertito al pensiero di quanto la natura delle persone, siano esse mortali o meno, possa essere eterogenea. E Magnus non si poteva certo definire una persona banale, o prevedibile.

“C’è… nessuno in casa?” riprovò Alec, e si mordicchiò nervosamente un labbro quando per l’ennesima volta non gli risposero altri se non la sua eco ed il miagolio sommesso di Chairman Meow, acciambellato pigramente sul comò. “Dev’essere via.”

E con via nessuno avrebbe potuto dire che cosa si intendesse davvero. Avrebbe potuto essere impegnato in qualche rievocazione particolarmente difficoltosa sulla Muraglia Cinese, infatti, come anche al supermercato sotto casa con la fronte corrugata di fronte al reparto dei latticini. Alec ridacchiò sonoramente, stavolta, a tale pensiero; velocemente scosse la testa riccioluta quando si decise a rilassare i muscoli in tensione e appoggiare arco e faretra vicino al grande pianoforte bianco troneggiante al centro dell’enorme salone.

Osservò lo strumento, imperioso e tirato a lucido, come si fa con un raro e delicato pezzo da museo esposto fuori dalla sua teca solo per pochi giorni ad altrettanto esigui privilegiati. Non osò avvicinarcisi più di un paio di metri, anche se i suoi occhi blu scuro sembravano esserne attirati come una falena ad una fonte inesauribile di luce argentea.
Da bambino aveva imparato a suonare qualcosa, ma oscurato da Izzy, più brillante del fratello nella musica, aveva semplicemente lasciato perdere. Forse avrebbe ripreso a suonare più avanti, si era riproposto… Magari in solitudine, quando non ci fosse stato nessuno ad ascoltarlo, a giudicare.

Sospirò, scacciando dalla mente tali ricordi come fossero fastidiose mosche, e cedette alla tentazione: si sedette sulla poltroncina di morbido velluto nero appoggiando le dita affusolate sul coperchio che celava i tasti d’avorio. Lo sollevò quasi con fare annoiato, proponendosi di indugiarci solo un paio di minuti perché Magnus sarebbe potuto rincasare da un momento all’altro. Tuttavia, cosa c’era di male, in fondo, a curiosare un poco? Era sempre un adolescente curioso, prima ancora di un implacabile soldato delle tenebre senza pietà né frivolezze.

Fece scorrere i polpastrelli callosi lungo l’elegante fila di tasti di un’abbagliante lucentezza, incapace di ignorare la pulsante voglia di premerne uno, solo per… sentirne la voce. E lo fece. Affondò l’indice destro su un tasto casuale che produsse una nota medio alta, profonda ma allo stesso tempo frizzante, graziosa, e contemporaneamente virile.

Trasalì, poiché lungo la schiena gli si generò un brivido d’eccitazione che, come una scossa elettrica, lo tentò a premere un secondo tasto, e quindi un terzo, e così via, in un movimento di muscoli ed ossa quasi involontario. Compose una decina di note zoppicanti prima di riuscire trovarci un ritmo, un senso, prima che i tendini si scaldassero e quindi anche il cervello iniziasse a collaborare con le appendici.

Alla destra corse in aiuto anche la mano sinistra, e Alec, dimentico della propria promessa, si sistemò meglio sullo sgabello per fronteggiare lo strumento che con tanta indulgenza gli stava dando il bentornato; il sorriso appena abbozzato gli sfumò dalle labbra carnose non appena ricordò le note di un vecchio spartito imparato da piccolo e mai del tutto cancellato dalla memoria, che andò ad eseguire con crescente sicurezza.

Le note cominciarono ad accavallarsi l’una sull’altra, ad inseguirsi giocose prendendosi per mano, a tratti spingendosi scherzosamente, altre volte facendosi inciampare a vicenda, ma sempre in un susseguirsi armonico e mai forzato di suoni che generò una melodia di cui lo stesso Alec iniziava a sbalordirsi. Incredibile come quelle stesse mani che sapevano solo togliere la vita, addestrate alla guerra e all’assenza di qualsivoglia gentilezza ed indugio, ora fossero responsabili di tale leggiadria musicale, di siffatta dolcezza. Ed Alec arrossì, riflettendo sulle mille e più risorse che ancora del proprio corpo avrebbero potuto sorprenderlo...

In quel preciso istante, una terza mano – grande, calda – si aggiunse al piccolo concerto in atto, posandosi con la morbidezza di una colomba ed il vigore di un’aquila reale a caccia sulle note acute, più alte, riscuotendo così Alec dal suo fanciullesco sogno ad occhi aperti.
Il ragazzo sobbalzò leggermente sullo sgabello di velluto, le mani pietrificate e salde sui tasti del pianoforte, che però non restò silente. Magnus si riallacciò alla melodia troncata dal Nephilim con inverosimile destrezza, come se essa non fosse mai stata spezzata. Alec, al contrario, pallido come un cencio, osservò in apnea il movimento fluido e sensuale delle dita ingioiellate dello Stregone sbucato dal nulla. Questi, esibendo un enigmatico sorriso sbilenco, si pose leggermente piegato col busto in avanti, il viso dai tratti regolari a poche spanne da quello più aguzzo del ragazzo seduto.

“Perché hai smesso di suonare, tortino di mele?” domandò Magnus, il tono di voce tanto vellutato quanto le note che danzavano assieme alle sue dita affusolate ed esperte.

Alec tornò a respirare riguadagnando un tono o due di colorito sulle guance, e sbatté un paio di volte le palpebre prima di sentirsi arrossire fino alla punta dei capelli corvini.

Tortino di—

“Io… Io non—” balbettò, le dita tremanti e incollate ai tasti come farfalle spaventate intrappolate sulla carta moschicida. Non fu neppure in grado di darsi il giro col respiro, tanto che iniziò pure a boccheggiare appena. Per l’Angelo, che vergogna.

“Io… Mi dispiace, Magnus. Non volevo…”

Magnus rise di gusto, di quella sua ilarità cristallina e genuina di cui raramente dava spettacolo, mentre continuava imperterrito a suonare, ma stavolta con entrambe le mani: intrappolò Alec tra le sue braccia, il mento quasi appoggiato alla spalla del giovane Shadowhunter, il respiro di conseguenza caldo sulla guancia di quest’ultimo.

Gli parlò suadente all’orecchio, a bassa voce, come se stesse per rivelargli un segreto.

“Shh. Sei bravo,” fu il suo verdetto, le labbra curvate in un sorriso malizioso, appoggiate lievemente sulla conchiglia color ciliegia dell’orecchio di Alec.

Ci mancò poco che il ragazzo non svenisse dall’imbarazzo.

Abbassò lo sguardo, notando come i peli delle braccia fossero ritti come gli aculei di un istrice sulla difensiva, e la pelle increspata come quella dei polli appena spennati. E si poteva definire altrettanto in ansia per la sua sorte, proprio come fosse inchiodato alla vetrina di una macelleria.

“Mi hai spaventato,” cambiò frettolosamente argomento, tornando pian piano a comporre qualche timida nota cercando di star dietro all’innegabile abilità dello Stregone, ancora troppo vicino. Ardeva, contro la propria schiena, le labbra inumidite e tiepide, decisamente fuori luogo così prossime alla propria tempia. Se avesse chiuso gli occhi, ne avrebbe potuto tracciare il contorno con la sola forza dell’immaginazione.

Il Nascosto sollevò gli occhi brillanti color dell’oro al cielo, rallentando il ritmo della composizione, senza smettere di sorridere come se non potesse farne proprio a meno.

“Combatti orde di demoni, vampiri, ed ogni sorta di feccia infernale, rischiando la vita ogni giorno… Non credi di esagerare giusto un pochino, Alexander?” lo prese in giro, ridacchiandogli su una guancia.

Alec arrossì, se possibile, ancor più di prima, sforzandosi di concentrarsi sui tasti del pianoforte, sulla melodia. DO, RE, MI, FA… e dopo cosa c’è? Magnus sapeva trasformare quel nome così poco originale in una vera e propria sinfonia, attribuendogli il sapore che solo un poeta o un folle d’amore avrebbero saputo concepire.

“Melodrammatico, come sempre,” fu la risposta del più giovane, mormorata a mezza voce. “Non mi fai alcun effetto.”

E tanto palese fu quella bugia a fin di bene, che lo stesso Alec si lasciò sfuggire un minuscolo ghigno, il pallido riflesso di questo che sorse ardito sulle labbra sottili color pesca dello Stregone.

“Mm, ma davvero? Allora non dovresti trasfigurarti in un pomodoro maturo ogni volta che ti sorprendo a casa mia, a fare cose…”

Alec si domandò come fosse fisicamente possibile che una persona, per quanto magica e sì, con secoli di vita alle spalle, potesse raggiungere un tono di voce così basso e mellifluo; si riscoprì in seria difficoltà a continuare a respirare, figurarsi suonare, anche perché Magnus sembrava cavarsela alla perfezione anche da solo.

E da quando faceva così caldo in quell’appartamento?

“… Pensavo di essere il benvenuto nel tuo prezioso loft,” deglutì Alec, il cuore a mille, sbirciando l’altro uomo con la coda dell’occhio e le labbra leggermente dischiuse.

“Infatti è così. E hai il permesso di toccare qualsiasi cosa sia in esso presente.”

“Qualsiasi cosa?”

“Precisamente.”

In una rapida torsione del busto che fece boccheggiare pure il costantemente annoiato Stregone di Brooklyn, Alec si avventò sulle labbra di questi, immergendo una mano tra i capelli impiastricciati di gel e screziati di buffe mèches blu petrolio.

“Se la metti così, allora…”.

Ed in una frizzante, e allo stesso tempo ardente risata sulle labbra a cuore del suo angelo musicista, Magnus davvero non ebbe niente da ridire. Per una volta.









Author's Corner

Per chi non mi conoscesse, sono nuova in questo fandom ma non in EFP. Seguo anche "Sherlock" (BBC) e ne scrivevo anni, secoli fa. Vorrei con oggi condividere con chiunque abbia voglia di leggermi una piccola cosina che ho scritto qualche settimana fa in onore di una ship che SO GIA' mi condannerà ad una vita molto disturbata. Semplicemente venero la Malec, ho seguito con crescente piacere la serie TV e sto al momento leggendo i libri. Credo che la Clare sia una scrittrice talentuosa nonostante i temi triti e ritriti,  e sono altrettanto sicura che ne sarò sempre più attratta.

Grazie a chi lascerà un commento!

Miss Potter

P.s. i'm back (?) 

 

  
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