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Autore: _marty    15/04/2016    1 recensioni
Eric e Claire si incontrano dopo tre anni. Hanno tanto da dirsi, da raccontarsi ma si parlano sempre allo stesso modo con parole strozzate, omesse, mai dette a fare da sfondo. Tre anni passati a dimenticarsi, a non parlarsi, a superare tutto quel tempo in cui si erano amati ed appartenuti in silenzio. Tre anni passati ma senza che qualcosa fosse realmente cambiata.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo 19
3 anni prima
 


*I protagonisti del capitolo sono Eric e Claire, i loro POV si alterneranno.
Il nome in grassetto all’inizio del paragrafo cambia il punto di vista.*

 

Eric era uscito da quella stanzetta sbattendo la porta, aveva intravisto Claire e aveva letto nel suo volto quanto fosse mortificata riuscendo a farlo sentire in colpa. Poteva essere meno violento, poteva dire le cose in maniera diversa, ma aveva imparato sulla sua pelle che essere bruschi era l’unico modo per allontanare le persone; era stato efficace con Amy e, adesso, lo era stato anche con Claire. Non si sentiva in nessun modo sollevato, si sentiva solamente in colpa e allo stesso tempo represso.
“Eric?”
Si girò verso Mel.
“Ero con Claire.”
Non sapeva nemmeno perché si stesse giustificando, lei non gli aveva nemmeno chiesto dove fosse stato.
“Non so cosa sta succedendo tra di voi, ma tu mi sembri alquanto sconvolto.”
Era quasi incredulo a sentire quelle parole, lui non le aveva chiesto niente, lui non le aveva detto niente e lui non riusciva a risponderle. La vide ridere per l’imbarazzo e grattarsi la nuca con la mano destra.
“In qualche modo risolverete, Eric.”
Lo consolò in quel modo, con quelle parole semplici che gli accarezzavano le orecchie e la vide andare via; nonostante lui fosse rimasto zitto per tutto quel tempo, Mel sapeva sempre di cosa lui potesse avere bisogno. In quegli anni aveva sempre avuto le parole ed i sorrisi giusti, a volte anche i suoi silenzi erano serviti a qualcosa.
“Eric?”
Si era girata per dirgli un’altra cosa.
“Domani escono i risultati.”
Aveva deglutito a fatica, sapendo quanto ciò lo avrebbe reso nervoso.
“Ci vediamo tutti qui alle tre, non mancare.”
Annuì silenziosamente e si rese conto che avrebbero condiviso in quel modo l’ultimo pezzo dei loro cinque anni e l’ultima briciola della loro adolescenza.
 
 
Claire lo aveva visto uscire dalla stanza e sbattere la porta. Sentiva ancora il respiro di Eric sull’orecchio, le sue labbra vicino al collo e si sentiva sempre più mortificata. Lo aveva accusato, quasi sputando dalle sue labbra tutto ciò che credeva di provare, ma c’era una parte di lei che credeva che Eric avesse fatto bene ad allontanarsi e a non cedere. Dovevano stare separati fin quando lei non avesse deciso, ma lei nel frattempo si sentiva male al solo pensare che Eric avesse rifiutato quel bacio e tutto ciò che lei dicesse. Sapeva che decontestualizzare quella situazione non poteva che farle male, ma continuava a vedere davanti a sé quegli occhi chiusi ed a sentire quelle labbra fredde non ricambiare il suo bacio. Uscì dalla stanza senza forze e senza nemmeno sapere dove andare. I suoi pensieri corsero nuovamente alla scena che si era consumata pochi minuti prima, adesso si vedeva come uno spettatore esterno con gli occhi puntati su Eric e lei. Loro come sempre vicini, lei che cerca di provocarlo e lui che non risponde al suo tocco in nessun modo. Sentiva come se la sua paura più grande si fosse appena avverata e che lei ed Eric non avessero costruito niente fino a quel momento, con quell’ultima loro scena non c’era più spazio per i baci a mare o quelli nella sua stanza quasi senza respirare. Sentì una stretta al petto, il diaframma bloccato e dovette appoggiarsi al muro per riprendersi; si era appena resa conto che la vita senza Eric sarebbe stata in quel modo, si era appena resa conto di come tutto sarebbe stato arido e morto senza di lui. Nessun sorriso, nessun tocco impercettibile, nessun modo per immaginarsi insieme nel futuro.
“Claire?”
Percepiva la presenza di Mel davanti a sé, la sua voce chiamarla ma senza che riuscisse a vederla.
“Ma che ti sta succedendo?”
Si sentì scuotere e finalmente riuscì a guardarla, meno assente ma ancora persa in quelle immagini.
“Gli altri sono già andati via.”
Annuì, ciò voleva dire che Eric se ne era andato.
“E anche tu sei sconvolta.”
Credeva davvero che non se ne fosse accorta.
“No, non lo sono.”
Mel alzò il sopracciglio destro e Claire sapeva che stava per rimproverarla.
“Sei umana, Claire.”
Si avvicinò a lei e le strinse il braccio con la mano destra.
“Quando la smetterai di dire cose nettamente opposte rispetto a ciò che dice la tua faccia o il tuo corpo?”
“Io-”
Aveva lasciato la frase in sospeso, stava quasi iniziando a balbettare.
“Non lasciare che i tuoi sentimenti ti divorino dentro.”
Le prese la mano, la condusse fuori dalla scuola e Claire sentì il cuore scaldarsi.  
 

***
 
Avevano pranzato a casa di Claire e Mel, nonostante lei non avesse detto niente, se n’era presa cura come se fosse sua madre. Aveva preparato la pasta e gliela aveva messa davanti, lei aveva preso la forchetta ed aveva cominciato a rigirare gli spaghetti ma poi si era fermata, aveva guardato Mel e aveva abbandonato la forchetta dentro al piatto.
“Non mi vuole più, Mel.”
Adesso guardava un punto non definito davanti a sé e sperava che Mel la consolasse.
“E’ una cazzata e lo sai pure tu.”
Lo aveva detto con un tono pacato, continuando ad interessarsi al piatto di pasta che aveva davanti a sé.
“Oggi era distrutto, non ha detto niente appena è uscito dalla stanza.”
La vide versare un po’ di acqua dentro al bicchiere e poi guardarla.
“E sono convinta che quella faccia era dovuta a qualcosa che hai detto tu, Claire.”
“No questa volta io non ho detto niente.”
La vide bere l’acqua e nel frattempo osservarla.
“Ti pare normale che non mi ha detto niente quando è arrivato, Mel?”
L’amica continuava a guardarla, impassibile.
“E’ arrivato e non mi ha rivolto la parola, poi ha continuato così e volevo metterlo alle strette.”
Claire era visibilmente arrabbiata.
“Volevo che mi guardasse dentro agli occhi perché non può semplicemente non guardarmi o non parlarmi.”
Mel la interruppe subito.
“Ieri cosa gli avevi detto?”
Claire arrossì e fu evidente che Mel aveva capito già tutto.
“Che non appena saprò se andrò in Inghilterra parleremo di ciò che sta succedendo.”
“E allora, Claire, adesso di cosa dovreste parlare?”
“Siamo amici.”
La vide scuotere la testa.
“Siete tutto tranne che amici.”
“Non è vero.”
“Sei così stupida da non vederlo?”
“No, Mel, lui è il mio migliore amico.”
“Posso assicurarti che Eric è mio amico.”
Mel si interruppe indicandosi e poi riprese a parlare.
“Ed io non lo guardo come lo guardi tu, Claire”
La vide sbuffare e le fece capire che era quasi infastidita dal doverle sempre spiegare tutto.
“Tu te lo spogli con gli occhi, te lo baci ogni volta che lo tocchi e lui ti permette tutto ciò.”
Le mancava il fiato, ma ebbe modo di risponderle ugualmente.
“Non è vero.”
“Invece è vero, Claire. Adesso che lui non te lo permette, tu fai la bambina ferita, la bambina in lacrime che ha perso il giocattolo.”
Incrociò le braccia per respingere le parole di Mel e per proteggersi.
“E lui ti sta allontanando per evitare di perdervi, per poterti amare completamente solo quando tu ne sarai sicura.”
Quel discorso aveva senso, Mel era incalzante con quelle parole ed aveva ragione su ogni cosa.
“Forse Claire tu non lo ami abbastanza.”
Stava facendo quella pausa apposta, lo stava facendo solo per capire meglio ciò che provasse.
“Forse hai passato così tanto tempo ad idealizzarlo che adesso non vale più niente.”
“Non è vero.”
“Forse il tuo non è amore, è solo gelosia e possessione.”
“Non è vero.”
Lo aveva detto piano, quasi sussurrandolo a se stessa.
“Non è così che ami una persona.”
“Non è vero.”
“E allora non dovresti ferirlo così.”
“Non lo sto ferendo, gli dico solo come stanno le cose.”
“Però nel frattempo lo illudi.”
Stava davvero solo facendo in quel modo?
“Io so cosa provo per lui ma-”
Aveva interrotto la frase perché sapeva già cosa volesse dire e come esprimerlo l’avrebbe resa solo stronza.
“Ma?”
“Ma se dovessi andare in Inghilterra non so come riuscirei a sostenere un rapporto del genere.”
Mel la guardò, alzò l’angolo destro delle sue labbra e poi iniziò a batterle le mani.
“Ecco, il problema è lì.”
Interruppe quel rumore e continuò ad osservarla.
“In realtà a te piace che ci sia un problema di mezzo. Prima Amy, ora l’Inghilterra e poi la distanza.”
Vide Mel alzarsi dal tavolo ed appoggiarsi alla cucina, quasi avesse appena avuto la piena consapevolezza di qualcosa.
“A te piace soffrire Claire, sei fondamentalmente masochista.”
 
 
Per quel pomeriggio Eric non aveva nulla da fare e così aveva deciso di passeggiare per la sua città. Aveva lasciato il motorino a casa, aveva preso il primo autobus per il centro ed aveva iniziato a camminare ponendosi come obiettivo la libreria più fornita del paese. Sperava di perdersi in mezzo a tutti quegli anni di storia e a quelle infinite pagine giusto per sentirsi un po’ meglio ed escludere del tutto quella repressione sessuale che sentiva addosso. Claire continuava a baciarlo, lui continuava a starci ma non faceva altro che sentirsi nervoso dato che l’istinto di farlo con lei era sempre più forte e, a stento, riusciva a reprimerlo. Era passato velocemente davanti ai classici, sperando di non leggere la targhetta arancione con scritto Austen che inevitabilmente gli avrebbe fatto pensare a Claire, e si era diretto verso la fantascienza. Amava quel genere ma ultimamente tra le “proposte” scorgeva sempre i primi volumi di saghe che sembravano avere trame sempre più simili tra loro quando lui preferiva un unico libro, carico di informazioni e, soprattutto, autoconclusivo. Successivamente si era spostato nel reparto filosofia, si era sempre ripromesso che dopo gli esami avrebbe ripreso in mano la lista che andava stilando, mese dopo mese, e si sarebbe portato avanti con le letture che lo avevano sempre incuriosito. Adesso ché era arrivato il momento, aveva i soldi appena sufficienti per comprare il libro in cima a quella lista ma solo quello in versione economica. Afferrò La Banalità del Male e, leggendo ancora della vita dell’autrice, si convinse che lo avrebbe comprato tanto che si diresse verso la cassa.
“Per me che studio filosofia è un ottimo acquisto.”
Eric non si rese nemmeno conto che quel ragazzo stesse parlando con lui.
“Hannah Arendt è oltremodo brillante.”
Stava decisamente parlando con lui.
“Parli con me?”
Sbattè gli occhi e si girò a guardarlo.
“Non sono molti i ragazzi che in questa stanza si trovano con un libro della Arendt in mano.”
Lo vide guardare il libro che aveva tra le dita ed Eric lo imitò, facendo la stessa identica cosa, e poi diresse lo sguardo verso quel ragazzo che gli sorrideva sornione.
“Era nella mia lista da molto tempo.”
Ma cosa voleva esattamente quel ragazzo da lui?
“Io sono Martin.”
Eric sapeva che dentro di sé ci fosse un omino con una faccia basita e alquanto sconvolta. Il sorriso, la mano tesa verso di lui e l’iniziare il discorso dal nulla era un chiaro modo per attaccare bottone. Guardò insistentemente quel braccio e andò a stringergli la mano, giusto per non essere maleducato.
“Eric.”
“Piacere.”
Aveva ancora quel sorriso stampato in faccia ed Eric si limitò a ricambiare quel movimento di labbra con poca convinzione. Andò verso la cassa, pagò con i contanti, prese la busta con dentro lo scontrino e si diresse verso l’uscita, sentendo gli occhi di Martin seguirlo e il suo corpo avvicinarsi.
“Eric?”
Sperava che non lo chiamasse in nessun modo e, con la mano sulla maniglia metallica, si girò verso di lui.
“Hai tempo per un caffè?”
Annuì senza nemmeno avere la completa consapevolezza di ciò che stesse facendo. Era evidente che questo ragazzo ci stesse provando spudoratamente con lui, ma forse aveva bisogno di sentirsi desiderato da qualcuno. Per una volta, voleva attenzioni solo per sé e non gli interessava che fosse un ragazzo, aveva sempre pensato che si fosse innamorato di Claire anche se fosse stata del sesso opposto. A lui piacevano le persone, non il loro sesso.
 
***
 
Data l’aria secca e calda di Luglio Eric e Martin si erano seduti in un bar all’aperto così da riuscire a respirare meglio. Aveva visto quel ragazzo prendere un pacco di tabacco dalla tasca posteriore dei jeans per prepararsi una sigaretta ed Eric era rimasto in silenzio ad osservare come facesse tutto ciò, con Martin che non aveva smesso di guardarlo nemmeno un attimo. Sapeva come posizionare il filtro, quanto tabacco mettere dentro alla cartina e poi aveva iniziato a leccare la carta, guardando ancora Eric, che con quel gesto ebbe la conferma che Martin ci stava decisamente provando con lui perché stava aspettando che Eric avesse qualche tipo di risposta fisica al suo modo di muovere la lingua e il tutto aveva una connotazione chiaramente sessuale. Nonostante ci fosse assoluto silenzio tra di loro e Martin stesse facendo di tutto per provocarlo, Eric non si sentiva minimamente imbarazzato.
“Posso fumare, Eric?”
E che senso aveva chiederglielo?
“Forse dovevi chiedermelo prima di farti la sigaretta.”
Lui gli aveva sorriso.
“Allora posso?”
“Fai pure.”
Incrociò le braccia e Martin si mise la sigaretta in bocca.
“Sai che quando una una persona incrocia le braccia ti sta rifiutando?”
Eric si sistemò sulla sedia liberando d’istinto le braccia, poi vide Martin ridere e prendere l’accendino; aveva gli occhi chiusi quando aspirò il primo tiro di tabacco e ad Eric piacque tantissimo vedere ciò. Non aveva mai fumato in vita sua perché aveva sempre pensato che dieci centimetri di tabacco accorciassero la vita di chilometri, ma adorava il modo in cui ognuno avesse un modo diverso di fumare e di fare propria quell’azione. Tra l’indice e il medio c’era un odore ben preciso, un filtro impregnato che macchia la pelle e sporca un po’ più le labbra.
Martin lo guardava dritto negli occhi, non aveva paura di lui o di cosa potesse pensare, era come se non ci fosse bisogno di nascondere nessuna parte di se stesso per rendersi accettabile agli occhi di Eric.
“Quand’è che hai finito la maturità?”
Rise.
“Si capisce così tanto?”
“No, Eric, ho solo provato ad indovinare.”
Lo vide aspirare ancora una boccata di fumo.
“Sai già cosa farai dopo?”
“Ingegneria.”
Sorrise ancora ed il fumo gli uscì pure dal naso.
“Non ho mai visto nessuno esserne così convinto.”
In realtà Eric non ne era convinto, era solo ciò che gli avrebbe garantito un lavoro.
“Mi apre tante porte e poi ho sempre il tempo libero per i miei interessi.”
Sembrava che con quella frase lo avesse impressionato.
“Credevo di essere l’unico a pensarla così. Ho sempre sostenuto che l’essere umano sia versatile, noi non siamo le università che scegliamo.”
Eric annuì.
“Esatto, sarebbe così deprimente essere una cosa sola.”
 
 
***
 
Martin aveva fatto in modo che Eric uscisse la parte più matura e che lui non era nemmeno sicuro di avere. Aveva così tante opinioni sul mondo e sul modo di vedere le cose che dirle ad alta voce gli era sembrato oltremodo strano; per la prima volta si sentiva davvero ascoltato e, soprattutto, non era più un semplice ragazzino con degli stupidi pensieri. Martin, in qualche modo, aveva dato del potere alle sue opinioni e lui ne era tremendamente appagato. Lo guardò e si rese conto che, in fondo in fondo, aveva sempre sognato di essere come lui, aveva sempre voluto essere così disinvolto e disinibito, anche davanti ad uno sconosciuto.
“Hai una bella testa, Eric.”
Il ragazzo, durante quel tempo insieme, non aveva smesso nemmeno per un attimo di sorridergli.
“Adesso però la tua età mi incuriosisce, non ci credo che hai appena finito la maturità.”
“Ne ho diciotto.”
“Io alla tua età mi facevo le canne nel parco sotto casa.”
Era fin troppo compiaciuto, ma Eric voleva sapere la sua di età.
“Parli come se avessi trent’anni.”
“In realtà ne ho solo ventidue e sono sicuro che quattro anni fa avevi appena dato il tuo primo bacio.”
“Non esattamente.”
Eric aveva sorriso, quasi alludendo che in realtà ci fosse dell’altro e che non glielo avrebbe mai detto. Guardò l’orologio e si rese conto che il biglietto dell’autobus sarebbe scaduto nei prossimi quindici minuti.
“Devo andare, Martin.”
Scorse stupore nei suoi occhi, come se lui non si aspettasse che Eric se ne sarebbe andato per primo; lo vide passarsi una mano tra i capelli e muovere gli occhi velocemente, quasi cercasse una soluzione veloce. Eric estrasse dal portafoglio le monete sufficienti per pagare entrambi i caffè e poi si girò a guardarlo.
“Non c’è bisogno che paghi tu, Eric.”
“Figurati.”
Ormai i loro sorrisi erano diventati la parola chiave di quell’incontro.
“Senti-.”
Martin aveva lasciato quella frase a mezz’aria solo per fare in modo che lui non andasse via.
“Domani sera io e il mio gruppo suoniamo. E’ un locale qui in centro.”
Lo vide stropicciarsi gli occhi.
“Non so nemmeno se vuoi rivedermi e già ti chiedo di conoscere i miei amici.”
Sorrideva, guardandolo dentro alle sue iridi e con un velo di sarcasmo fin troppo palpabile.
“In ogni caso c’è questa serata, in quel locale che hanno aperto da poco qui vicino.”
Annuì verso Martin, facendogli intuire che avesse capito di cosa parlava.
“Se vuoi venire, ti aspetto.”
Eric non sapeva nemmeno di riuscire a fare quell’effetto alle persone e si limitò a sorridergli, ancora.
 
 
Claire e Melanie avevano passato tutto il pomeriggio a parlare di Eric. Mel aveva aperto con forza gli occhi a Claire e, adesso, sembrava che lei fosse davvero consapevole di ciò che Eric provasse per lei e di come fosse semplicemente masochista. Erano in silenzio da un paio di minuti, sdraiate sul letto di Claire e posizionate ad incastro per stare comode, con i capelli sparsi sulla trapunta.
“Claire?”
“Hmm?”
“Hai mai pensato che la cosa più semplice da fare per te ed Eric sarebbe stata quella di ritornare indietro?”
“No.”
“Pensaci adesso, pensa a quella singola cosa che ha cambiato tutto quanto e che è il motivo per cui vi trovate qui a rincorrervi senza mai afferrarvi.”
Claire guardava ancora il tetto.
“Chiudi gli occhi.”
E li avevi chiusi, non vedendo più nulla.
“Solo se li stringi forte, ti si configura chiaramente.”
I suoi occhi stavano leggendo un messaggio e c’era una domanda aperta su quello schermo.
“E’ quel momento in cui sai che se avessi parlato o avessi agito sarebbe cambiato tutto quanto.”
 
No, Eric, non va per niente bene. Oggi ti ho sentito parlare con Robert e so che parlavate di me. Io ti reputo più di un migliore amico, perché mi conosci come nessun’altro, ma non provo più solo amicizia nei tuoi confronti da troppo tempo. Mi sono innamorata di te.
 
Forse se avesse mandato quel messaggio e non lo avesse cancellato, avrebbe cambiato le cose e, adesso, sarebbe tutto diverso.
“Prova a ravvolgere il nastro, Claire.”
C’erano tanti piccoli momenti dentro ai suoi pensieri, rapidi ma allo stesso tempo insistenti, come a formare una traccia permanente nel suo cervello. Mel voleva che lei si rendesse conto di come le cose potessero essere diverse se solo lei avesse agito diversamente, ma Claire sapeva che renderla consapevole non l’avrebbe resa più coraggiosa.
“Avrei potuto mandargli un messaggio o dirgli di stare insieme nonostante l’Inghilterra.”
Mel si girò verso di lei, annuendo.
“Vorrei che fossi solo felice, Claire, davvero.”
 
***
 
Mel, come sempre, era stata oggettiva; le aveva detto tutto ciò che pensava senza che Claire ci rimanesse male e senza filtrare le parole. Quella era una delle caratteristiche che più apprezzava dell'amica e a volte ammirava come riuscisse ad essere così coerente. Mel le voleva bene, ma ciò non implicava che la dovesse difendere a spada tratta anche quando avesse torto. Sorrise tra sé e sé, sapendo quanto fosse fortunata ad avere una amica come lei e come quel rapporto mancasse del tutto con Amy. Probabilmente la ragazza era sempre stata il rimpiazzo di Mel per tutte quelle volte che Claire l'aveva sentita distante. Era assurdo come facesse in quel modo con tutti, come avesse sempre interposto persone tra lei e le persone che amava davvero. Amy e Robert avevano fatto le stesse veci, erano solo scudi che la separavano da Mel ed Eric, semplici modi che le permettevano di modulare la sua sofferenza. Non sapeva nemmeno il motivo per cui non si buttasse nelle cose, era solo codarda e non ne sapeva nemmeno il motivo. Claire si rese conto che fosse un modo paradossale di ragionare, aveva paura di stare male ed affrontare le conseguenze delle sue azioni ma allo stesso tempo soffriva per ciò che decideva di non fare e per tutte quelle decisioni che non aveva mai preso; era sempre in balia delle situazioni e non aveva mai il vero controllo della sua vita. Sbuffò e scese in cucina, sentì la porta aprirsi e vide i suoi genitori entrare nella stanza.
“Ciao, Claire.”
“Ciao.”
Sorrise loro e poi si diresse verso camera sua.
“Tra dieci minuti riunione di famiglia.”
Era come se le fosse arrivato un masso addosso. Si girò lentamente, sperando che non fosse come pensava.
“E cosa riguarda?”
“Francia e Inghilterra.”
Sua madre le sorrise, forse ingenuamente.
“E non stiamo parlando della seconda guerra mondiale.”
Era arrivato il momento di affrontare quel discorso e lei voleva che lo facessero subito.
“Vado a chiamare Vicki.”
Sorrise a sua madre e non voleva, in alcun modo, che lei percepisse la sua tensione. Posò leggermente i piedi, uno dopo l’altro, e salì le scale. Aprì la porta di Vicki senza bussare e la trovò ancora affaccendata con la valigia.
“C’è la riunione di famiglia.”
Sua sorella non aveva nemmeno sentito le sue parole e, adesso, si trovava seduta sopra la valigia cercando di chiuderla.
“Adesso, Vicki.”
La vide girarsi verso di lei e Claire intuì che avesse bisogno d’aiuto.
“Prova a chiudere la cerniera, Claire.”
Afferrò il metallo e iniziò a girare intorno alla valigia, mettendoci tutta la forza possibile.
“Salici sopra, Vicki.”
Vide sua sorella alzarsi e finalmente riuscì a far aderire i due lembi della cerniera, per poi inserire il lucchetto nello spazio comunicante. Vicki, ancora sulla valigia, alzò le mani in segno di vittoria.
“Adesso è sicuro, si parte.”
Poggiò i piedi a terra, aiutandosi con la mano di Claire e poi si diressero verso la cucina. Sua madre e suo padre erano già seduti ai soliti posti di combattimento e lei si sedette prima di Vicki.
“Per te, Vicki, abbiamo poco da dire.”
Era sempre suo padre a fare il portavoce, aveva sempre le parole giuste che rispecchiassero i propri pensieri e quelli di sua madre.
“Speravamo che potessi partire per questa esperienza.”
Sua madre accarezzò la mano di sua sorella.
“Sappiamo quanto ci tenessi.”
“Volevo davvero partire e quasi non ci speravo più.”
Claire guardò Vicki e vide il suo volto rilassato, senza alcun peso o preoccupazione.
“Sono davvero emozionata.”
Si avvicinò a lei per abbracciarla e le diede un bacio sulla fronte.
“Andrà alla grande.”
Chiuse gli occhi per sentire meglio quel contatto, ma sua madre la richiamò subito alla realtà.
“Passando a te, Claire.”
Sentiva come se da un momento all’altro l’avessero rimproverata per qualcosa che lei aveva fatto. Si allontanò da Vicki e trattene, a stento, un sospiro.
“Adesso che gli esami sono finiti, dobbiamo parlare del tuo futuro.”
Sua madre la guardava dolcemente, ma lei non sarebbe mai stata pronta ad affrontare quell’argomento.
“Vuoi fare la pediatra e noi vogliamo darti la possibilità di avere il meglio dal tuo percorso di studio.”
“Abbiamo letto su Internet che in quell’università di cui ti parlavamo c’è un ottimo corso.”
“Sì.”
Non sapeva nemmeno quale parte del corpo la facesse tremare così tanto.
“Ovviamente prima dovrai fare medicina e poi ti potrai specializzare in ciò che preferisci.”
“Lo so, papà.”
Forse quella era l’unica cosa di cui era a conoscenza. Una prima magistrale a fare da trampolino di lancio per ulteriori anni di studio che l’avrebbero portata al suo sogno.
“Ci siamo informati per conoscere i criteri d’accesso.”
Dall’espressione che suo padre aveva in viso, era sicura che lei rientrasse in tutti.
“I tuoi attestati di inglese sono sufficienti e la tua media scolastica è perfetta.”
Sua madre prese la parola, per continuare quel discorso.
“Se prendi centro entri quasi sicuramente.”
Erano quasi fastidiosi quando intervallavano le loro voci tra una frase del discorso e l’altra.
“Dato il tuo splendido orale siamo sicuri che non avrai problemi.”
Gli occhi di Claire si mossero da suo padre al volto di sua madre e credette di non averli mai visti così fieri di lei. Più li guardava e più si rendeva conto che fosse ancora una volta in balia degli eventi.
“E se io non volessi andare?”
Le facce dei suoi genitori erano parecchio perplesse e forse, se non ci fosse mai stato Eric, Claire avrebbe già fatto i salti di gioia.
“Questa città ha poco da offrirti, il corso di laurea in medicina non è un granché e tu, Claire, ti meriti più di questo.”
Quasi trasalì sentendo quella frase.
                                                     
Claire, non dovresti mai accontentarti del meno peggio, dovresti sempre fare ciò che è meglio per te. Sei intelligente, hai una media paurosa e credo che riusciresti tranquillamente fuori.
 
Eric gli aveva detto quelle parole alla cena di classe del mese prima con così tanta naturalezza da lasciarla basita. Prese le ultime briciole di quella forza che sentiva dentro di sé e rispose ai suoi genitori, cercando di essere più concreta possibile.
“Domani escono i risultati, quindi domani sera decideremo cosa fare.”
Li vide annuire e guardarsi.
“Forse è più giusto così.”
Suo padre era sempre il più pratico.
“Anche se io ho una buona sensazione.”
E sua madre, invece, era quella che sprizzava ottimismo da tutti i pori.
“Abbiamo finito, allora?”
Voleva chiudersi in camera sua e prendere un po’ di aria. Annuirono tutti quanti e lei si alzò, dirigendosi verso le scale. Sentì i passi veloci di Vicki e la sua voce raggiungerla.
“Non vuoi partire per Eric?”
Si girò verso di lei, piano, e capì che non ci fosse più nessun motivo di mentire.
“Vorrei solo sapere cosa vuol dire stare con lui.”
Sua sorella corse ad abbracciarla.
“Studiare fuori non preclude ciò. Puoi avere entrambe le cose, Claire.”
Glielo aveva detto piano e scandendo bene ogni parola.
“Dovrai fare un po’ di fatica, ma non precluderti ogni tipo di felicità.”
Adesso Vicki era davanti a lei e non faceva altro che sorridere.
“Grazie.”
Si limitò a dire solo quelle parole e poi riprese la camminata verso la sua stanza. Chiuse la porta dietro le sue spalle e si limitò a sbuffare. Non aveva molta scelta, in fondo, i suoi genitori le stavano offrendo l’occasione migliore della sua vita, ma allo stesso tempo non voleva rinunciare in nessun modo ad Eric, non adesso che sentiva che fosse arrivato il loro momento. Come avrebbe fatto a non rinunciare a una delle due cose?
Sospirò, pur sentendo il respiro bloccato in mezzo al petto e poi inviò un messaggio ad Eric. Sperava che lui capisse qualcosa in quel modo e che forse avrebbe capito che lei era pronta, nonostante le mille insicurezze sulla lontananza e su come sarebbe stato vivere la loro vita insieme ma separati.
Eric, domani devo parlarti.




spazio autrice
Vi anticipo che questo capitolo è stato un parto. C'erano alcune scene che non mi convincevano, alcuni pezzi che mancavano ma devo dire che con il giusto aiuto (Christine23 è il grandissimo AIUTO perchè stimola la mia creatività in una maniera incredibile <3) e la giusta canzone sono riuscita ad andare avanti. Abbiamo un nuovo personaggio, abbiamo Martin che porterà parecchio scompiglio ma spero che vi sia piaciuto. Eric aveva bisogno che qualcuno portasse freschezza nella sua vita e credo che lui ci sia in qualche modo riuscito. Non posso anticiparvi niente, ma spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e che, come me, abbiate apprezzato Claire che (FINALMENTE!!!) riesce a vederci chiaro e prende una decisione che tutti aspettavamo da fin troppo.
Ringrazio come sempre tutte le persone che si prendono la briga di leggere questa storia, tutti i seguiti, preferiti, ricordati e chi di voi lascia il proprio parere. Grazie, di cuore.
Alla prossima <3
   
 
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