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Autore: SunShineFiruli    20/04/2016    1 recensioni
Nelle saghe che zio Rick ha gentilmente messo al mondo, soprattutto in Percy Jackson e in Eroi dell'Olimpo, ci sono stati parecchi salti temporali che ci hanno lasciati (o almeno, hanno lasciato me) con non poche domande. Ho deciso di provare a riempirli inventando ciò che a mio avviso potrebbe essere capitato, sperando di rimanere coerente al resto della trama.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Prima di cercare di comprendere dove lo spingesse il suo istinto -impresa non da poco-, Percy decise che era il caso di capire dove si trovasse. Ok, Lupa gli aveva spiegato che quella era la Casa del Lupo… ma dov’era? Il semidio aveva la sensazione di non brillare neanche in geografia. Convenne che fosse il caso di ricongiungersi con il mondo mortale. Tornò all’ingresso della villa, quello dove si era svegliato. In fondo ai gradoni, c’era una strada asfaltata. Si vedeva che non era propriamente nuova e che non veniva percorsa da un po’, ma da qualche parte doveva pur portare. Fece spallucce e cominciò a camminare. Aveva con sè solo la sua spada, ma quanto poteva metterci? In un paio d’ore al massimo sarebbe arrivato in qualunque posto la via conducesse. O almeno, era quello che credeva. Ovviamente non fu così. Percy camminò molto più a lungo di quanto si aspettasse. Il paesaggio rimase invariato per un bel po’, ma perlomeno il clima migliorò. Le nuvole che avevano occupato il cielo fin dal momento del suo risveglio si diradarono, e il sole cominciò a splendere, dando al luogo un aspetto più piacevole. Che ore potevano essere? Mezzogiorno? Aveva un sacco di tempo per trovare un centro abitato, o qualcuno disposto a dargli un passaggio. Tra l’altro, non poteva impiegare tanto a trovare il misterioso posto indicatogli dalla dea.... non doveva essere troppo lontano. Sarebbe stata questione di un paio di giorni. Poi avrebbe potuto recuperare i suoi ricordi. Con questi pesieri felici, Percy affrettò il passo. Un bel po’ di tempo dopo, finalmente il semidio intravide un edificio. Essendo un po’ distante, non capiva bene di cosa si trattasse. Gli parve di vedere delle luci accese, e una strada. Una strada vera, con auto e persone reali, mica come quella su cui stava camminando da ore. Era notte fonda, ed era stato tentato più volte di fermarsi a riposare, anche se alla fine si era fatto forza e aveva proseguito, nella speranza di trovare un posto migliore per sostare. Forse le sue preghiere erano state ascoltate. Raggiunse l’edificio da dietro. Una recinzione parecchio alta lo divideva da un grande parcheggio. Percy la scavalcò senza problemi. No, ok, siamo onesti: la scavalcò dopo diversi tentativi e cadute dolorose. Il punto è che alla fine ci riuscì. Avanzò, massaggiandosi il didietro dolorante, fino a trovarsi davanti alla porta sprangata di una stazione di servizio. Dietro di lui, una Toyota aveva appena fatto il pieno da un distributore di benzina e stava tornando in autostrada. Uff. Avrebbe potuto fare a pezzi la recinzione con la spada; a quel punto avrebbe avuto modo di chiedere al gentile autista un passaggio. In effetti avrebbe anche dovuto inventare una scusa plausibile su come fosse arrivato lì e sul perché fosse tutto solo in mezzo al nulla. Forse non era stato un male aver perso l’occasione, dato che non aveva idee. Controllò il luogo in cerca di qualcosa che potesse essergli utile. Non sapeva quand’era stata l’ultima volta che aveva mangiato, ma evidentemente non di recente: stava morendo di fame. Per il parcheggio trovò solo copertoni di ruote, carte e spazzatura di ogni genere, qualche monetina che non esitò a raccogliere. Appena svoltò l’angolo sella struttura, invece, trovò il paradiso. Un distributore automatico. Beh, in quel momento, dopo tutte quelle ore di cammino e lo stomaco vuoto, era un piccolo paradiso. Si attaccò al vetro, mentre ne esaminava l’interno. Una lattina di pepsi si era bloccata durante la sua caduta, ma con un paio di calci ben assestati, Percy era sicuro che sarebbe riuscito a farla finire abbastanza in basso da riuscire a prenderla. Contò le monetine che aveva trovato: purtroppo, gli bastavano solo per un pacchetto di orsetti gommosi, ma era pur sempre cibo. Non era nella situazione di fare lo schizzinoso. Inserì un nichelino. L’aggeggio infernale, però, non lo prese, e lo risputò fuori dall’altra apertura. Il semidio sbuffò, e provò una seconda volta. Di nuovo, non ebbe successo. -Dai- si lamentò, consapevole di star parlando a una macchina. -Sto morendo di fame… Puoi prendere questa bellissima monetina, per favore? Puoi farlo per me? Perchè mi vuoi bene? Quando la macchinetta gli rimandò indietro il nichelino per la terza volta, Percy imprecò, e insultò l’aggeggio pesantemente. Gli diede un calcio, con il solo risultato di farsi un male cane al piede. Non indossava le scarpe… com’è che se accorgeva solo allora? Dietro al vetro, neanche la pepsi si era mossa di un centimetro. Il ragazzo si immaginò quella stupida macchina ridere delle sue disgrazie, e quella fu l’ultima goccia. Poi successe qualcosa di strano. Il semidio era lì, a fissare il distributore immaginando quale fosse il modo più veloce per farlo a pezzi, anche a costo di distruggere per sbaglio il cibo al suo interno. Come in sintonia con la sua rabbia, alcune lattine e bottiglie iniziarono a tremare. Solo loro. Non le merendine che avevano intorno. Percy si allontanò, con l’intento di osservare meglio e di capirci qualcosa, e così facendo, probabilmente si salvò la vita. Le bottigliette esplosero in un tutt’uno, frantumando il vetro. Il semidio finì a terra. Un enorme coccio della vetrina gli passò accanto, sfregandogli sul braccio senza però lasciare segni visibili. Percy guardò sconcertato la scena. Cos’era appena successo? Fu distratto da un rumore, quello della lattina di pepsi che prima era rimasta bloccata, l’unica sopravvissuta, che rotolava per terra fino a fermarsi poco distante da lui. Si alzò, zuppo di acqua e bibite di ogni tipo. Non si spiegava la causa dell’esplosione, ma almeno avrebbe potuto procurarsi del cibo senza spendere un centesimo. Il problema era che la maggior parte era andato distrutto o era diventato immangiabile. Riuscì a salvare il pacchetto di orsetti gommosi a cui puntava prima, un Bounty, e un paio di sacchetti di patatine piccanti alla paprica. Da bere, era rimasta solo quell’unica lattina di pepsi, che non gli sarebbe durata neanche una serata. Doveva trovare una fonte d’acqua il prima possibile. La raccolse da terra. Dietro di lui, improvvisamente brillò una luce. Percy si voltò e si accorse che erano i fari di una macchina, puntati su di lui. L’autista aprì la portiera e inizio a scendere. -Che stai combinando?!- urlò. Il semidio realizzò che l’eslplosione di un distributore automatico non lo avrebbe fatto vedere troppo di buon occhio dai mortali. Sorrise nervosamente, facendo l’impossibile per nascondere il bottino nelle varie tasche. Poi scavalcò di nuovo la recinzione, salendo su un cassonetto e usandolo come appoggio per raggiungere la cima nel minor tempo possibile. Scomparve tra la boscaglia, lasciandosi dietro l’uomo a minacciarlo di chiamare la polizia. Fece in modo di prendere una direzione che seguisse in modo più o meno parallelo l’autostrada. Ora che finalmente aveva trovato un accenno di civiltà, era deciso a non lasciarselo scappare. Quando fu stanco di correre, convenendo che si era allontanato abbastanza dalla stazione di servizio, si fermò a riprendere fiato. Come aveva fatto il distributore ad esplodere? Capiva che non c’entrava una qualche misteriosa reazione chimica, che il tutto aveva avuto a che fare con qualcosa di magico, ma cosa? Che qualcuno lo stesse seguendo, o provando ad ucciderlo? Aprì un sacchetto di patatine e iniziò a mangiarle. La logica gli diceva che avrebbe fatto meglio a razionare il cibo, dato che non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che avesse di nuovo la possibilità di procurarsene. Lo stomaco, invece, gli intimava di darci dentro o sarebbe morto di fame. Vinse il secondo. In fondo, Percy si sentiva come se non avesse messo nulla sotto ai denti per mesi. Non ne capiva il motivo. In cinque minuti scarsi esaurì le scorte. Poi, si raggomitolò ai piedi di un albero e finalmente si concesse di dormire, per quanto l’aria fredda glielo permettesse. Si svegliò alla luce del sole la mattina seguente, e si accorse di quanta fortuna avesse avuto a non essere stato trovato da nessuno, quella notte. La fatica della giornata doveva aver preso il sopravvento, e lui non aveva minimamente riflettuto prima di stendersi a terra ed addormentarsi. Cioè, dormire così, in un luogo sconosciuto, senza avergli prima dato un’occhiata? Senza aver fatto nulla per cancellare le proprie tracce? Voleva davvero farsi uccidere, allora. Si alzò e raccattò da terra la sua spazzatura. Si spazzolò via le foglie e la terra dai vestiti, o almeno ci provò. Doveva sembrare un barbone in quel momento. Controllò che la penna ci fosse ancora, anche se sapeva che c’era, poi ricominciò a mettersi in cammino. La notte prima, quando era arrivata la seconda auto alla stazione di servizio, la luce dei fari aveva permesso a Percy di intravedere un cartello stradale, alla sua destra. Con la luce puntata negli occhi non aveva saputo distinguere il nome della città che indicava, ma ricordava il resto di quello che c’era scritto: ‘a 3 km’. Almeno avrebbe impiegato pochissimo tempo, considerando che la metà del percorso l’aveva fatta mentre scappava. Riprese la direzione della sera prima. Venti minuti dopo si ricongiunse all’autostrada. Un cartello dava ai viaggiatori un caloroso benvenuto a Sonoma. Grandioso. Finalmente. Un attimo… ma dove accidenti si trovava Sonoma? Percy decise che si sarebbe procurato al più presto una cartina. Insomma, non poteva certo sapere dove si trovassero tutte le città dell’America -sempre che ci fosse, in America-. Sapeva a malapena dov’era New York. Il nome ‘Sonoma’ non gli diceva niente. Beh, perlomeno era riuscito ad arrivare da qualche parte. Cercò di essere ottimista. Si affrettò e raggiunse in poco tempo il centro abitato. Ignorò gli sguardi che la gente gli lanciava. Ok, doveva sembrare più che un barbone, a quel punto. Era sporco, scalzo, i vestiti pieni della terra che non era riuscito a levare, non immaginava in che stato si trovassero i suoi capelli… non ricordava neanche com’erano, i suoi capelli. Superò l’entrata affollatissima di un ipermercato, per poi tornare sui propri passi. Quel posto doveva essere pieno di cose che gli sarebbero tornate utili. Tipo del cibo, dell’acqua. Delle scarpe, possibilmente della Nike. Chissà per quanto tempo poi non avrebbe più avuto la possibilità di entrare in un negozio come quello. Non poteva sprecare l’occasione. Con quali soldi avrebbe pagato, se ne sarebbe occupato dopo. Varcò la soglia, e si ritrovò nel cuore dell’ipermercato. Si perse tra le corsie, in cerca di qualcosa di utile. Per prima cosa, recuperò uno zaino. Poi, si infilò un paio di scarpe facendo attenzione a non farsi vedere dai commessi. In seguito, fece incetta di tutto ciò di cui pensava avrebbe avuto bisogno: un gps portatile, date le sue scarse conoscenze in geografia, un nastro adesivo e della colla, anche se non sapeva bene perché li avesse presi, un coltellino svizzero e un accendino. Raccattò una stuoia -aveva passato una notte infernale, per la scomodità- e si diresse al reparto alimentari, dove raccolse cibi preconfezionati di ogni tipo e un paio di bottiglie d’acqua. Si voltò, iniziando a porsi il problema soldi, e si ritrovò di fronte una commessa con in mano un vassoio di salsicciotti al formaggio. -Vuoi un assaggio gratuito?- gli chiese. Indossava il grembiule verde della divisa sopra a un vestito a fiori, e aveva i capelli verdi. Che avesse sbagliato tinta? In circostanze normali, Percy avrebbe accettato. Si sarebbe divorato tutto, vassoio compreso. In quel momento, però, aveva altro a cui pensare. -Uhm, no grazie, signorina…- si sporse per leggere la targhetta della commessa: ‘Salve! Mi chiamo...’ -Stanlio. -Steno- lo corresse la donna. Entrambi i nomi erano ridicoli. Tornò ad offrirgli i suoi salsicciotti. -Dai, prendine uno. Sono deliziosi. Li ho fatti con le mie mani. Percy non voleva mangiare stuzzichini preparati dalle magiche manine di Stanlio. Fece mente locale di tutte le scuse che gli venivano, e scelse quella più intelligente. -Mi piacerebbe tantissimo, ma ho una strana e rarissima allergia al cibo toccato da tipe con i capelli verdi. è una cosa davvero frustrante. Già, era l’idea più sensata che aveva. Credeteci. Miracolosamente, Stanlio si bevve la scusa. -è un vero peccato- disse, sinceramente dispiaciuta. -Ma se aspetti qui, posso passare dal retro e prenderne altri… -Certo- rispose il semidio, pronto a filarsela a gambe levate non appena quella si fosse girata. -Fai pure con comodo. La donna fece per andarsene, ma per sfortuna di Percy venne interrotta all’ultimo. -Ma che stai facendo, Steno?! Apparve un’altra commessa. Il ragazzo fu sorpreso dalla somiglianza tra le due donne: erano identiche, con gli stessi occhi, lo stesso naso, perfino gli stessi vestiti. Le uniche differenze erano che la seconda, la gemella cattiva di Stanlio, aveva i capelli rosso corallo, ed era ricoperta da capo a piedi di bollettini che annunciavano il 50% di sconto. Sulla targhetta c’era scritto: ‘Salve! Mi chiamo Muori Feccia di un Semidio!’. Ok. Non era un buon segno. -Vado a prendere altri assaggini- disse Stanlio, in risposta alla domanda. -Sfortunatamente a questi è allergico… ci tengo a soddisfare i miei clienti, io. L’altra si passò una mano sulla fronte, in segno di esasperazione. -Quella della commessa è una copertura, genio! Dovevi attaccarlo alle spalle e ucciderlo, non offrirgli quegli stupidi formaggini! -Sono salsicciotti- protestò Steno, con il broncio. -Mi sembra una discussione alquanto personale- commentò Percy. -Se non vi spiace, io leverei il disturbo. -Oh, non ti preoccupare- rispose la cosiddetta ‘Muori Feccia di un Semidio!’. -Mia sorella è un’incapace. Ma adesso mi occupo io di te. Percy aveva intenzione di ribattere, di dire che non c’era alcun bisogno di prestargli tutta quell’attenzione. Se ne sarebbe andato volentieri. Ma la commessa non gliene diede la possibilità. Iniziò a cambiare davanti a lui, a trasformarsi. Le gambe si restrinsero fino a diventare zampe di gallina, dai lati della bocca fuoriuscirono due zanne, simili a quelle dei cinghiali, ma di bronzo, gli occhi si illuminarono di una sinistra luce rossa, le unghie si allungarono fino a diventare artigli. Ma la cosa peggiore erano i capelli: un groviglio di serpenti vivi color corallo, che gli sibilavano contro. Anche Stanlio era cambiata, ed ora era uguale alla sorella, se non fosse per i suoi serpenti che invece erano verdi. -Ehm…- fece Percy con aria imbarazzata, mettendosi lo zaino in spalla e cercando la penna nelle tasche. -Cosa sareste di preciso, voi due? -Ma come?- disse la commessa dai capelli rossi. -Non ti ricordiamo qualcuno? -Siamo gorgoni- rispose pacatamente Stanlio, che reggeva ancora in mano il vassoio. -Io sono Steno, lei è Euriale. -Chi? -Le sorelle di Medusa- sospirò il mostro che, Percy aveva appena scoperto, si chiamava Euriale. -Quelle di cui non importa niente a nessuno. Ricordi Medusa, vero? Le hai tagliato la testa. -In verità no- ammise il semidio. -Beh, è così- intervenne Stanlio. -Per questo ora siamo qui per vendicarci. Sicuro di non volere un assaggio? Tanto, anche se sei allergico, stai per morire… -Steno- la rimproverò la sorella. -Non è vera, la storia dell’allergia, idiota. -Ma… Percy serrò la presa sulla penna, e la tirò fuori dalla tasca. Poi la stappò. In pochi secondi quella che reggeva in mano divenne una spada di bronzo celeste. Per la prima volta, il semidio ci notò sopra una scritta. Anaklusmos. Vortice. Non sapeva come mai avesse tanta confidenza con il greco antico, ma riconobbe la parola a prima vista. Non ebbe troppo tempo per rifletterci, però, perché le gorgoni smisero di discutere e partirono all’attacco. Com’era successo durante lo scontro con Lupa, gli artigli acuminati dei mostri, se riuscivano a colpirlo, non lo ferivano. Non gli perforavano la pelle. Non era una cosa naturale, certo, ma Percy non se ne lamentò in quel momento. Si impegnò solo a non farsi ammazzare, e, quando riuscì a respingere entrambi i mostri di circa mezzo metro, allungò il braccio libero e fece cadere dallo scaffale accanto a lui tutte le bottiglie di vino che riusciva a raggiungere, che si infransero a terra. Poi colpì Euriale con un potente fendente, senza riuscire però ad ucciderla del tutto. Schivò un attacco di Stanlio, che non aveva la minima intenzione di mettere giù il vassoio, poi la sbattè contro lo scaffale vuoto, si voltò, e se la diede a gambe, lasciando le gorgoni dietro di lui a cercare di rialzarsi senza scivolare sul vino sparso a terra. Dove andare? Sarebbe volentieri uscito, solo che le guardie di sicurezza gli sarebbero venute dietro, se non avesse pagato. E purtroppo non aveva modo di farlo. Una voce all’altoparlante disse qualcosa in proposito di un incidente nella corsia dei vini, e del bisogno di ripulire il disastro. Purtroppo, Percy sapeva che il suo scherzetto non avrebbe rallentato a lungo i mostri. Alla fine, svoltò in un reparto a caso, e si ritrovò in quello dei giocattoli. Ma cosa poteva combinare, là dentro? Analizzò alla svelta il contenuto di ogni scaffale, ma dubitava che Barbie avrebbe potuto fare a pezzi le gorgoni. Si addentrò di più nella corsia. Un bambino frignava con sua madre dicendole che avrebbe tanto voluto una palla da bowling, mentre lei replicava che essendo delle bocce professionali costavano un occhio ed erano anche troppo pesanti. Bingo. O meglio, strike. Quando l’allegra famigliola lasciò il reparto, Percy cercò in lungo e in largo quelle maledette palle da bowling, trovandole poi in cima a uno scaffale. Ne tastò il legno, cercando di autoconvincersi che l’avrebbe retto. Iniziò ad arrampicarsi proprio quando la voce di Stanlio lo raggiunse dall’inizio del reparto giochi. -Vieni fuori, ragazzo! Assaggini gratis! Il semidio raggiunse la cima in tempo, prima che le due gorgoni svoltassero nella sua corsia. -Vuoi chiudere il becco?!- protestò Euriale. -Dobbiamo cercare di coglierlo di sorpresa. Evita di farci scoprire. Comunque, dovrebbe essere qui da qualche parte. Sento il suo odore. Odore? Lo potevano fiutare? Percy imprecò mentalmente. Quanti altri mostri, anche più grandi e pericolosi di quelle due, potevano trovarlo in quel modo? Aspettò, cercando di non fare rumore, che le amate sorelline passassero sotto di lui. -Ma dov’è quel simpatico semidio?- chiese Stanlio. -Non lo vedo. -Già…- convenne Euriale, pensierosa. Un paio di passi ancora… La gorgone si fermò esattamente sotto di lui, e alzò lo sguardo. -Che fai, figlio del dio del mare?- ridacchiò, vedendolo. -Ti nascondi? Percy non aspettò di accertarsi che anche Steno fosse in linea di fuoco, e con non poca fatica riuscì a rovesciare lo scatolone, creando un grande fracasso. Quando scese, al posto dei mostri, notò una strana polverina, isieme al vassoio di Stanlio su cui, per qualche strano motivo, i salsicciotti al formaggio erano ancora tutti interi. L’impatto tra le bocce e il terreno aveva fatto in modo che molti prodotti cadessero a terra, e la corsia era ormai piena di palloni di ogni genere e altri giocattoli. Dallo scaffale di fronte a lui, quello dei peluche, erano caduti tutti i pupazzi. Tutti tranne uno. Un panda di peluche aveva gli enormi occhi tenerosi puntati su di lui. ‘Cuscinetto Panda Soft’, c’era scritto sull’etichetta. Ma sì, Percy aveva pur bisogno di un cuscino. Se era anche soffice e dolcioso, meglio. Lo raccolse e lo infilò nello zaino, poi scappò dalla corsia prima che arrivasse qualcuno. L’incidente nel reparto giochi aveva destato più scalpore all’interno dell’ipermercato, rispetto al precedente. Le guardie di sicurezza erano per la maggior parte indaffarate nel tentativo di riconoscere il responsabile. Percy sgattaiolò oltre alle casse e uscì, sperando che non avessero ancora controllato i filmati delle telecamere. Appena fuori, fece il possibile per allontanarsi il più possibile dal luogo. Prese il gps portatile che si era procurato e diede un’occhiata alla sua posizione. Non capiva perché, ma sentiva di dover andare a sud.
   
 
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