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Autore: eleCorti    19/04/2016    2 recensioni
“Io... scappiamo” trasalì, sentendo quella parola. Che voleva fare?
“Scappiamo e non torniamo mai più. Io voglio restare con te” si avvicinò alla giovane e la abbracciò, accarezzandole i lunghi capelli rossi.
“Quando?” domandò, scostandosi un poco da lui.
“Stanotte” fu la sua secca risposta.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Don’t go away





 
Non andare via... LA... non andare via... quelle parole si ripeterono nella mente della giovane Sana Kurata – sdraiata sul suo letto, a pezzi –. Ancora non poteva crederci, LA, il suo Akito sarebbe andato ad LA.
In quel momento – quando quel pomeriggio il giovane Hayama gliel’aveva confessato in uno dei tanti locali di Tokyo – tutto il suo mondo le era crollato addosso. Perché? Semplice: tutto il suo mondo era rappresentato da Akito. Senza di lui la sua vita non avrebbe avuto più senso.
In bagno... si era rinchiusa nella toilette del locale. Sola. Voleva solo piangere, voleva solo sprofondare nel baratro della disperazione.
Lui. L’aveva raggiunta. L’aveva... rassicurata. Non ci vado. Le aveva detto. Sì, si era risollevata, ma chi le garantiva che Akito avesse detto la verità? Nessuno.
Ecco. Era di nuovo sprofondata in quel baratro costituito dalla pura depressione. Nessuno poteva salvarla nessuno. Forse lui: Akito. Ma chi le diceva che l’avrebbe salvata? Che sarebbe rimasto per sempre al suo fianco, come le aveva detto? Nessuno.
Basta. Non doveva più pensarci. Domani lo avrebbe visto, o forse dopo l’avrebbe chiamata.
Stanca. Si sentì all’improvviso stanca. Si appisolò. Si appisolò senza volerlo.





 
****



 
Un’idea. Quella sera era tornato a casa con una sola idea: di dire a suo padre che sarebbe rimasto a Tokyo. Lui non voleva partire, a Tokyo c’erano tutti i suoi affetti, i suoi amici, lei... era tutto per lui. Come poteva abbandonarla? Rinunciarci per sempre dopo tutto ciò che avevano passato prima di mettersi insieme? Non poteva.
A tavola. Si erano riuniti a tavola. Ecco era giunto il momento di parlare. Non doveva peccare di codardia, non ora. C’era in ballo la sua felicità.
“Sai papà, ho pensato all’idea di partire per LA...” fu Natzuko – la sorella maggiore di Akito – a parlare per prima.
“Ebbene?” il signor Hayama alzò un sopracciglio, segno che fosse interessato.
“Ho deciso di venire, infondo è una buona opportunità per il mio futuro!” proseguì la frase.
“E tu Akito?” si rivolse al secondogenito, intento a mangiare il suo sushi.
“Io non vengo” affermò, più deciso che mai.
“No. Tu vieni” replicò.
“No. Posso rimanere qui anche da solo!” non demorse. Voleva rimanere in Giappone a tutti i costi.
“Va bene. Ma sappi che se rimani qui, dovrai cercarti un lavoro. Non ti mantengo economicamente!” voleva fargli cambiare idea e il giovane lo capì.
“Brutto vecchiaccio!” imprecò alzandosi in piedi. Era furioso e parecchio.
“Ma come ti permetti?” aveva oltrepassato il limite. Si alzò anche lui, mollando un sonoro schiaffo al suo unico figlio maschio. Cinque dita, ora, erano stampate sul volto del giovane Akito.
Non rispose. Se ne andò, ignorando gli avvertimenti del padre di rimanere seduto a tavola. Voleva stare da solo.
E ora che avrebbe fatto? Si chiese, una volta giunto nella sua stanza e sdraiatosi sul letto.
Doveva trovare una soluzione e al più presto, pensò mentre fissava il soffitto scuro.
Sana... che doveva fare? Dirglielo o no? Come avrebbe reagito? Che doveva fare? Chiamarla o aspettare il giorno dopo per dirglielo? Non sapeva che fare.
Si buttò nel letto con le braccia aperte e chiuse gli occhi. Forse il sonno gli avrebbe portato consiglio.




 
****



 
Un nuovo giorno era appena iniziato e lui ancora non le aveva parlato. Doveva farlo subito, prima che... prima che fossero stati gli altri a rivelarglielo.
Era uscito proprio per questo quel pomeriggio; subito si era diretto a casa della sua Sana. Suonò. Fu sua madre – Misako – ad aprirgli.
“Akito, cerchi Sana?” lo fece accomodare nel vasto salotto.
“Sì” e lui entrò senza esitazioni.
“è in camera sua... “ gli indicò l’ultima porta a destra: la camera di Sana, mai ci era entrato.
Bussò. Subito la giovane aprì. Alzò gli occhi, sperando d’incontrare il suo sguardo sorridente, ma tutto ciò che vide fu una faccia... spenta.
“Sana è tutto apposto?” le domandò. Preoccupato? Sì.
“Sì...” abbozzò un piccolo sorriso.
“Io... vieni usciamo...” la trascinò via dalla sua stanza. Voleva che fossero da soli.
Al parco. Finirono al parco nel loro gazebo, testimone di molti momenti importanti del loro passato.
“Allora? Hai parlato con tuo padre?” gli domandò, abbozzando un altro sorriso.
“Io... sì” rispose. Che fare?
“Allora?” lo incitò.
“Io... ha detto di no...” ingoiò. Agitato? Sì e parecchio.
“Bugiardo!” le lacrime s’impadronirono di lei. Ora era all’interno del profondo baratro.
“Avevi detto che saresti rimasto per sempre con me!” si mise le mani sui capelli, mentre l’assoluta disperazione la divorava.
“Io... scappiamo” trasalì, sentendo quella parola. Che voleva fare?
“Scappiamo e non torniamo mai più. Io voglio restare con te” si avvicinò alla giovane e la abbracciò, accarezzandole i lunghi capelli rossi.
“Quando?” domandò, scostandosi un poco da lui.
“Stanotte” fu la sua secca risposta.
“A mezzanotte?” chiese per averne certezza.
“Sì” annuì.
“Ok” gli posò un piccolo bacio. Ora si sentiva più tranquilla, lì tra le sue calde braccia.





 
****



 
Il momento fatidico era giunto. La mezzanotte era appena scattata. La giovane Sana aveva preparato tutto: lo zainetto, i soldi, il libretto postale e infine una lettera da lasciare a sua madre e a Rei per non farli preoccupare.
Uscì dalla finestra della sua stanza, attraversò il lungo giardino, fermandosi davanti al grande cancello di ferro, dove c’era Akito che la stava aspettando.
“Finalmente ce ne hai messo di tempo!” si lamentò il giovane, mentre si avviava verso la stazione.
“Scusa non è colpa mia ho perso tempo!” si giustificò lei, gonfiando le guancie. La sua espressione era molto migliorata rispetto al pomeriggio, sorrideva almeno.
“Andiamo!” la ignorò, continuando il suo percorso. E lei, ovviamente, s’infuriò.
Poco dopo, entrambi erano sul treno. Diretti per dove? Non lo sapevano. Il più lontano possibile.
Era mattina. Era mattina quando il treno si fermò al capolinea nella città di Osaka.
“Sana svegliati. Il treno si è fermato” il giovane Hayama scosse la sua ragazza, immersa in un sonno profondo.
“Dove... dove siamo?” domandò, mentre si stiracchiava.
“A Osaka” lesse il cartello della stazione. Davvero erano giunti così lontano? Era vero che avevano viaggiato tutta la notte e non se n’erano resi conto, ma non pensava proprio che si sarebbero spinti così lontano.
Scesero. Non sapendo cos’altro fare. La loro fuga era appena iniziata.




 
****


 
Un urlo. Un urlo si poté percepire da casa Kurata. Chi aveva urlato? La signora Kurata. Perché? Aveva appena letto la lettera di sua figlia.
Cara mamma,
Io e Akito abbiamo deciso di scappare. Non ti dirò dove stiamo andando, non lo sappiamo neanche noi. Per favore non cercateci. Noi stiamo bene.
Ti voglio bene,
Sana
Fissò la lettera sconcertata. Non capiva il perché... LA... all’improvviso si ricordò di ciò che la figlia le avesse detto il giorno prima: Akito che sarebbe partito per LA. Ora capiva tutto. Lo stesso era preoccupata per sua figlia.
Il campanello suonò. Rei andò ad aprire: era il signor Hayama, anche lui stringeva in mano una lettera, anche lui aveva saputo tutto.
“Signora Kurata ha saputo?” era agitato e parecchio.
“Sì. Ho saputo. Lei non ha idea di dove possano essere andati?” lo fece accomodare sul divano. Lei si sedette su quello di fronte.
“No. E lei?” chiese.
“Neanche” riprese a bere il suo the.
“Dobbiamo cercarli!” si alzò in piedi di scatto.
“No. Torneranno” lei, invece, non fece una piega.
“Ne è sicura?” la fissò con una faccia stupita.
“Sì” bevve un altro sorso del suo the.




 
****


 
Avevano camminato tutto il pomeriggio in cerca di una dimora, nel frattempo avevano prelevato dei soldi dal libretto postale di Sana, comprato dei vestiti e riempito i loro vuoti stomaci.
La sera, perciò, era appena calata e loro ancora non avevano trovato una dimora.
Un albergo. Lo videro. Bello. Grande. A quattro stelle. Con un enorme ingresso e una vasta reception. Sicuramente non alla loro portata.
“Non ci faranno mai entrare qui!” esclamò il giovane Akito, incrociando le braccia.
“Sta a vedere!” replicò la giovane. Aveva un’idea.
Poco dopo entrambi furono all’interno dell’albergo, davanti alla reception. Poco dopo avevano le chiavi della loro stanza.
La giovane Kurata, difatti, si era mascherata – in realtà si era solo truccata e cambiata d’abito – facendosi scambiare per un’adulta, fingendo, perciò, che Akito fosse suo fratello minore. In questo modo ottennero la loro stanza. Un letto caldo ove riposarsi.
“Ah finalmente! Non ce la facevo più!” esclamò, buttandosi nel morbido letto matrimoniale.
“Io ho fame!” disse, invece, il suo ragazzo.
“Chiama il servizio in camera. Io vado a struccarmi” gli suggerì, mentre si alzava dal letto per dirigersi in bagno.
“Ti aspetto” le urlò da dietro la porta.
Poco dopo avevano in mano il piccolo menu, trovato nel cassetto del comodino.
“Bene! Io chiamo!” non ce la faceva più ad aspettare.
“Aspetta!” e lui la bloccò appena in tempo.
“Cosa?” non capì.
“Se chiamiamo e loro salgono, di certo noteranno che c’è qualcosa che non va. Tipo che ci sono due ragazzi di tredici anni!” le fece notare, con poco garbo.
“è vero non ci avevo pensato!” il ragionamento di Akito non faceva una piega, si disse.
“Allora scendiamo sotto, usciamo e poi torniamo con la cena!” ecco un’altra idea strampalata.
“è lo stesso. Se scendiamo lo noteranno!” si sedette sul letto, esasperato. Stava iniziando a pensare che quella fuga fosse stata inutile. Stavano già battibeccando.
“Allora che suggerisci di fare? Morire di fame!” e, difatti, lei si era arrabbiata. Aveva iniziato a tingersi di rosso, ad alzare le braccia al cielo e a fare la pazza.
“No! Io... non lo so!” si mise le mani ai capelli. Non sapeva più che cosa fare.
“Io... vado a letto!” si sdraiò dall’altro lato, immergendosi nelle coperte. Era arrabbiata. Forse anche lei stava pensando che avevano fatto un errore.
“Kurata...” lui si voltò verso di lei. Sapeva che fosse sveglia.
“Che vuoi?” e lei fu acida.
“Io... forse è meglio tornare a casa. Così non può funzionare” sospirò. Non era una decisione facile da prendere.
“Io... ma se ritorniamo, tu te ne andrai!” si mise seduta sul letto. Le lacrime si erano impossessate di lei.
“Troveremo una soluzione” e lui gliele asciugò con il pollice. Non ce la faceva a vederla in quello stato.
“Ok...” si fece cullare da quel caldo tocco. Chiuse gli occhi, come se stesse sognando.





 
****



 
Arrivati. Erano appena arrivati dopo ore di viaggio. Erano appena scesi dal treno e subito si erano incamminati verso casa di Sana. Perché? Sapevano che sia il padre di Akito sia la signora Kurata li stessero aspettando lì.
Avevano appena oltrepassato il cancello di ferro, quando il grande portone di villa Kurata si aprì: i genitori dei ragazzi erano usciti. Avevano, difatti, sentito le voci dei ragazzi.
“Akito! Mi hai fatto preoccupare!”  suo padre lo strinse a sé. Aveva avuto paura e tanto.
“Sana! Sapevo che saresti tornata!” anche la signora Kurata abbracciò la sua unica figlia. Anche lei era stata molto in pensiero.
“Papà...” cercò di parlare ma il genitore lo interruppe.
“No ascolta. Ho saputo tutto dalla signora Kurata. Io... volevo portarti a Los Angeles per farti operare e far riabilitare la tua mano destra... ma so che ti ferirei tantissimo. Qui c’è il tuo vero amore... per cui ho deciso che solo io mi trasferirò, tu verrai con me e ti farai operare, la riabilitazione la farai qui. Che ne dici?” ci aveva pensato molto, ma alla fine aveva deciso che quella fosse la soluzione migliore. Ciò che contava era la felicità di suo figlio. E lui sapeva che a LA non sarebbe mai stato felice. Mai.
“Sì. Ci sto”fu la sua risposta, apparentemente fredda. Ma dentro di sé gioiva.
“Io... sono contenta Akito!” la sua ragazza si buttò subito addosso a lui. Lei sì che sprizzava gioia da tutti i pori.
La abbracciò, ma non disse niente. Dopo ne avrebbero parlato.





 
****




 
Il fatidico giorno era giunto. Tutti erano venuti a salutare il giovane Akito; Aya Tsuyoshi e persino Fuka. Lei c’era anche.
“Allora stammi bene amico mio!” Tsu diede l’ultimo saluto al suo migliore amico.
“Anche tu!” lui gli sorrise.
Aya e Fuka si limitarono a salutarlo, augurandogli un in bocca al lupo per l’operazione; ora era giunto il turno di Sana.
“Mi mancherai” aveva gli occhi lucidi.
“Anche tu” non doveva piangere, si disse.
“Mi raccomando torna presto. Io ti aspetterò” una piccola lacrima le solcò il viso. Non ne aveva potuto fare a meno.
La baciò. Lì di fronte a tutti, non vergognandosene. Quel bacio, per entrambi, sarebbe potuto durare in eterno, ma il volo del giovane fu chiamato; si staccarono, perciò.
“A presto!” lo salutò un’ultima volta.
“A presto!” e lui ricambiò il saluto.
Tornò. Tornò qualche tempo dopo. L’operazione era andata a buon fine e ora avrebbe potuto ricominciare l’abilitazione.
In fondo era riuscito a mantenere la sua promessa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: salve! Lo so che ancora ho una storia in sospeso, ma non potevo non pubblicare questa OS! Come mi è nata? Leggendo il nono volume del manga – precisamente quando Akito le dice che deve andare a LA – poi andando avanti e leggendo la conclusione ho deciso di cambiare il tutto.
Non ho inserito la malattia della bambola perché non sapevo come gestire la cosa, quindi ho evitato.
Spero che vi sia piaciuta e niente vi dico che la dedico a un autrice – kisachan – grazie al quale ho potuto leggere – finalmente – il manga.
A presto.
 
 
 
   
 
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