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Autore: nikita82roma    18/04/2016    3 recensioni
Una missione sotto copertura, una cosa semplice, come tante altre per l'Agente Di Nozzo. Un vecchio trafficante d'armi giordano da trovare e la moglie di lui che è una vecchia conoscenza: Ziva David.
Perchè è sposata con un uomo accusato di terrorismo? Cosa ci fa a Washington? Perchè Tony è così sconvolto dal rivederla dopo un anno che era tornata in Israele, tanto da mettere a rischio anche il suo lavoro?
Ambientata circa un anno dopo S11 E02.
Un Tony arrabbiato, un Gibbs cinico, una Ziva cambiata. Ma sarà realmente così? Voglia di vendetta e passione si interecciano in una storia TIVA sì ma un po' diversa
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Quando diventa più difficile soffrire che cambiare… cambierai.” Robert Anthony De Mello

 

Ci sono risvegli in cui vuoi solo dormire di nuovo, cercare un oblio dei sensi perchè così non stai male.
Ci sono dei risvegli che non vorresti mai fare, quelli in cui prendi coscienza che tutto quello che hai fatto è stato inutile. 
Ed io stavo così in quel letto di ospedale, quando sentivo tutto il peso del mondo su di me, soffocato nell’abisso in cui mi sentivo sprofondare. Non capivo il perchè di tutto quello che era successo e questo mi lacerava.

Ma molte cose nella vita si fanno senza un perché. Tante altre accadono senza che noi lo vogliamo.
Quelle casuali e irrazionali a volte sono le migliori.
Non so perché quella sera a quel ballo c’ero proprio io e non so perché cercavamo proprio quell’uomo che anche tu volevi incastrare.
Quel vero e proprio scontro però mandò in frantumi la bolla di sapone della mia vita e mi fece ricordare cosa volevo. 

Questa volta non mi sono arreso alle tue parole, non mi sono arreso all’evidenza e nemmeno ai fatti.
Non mi sono arreso nemmeno al destino che tu avevi disegnato per te, ma che evidentemente era sbagliato.

Non mi sono arreso quando Gibbs mi ha detto che non saresti più venuta, quando mi ha detto che dovevamo ripartire a breve. 
Non mi sono arreso quando ho letto la tua lettera, piangendo ad ogni singola parola.
Non mi sono arreso quando mi volevano caricare su quell’ambulanza per andare in aeroporto.
“Tu sai dov’è” dissi a Gibbs e non era una domanda. E lo obbligai a portarmi da te, contro il parere di tutti i medici, ma sapevo che lui in fondo voleva darmi una possibilità, anzi voleva darci una possibilità. Mi ha aiutato a vestirmi e non mi reggevo ancora nemmeno in piedi. Mi ha portato davanti casa tua e lì gli ho chiesto di lasciarmi, volevo fare da solo. Salire tre scalini e attendere che aprivi la porta è stato come scalare una montagna. Mi ricordo tutto di quel momento, il tuo viso quando hai aperto la porta un misto di stupore, paura e felicità, mentre la mia era una maschera di malcelato dolore.
Non mi sono arreso quando mi imploravi di andarmene, ma io non mi muovevo. Rimanevo in piedi con tutta la forza che avevo. 
Non mi sono arreso quando ti dicevo che non me ne sarei andato senza di te e tu mi rispondevi solo “vattene”.  “Sei pazzo” mi dicevi e me lo ripetevi più volte. Io rimanevo impassibile e ti guardavo. Non sapevo quando sarei riuscito a resistere in piedi davanti a te. Ma tu non ti muovevi, non rientravi, non mi chiudevi la porta in faccia ed io sarei rimasto lì fino a quando avevo le forze.
Non mi sono arreso quando ti dicevo “ti amo” e tu non mi rispondevi, ma abbassavi lo sguardo verso il pavimento. Mi sono arreso solo al mio fisico che non riusciva a resistere a lungo quanto avrei voluto e sono caduto in ginocchio davanti a te e forse era la posizione migliore per pregarti. Anche tu ti sei inginocchiata davanti a me, mi ha preso il viso tra le mani e mi dicevi che ero pazzo mentre appoggiavi la tua fronte alla mia e vedevo che anche tu stavi piangendo.

Non mi sono arreso ed fatto bene, perché ho vinto io, anzi abbiamo vinto noi.

Perché ora sei qui, vicino a me. Su questo letto, in questa stanza, che ha conosciuto solo te e me, solo noi. Perchè nessun altra prima di te era entrata nella mia casa, nel mio letto, nella mia vita e nel mio cuore.
Ti tengo stretta tra le mie braccia ed ora non ho più paura che tu te ne vada. Ti accarezzo i capelli ed il viso e tu mi stringi un po’ di più ogni volta. Il tuo abbraccio è forte e dolce allo stesso tempo, come te che sei una contraddizione continua. Per anni la mia sfida è stata farti mia, la mia sfida da ora in poi sarà costruire il nostro mondo insieme e farti capire chi sei, perché tu ancora non lo hai capito. Ancora dormi con la pistola sotto il cuscino ed io rischio ogni volta che torno a letto più tardi che tu prima o poi mi possa sparare e quelle volte che me l’hai puntata contro poi ci abbiamo anche riso insieme, ma sarà ora di trovargli un altro posto.

Ora ti muovi, ti strusci addosso a me cercando la posizione nella quale stai più comoda e mi piace sentire il tuo corpo vicino al mio. Anche tu come me hai ancora bisogno del contatto, come se sentendoci tutto fosse più reale.

E forse mi sbagliavo prima, ancora un po’ di paura c’è. La paura che non sia reale, che sia tutto solo un sogno, che magari tra un po’ mi sveglio e a quel ballo non ci sei ed io sbatto addosso ad una signora qualsiasi e non ti troverò più. O forse ti troverei comunque, perché tu il giorno dopo verresti a bussare alla mia porta chiedendomi di entrare ed io ti inviterei a farlo. Oppure potrei essere io domani che mi sveglio e decido di prendere ancora una volta un volo per Tel Aviv e venirti a cercare, casa per casa fino a quando non ti trovo. 

Però ti sento, sei troppo reale per essere un sogno. E’ reale il tuo profumo, quel profumo di di incenso, sandalo, ambra e fiori d’arancio. È reale il battito del tuo cuore, il tuo calore, le tue mani.

È passato quasi un anno da quando siamo tornati. Si possono fare ancora questi pensieri dopo un anno? Si può alla mia età amare qualcuno come se fosse la prima cotta di un quindicenne con le farfalle nello stomaco? Si può avere quell’urgenza di sentirsi sempre, di stare sempre insieme, come se il mondo potesse finire da un momento all’altro e ci dovesse trovare per forza così, abbracciati?

Ora ti sei alzata. Stai appoggiata su un braccio e mi guardi. Io sento il tuo sguardo su di me, mi trafigge come sempre. Apro gli occhi e mi volto a guardarti. 
- Sei sempre più bella. - Ti dico e tu che ancora non ti sei abituata a ricevere complimenti ti imbarazzi e abbassi lo sguardo solo un secondo. Dovrei fartene di più, mi piace vederti imbarazzata, perchè scopri la tua fragilità che adoro e non è così facile, ancora oltrepassare le tue difese che raramente abbassi, anche con me. Ancora.
Poi mi guardi di nuovo ed io mi perdo nei tuoi occhi profondi. Quanto tempo passiamo a guardarci senza dirci niente? Eppure a me sembra che in questi momenti tu sai tutto quello che sto pensando e che voglio dirti.

All’improvviso il tuo volto cambia, fai una smorfia scatti seduta sul letto: io mi preoccupo e di riflesso faccio come te. Ora siamo seduti uno davanti all’altra. Tu vedi che io mi sono allarmato e sorridi, ma io non capisco.
Prendi le mie mani e la appoggi sulla tua pancia
- Senti - mi dici - sta scalciando.
Ed il mio mondo ora è tutto qui, tra le mie mani.

 

“Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudizi, del proprio cuore; si ha paura del sonno, del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte. Specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti. In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile”  Hermann Hesse.
 

NOTE: E' la prima storia medio/lunga che completo, ringrazio quelli che l'hanno letta fino alla fine e spero che l'happy ending vi sia piaciuto e che abbia un po' riscattato lo spirito da "mai na gioia" come dice qualcuno :D
Se vi va di lasciare un'opinione su questo capitolo o sulla storia in generale, è sempre gradito.

   
 
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