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Autore: rossella0806    17/04/2016    2 recensioni
Il commissario Alessandro Terenzi è ormai alla sua terza indagine letteraria: un lunedì mattina di inizio novembre, viene ritrovato cadavere il noto imprenditore delle ceramiche torinesi Giorgio Appiani Uzia, ucciso nell'ufficio della sua fabbrica e, così, per il poliziotto, si apre un nuovo rompicapo da risolvere il prima possibile.
Ghirodelli, il fedele collega ed ispettore, sarà sempre al suo fianco, così come Ginevra, la simpatica ed impicciona archeologa ormai diventata la fidanzata ufficiale del commissario, la cui unica compagnia, fino ad allora, era stata Miss Marple, la tartaruga di terra.
Tra malanni di stagione, ex mogli, segretarie eccentriche, vecchiette diffidenti e figli ambigui, accompagneremo Terenzi in questa nuova avventura dai risvolti, man mano, sempre più oscuri.
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giovedì 13 novembre, ore 9.00, commissariato “L’Aquila”, Torino


La sera prima, dopo che aveva recuperato il referto dell'autopsia di Appiani, Terenzi era tornato di filato a casa, si era fatto una doccia lunga un secolo - non senza qualche senso di colpa per la cascata di acqua utilizzata- poi, l'accappatoio ancora indosso, aveva dato un'occhiata alla tana di Miss Marple, sommersa sotto un bel cumulo di terra in un angolino dello studio.
Quindi, si era precipitato a telefonare a Ginevra, mettendola al corrente delle disavventure che gli erano capitate: lei, ovviamente, ne aveva approfittato per cercare di carpirgli qualche informazione sul caso dell'imprenditore assassinato e, quando il commissario aveva minacciato di riattaccarle, l'archeologa lo aveva preceduto, sbuffando contrita.
"Ma, insomma, non ha mai sentito parlare di rivelazione del segreto professionale?"
Sorseggiando dell'insipidissimo té tiepido, nonostante i tre cucchiaini di zucchero, stravaccato comodamente sul letto, dopo mezz'ora la ragazza lo aveva richiamato, scusandosi per il comportamento infantile.
E così, tra bacini e bacetti inviati tramite la cornetta del telefono, tra risatine di sottofondo e gli starnuti che cominciarono ad affondare il morale del poliziotto, l'uomo si addormentò, la tazza dimenticata sul comodino.


Il giorno dopo anche Di Biase era tornato al lavoro: ormai, la squadra era quasi al gran completo, mancavano solo Bini e Rossetti, che aveva ceduto proprio quella mattina.

Finalmente ci stiamo ricomponendo, rifletté compiaciuto Terenzi, dopo aver accolto come una manna dal cielo il rientro del brigadiere.
Adesso, però, era lui che cominciava a starnutire, così si trascinò fino alle macchinette a prendere un tè caldo al limone, sperando che servisse a qualcosa.
Quando aveva finito di trangugiarlo, più schifato che mai, Ghirodelli uscì dal suo ufficio, e gli si avvicinò allegramente.
-Buon giorno, commissario!-
-Buon giorno … - grugnì l’altro, giocherellando con lo zucchero sul fondo del bicchiere.
-Cos’è quella brodaglia?-
-Del misero tè al limone … -
L’ispettore drizzò le antenne: in sette anni di collaborazione non lo aveva mai visto bere altro che caffè macchiato o cioccolata.
-Non si sente bene?-
-Credo di essere un po’ raffreddato. Sai, dopo la lavata che ho preso ieri-
-Di certo non può dare la colpa a me, perché oggi sto molto meglio! Quell’intruglio dell’erboristeria è davvero miracoloso, l’ho preso anche prima di dormire. Anzi, se vuole, le do il nome-
-Uhm, magari dopo. Adesso pensiamo al lavoro-
Buttò nel cestino il bicchiere e si avviarono nel suo ufficio.
Terenzi lanciò un'occhiata affranta al computer acceso su cui doveva ultimare certe ricerche, quindi scostò le tendine bianche della finestra, in modo da far entrare un po’ di luce: sebbene avesse smesso di piovere, il cielo minacciava tempesta.
Poi, prese posto sulla poltrona girevole, invitando anche il sottoposto ad accomodarsi.
Gli spiegò brevemente la conversazione con il dottor Bertani, la sera precedente, mostrando il referto del medico legale:
" Dall'esame necroscopico effettuato sul corpo di Appiani Uzia Giorgio, nato a Milano il 21 luglio 1950, la causa del decesso, avvenuto
la notte tra il 9 e il 10 novembre a.c., presumibilmente tra le ore 23 e le ore 01.00, si può ricondurre ad un trauma cranico che ha provocato una vasta emorragia subaracnoidea, esito di una profonda ferita a livello occipitale, probabilmente sferrata da un corpo contundente non rinvenuto sul luogo del delitto.
Inoltre, nel sangue della vittima, sono state ritrovate massicce dosi di metaboliti riconducibili a bromazepam (cinque volte superiore il limite consentito dall’AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco): con tutta probabilità, tale benzodiazepina è stata utilizzata per drogare l’Appiani Uzia prima di ucciderlo.
Dall'angolazione dei due colpi sferrati, è probabile che ad aver commesso il delitto siano state due persone distinte: lo proverebbero infatti le duplici ferite a livello della nuca, di cui una sola è quella che ha determinato il decesso dell'Appiani.
Inoltre, data la scarsità degli elementi probatori, non è stato possibile risalire alla causa del foro sull’avambraccio destro, a livello della piega del gomito.

In attesa del completamento dell' esito degli esami tossicologici"

-Nulla di diverso da ciò che già non sapevamo… - constatò amareggiato l’ispettore, restituendo il foglio stampato.
-Già… ma era giusto per renderti al corrente. Dovremo indagare sull'evenienza che Appiani si sia sottoposto ad un banale esame del sangue: l'idea è di Bertani -
Il commissario si lasciò cadere sulla poltrona, reclinando la testa e appoggiando meglio la schiena.
-Lo scopriremo, non si preoccupi-
-A proposito, questa notte come è andata la guardia a Della Robbia? La Maffei e Rossi hanno segnalato qualcosa di sospetto?-
L’altro scosse il capo, spiegando che non era accaduto nulla.
In quel mentre, il telefono squillò.
-Terenzi… -
-Ue’, Alessà, come stai? Sono Franco!-
-Ah, ciao Franco!-
il commissario calcò con enfasi sul nome, facendo intuire a Ghirodelli con chi stava parlando.
-Ho delle novità da comunicarti sul caso degli strozzini: che hai due minuti da dedicarmi?-
-Sì, certo, dimmi tutto-
-Il guaglione ha parlato, il più giovane dei due fratelli. A sentire lui, sembra che il padre avesse un’amica, chiamiamola così, con cui si divertiva a trascorrere un po’ di tempo. E indovina come si chiama la pupa? Indovina? Svetlana Vattelapesca, mo’ il cognome non lo ricordo, ma è lo stesso che mi hai comunicato tu ieri.
Comunque, il compito della donna sembra che fosse quello di adescare pezzi grossi che sperperavano stipendio, piccole eredità e gioielli alla bisca: una volta che i pesci cadevano nella rete, lei ci giocava insieme, per così dire, insomma si prostituiva, per poi ripulirli ben bene fino all’ultimo centesimo! Capisci, Alessà, alla guagliona, appena la troviamo, la sbattiamo a fare compagnia al resto dell’allegra combriccola!
-
Terenzi cambiò orecchio: non capiva perchè il collega dovesse sempre urlare come se avesse a che fare con un sordo.
-Ho capito, Franco. Ma, ascolta, il ragazzo vi ha anche detto dove abita questa Svetlana?-
-Più o meno, sai come vanno queste cose. Il padre la portava raramente al covo, e cercava di non frequentarla in presenza della prole. Però, da quello che il guaglione ha confessato, una volta ha sentito l’integerrimo genitore parlare al telefono con la donna, dicendole di aspettarlo al parco della Pellerina. Mo’, non mi chiedere dove caspita si trova sto’ parco perché nun lo saccio, ma i miei ragazzi, torinesi doc, cominceranno le ricerche già oggi pomeriggio-
Terenzi sussultò sulla sedia, appuntandosi subito dopo il nome sul solito taccuino aperto sulla scrivania.
-Va bene, grazie per avermi informato. Ah, Franco, la Del Fiore non vuole che ci occupiamo del caso, ma, se tu me lo permetti, almeno in via ufficiosa mi piacerebbe darti una mano. Sai, ho ancora l’assassino di Appiani a piede libero, e non vorrei che c’entrasse anche questa Svetlana capitata tra cielo e terra proprio adesso-
-Ma certo, Alessà, che domande fai? Mi ricordo del nostro amico Della Robbia, quel poveretto mezzo impaurito che ieri si scrutava attorno come un topo in mezzo ai gatti. E mi ricordo pure del debito che la vittima gli aveva saldato. Quindi, hai la mia parola di partenopeo, Alessà, la bella questora non saprà nulla del nostro patto! Gli appostamenti inizieranno alle tre: se vuoi mandare anche qualcuno dei tuoi, avvisami. Ora devo scappare, a presto-
Il commissario riattaccò con il timpano stordito dalla voce squillante del collega, quindi spiegò le ultime novità a Ghirodelli.
-Fammi un favore, ispettore. Organizza una macchina con due agenti: Di Biase, che è fresco di rientro, e la Finotti, così impara come si conducono gli appostamenti. Digli di trovarsi pronti per le due e mezza: appena torno, chiamerò Berardi per comunicargli che già da oggi saremo dei loro. Nel frattempo, vado dalla vedova per confermarle il nullaosta per l'organizzazione dei funerali-
Si alzò dalla poltrona, strinse una spalla del sottoposto e, con il giubbotto indosso, uscì dall’ufficio.


Come la prima volta che si era recato da Clelia Camoletti, il giorno del ritrovamento del cadavere dell’ex marito, il poliziotto fu costretto a parcheggiare in una viuzza laterale, lontano dal palazzo in cui abitava la donna.
Questa volta, però, non c’era neppure uno sputo di sole ad invogliarlo a fare due passi, per cui si rassegnò a ciondolare pigramente lungo i marciapiedi, in quella zona fitta all’inverosimile di vecchi bar decadenti, alternati ad allegri quanto sconosciuti locali di ultima generazione.
Una ventina di minuti più tardi, intorno alle dieci e trenta, il poliziotto citofonò al quinto ed ultimo piano dell’interno A di un palazzo signorile, dalla curiosa forma della prua di una nave.
La facciata color granito disseminata da una miriade di finestrelle con le imposte verdi era sempre lì ad aspettarlo.
-Chi è?-
Terenzi, sovrappensiero e con i brividi di freddo - o di febbre?- a percorrergli la schiena, non si mise davanti all’occhio elettronico della videocamera, impedendo alla donna di riconoscerlo all'istante.
Clelia Camoletti, la voce delicata, ripeté la domanda.
-Sono il commissario Terenzi, signora. Posso salire?-
-Sì, un attimo che le apro-
Sgusciò all’interno del palazzo nello stesso momento in cui gli scappò uno starnuto, il quarto della mattinata.
Non aveva voglia di percorrere a piedi quei cinque piani fino all’attico, quindi premette il bottone dell’ascensore dalle pareti trasparenti, in attesa che si liberasse.
In quel mentre, dei passi risuonarono nell’androne: l’uomo si voltò e venne accolto dal breve sorriso di una quarantenne, i capelli castani tagliati corti e gli occhi scuri.
Era vestita con una tuta, e portava un borsone da palestra.
Dopo una manciata di secondi, finalmente l’ascensore spalancò le sue porte, lasciando passare una coppia di anziani coniugi.
Solo a quel punto il commissario e l’atleta salirono sul parallelepipedo meccanico.
-Buongiorno… - lo salutò la donna, squadrandolo senza ritegno.
-Buongiorno…  a che piano?-
-Al quarto, grazie-
Quando vide Terenzi prenotare il tasto al quinto piano, la morettina si animò.
-Va da Clelia, vero?-
-Eh sì-
Terenzi avrebbe aggiunto che, a quel piano, c’era solo l’appartamento della vedova, ma rimase in silenzio, non volendo sembrare scortese.
-Poverina, anche se era separata da Giorgio da qualche anno, mi fa una gran pena. Lui era così gentile, un vero galantuomo e un ottimo vicino di casa … -
Scosse il capo e abbassò lo sguardo, per risollevarlo subito dopo nella direzione dell’uomo.
-Li conosce bene?-
-Abbastanza. Quando mi sono sposata, è stata Clelia che mi ha confezionato l’abito nuziale-
La quarantenne si lanciò in un’espressione di puro sconforto, mentre il poliziotto tentava di non fissarla con gli occhi sgranati per l’ostentata leggerezza della mogliettina.
-Oh che peccato… sono già arrivata- sentenziò a malincuore.
Uscì quasi con lentezza, strusciandosi contro una manica del cappotto color cammello di Terenzi, ovviamente dopo avergli lanciato un’altra occhiatina maliziosa.
-Arrivederci- lo salutò, sorridendo sfacciatamente.
Lui agitò di sfuggita una mano, poi l’ascensore si richiuse e riprese a salire.


-Permesso… -
Questa volta, la vedova Appiani era dietro la porta ad attenderlo: sfoggiava la solita mise elegante dell’altra volta, quella mattina composta da giacca e pantaloni grigio chiaro, una blusa bianca che spuntava dal colletto.
Aveva lo sguardo incupito e triste, i capelli biondi perfettamente pettinati.
-Venga, commissario … -
L’uomo le strinse la mano, poi si accomodò, ritrovandosi nello stesso salotto ricercatissimo e degno di un principe di tre giorni prima, il parquet ricoperto di tappeti persiani e un immenso arazzo raffigurante un cesto di frutta e fiori a pochi metri da lui.
La porta finestra che dava sulla terrazza occupava un’intera parete, proprio dietro il primo dei due divani color panna, e le tende, bianche e soffici, erano appena accostate.
-Mi scusi, ma non ho molto tempo. I miei figli sono usciti, mentre Sandra, la mia domestica, è andata a fare la spesa, e io stavo per raggiungere l’atelier: sa, è ormai da molti giorni che manco e voglio controllare come procede il lavoro-
La donna lo invitò a prendere posto sul divano.
-Non le ruberò molto tempo. Volevo farle un paio di domande e comunicarle che, appena lei e i suoi figli vorrete, potrete organizzare il funerale del suo ex marito-
Clelia Camoletti, le mani incrociate sulle ginocchia, sospirò e annuì brevemente.
-Grazie… a proposito, vuole bere qualcosa?-
-No, non si preoccupi. Andrei subito al dunque, se non le dispiace-
-Certo, mi dica-
-Lei conosce Agnese Rampi?-
I begli occhi chiari della signora si velarono di irritazione.
-Chi è? Una delle amanti del mio ex marito?-
-Non la definirei così: era una sua amica, l’infermiera che ha conosciuto quando si è rotto il ginocchio e la caviglia andando a sciare, due anni fa. Immagino che lei ne fosse a conoscenza. O sbaglio?-
-Sì- confermò distrattamente -me lo ricordo vagamente. Lo vedevo venire in fabbrica con le stampelle. Ma, mi scusi, cosa c’entra tutto questo?-
-Dal libretto delle entrate dell’azienda sembra che il suo ex marito avesse contratto un debito di trecentomila euro, e che questa signora Rampi abbia versato esattamente la metà della somma che manca alla fabbrica.
Per caso, il signor Appiani le aveva accennato qualcosa?-
-No, non ne sapevo nulla. I miei figli mi hanno detto che lo ha chiesto anche a loro, quando li ha interrogati, ma non ne so nulla … nemmeno Carlo mi ha mai raccontato niente a tale proposito e, se non l'ha fatto lui, non riesco a credere che sia la verità-
-Infatti non lo sapeva. Anzi, sembra che nessuno ne sappia nulla … non lo trova strano?-
La donna distolse per un attimo lo sguardo, irritata da quella sottile insinuazione.
-Senta, commissario, gliel’ho già detto durante il nostro primo incontro. Mi sono separata cinque anni fa e, da allora, con il mio ex marito ho avuto solamente rapporti di lavoro, nulla di più-
Terenzi annuì poco convinto, quindi proseguì.
-Che fine farà la fabbrica? Nella precedente chiacchierata, se non ricordo male, mi disse che non voleva i soldi del signor Appiani-
-E’ così, infatti: se fosse per me, la venderei senza alcuna remora, ma prima è giusto che mi consulti con Gabriele e Anita. E’ un loro diritto decidere sull'eredità del padre-
-Sarebbe favorevole che il signor Della Robbia diventasse il nuovo presidente?-
-Certo, perché no? E’ una persona fidata e un bravo imprenditore. Se i miei figli acconsentirebbero, non esiterei a cedergli il nostro 50%-
Terenzi si grattò distrattamente la nuca e, con la voce il più naturale possibile, domandò:
-Un’ultima cosa: dall’autopsia risulta che il suo ex marito sia stato stordito con una massiccia dose di Lexotan, un potente ansiolitico. Sa se ne faceva uso regolare?-
-Sì, a volte lo prendeva perché soffriva di attacchi di panico-
Finalmente qualcosa di interessante: chi lo ha ucciso conosceva molto bene le sue abitudini.
-Sempre dall’autopsia, è emerso che a colpire il suo ex marito siano state due persone, una di queste probabilmente era mancina. Conosce qualche persona che ha questa caratteristica?-
Clelia Camoletti ci rifletté un attimo, poi scosse la testa
-No, non mi pare. Anzi, ne sono certa. Prima che mi chieda se uso la mano destra o sinistra, le posso far vedere che sono destrimane-
Si alzò e andò verso l’elegante scrittoio dietro di loro: aprì un cassetto e prelevò un biglietto da visita del suo atelier, una penna e ritornò a sedersi.
Quindi, firmò con la mano destra.
-Non c'era bisogno: mi ricordavo che aveva firmato la deposizione utilizzando la destra. Comunque va bene, per me è tutto, signora, la lascio andare a lavorare-
Il poliziotto si alzò ed abbozzò un sorriso.
-Se mi aspetta un attimo, scendo con lei-
La donna si allontanò per qualche secondo, si recò in un’altra stanza e tornò poco dopo con un grazioso impermeabile nero.
-Pioveva adesso che è venuto?-
-No, ha smesso, ma se fossi in lei un ombrello lo porterei: non c’è nemmeno un po’ di sole-
-Allora vado a prenderlo. Torno subito-
Rientrò nella stessa stanza, per poi ripresentarsi perfettamente agghindata.
-Ecco, sono pronta, possiamo andare-
Terenzi aspettò che la padrona di casa aprisse la porta, quindi sul pianerottolo le domandò se volesse prendere le scale o l’ascensore.
-Preferisco andare a piedi-
La vedova chiuse a chiave la porta, si sistemò l’impermeabile e, con un sorriso, cominciò a scendere i gradini in simil granito.


   
 
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