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Autore: ElderClaud    06/04/2009    4 recensioni
L'espressione che la piccola Hinata aveva in volto era davvero descrittiva. Una ragazza con un grande potenziale ma che nessuno avrebbe mai apprezzato sul serio. Una rabbia interna che un giorno l'avrebbe corrosa fin nell'animo, trasformando il candido giglio in una rosa nera.
Ricordava un po' lui quella dolce fanciulla. Anche lui si era ritrova più volte da piccolo a desiderare qualcosa. Per questo lui era adatto allo scopo di aiutarla a trovare valore in se stessa.
Perchè chi meglio di Hinata poteva prendere una decisione in merito alla politica di Pein?
[PainxHinata]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri, Pain
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Mi è ritornata l'ispirazione gente!
E per dirlo a tutti lo faccio con questa one shot piuttosto lunghetta!
Ovviamente trattasi di crack pairing, ma in esso è presente pure un pizzico di NaruSaku (leggete e capirete). Ma non chiedetemi il perchè del titolo! Per quello non ero affatto ispirata mi spiace -.- per quanto riguarda il nome di Pain invece, essendo io abituata ai fandom stranieri, lo chiamo semplicemente Pein così come viene pronunciato (all'estero tra l'altro lo scrivono così)



The Silence



Il silenzio.

Il silenzio è sacro. È fatto d'oro. È di valore inestimabile.

Un qualcosa di intoccabile e impalpabile che, però, era costantemente presente.
Proprio come era presente nostro Signore.
Eppure, a coloro che stanziavano fuori dalle finestre della sua camera da letto, non doveva poi importare più di tanto questo concetto fondamentale.
Al di fuori di quei cupi finestroni di epoca neoindustriale, alcuni bambini di età differenti giocavano nella corte comune.
Schiamazzandosi l'un l'altro e facendo rimbalzare l'economico pallone di gomma in una improvvisata partita di calcio.
I raggi del primo mattino che filtravano attraverso gli scuri semichiusi, parevano poca cosa in confronto all'immenso disturbo che quei mocciosi gli arrecavano al suo udito divino.
Perchè Yahiko, in arte il famigerato Pein, venerava il silenzio e la dottrina da esso imposta. Amava la meditazione e il riposo gradevole, e benché abitasse al quarto piano di una vecchia palazzina novecentesca, lui quei dannati strilli li sentiva benissimo.
Steso sul proprio letto sfatto a pancia in giù, provò più e più volte di isolarsi da quel mondo materiale e sprofondare il pallido volto nel fin troppo morbido cuscino. Ma i risultati furono assai vani.
Provò persino a tapparsi le orecchie piegando il cuscino verso di esse, scompigliando così ancor più la capigliatura ramata, ma quel rumore imperterrito continuava a tormentarlo.
Passi per l'orologio a pendolo della stanza, che con il suo cupo ticchettio scandiva il sacro tempo; passi anche per il rubinetto che perde nel tinello, così sottile che gli ricordava come il tempo fosse fragile; ma quello proprio no.
Era immorale che certi genitori la domenica mattina lasciassero che i propri figli tormentassero il vicinato in tal modo.
Tuttavia sbuffò sconfitto e abbandonò mollemente le braccia sul materasso, lasciando comunque il volto nascosto da quel candido tessuto intriso del suo odore.
Bizzarro, Pein era un dio per tutti eppure viveva come un cialtrone.
La casa era piena di pile di scartoffie varie e la cucina era un disastro. Piena di pentole da lavare con il vecchio frigo che supplicava a tutti i costi di essere riempito.
Per non parlare delle lenzuola che da mesi dovevano essere cambiate, se sua sorella Konan fosse stata lì, lo avrebbe costretto con le cattive ad alzarsi e a sistemare tutto.
Essere l'ultimo di tre fratelli voleva dire essere costantemente sotto l'occhio del ciclone.
E questo bene o male gli s'addiceva al giovane uomo, che fin da bambino riusciva a farsi rispettare persino dai bulletti della scuola.
Una vita spesa nella malavita partendo dal più infimo livello di merda, fino a raggiungere quello sopraelevato di divinità in terra.
Una carriera criminale che aveva portato lui, sua sorella Konan e suo fratello maggiore Nagato, alla vetta del potere in città.
Una ascesa silenziosa che il tempo aveva temprato sia nel carattere che nel fisico.
Tuttavia anche un dio dopo una riunione durata otto ore di fila in casa dei fratelli, ne risentiva sulla propria pazienza e tempra fisica.
Era stanco, voleva dormire e non voleva essere disturbato in nessun modo.
E nel proprio letto esasperato ribadì tale concetto lanciando un soffocato mugugno quando un bambino – il più irritante fra tutti – strillò un “palla a meeeh!” che gli fece passare per davvero nell'anticamera del cervello di prendere la rivoltella, posta nel cassetto del comodino in mogano situato alla sua sinistra, per fare una carneficina.
Ma lasciò ancora una volta perdere, concentrandosi più che altro su un rumore di serratura che proveniva dal corridoio.

Qualcuno aveva inserito una chiave all'interno della toppa arrugginita e stava così facendo scattare i vecchi ingranaggi della serratura.
Dio... Se si trattava della sorella poteva dire addio al proprio riposo.
Con estrema lentezza quindi, fece scivolare di lato il volto così da poter inquadrare, in uno dei suoi occhi esoticamente argentati, il corridoio che si apriva dalla porta della stanza da letto e moriva di fronte alla porta di ingresso.
Una pianta accanto a tale porta sembrava gridare al mondo di essere innaffiata il prima possibile, ma ignorò tale visione apocalittica e si concentrò unicamente verso il pomello d'ottone che si girava.
E la mano lentamente, e istintivamente, iniziò ad allungarsi verso il cassetto contenente l'arma preziosa.
Era quasi assurdo come fosse sempre impassibile ad ogni possibile pericolo o emozione che fosse.
Una apatia costante che lo contraddistingueva e lo bollava come uno tra i migliori assassini della città.
Ma tuttavia dovette ugualmente rilassarsi, e fermare la mano che ormai era quasi intenta a frugare dentro suddetto cassetto perchè effettivamente non c'era bisogno di allarmarsi.
Venne difatti prima rassicurato dalle voci, più che altro risate e parolacce, che provenivano dall'esterno di tale porta, e poi dai volti di coloro che subito dopo entrarono nella sua dimora.
Due tizi poco raccomandabili, ma che lui conosceva bene , che corrispondevano a Deidara – il biondo – e Tobi – il tizio con la maschera di legno arancione – che come se nulla fosse entrarono dentro quasi non accorgendosi della presenza divina che li spiava dal proprio letto.
Solo dopo un mezzo minuto buono di battibecchi e di lamenti assonnati del loro padrone, i due si accorsero della figura mezza nuda stesa a letto che li guardava quasi con tono grave.
“Tobi piantala che il capo ci guarda...” bisbigliò quello dalla lunga chioma dorata.
Di tutta risposta quello dalla curiosa maschera a spirale – nessuno sapeva il perchè la indossasse, forse per nascondere una cicatrice – volse l'unico buco presente in tale maschera verso il principale per guardarlo curioso.
“Ma siamo qui per lui no?”
“Certo che siamo qui per lui... o per lo meno per volontà di quella gnocca di sua sorella”
Il parlottio era sottile ma lui lo udiva benissimo. E mettendosi a sedere a fatica sul letto osservò finalmente i due con entrambi gli occhi argentati.
“Deidara... Guarda che ho sentito sai?”
i due si ritrovarono per un momento spiazzati e un poco intimoriti, poi tornò loro il senno e si avvicinarono al loro capo ancora intento a stendere la schiena e a stiracchiarsi per svegliare i muscoli indolenziti.
Il suo corpo pallido era costellato di nere perle metalliche.
Che come cicatrici solcavano la sua pelle e i suoi muscoli a segno della potenza ottenuta.
A Deidara facevano decisamente impressione, se non senso, vedere come quelle cose si muovevano al ritmo degli addominali che si alzavano e abbassavano.
Non a caso volse lo sguardo altrove, ma come a premiarlo di tale gesto vide solo quel cretino del collega allargarsi il buco dell'occhio della maschera con il pugnale da caccia.
“Tobi piantala cretino!” sibilò velenoso.
Lavorava con un idiota ma questo era ciò che passava al convento.
Pregò che almeno per quella volta non si incastrasse il pugnale in quel fottuto buco perchè sennò gliela avrebbe fatta pagare.
“Hmm... Avete detto che siete qui per me vero? Suppongo che non sia per farmi ordine in casa...”
il freddo sarcasmo del loro superiore non faceva affatto ridere, ogni qual volta che Pein apriva bocca infatti, c'era sempre da rabbrividire!
E cercando di non perdere ulteriormente tempo, il biondino si morse il labbro inferiore e andò a rovistare all'interno del gilè di jeans per trovarvici un cellulare nuovo di zecca, e un bigliettino immacolato.
“Avete dimenticato questo all'ultima riunione capo... Uhn, inoltre vostro fratello vi porge questa...”
Come ultima cosa dopo tale arnese tecnologico, gli venne donato al sacro capo, un biglietto che aveva tutto il sapore di una ramanzina.
Lo stracciò di mano al ragazzo e alzandosi in piedi iniziò a leggerne i contenuti.
I suoi occhi scorrevano silenziosi visionando ogni paragrafo, ogni lettera di quella calligrafia raffinata e precisa.
Nella stanza regnava solo un silenzio fin troppo strano e gli unici suoni udibili erano il ticchettio dell'orologio a pendolo di antica fattura, il raspare del coltello da caccia sulla maschera lignea, e quegli odiosi marmocchi che frignavano e strillavano felici giù nella corte.
Il biondino ebbe come l'impressione che ad un certo punto, sul volto pieno di percing del principale, si fosse formata come una espressione dove di norma non c'era nulla al di fuori di quello che è scolpito nel marmo.
E gli parve persino di vederlo rimuginare in silenzio, ed il ché era preoccupante, dato che lui – del collega non gliene fregava nulla – era giovane e non voleva morire presto.
Quando veniva preso dalle emozioni, Pein era imprevedibile assai.
Ma tuttavia per sua immensa fortuna, il rosso accartocciò il foglietto e prese in mano il cellulare componendo poi un numero a memoria come a voler pugnalare i tasti ad ogni passaggio.
Preoccupante, decisamente preoccupante.
“Uhn... Pein?”
ma quello sordo alla chiamata del sottoposto continuò la sua veloce sequela di numeri, iniziando poi a grandi falcate a dirigersi in bagno.
Sbattendosi la porta dietro e aprendo i rubinetti della doccia in un silenzio così rigoroso e glaciale che poteva solo quello uccidere la tensione.
Qualunque cosa avesse scritto il vecchio Nagato al fratello, si trattava di una cosa che lo aveva irritato e non poco.
E quando Pein era su di giri, tutti sapevano che era meglio non farsi trovare in giro.
“Uhuh... Deidara, non è che lei può aiutarmi?? Mi si è incastrato il coltello nel buco della maschera un'altra volta”

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Forse fu l'impacciata manualità del suo collega con il coltello e il legno, oppure la lunga doccia che si era concesso il capo, ma fattostà che ora sembrava che nell'appartamento regnasse un silenzio e una quiete degni di un paradiso.
I bambini che prima giocavano in giardino se ne erano andati finalmente via, richiamati dai genitori che dovevano andare a tutti i costi a messa la domenica mattina.
Deidara, che di norma amava spezzare la noia facendo saltare in aria cose e persone a caso, questa volta si concesse di dedicarsi un po' alla cucina del boss.
Giusto per fare bella figura con quella dannata zoccola di Konan che gli aveva appioppato quella missione da due soldi.
Per ordine di Pein, vennero cotte solo due uova al tegamino, l'unico pulito di tutta la casa, e vennero poi date in pasto così com'erano su quella dannata padella.
La casa era una discarica e di piatti erano presenti solo quelli sull'immensa pila posta nel lavabo.
Persino le sedie erano occupate da altro, tanto che il loro stesso capo decise di nutrirsi in piedi osservando il viavai di gente al di fuori della grande finestra della cucina.
Un vecchio jazzista all'angolo della strada era intento in una performance con il proprio saxofono più per diletto che per raccattare una qualsiasi mancia.
Il giovane Pein lo guardava quasi distrattamente mentre cozzava la forchetta sulla superficie antiaderente della padella catturando il soffice giallo delle uova. Assorto nei suoi pensieri che di umano non avevano nulla.
Dopo quella lunghissima doccia non aveva praticamente detto niente se non quella di esprimere la sua volontà di avere quanto meno una colazione decente.
Se non serviva altro i due erano ben disposti anche ad andarsene, dato che comunque, sicuramente, il loro capo aveva di meglio da fare che avere la compagnia di due squallidi assassini.
“Beh allora... - iniziò quello biondo guardando di rimando il buffo collega – se non serve altro noi ce ne andia...”
“Fermo dove sei” lo interruppe il rosso dalla sua postazione.
Quella sua fottuta voce fredda era tanto irritante quanto preoccupante. Una pacata tranquillità che ti uccideva lentamente, proprio come il gesto di voltarsi verso i due per guardarli in modo ancor più penetrante.
Tuttavia oltre quello sguardo non disse nulla, limitandosi a osservarli quasi di sottecchi mentre si umettava le dita sporche di deliziose uova al tegamino.
Un po' di sugo gli era colato giù lungo il petto tonico, ma non sembrava essersene affatto accorto.
E Deidara ne era sicuro – forse Tobi no perchè era ritornato ad allargarsi il buco della maschera con il coltello – che anche se si fosse trattato di sangue non avrebbe fatto per lui nessuna differenza.
“Noi tre ora ce ne andiamo a messa. Quindi datemi una mano a togliermi di dosso questo accappatoio lercio e a mettermi qualcosa di decente...”

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A messa...

Cosa davvero strana detta da Pein!
Lui che si considerava praticamente un dio che motivo aveva di andare in chiesa ad ascoltare l'omelia domenicale?
Se lo chiese sia Deidara che il suo assistito Tobi mentre frugavano nel suo armadio alla ricerca di abiti eleganti.
Lui in principio se ne era uscito con una battuttaccia del tipo “vado a far visita a mio padre...”
Ma poi dopo questa iniziale arroganza venne spiegato il perchè di quella sua repentina decisione.
Ad ogni abito e accessorio che gli veniva donato, saltavano nuovi e singolari dettagli tutti riconducibili ad un solo essere. Ovvero al fratello del loro illustrissimo principale.
Quando gli passarono il taglieur grigio scuro, egli rivelò che per volontà di Nagato doveva il prima possibile mettere la testa a posto.
Una volta infilata la candida camicia nei pantaloni disse anche che non poteva permettersi di vivere come un reietto perchè lui era una divinità in terra, che era superiore a tutti e tutti dovevano temerlo.
Arrivato ad annodarsi una scarlatta cravatta alla base del collo, rivelò anche che suo fratello voleva che mostrasse a tutti che lui poteva tutto e non temeva nulla e nessuno. Perchè alle conseguenze non doveva badarci.
Era lui una conseguenza.
E una volta arrivati a posargli elegantemente sulle spalle una nera mantella decorata da sgargianti nuvole rosse, e a consegnarli il suo fidato bastone da passeggio, venne loro riferito qual era la vera volontà di quella vecchia mummia decrepita di Nagato.
“Forza... Accompagnatemi a cercare una moglie

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Esatto proprio a cercare una moglie.

E forse non era una cattiva idea, dopotutto gli ci voleva una donna che facesse un po' in ordine in casa, anche se lui poteva benissimo procurarsi un esercito di domestici.
Tuttavia, il silenzio del loro capo parlava di ben altro.
Per tutto il tragitto fatto in suv oltre quelle parole non aveva detto nulla, ma entrambi i sicari che lo osservavano attraverso lo specchietto retrovisore – egli era elegantemente seduto nei sedili posteriori – mirava a ben altro.
Mirava ad una sottospecie di intesa politica da stringere con una delle tante famiglie e piccoli clan che ancora non avevano preso posizione verso di lui e verso la sua famiglia in generale.
Perchè tu non puoi essere neutrale con Pein. Non puoi rimanere in silenzio.
O sei pro la sua politica, oppure sei contro.
E quale buon modo di incastrare una qualche famiglia proprio nella casa di nostro signore?

La chiesa poi non era così lontana, e nel giro di pochi isolati il suo profilo gotico svettò da sopra i tetti delle basse case in pietra vista.
Una piccola perla in un quartiere che si stava sempre più avviando al degrado nonostante i rinomati locali di musica jazz e teatri famosi.
Pazienza, questo era dovuto a quei disgraziati che non accettavano di buon grado le politiche del rosso e di tutto il suo clan. E per questo o chiudi bottega o muori nel tentativo di difenderla.

Una volta arrivati nel piazzale, Deidara espresse, con la complicità sghignazzante di Tobi, la sua volontà di parcheggiare nel posto riservato ai disabili. Ma ovvio che Yahiko impedì loro qualsiasi voglia di commettere cazzate irrispettose del genere. Costringendolo quindi a parcheggiare un po' più distante dall'entrata principale.
Dalla cupa struttura gotica provenivano le candide voci bianche che annunciavano che la messa era nel pieno delle sue funzioni.
“Eravamo vicini però...”
Sbuffò con evidente irritazione il biondo.
Perchè questa falsa educazione quando poi tutti sapevano che cosa facevano per campare? Era un po' un controsenso.
“Deidara... Non ti troverai mai una moglie se continui a comportarti come un bamboccio di tredici anni...”
Mai contraddire Pein, mai.
Mai lamentarti con lui, perchè è capace di fulminarti anche attraverso il riflesso di uno specchietto retrovisore.
Perchè anche la piccola passeggiata che portò il trio fino alla sacra dimora di nostro signore faceva parte del piano.
Un piano perfido designato per far parlare il più possibile le persone che comunque, nonostante la solitudine apparente, erano presenti oltre gli scuri e le veneziane delle proprie abitazioni e lo osservavano passare in strada diretto verso il luogo di culto.
Di potere.
Il centro nevralgico dove tutte le famiglie alla fine andavano.
E ci credereste che quando si aprirono le pesanti porte in cedro della chiesa il canto delle voci bianche, e la parola del sacerdote, si fermarono di colpo?

Tre figure distinte, tre silhouette nere di pece a causa della luce che proveniva alle loro spalle, osservavano e venivano osservati da una immensa folla seduta sulle rispettive panche presenti nella navata centrale.
La migliore crema della città era intenta ad ascoltare le solite noiose parole e vi erano praticamente tutti.
Vi erano gli Uchiha nei primi posti. Di loro non si doveva più di tanto preoccupare dato che erano suoi alleati. Non a caso dopo una fugace occhiata al nuovo venuto, il capofamiglia e signora – seguiti anche dai due figli – salutarono brevemente Pein con un cenno di capo e tornarono ai propri affari.
Poi i suoi occhi argentati notarono pure gli Yamanaka e i Nara, suoi totali nemici. I due capofamiglia si limitarono a guardarlo male mentre la giovane figlia di Inoichi si limitò a guardarlo con un certo interesse.
Poi guardando brevemente il resto della sala notò che realmente metà chiesa era pro e contro di lui. Bene, almeno questo gli faceva capire che situazione c'era e come comportarsi nelle successive mosse.
Il suo piano era ben formulato in testa, e se non voleva fare errori questo era il momento buono di attuarlo.
Con un leggero schiocco di dita fece segno ai suoi di seguirlo e dette involontariamente il consenso al prete di continuare l'omelia. Che tra l'imbarazzato e l'indignato riprese a pieno ritmo.
Prese posto sulla fila a sinistra dell'altare e più precisamente alla penultima fila. Mentre i due sicari si sedettero proprio all'ultima dietro di lui.
Una posizione a dir poco strategica che gli permetteva di osservare tutta la sala e di esaminare le reazioni dei presenti che ascoltavano la sacra parola cercando di non badare alla sgradevole presenza. Inoltre da dove era seduto poteva vedere una edicola votiva dedicata alla Madonna davvero incantevole.
Mentre pensava aveva spesso l'abitudine di picchettare il suo bastone da passeggio per terra come a voler scandire il silenzio dei suoi pensieri. Solo che in quel luogo quei leggeri tocchi si sentivano assai.
Ma erano nulla in confronto a Deidara, che scandiva il tempo battendo le mani sullo schienale della panca di fronte come in un rudimentale tamburo, e a Tobi che faceva il suo solito numero della “chitarra silenziosa” ogni qual volta il compagno iniziava a tamburellare su qualsiasi superficie.
Erano irritanti assai ma non per le orecchie di Pein. Che sempre più isolandosi dal mondo, rifugiato nel suo onirico mondo di pensieri, stava analizzando ogni singolo elemento presente in quella chiesa.
Aveva bisogno di suscitare scalpore, magari svegliando animi assopiti ma doveva farlo con cautela.
Vi erano molte giovani, ma se decideva di sposarsi con la figlia di un alleato, avrebbe solo rafforzato l'alleanza già esistente. Mentre se ci provava con la figlia di un nemico, allora apriva una guerra senza fine.
Doveva pensare, e anche se la cosa costava tempo prezioso doveva farlo.

“Ah signore... Non per dire ma la messa sta quasi per finire eh!”
Le parole improvvise del biondo Deidara lo riportarono alla realtà quasi con un sussulto. Che tuttavia fu smorzato dall'autocontrollo che da sempre lo caratterizzava.
Era giunta la raccolta delle offerte ad opera di un esponente dal clan Hyuuga e tutti i fedeli ormai si stavano apprestando a prepararsi per uscire.
Era un momento delicato per lui, poiché tutti sapevano alla perfezione che non era lì solo per la messa e basta. Ma che stava per architettare qualcosa di grosso.
Il falso sollievo della gente presente era in realtà un qualcosa di riconducibile all'ansia.
Alla voglia di vedere quel forestiero lontano da quel luogo di pace che lui in persona infangava con la propria presenza.
E nel mentre che aspettavano che quegli occhi argentati la smettessero di osservare tutti loro fin dentro l'anima, mettevano nel piatto argentato delle offerte loro pegno generoso.
Come un deterrente inefficace per scacciare il demonio dalla chiesa.
Ancora un paio di file e sarebbe toccato a Pein dare il proprio tributo per i giusti...

“Ehi capo, ha visto la gnocca delle offerte? Ehe! Altro che quarti di dollaro! Se viene qui le do qualcosa di più succoso...”
La sgradevole e inappropriata battuta di Deidara ebbe tuttavia il potere di illuminare il sommo Pein di tutti i pensieri che offuscavano la sua mente.
L'esponente Hyuuga addetta alle raccolte delle offerte era niente meno che una ragazza. Una bella ragazza si poteva aggiungere tra l'altro.
Fece un po' fatica a riconoscerla ma alla fine, fissandola con insistenza, riuscì a rimembrare il suo nome.
Si chiamava Hinata se non si sbagliava.
Era la figlia maggiore di Hiashi Hyuuga ed era una ragazza abbastanza malinconica.
Era di una bellezza a dir poco singolare e quasi eterea, dato che tutto quel clan si contraddistingueva dal possedere occhi diafani – forse una anomalia genetica – e altri elementi che li facevano subito spiccare per il loro bell'aspetto.
Come ad esempio lunghi e lisci capelli scuri che sembravano fatti di pura seta, oppure ancora una pelle rosea e chiara. Al contrario della sua che era così pallida da essere quasi grigiastra.
Il vecchio padre inoltre, non doveva badare a spese per la dolce figliola, dato che indossava un grazioso vestitino bianco forse un po' troppo scollato per essere indossato in chiesa. Difatti i suoi assistenti alle spalle non facevano altro che fare commenti e apprezzamenti piuttosto volgari.
Ora che ci pensava però – continuando ad ignorare gli imbecilli alle proprie spalle – aveva già avuto modo di vedere quell'infelice ragazza tempo addietro.
Ad un party di beneficenza tenutosi in un lussuoso albergo del centro, l'aveva vista rimanere un po' in disparte e sospirare per un biondino, il figlio dell'ex sindaco Minato, intento a ballare con una vecchia amica di infanzia.
La stessa amica d'infanzia che ora sedeva accanto a lui ad un paio di panche di distanza da dove si trovava il boss. Se non errava si chiamava Sakura ed era fidanzata con quel babbeo biondo da un paio di anni.
Ma l'espressione che la piccola Hinata aveva in volto era davvero descrittiva.
Una ragazza con un grande potenziale ma che nessuno avrebbe mai apprezzato sul serio. Una rabbia interna che un giorno l'avrebbe corrosa fin nell'animo, trasformando il candido giglio in una rosa nera.
Ricordava un po' lui quella dolce fanciulla. Anche lui si era ritrova più volte da piccolo a desiderare qualcosa.
Che si trattasse di cibo, di un paio di scarpe oppure di mamma e papà era la stessa questione.
Se voleva una cosa doveva guadagnarsela con le proprie forze e dimostrare così a tutti la propria potenza.
Ma era ovvio che piuttosto si sarebbe lasciata morire la giovane Hyuuga, invece che dimostrare a tutti la propria efficacia.

Per questo lui era adatto allo scopo di aiutarla a trovare valore in se stessa.
Perchè chi meglio di Hinata poteva prendere una decisione in merito alla politica di Pein?
Perchè ovviamente gli Hyuuga erano neutrali a lui e al suo clan... Non avevano ancora preso una decisione in merito, e forse, se giocava bene le sue carte non solo avrebbe trovato nuovi alleati, ma anche dimostrato a tutti che la giovane valeva assai.

Per questo quando entrò in azione lasciò stupefatti tutti i presenti. Compresi i suoi due scagnozzi che non vedevano l'ora di molestare la fin troppo timida Hyuuga.
Appena la fanciulla gli arrivò di lato infatti, lui evitò di guardarla lasciandole così intendere che non aveva offerte da fare, e una volta che sospirando volse lo sguardo altrove, lui fu pronto a scattare.
Con un rapido e discreto gesto della mano, fece muovere il bastone da passeggio verso le caviglie della vittima facendola così inciampare rovinosamente.
Un grido sorpreso, quasi uno strillo spaventato, si levò dalle labbra della moretta che precipitò sul pavimento in marmo seguita a breve da un “ooh” stupito e preoccupato della folla.
Cadde in avanti facendo rotolare via il piatto argentato e tutte le monetine sopra di esso presenti.
Tale piatto poi andò a finire la sua corsa contro una colonna non poco distante dalla fila di panche.

“Ahh... Accidenti...”
Si sentiva imbarazzata e frustrata. Una di quelle situazioni in cui vorresti morire per sottrarti ad un destino peggiore qual è il disonore.
Il disonore di essere un autentico fallimento per gli occhi del proprio padre – quasi le era sembrato di sentirlo sibilare uno “stupida” nonostante la lontananza – e un disastro per gli occhi del ragazzo che tanto ammirava – sicuramente Naruto avrebbe ancora una volta biascicato con la bocca piena di caramelle che era una tipa un po' strana.
Non le andava mai bene una e ogni cosa che faceva, anche la più semplice come raccogliere le offerte, si era rivelato un disastro.
Cercò quindi di rialzarsi in piedi sulla lucida superficie del marmo ma il dolore della botta le costava un po' fatica, senza contare tutte le monetine sparse in giro...
E ovviamente nessuno era disposto a darle una mano. Sembrava quasi che qualcosa impedisse a tutti di avvicinarsi a lei, come un pannello di plexiglas che la isolava dal mondo.
Ed era quasi tentata dal pensare che le stessero lontano per la sfiga che portava con se.
Dio... Perchè era così dannatamente inutile?

“Le do una mano io signorina...”
all'improvviso una voce tanto tranquilla quanto fredda la ridestò dai suoi critici pensieri interiori.
Un'ombra che prima era seduta sulla panca appena superata le si era inginocchiata di lato con eleganza e stava ora cercando di aiutarla a rialzarsi.
E scostandosi impacciata una ciocca di capelli dal volto perfetto notò chi la stava aiutando a mettersi seduta. Era il tipo di prima... Quello con i percing al naso e con i capelli color del rame.
Quello che non l'aveva degnata di uno sguardo quando era passata ma che ora la fissava con insistenza con quei suoi occhi inquietanti ed enigmatici al contempo.
E osservandolo più da vicino capì il perchè la gente rimaneva shoccata ai propri posti senza intervenire ad aiutarla.
Quello che le stava di fronte era il famigerato Pein...
“Ah.. N-non cè bisogno, davvero...”
Provò maldestramente a divincolarsi da quelle mani inguantate di candido e raffinato cotone ma senza successo alcuno.
Egli la teneva ferma per le braccia e lei comunque temeva una sua qualche azione clamorosa. Era anche capace di uccidere in una chiesa quello.
“Silenzio – fece d'improvviso lui, portandole due dita alla bocca per rendere ancora più efficace le sue volontà – e stammi a sentire...”
La giovane lo guardò totalmente shoccata, ma lo lasciò fare e dire quel che doveva dire, deglutendo a vuoto quando lentamente quel pallido ed elegante volto le si accostò di lato per bisbigliarle all'orecchio destro.

Il pubblico, perchè alla fine i fedeli si erano trasformati in un pubblico di spettatori, guardava spiazzato e stranito quella scena tanto singolare quanto imbarazzante.
Era uno spettacolo imbarazzante quasi al limite dell'indecenza per una chiesa!
Perchè non si trattava solo di bisbigliarle qualcosa all'orecchio, e questo la giovane rampolla di casa Hyuuga lo stava sperimentando sulla propria pelle.
Le stava sussurrando cose silenziose in quel suo orecchio che a stento riusciva a decifrarle.
Più che parole, erano le cupe sillabe e il soffio del suo fiato a disturbarla dentro. A travolgerla nell'intimo e toccarla fin nell'animo.
A guardarla dentro e mettendola a nudo nonostante non la stesse praticamente toccando.
Le vennero i brividi quando lui pronunciò il suo nome, “Hinata”, con tono sensuale e cupo sempre nel medesimo orecchio.
Arrossì visibilmente quando l'uomo spostò di poco il volto per andare a bagnarle con il proprio caldo fiato il collo delicato. Per poi ritornare al punto di partenza e tornare a bisbigliarle nell'orecchio parole e frasi che la toccavano, imbarazzavano, adulavano.
Si sentiva persa e una parte di lei avrebbe voluto gridare aiuto a pieni polmoni. Ma bastava che quell'uomo pericoloso la sfiorasse con voce e con mano che subito si sentiva di ritrattare tutto.
Di lasciarsi quasi abbandonare a quella seduzione indesiderata perchè era come se la stesse spronando a dare il meglio di se stessa. A tirare fuori quella sua parte mai usata e da sempre ignorata.

Solo un irritato colpo di tosse da parte di un fin troppo seccato sacerdote pose fine a quel corteggiamento fin troppo spinto.
L'ultima cosa che voleva era che iniziassero a fornicare nel bel mezzo di un luogo sacro!
Ma ignorando quasi in parte quell'ammonimento, il giovane e potente boss decise di interrompere il suo piano per arrivare alla ciliegina sulla torta.
Aiutò la giovane ad alzarsi per poi “costringerla” a guardarlo alzandole delicatamente il mento con due dita.
Pareva ancora frastornata ma era lucida nonostante ci avesse praticamente fatto l'amore a parole.
“Capito?”
“Uh... Uhm...” balbettò quella accennando ad un timido assenso.
Si sentiva frastornata e ancora non sapeva bene cosa pensare. Il gangster più sanguinario di tutti i tempi le aveva detto di quelle cose all'orecchio che non le sembravano neppure vere. E per questo non sapeva se rallegrarsene o meno.
Tuttavia dei suoi dubbi Pein sembrava fregarsene altamente...
Lui esigeva solo certezze.
“Molto bene, riferisci pure ai tuoi...”

E dette ultime parole, esattamente come era entrato nel luogo di culto così se ne andò.
Lasciando mezzo pubblico perplesso e mezzo indignato. Poi una volta che il grande portone si fu chiuso alle sue spalle, quelli che erano i fedeli più impuri della storia iniziarono a bisbigliare e a mormorare tra loro sul cosa potesse significare tale gesto.
E se lo chiese pure Hiashi che, accompagnato dalla figlia più piccola Hanabi, volle sapere i dettagli di quel colloquio imprevisto.
“Ebbene? Che ti ha detto Hinata? Avanti parla!”
La fredda esigenza del padre il più delle volte la metteva in soggezione, ma non quella volta.
“Lui hm... - iniziò titubane la bella figlia di Hiashi - … Lui mi ha trovato carina... Gentile e...”
Alcune cose erano così private che non se la sentiva di ripeterle, tanto che si ritrovò a torcersi le dita con nervosismo come era solita fare quando era nervosa.
La distaccata sorellina a guardarla si ritrovò ad inarcare istintivamente un sopracciglio. Che cosa si saranno poi detti quei due di tanto importante?
“E..?!” Incalzò ancora il padre. La giovane si fece più rossa mentre si apprestava a parlare definitivamente sulla questione.
“Ha detto che vuole rivedermi... P-possibilmente in privato...”
si sentì morire di imbarazzo per quello che realmente le aveva detto. Perchè il termine esatto, anche se non era stato affatto volgare, fu proprio “a casa mia”...
Ma tuttavia, nonostante la fanciulla si aspettasse un furioso “cretina” da parte del padre, tutto quello che ricevette fu dapprima uno sguardo perplesso, poi teso, ed infine lievemente sorridente.
“Molto... molto bene figlia mia”

Hinata ancora non lo aveva capito ma presto avrebbe appreso cosa realmente intendesse volere da lei Pein.
Grazie alla goffaggine della primogenita di Hiashi infatti, la casata Hyuuga si apprestava ad entrare nelle grazie del dio della città.
Un uomo così potente che nessuno poteva contrastare. Così audace che era arrivato addirittura a provocare in un luogo neutrale come lo era una chiesa.
Portando anche lì la politica delle sue azioni.
Voleva dare dimostrazione del proprio volere? Ebbene ci era riuscito ancora una volta.
Si era fatto dei nuovi alleati e “involontariamente” aveva dimostrato che Hinata non era poi così inutile come persona.
Ella stessa sarebbe passata agli annali per colei che era riuscita a sedurre Pein e aprirgli un poco il freddo cuore.
E così, da ragazza che puntava sul conquistare uno stupido rigattiere rincoglionito, si sarebbe ritrovata niente meno che moglie di un boss potente e con un conto in banca infinito.
Volente o nolente, quel destino era ormai segnato. E se non voleva deludere i propri famigliari ora colmi di aspettative e orgoglio per lei, doveva assecondare quel misterioso capriccio.

Ma dopotutto... Non sarebbe stato poi così male essere la moglie di un dio no?

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“Visto Deidara che si può conquistare una donna anche rimanendo in silenzio?”

una volta fuori dall'edificio sacro, Pein non aveva detto praticamente nulla ai suoi due sottoposti che per tutto il tempo si erano comunque goduti lo spettacolino avuto con la giovane Hyuuga.
Forse la battuta del boss era riferita al volgare metodo di conquista che il biondo – e il collega che sghignazzava beato per le parole del superiore – aveva un approccio fin troppo diretto con il gentil sesso.
“Senta signore... - iniziò un po' seccato l'interpellato – a ciascuno il proprio metodo! A voi l'arte del silenzio, e a me quella dell'esplosione uhn!”

E anche se non c'era paragone tra i due metodi, almeno per quella volta il rosso gliela dette vinta. Fin troppo soddisfatto della nuova potente alleanza fatta sotto gli occhi di tutti e l'essersi finalmente trovato una moglie proprio come voleva il fratello.

Così almeno per un po' sarebbe stato più tranquillo!

   
 
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