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Autore: Follow The Sun    17/04/2016    1 recensioni
Sono sopraffatta... Il corpo ridotto al limite, la mente vuota e le mie emozioni sparse al vento. Allunga una mano dietro di sé, toglie l'umido lenzuolo dal fondo del letto e me lo avvolge intorno al corpo. 
La stoffa fredda ed estranea mi fa rabbrividire.
Lui mi circonda con le braccia, tenendomi stretta, cullandomi possessivamente avanti ed indietro.
«Perdonami» mormora vicino al mio orecchio, la voce sciolta e desolata.
Mi bacia i capelli, un bacio, e un altro.
«Scusa, davvero»
Gli affondo la faccia nel collo e continuo a piangere, uno sfogo liberatorio.
Uso un angolo del lenzuolo per asciugarmi la punta del naso e a poco a poco mi rendo conto che quella visione non è poi tanto male.
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Questo è il remake della storia "she's a good girl", quella vecchia è stata cancellata, dati gli scarsi progressi.
Spero che questa versione sia meglio di quella vecchia :)
Se vi va fatemi sapere come vi sembra.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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"She's a good girl." 
Capitolo 21.
 
Il viaggio in aereo non fu proprio tra i migliori, e soprattutto non fu proprio come me lo sarei immaginato. 
Esattamente nel sedile dietro il mio avevo avuto la sfortuna di avere un bambino di circa quattro o cinque anni, il quale non mi aveva dato tregua con i suoi calci fastidiosi sul mio sedile.
Ashton, sia ringraziato il cielo, si addormentò circa un'ora dopo il decollo, così potei stare tranquilla per un po'. 
La cosa che però mi dette più fastidio fu la signora anziana alla sinistra di Ashton, la quale, non avendo gli occhiali con se, ogni due secondi si girava nella mia direzione per leggerle i prezzi degli oggetti sul volantino dell'aereo.
 
Quando arrivammo all'aeroporto, io stanca e Ashton sveglio come se avesse dormito per tutta la vita, una guida ci accompagnò molto gentilmente a dove avremmo dovuto ritirare le nostre valigie; ma di loro non c'era traccia.
Aspettammo per mezz'ora, e a quel punto pensai che magari qualcuno le avesse lanciate in mare per puro divertimento, oppure che fossero rimaste in Australia.
 
-Emma, ha chiamato Lucas- Ashton arrivò correndo con il cellulare in mano, prese un grande respiro e continuò a parlare.
-Le valigie sono già a casa della sua ragazza, ci stanno aspettando. Prendiamo un taxi?-.
Mi passai una mano tra i capelli e imprecai mentalmente. Avrebbe almeno potuto avvisarci che le avrebbero portate subito a casa sua, e invece no. 
-Okay, andiamo-.
 
 
[…]
 
 
La casa di Candice era davvero enorme. Quando la vidi da fuori pensai che era molto grande, ma al suo interno era almeno il doppio di quanto realmente immaginavo.
Lucas arrivò da noi appena varcammo la soglia di casa, e giurai di non averlo mai visto felice così tanto.
 
-Emma, Ash, sono molto felice di vedervi. È un'estrema gioia per me avervi qui per celebrare un evento della mia vita così importante!- esultò, abbracciando prima Ashton e poi rivolgendosi a me con un grosso sorriso.
 
“Ma come parla?!”
 
-Ah, Ashton, ti ricordi di Jason? È qui fuori, vai a salutarlo, se ti va- Lucas aprì la grande porta a vetri del salotto e indicò un ragazzo concentrato nell'aprire una sdraio. 
Al sentire quelle parole cominciai a lanciare diverse occhiate e a fare strani gesti con la mano ad Ashton, ma non sembrava farci molto caso.
-Certo! Ci vediamo dopo, allora- egli uscì dal salotto, lasciandomi sola con Lucas, imbarazzata e confusa.
-Bene… Ti andrebbe se ti mostrassi la tua stanza?-.
-Certo!- dissi subito, forse con troppa enfasi. Ero nervosa, e Lucas lo avrebbe notato, ne ero sicura.
 
Camminammo su per delle scale che sembravano a dir poco infinite, poi alla fine arrivammo davanti a quella che sembrava, o doveva essere, una stanza degli ospiti.
-Candice possiede una casa molto spaziosa, qui al terzo piano ci sono quattro stanze per gli ospiti con i rispettivi bagni, e siccome due di queste sono già occupate, e una lo sarà presto, tu ed Ash starete nella stessa camera. Spero non ti dispiaccia- disse tutto con molta tranquillità e sicurezza, quasi mi sorpresi di lui. Non lo avevo mai visto atteggiarsi con così tanta fermezza, o forse in questi mesi era così cambiato da non poterlo più riconoscere.
-Sì- risposi senza pensare.
 
“Cosa?”
 
-Come? Vuoi che ti faccia preparare un letto in soffitta? Non c'è nessun problema, ci sarà solo un po' di polvere…- lo interruppi, non prima di essermi resa conto di cosa avevo appena combinato.
-Cioè, no, intendo che va bene. Non c'è nessun problema. Insomma, dormire con Ashton non mi dispiace; sarà imbarazzante, ma non mi dispiace- la misi sul ridere per sdrammatizzare la situazione, ma né io, né Lucas ci stavamo impegnando nel mettere dell'umorismo nella conversazione, così mi zittii subito.
 
“Come non detto.”
 
Mentre Lucas sembrava star cercando una chiave per aprire non so cosa, mi guardai un po' in giro, notando come ogni soprammobile e ogni quadro fosse perfettamente al suo posto, come non ci fosse neanche un filo di polvere e di come l'atmosfera fosse tranquilla e rilassante. 
 
-Ecco la chiave; tieni-. Mi porse una chiave con delle rifiniture in bronzo e la afferrai con più decisione possibile. 
-Grazie. Ora penso andrò a farmi una doccia; sai, il viaggio è stato molto lungo e stancante e…-.
-Emma- mi richiamò, cogliendomi di sorpresa. Il suo tono di voce sembrava, in un certo senso, diverso.
Tremai al suo richiamo e lo guardai intensamente  negli occhi per davvero dopo tanti e interminabili mesi.
-Mi dispiace per come sono andate le cose- disse con lo sguardo che faceva a gara con il mio a chi resisteva di più senza abbassarlo.
Mi ammutolii, concentrata dalla luce dei suoi occhi che, diamine, mi erano mancati così tanto. Non potevo cedere.
-Ma ora sono qui, e credo di essere felice. Tu, Emma, mi sembri così cambiata. Solitamente ti avrei vista con una maglietta sgargiante e un paio di jeans chiari, spargendo la tua felicità al mondo. Invece ora vedo solo colori scuri, che cosa ti è successo?- domandò mentre allungava una mano sulla mia spalla per accarezzarla e per passare poi alla mia guancia.
-Non lo so, forse è l'influenza dei miei amici. Ciononostante, anche tu mi sembri molto cambiato. Sembri quasi un maggiordomo- presi la sua mano, la quale era ancora sulla mia guancia, tra le mie e la scostai. Infine, gli rivolsi una veloce ed ultima occhiata ed entrai nella mia stanza. 
 
Chiusi a chiave la porta alle mie spalle e sospirai. Non potevo credere di aver appena fatto una conversazione seria con Lucas. 
 
“Un maggiordomo? Davvero?!”
 
Mi coprii il volto con le mani e scossi la testa ripensando a come lo avevo chiamato. 
«Sembri quasi un maggiordomo.»
Mi sentivo davvero in imbarazzo, chissà cosa avrebbe pensato di me dopo quella affermazione. 
Sentivo le guance pungere e farsi sempre più calde dall'imbarazzo, mentre il mio cuore batteva all'impazzata, facendomi perdere il controllo completo dei miei pensieri.
 
Tornai alla realtà e mi guardai un po' in giro. La stanza era pulita, in ordine, tutto sarebbe stato perfetto se non ci fossero state le valigie mie e di Ashton, le quali stonavano con i colori chiari e freschi della stanza. La porta del bagno si trovava sulla sinistra, proprio davanti al letto, ed era dello stesso colore delle pareti; se non avessi saputo che c'era un bagno, avrei giurato che fosse un dipinto. 
Accanto al letto, davanti a me, c'era un'enorme finestra che dava sull'altrettanto enorme giardino. Non ci pensai due volte e mi fiondai ad aprire la finestra per vedere com'era fuori. 
L'aria era calda e la brezza leggera accarezzava il mio volto facendomi sentire bene. In una parte del giardino c'era una grossa piscina interrata con al suo interno alcune ragazze che parlavano animatamente. Sorrisi, rientrando nella stanza per aprire la valigia e prendere poi tutto il necessario per farmi una doccia e per cambiarmi dopo essa.
Il bagno si adattava perfettamente a tutto il resto della casa, ordinato ed elegante.
 
Dopo la fresca doccia tanto attesa, mi buttai letteralmente sul letto matrimoniale e subito mi addormentai in balìa della stanchezza.
Nella fase del mio sonnellino in cui ero un po' più sveglia sentii qualcuno muoversi nella stanza, ma ero troppo stanca per aprire gli occhi e vedere chi era, così continuai a dormire beatamente, noncurante del resto.
Effettivamente, quel letto era davvero comodo.
 
 
[…]
 
 
-Emma, svegliati, dai-.
Dopo continue pacche sulla mia spalla, mi decisi a mettermi a pancia in su e degnare di uno sguardo il mio interlocutore. 
 
Dalla luce della stanza potei dedurre che fosse notte, forse anche più tardi di quanto immaginassi.
Ashton, seduto accanto a me sul letto, mi sorrideva, contento, aspettando una qualche mia reazione, la quale non tardò ad arrivare.
 
-Buongiorno- dissi, la voce impastata dal sonno e gli occhi ancora per metà chiusi.
-In realtà qui è notte fonda, dormigliona- scherzò, mentre con una mano andava a coprire parte del mio corpo con un lenzuolo.
-Tu non dormi, invece?- chiesi, notando come sembrasse sveglio e pimpante per tutto il tempo.
-Ah, ma io sono forte. Non ho bisogno di dormire per essere attraente-.
Roteai gli occhi.
 
“Sul serio?!”
 
-Ovviamente- lo presi in giro, mentre cercavo di alzarmi per sciacquarmi il volto e uscire a prendere una boccata d'aria.
Il jet-lag mi faceva sempre un brutto effetto, non mi ci sarei mai abituata.
 
Nel frattempo Ashton mi raccontò di come era passata la giornata senza di me: aveva conosciuto Candice, erano usciti per le vie più conosciute di Miami, avevano cenato tutti insieme e avevano passato una serata tranquilla sdraiati a bordo della piscina in giardino.
In un certo senso mi sentii male per tutto ciò che mi ero persa, ma non ci potevo fare proprio nulla; il viaggio mi aveva stancata e una lunga dormita non mi aveva fatto altro che bene.
 
 
[…]
 
 
-Tieni- Ashton mi passò una generosa tazza di tè caldo che io, ovviamente, non rifiutai.
Ero finalmente pronta ad affrontare un altro giorno pieno di imprevisti e difficoltà per il mio povero cervello che sicuramente non mi avrebbe aiutato.
Lucas non si era ancora fatto vedere, ed ero anche curiosa di vedere finalmente quella Candice di cui Ashton parlava tanto.
 
Appoggiai sul tavolo di legno la mia tazza di tè ormai vuota e iniziai a contemplare in silenzio le mura che mi circondavano.
Anche la cucina, come il resto della casa, pareva in perfetto ordine e aveva quell'atmosfera calma e tranquilla che iniziavo già ad apprezzare. 
I mobili erano in legno di ciliegio, sicuramente, e lo erano anche il tavolo, le sedie, e persino le cornici degli antichi e costosi quadri appesi alle pareti sembravano esserlo.
 
Mi risvegliai dai miei pensieri solo quando Ashton mi avvisò che aveva ricevuto un messaggio da Lucas, il quale diceva che sarebbero scesi, lui e Candice, per conoscerci meglio tutti quanti e per passare del tempo insieme. 
Subito mi preoccupai del mio aspetto trasandato e corsi su per le scale, dicendo ad Ashton che sarei arrivata dopo pochi minuti, almeno così ero intenzionata.
 
Corsi nella mia stanza e presi alcuni dei miei trucchi per coprire le occhiaie e gli eventuali e spiacevoli brufoli che raramente invadevano il mio viso.
Misi del correttore e del mascara, e sapevo che in effetti era anche troppo da quello che mettevo di solito, ma andava bene così, volevo fare una buona impressione alla futura moglie del mio ex fidanzato.
Era assolutamente una situazione imbarazzante.
 
Cambiai i miei leggings con dei pantaloncini di jeans e scesi di nuovo le scale con il cuore che batteva veloce e con l'ansia alle stelle.
-Ashton, sai per caso che ore so- mi bloccai, notando tre figure abbastanza divertite che mi guardavano curiose.
-Oh, salve- dissi, e proprio in quel momento mi resi conto che mi ero dimenticata di lavarmi i denti. Imbarazzo.
La ragazza al centro, Candice, era davvero molto carina. Sembrava una di quelle ragazze studiose e dai modi gentili che si vedono di solito nei film americani.
Avanzai in direzione dei tre e porsi la mano alla ragazza.
-Piacere, Emma- mi presentai improvvisando un sorriso malandato.
-È un vero piacere conoscerti, Emma. Io sono Candice. Ti stai trovando bene qui da noi?-.
Ogni sua parola provocava in me la sensazione di essere fuori posto e di non essere abbastanza. Non mi ero mai sentita, in tutta la mia vita, così piccola, ingenua e stupida. 
Certamente, Candice, era almeno cento volte meglio di me.
-Certo, grazie mille- risposi, anche se con un tono incerto.
-Io ed Ashton andiamo a fare un giro nel garage. Ci vediamo dopo?- domandò Lucas, che lasciò andare la mano di Candice; solo in quel momento mi accorsi che non si erano separati per nemmeno un secondo.
-Certo, Lu, tesoro. Io ed Emma andremo a fare un giro intorno alla casa, così potremo conoscerci meglio- alzai gli occhi al cielo mentalmente per i nomignoli sdolcinati che gli aveva affibbiato, poi sorrisi a Candice, la quale stava ancora aspettando il mio consenso.
 
 
[…]
 
 
-Ah, quindi abiti definitivamente a Sydney!- affermò sistemandosi il cappello che aveva in testa.
 
Stavamo camminando da circa venti minuti lungo il perimetro della enorme villa. L'aria era fresca e pulita, e non si sentiva volare nemmeno una mosca. L'atmosfera era fantastica.
 
-In realtà non lo so. La mia famiglia si sposta in continuazione. Spero di rimanere in Australia, a Sydney, il più possibile; anche per sempre non sarebbe male-.
Ridacchiammo alla mia frase. In fondo, ma davvero in fondo, Candice non era poi una ragazza così spaventosa e altezzosa come credevo in principio.
-Capisco. Io, invece, ho sempre vissuto qui in Florida, con i miei. Questa è la casa al mare, la nostra casa di tutti i giorni si trova più a nord, vicina al centro- annuii, ammirando come parlasse di queste cose come se fosse normale per tutti avere due case da multimiliardari.
-Inoltre abbiamo anche un ranch in California, dove andiamo tre o quattro volte all'anno e una casa vacanze in Svizzera, in Europa-.
-Oh, io sono stata in quasi ogni parte d'Europa- risposi alla sua affermazione pensando di, forse, migliorare la situazione.
-Davvero? Che posto magnifico il continente Europeo! Hanno così tante culture diverse! E le lingue poi!-.
Pensai che, oltre ad essere leggermente vanitosa, Candice fosse troppo emotiva. Stava leggermente esagerando con tutta quella enfasi.
-Beh, io so parlare l'italiano, l'inglese, lo spagnolo, il francese e anche un po' di tedesco. Però, vivendo in un paese dove si parla solo l'inglese, non sono poi così tanto utili- mi strinsi nelle spalle, notando il lontananza che, ormai, avevamo finito il giro e che ci stavamo avvicinando sempre di più all'ingresso della sua “umile” dimora.
 
-Eccoci- disse, sistemandosi proprio di fronte alla vetrata che separava la veranda dalla porta d'ingresso.
-È stato un piacere parlare con te, sul serio- aggiunse, mantenendo sempre quel suo sorriso cordiale.
 
Aveva un tono di voce molto calmo, pacato, era totalmente impossibile che non mi stesse simpatica. Avevo ormai capito che l'avrei seguita in ogni conversazione come un cagnolino, dandole ragione e facendo finta di essere ciò che in realtà non ero.
 
-Anche per me- risposi quasi balbettando alla sua affermazione.
-Bene, ne sono felice. Purtroppo non potrò esserci per pranzo, sarò in città per alcune commissioni. Sai, domani ci sarà il ricevimento per la festa di fidanzamento e ci sono ancora molte cose da fare! Ci vediamo questa sera a cena?- ascoltai attentamente il suo monologo, che mi entrò da un orecchio e mi uscì dall'altro, e annuii, preoccupata di come sarebbe trascorsa la serata con anche i due ragazzi.
 
“Fantastico, non vedo l'ora!”
 
 
[…]
 
 
Estrassi il mio computer portatile dalla valigia di Ashton, -nella mia non c'era più spazio- e lo misi sotto carica. Nel frattempo mi cimentai nell'aprire le finestre e nel far entrare un po' di aria fresca della stanza diventata, per me, di un caldo insopportabile.
Quando finalmente riuscii ad accendere il computer, mi affrettai nel chiamare Michael su Skype.
Speravo solo di non svegliarlo nel bel mezzo della notte, non sapendo di quanto sarebbe cambiato il fuso orario.
 
Lo schermo da blu divenne nero, così mi accorsi che la videochiamata era iniziata.
-Mike?- chiesi mentre miglioravo l'inclinazione dello schermo per vederci meglio.
 
Ero euforica all'idea di sentire il mio migliore amico dopo così tante ore, e la distanza moltiplicava la sensazione di vuoto all'infinito, tanto da farmi sentire troppo sola. Così tanto sola da non poter resistere alla tentazione di chiamare qualcuno da Sydney e chiedere di tutto, di tutti, cosa stava succedendo e come, se mancavo a qualcuno; nonostante fossi partita da alcune ore.
 
-Michael, mi senti?- domandai, ancora, pensando che forse non c'era abbastanza connessione e avrei dovuto far partire un'altra chiamata.
-Em, hey-.
Sospirai di sollievo, Mike poteva sentirmi e, fortunatamente, io potevo sentire lui.
-Mike, tutto bene? Che ore sono da te?-.
Mi appoggiai con i gomiti sul materasso del letto, con il computer davanti a me e le cuffie nelle orecchie.
-Oh, uhm, quasi l'una, credo- disse con la voce roca di uno che stava dormendo fino a un paio di minuti.
Impallidii alla sua risposta, non credevo che fosse così tardi, lì da loro.
Cercai di ribattere con alcune scuse, ma Michael mi precedette nell'iniziare il discorso.
-Ho tenuto il pc acceso tutta la sera, sperando che mi chiamassi- arrossii, ma mantenni il mio tono allegro nonostante tutto.
-Ah, e perché non tutto il pomeriggio?-.
Michael rise per una manciata di secondi, e così feci anch'io; ero davvero felice di poter ancora ridere insieme a lui, una delle poche persone che mi faceva sentire bene per davvero.
 
-Diciamo che ho avuto un contrattempo. Ti spiegherò quando tornerai-.
-Non è giusto, ora sono curiosa- scherzai, anche se volevo sapere cosa mi stava nascondendo il ragazzo dall'altra parte dello schermo.
Egli non rispose, potei solo sentire il suono del suo respiro attraverso gli auricolari.
-Accendi la luce, voglio vederti- lo incitai.
Ero contenta di poter sentire la voce di Mike, ma sarebbe stato meglio se lo avessi anche visto.
-No, non posso. I miei dormono e farei troppo rumore scendendo dal letto. Pensa se ci dovesse essere qualcosa di rumoroso per terra…- sbuffai, capendo che non avrebbe mai accettato la mia proposta di accendere la luce.
-Bene, uomo della notte, fai come vuoi- lo presi in giro. 
-Mikey, che stai facendo sveglio a quest'ora? Hai bagnato di nuovo le lenzuola?- sentii, anche se poco chiaramente, la voce della madre di Michael, ed iniziai a ridere per ciò che aveva detto.
La luce della sua stanza si accese, e subito capii che sarebbe partito un allegro dibattito tra madre e figlio.
-Mamma! Non faccio la pipì a letto da quando avevo cinque anni!-.
-Michael, tesoro, non stavo parlando di quello!-.
Ridacchiai, e in un certo senso sperai che egli non mi sentisse.
-Scusa, mamma, sto parlando con Emma su Skype. Puoi andartene?!-.
-Oh, certo, ma poi cambia le lenzuola, capito? Ah, e salutami la tua amica!-.
-Non ho bagnato le lenzuola!- gridò, isterico, e a quel punto scoppiai a ridere.
 
Sua madre se ne andò, lasciando la luce accesa e facendomi un enorme favore. Ma quando Michael si girò, notai sul suo volto un livido sull'occhio e il labbro inferiore spaccato.
 
-Michael, cos'hai fatto?-.
  
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