- Quella donna credimi, è un’idiota!
- Ne incontrassi io di idiote sexy e che ci sanno fare a letto.
- Oddio Beth! Riusciamo a restare concentrati su di me per una volta?
- Adesso secondo te come mi dovrei comportare? Al solo pensiero mi fa incazzare in un modo.
- Io non ti capisco, mi sa che ha ragione lei, tu vuoi qualcosa di più.
- Ma se nemmeno la conosco!
- Oh, questa è bella, raccontalo a qualcuno che non si ricorda come arrossivi tutte le volte che l’incrociavamo al campus.
- Ma non dire sciocchezze, sono passati più di dodici anni, era un’estranea all’ora figuriamoci adesso.
- Sarà, comunque non è che ti sei lasciata convincere più di tanto, per carità non ti giudico, io avrei fatto lo stesso.
- Ecco, adesso si che mi devo preoccupare, se sto avendo il tuo stesso comportamento.
- Ciao belle signore, vi disturbo?
- Vedo che nemmeno tu sei riuscito ad uscire di qui
- No, avevo delle cose da finire senza avere il telefono che squilla di continuo, di che parlate?
- Questioni morali.
- Oh bene! Si parla di sesso!
- E ditemi, chi va a letto con chi?
- Tu non dire nemmeno una parola. E tu…
- Credimi, non lo vuoi sapere
- Beth dannazione!
- Ma da quando abbiamo segreti con Harry?
- Ops….
- Ok ragazze, se volete tenermi all’oscuro può essere solo per un motivo, dev’essere qualcosa che mi farebbe arrabbiare. Ruth cos’hai fatto?
- Ma fai sul serio?
- Dai Harry, non è niente di così preoccupante. Fino a quando Ruth non si ritroverà da sola nella stessa stanza con una certa persona vedrai che andrà tutto bene.
- Sei di nuovo andata a letto con Victoria Reyes! Cavolo Ruth!
- Oddio Harry, sta tranquillo, non ho infranto nessuna legge! E poi non preoccuparti non accadrà più, te lo posso assicurare!
- Questo me lo hai già detto poco tempo fa eppure eccoci qua. Ma ti rendi conto di quello che rischiamo? Potrebbe recidere il contratto, vorrebbe indietro i soldi che ha già versato, farci causa,e soprattutto perdiamo di credibilità se inizi ad andare a letto con i clienti!
- Potrebbe estinguersi la razza umana! Andiamo Harry, non pensi che stai un tantino esagerando? In fondo Ruth non ha costretto nessuno, non è stata nemmeno una sua iniziativa!
- Non so Beth, vuoi anche dirgli il dove e il quando?
- Guarda che sono dalla tua parte! Ragazzi ne state facendo una questione di stato, tu per un motivo e tu per un altro!
- Lexie, come mai da queste parti?
Fu Harry a risponderle.
- Perché l’ho chiamata io, è la nostra consulente legale o te ne sei dimenticata? E mai come adesso potrebbe illuminarmi sulle conseguenze di certe azioni.
- Non pensarci nemmeno!
- Non volevo disturbarvi, ma Harry dopo avrei un altro impegno, quindi.
In quel momento iniziò a squillare il numero diretto di Ruth al quale rispose.
- Katrin…
Beth avendo visto l’ora esclamò
- Per essere una pausa pranzo è davvero affollata.
- Dimmi, cosa posso fare per te?
- Volevo solo ringraziarti, non so come sei riuscita a convincerla ma direi che Victoria finalmente ha l’aria di voler partecipare attivamente a tutto questo.
- Ho solo fatto il mio lavoro, non hai nulla per cui ringraziarmi.
- Comunque a parte questo, avrei stilato una lista di persone che vorrei ci fossero all’inaugurazione, mi piacerebbe discuterne con te.
- Va bene, devo solo vedere quando potrei avere uno spazio libero.
- Ecco a dire il vero, stavo pensando che magari potremmo discuterne a cena
- Era da un po’ che volevo invitarti, mi piacerebbe conoscere meglio la persona che riesce a gestire quasi meglio di me Victoria. Ma non so, forse ti metto in difficoltà con la tua compagna?
- La mia compagna?
- Se è così potrei anche giurare di non avere secondi fini.
- Katrin, puoi aspettare un attimo in linea?
- Scusatemi ma devo ritornare a lavoro se poteste…..uscire.
- Il discorso non è ancora chiuso!
Ruth riprese finalmente fiato.
- Katrin, ascolta, magari sarebbe il caso che anch’io butti giù una lista di nomi, cosa che ancora non ho fatto, quindi mi serve del tempo.
- Prenditi il tempo che ti serve, ma l’offerta di una cena insieme è sempre valida.
- Ruth, ti ho forse messa a disagio?
- No.
- Se così fosse non era mia intenzione, anche perché non credevo che a una come te bastasse così poco per sentirsi in imbarazzo.
- Ti sbagli, cioè… mi trovi solo in un momento un po’…difficile.
- Posso aiutarti in qualche modo?
- Si, un modo ci sarebbe, fammi sapere quando Victoria è disponibile per mandarle il trasportatore a imballare i suoi dipinti, dopo risentiamoci per vederci allo stabile.
- D’accordo, ti farò sapere.
Con questo spirito, tra l’offeso e l’imbarazzato, in una bellissima mattina di luglio si ritrovò ad affrontare l’incontro nel luogo che avrebbe ospitato la mostra. Il caldo si faceva sentire e l’essersi resa conto di essere arrivata prima della sua amica non aiutò il suo umore a migliorare. Si decise ad entrare, Ruth, non appena si rese conto della sua presenza la salutò con un largo sorriso, questo bastò a far evaporare tutto il suo rancore e disagio verso la curatrice, facendole dimenticare persino perché li avesse provati. Ruth aveva i capelli legati in una coda alta che lasciava scoperto il collo, indossava gli occhiali da vista dalla scura montatura e aveva in mano un blocco dove prendeva appunti, aveva un abbigliamento molto sportivo che consisteva in un paio di jeans e una maglietta bianca molto larga che le lasciava una spalla scoperta.
Katrin si domandava come facesse questa donna ad essere sempre così sexy, ed era abbastanza sicura che anche con un sacco addosso non avrebbe fatto alcuna differenza.
- Victoria non è con te?
- No, credevo fosse già arrivata.
- Se per te non è un problema inizierei a illustrarti qualche idea che ho avuto.
- Certo…
Katrin restava ammirata ad osservare con quanta sicurezza le spiegava tutto questo, e si rese conto che sarebbe restata ad ascoltarla per ore.
- Allora, cosa ne pensi?
- Che per me va bene, voglio dire, non ho molta esperienza, un tempo Vic si occupava di tutto questo da sola, io ero solo una visitatrice.
- Quindi mi fido della tua esperienza, totalmente.
- Da quanto vi conoscete.
- Da una vita intera.
- Quindi nessuno la conosce meglio di te.
- Voglio essere sincera, il cambiamento avvenuto nelle sue opere sarà l’argomento principale di discussione. E so che per lei sarà difficile, proprio per questo, non vorrei esporre i suoi vecchi lavori.
- Non so, sono così..
- Ottima idea.
Indossava dei vestiti in forte contrasto con il caldo estivo che regnava fuori, aveva una giacca di felpa leggera e dei pantaloni scuri. Teneva le mani ben piantate nelle tasche e gli occhiali da sole, che non aveva tolto entrando, non impedivano di decifrarne l’espressione cupa che aveva.
Ruth non la vedeva dal loro ultimo incontro e tanto meno aveva cercato di risentirla, per la sua esperienza l’abbigliamento poco consono e il fare annoiato lo attribuiva alle classiche stranezze e bizzarrie che spesso avevano gli artisti.
Fu Katrin la prima a rivolgerle la parola
- Vic, stai bene?
- Si. Splendidamente.
- Mi piace l’idea del fuori il vecchio.
- Sappi che può essere un’arma a doppio taglio, qualcuno lo terremo.
- Non m’importa. Allora, cosa siamo venute a fare?
L’artista non fece nessuna obiezione, la vide soltanto esitare quando le disse che sarebbe stato il caso di iniziare a togliere dagli involucri protettivi i dipinti e ad iniziare ad appoggiarli alle pareti dove si pensava volerli inserire e vedere il primo risultato. Ruth, vedendo che non si muoveva rafforzò la sua richiesta.
- E sarebbe il caso di muoversi se non vogliamo passare tutto il giorno qui.
Ruth vide Katrin raggiungerla, ma non vi prestò molta attenzione e si dedicò agli altri imballi che regnavano praticamente ovunque. Notò diverse volte le due amiche parlare concitatamente, anche se era più che altro Katrin a parlare e Victoria a risponderle con monosillabi. Un’altra cosa che notò fu che la mora non aveva mai tolto la mano sinistra dalla tasca della giacca e che a volte una smorfia di dolore le attraversava il viso. Le sue impressioni furono confermate quando Victoria per liberarsi dalla presenza costante di Katrin le si avvicinò, Ruth che in quel momento stava appoggiando una grande tela alla parete, le chiese di darle una mano a inclinarla e quando Victoria istintivamente cercò di afferrare con entrambe le mani il dipinto che stava pericolosamente scivolando,il dolore che l’artista stava provando fu evidente, alcune gocce di sudore comparirono ad imperlarle la fronte.
- Victoria tutto bene?
- Si… certo…
Aprendo la porta la trovò che cercava di togliersi la giacca ma con scarso successo,una smorfia di dolore era dipinta sul suo volto ma quando la vide entrare la fulminò con lo sguardo. Dopo un primo momento di disagio da entrambe le parti Ruth le si avvicinò.
- Lascia che ti aiuti
- Non ne ho bisogno
- Non si direbbe, cosa ti è successo?
- Niente, mi fa solo male la spalla, a volte mi capita..
- Così sei più intonata alla stagione.
- Fammi vedere dove ti fa male.
- Lascia stare, passerà.
- Victoria..
- Toglimi le mani di dosso…
In quel momento furono raggiunte da Katrin che con tono curioso, dopo averle guardate entrambe chiese
- Che combinate voi due?
- Credo che alla tua amica serva un’aspirina, o qualcosa di decisamente più forte.
Ormai sola Ruth rimase ancora per un po’ a vagare per la sala in contemplazione di quei dipinti che, odiava ammetterlo, toccavano l’anima.
Sentì aprirsi nuovamente la porta e girandosi si trovò di nuovo davanti la rossa, un po’ in affanno e in imbarazzo.
- Katrin, hai dimenticato qualcosa?
- No. Cioè credo che…
- Che succede?
- Oddio, Vic mi ucciderà, ma c’è qualcosa che devi sapere, anche soltanto per, non so credo che ti aiuterà a gestire meglio la situazione.
- Così mi fai preoccupare, di cosa si tratta?
- Ti va se usciamo di qui? Andiamo al bar qui di fronte a prendere qualcosa da bere.
Una volta raggiunta la meta Ruth si incaricò di ordinare per entrambe qualcosa di fresco in attesa che Katrin si decidesse a parlare. Alla fine la rossa si decise a rompere il silenzio.
- Perdonami, ti devo sembrare veramente bizzarra ma non è facile per me.. tradire un’amica.
- Tradire?
- Si insomma, ti dirò qualcosa che dovrai tenere per te.
- Ok, lo farò, te lo prometto.
- Victoria, ha passato un periodo difficile. E’ stata poco bene, e a volte ha qualche ricaduta. Ne sei stata testimone poco fa.
- Che cos’ha?
- Perdonami, ma ti dirò soltanto quello che ritengo necessario a farti capire il suo comportamento, affinchè tu non decida di mandarci al diavolo.
- Per me è importante che questa cosa riesca, per dimostrarle che può farcela, che il peggio è passato e .. non lo so, molto egoisticamente mi manca la mia amica, quella con cui sono cresciuta e voglio riaverla indietro.
- O semplicemente le vuoi bene. Ok, non ho ben capito la gravità della cosa ma possiamo gestirla.
- Victoria non dovrà mai sapere che te l’ho detto. E tu non la tratterai in modo differente. Ti chiedo solo di comprendere.
- Ok, non lo saprà. Anche perché mi hai detto veramente poco. Ma hai fatto bene, in effetti ha il potere di farmi perdere la calma.
- Temo che quello dipenda semplicemente da lei e dalla sua testardaggine, è sempre stata così.
- Da quanto vi conoscete? Questo puoi dirmelo?
- Da una vita intera. Sua nonna faceva la governate in casa mia. Che clichè vero? Una famiglia ricca newyorkese con la domestica latina.
- Praticamente mi ha cresciuta, insieme a sua nipote.
- Sorelle.
- Si, sorelle. I miei non sono mai stati molto contenti del nostro legame. Hanno sempre cercato di allontanarmi da loro. Ci sono riusciti solo per il periodo del college. Mi hanno spedito a Barkley. Ma io non vedevo l’ora di tornare a casa per passare del tempo con le uniche due persone che consideravo la mia famiglia. Non sai che delusione quando seppi che avevano mandato via abuela.
- E Victoria?
- Lei ormai era al college, sua nonna la vedeva vicina alla sua realizzazione e vedeva la pienezza della sua vita di allora. E soddisfatta di questo decise di ritornare a casa sua, in in paesino del sud del Messico dalla sua famiglia, sapendo che la sua cara nipote era padrona di se stessa e del mondo che la circondava. Per me fu terribile ma Victoria mi fece capire che se lo meritava, dopo anni di sacrifici era giusto che lei fosse tornata a casa. Anche lei ne soffriva, era tutto il suo mondo, ma l’amava e sapeva che era la cosa giusta.
- I suoi genitori?
- Sua madre e morta quando era ancora piccola, e suo padre non lo ha mai conosciuto. Era molto bella sua madre. I racconti di Abuela sulla figlia erano storie fantastiche, di come era fiera e indipendente. Diceva che Vic crescendo andasse ad assomigliarle sempre più. E forse grazie a questi racconti non ha sentito molto la mancanza di una madre. La sua Abuela ci riempiva di amore e di serenità, inventava sempre mille giochi per noi. Mi manca molto. Sapeva sempre tirarci su di morale, aveva sempre la parola giusta per ogni situazione.
- Dio, non so perché ti racconto queste cose.
- E’ molto bello sentirti parlare di queste cose, si avverte il tuo amore verso queste persone. E ti prometto che cercherò di non deluderti.
******************
Quel giovedì mattina quando la sveglia iniziò a suonare Ruth, lo era già da un po’. La ignorò continuando a restare sdraiata con la testa comodamente immersa sugli enormi cuscini del suo letto. Dalla posizione in cui si trovava riusciva a intravedere il cielo dalla finestra della sua camera. Quando finalmente quel suono insistente terminò fece un profondo sospiro.
No, quella mattina non aveva alcuna intenzione di andare in ufficio, aveva bisogno di un giorno totalmente per se, era ormai da tempo che non si fermava un attimo, strattonata da ogni parte dagli eventi della sua vita, Lexie ,il lavoro , Victoria. E proprio da quest’ultima aveva bisogno di riprendere un certo distacco. Doveva confessare a se stessa che si era lasciata coinvolgere da lei sin dal primo momento, persino quando ancora non sapeva chi fosse, aveva occupato una buona parte dei suoi pensieri. E quando alla fine l’aveva riconosciuta era rimasta spaventata dalla forte attrazione che sentiva per lei. Era sempre stato così, se tornava a guardare nel suo passato ricordava esattamente la prima volta che l’aveva incrociata, era stato come se quella giovane Vctoria entrando in quell’aula avesse esaurito tutto l’ossigeno e lei fosse rimasta in apnea e in contemplazione di quell’essere solare e perfetto. Solare, adesso di certo non era la parola che si sarebbe potuta associare a quella donna.
Si, doveva fermarsi un attimo. In fondo se lo meritava e per un giorno, la fuori, avrebbero vissuto bene anche senza di lei.
Mandò un messaggio per avvertire Harry, poi si decise ad alzarsi dirigendosi in cucina e iniziò a prepararsi un caffè che poi bevve ammirando il paesaggio fuori dalla sua finestra che consisteva in uno scorcio del ponte di Brooklyn e dello skyline di Manhattan. Si soffermò a contemplare alcune imbarcazioni che percorrevano placide il corso dell’acqua. Alla fine decise di prepararsi ed uscire, così, senza una meta ben precisa, ma semplicemente girovagare per quella città, in quei quartieri dov’era cresciuta e che tanto amava.
Si diresse verso Williamsburg, ritrovandosi a girovagare per quelle strade ricche di personaggi curiosi e di negozietti interessanti, si perse tra gli scaffali di una piccola libreria, riscoprendo titoli di autori che le avevano toccato il cuore e che aveva relegato in un angolo dei suoi ricordi. E ascoltando l’eco del passato si ritrovò davanti alla drogheria appartenuta al padre e ormai gestita dal fratello.
Sarebbe potuta entrare, sapeva che avrebbe trovato il padre seduto sulla sua sedia di legno e paglia appoggiato al suo bastone, circondato dai vecchi amici di una vita che usavano ritrovarsi in quel luogo, ormai da anni, a commentare le notizie politiche e di come il mondo fosse ormai incomprensibile per loro. Rimase a guardare la facciata dell’edificio un po’ stinta e maltrattata dalle intemperie del tempo.
Avrebbe pagato qualsiasi cosa per vedere affacciarsi sua madre dalla finestra della loro casa al piano di sopra, l’unica che l’aveva compresa, l’unica che aveva accettato le sue scelte. Ma sapeva che non sarebbe mai successo. Lei non c’era più da tempo e ormai quella casa era abitata dalla famiglia del fratello che si prendeva cura del loro vecchio padre. Decise di andar via, non voleva perdersi in ricordi spiacevoli, fatti di litigi dove si erano dette e fatte cose troppo gravi per essere dimenticate.
Si girò per andare via ma sentì pronunciare il suo nome. Quando si voltò vide il fratello che usciva dal negozio con in mano uno scatolone. Rimase a guardarla sorpreso, entrambi lo erano, lui poggiò velocemente la scatola per terra e attraversò la strada raggiungendola in una breve corsa.
- Ruth, sei proprio tu, non mi ero sbagliato.
- David…
- Santo cielo, era da un bel po’ che non avevo tue notizie. Ero preoccupato.
- Sorellina, lo ero davvero. E’ tutto ok? Non mi sarei mai aspettato di vederti qui.
- Si va tutto bene, mi trovavo solo a passare da queste parti.
- Perché non entri.
- Perché sai benissimo che non voglio.
- Gli farebbe piacere.
- Oh ti prego, non mentire, sappiamo entrambi che non è così.
- Ruth, il tempo passa e le cose cambiano, ha avuto per giorni in mano la rivista dove c’era l’articolo di quell’evento che hai organizzato. Non faceva altro che stare a guardare le tue foto.
- Avrebbe benissimo potuto chiamare…e anche tu. O ti controlla ancora le chiamate?
- Ruth..
- Si, certo, lo so che non puoi contraddire il vecchio, di almeno uno dei due dev’essere orgoglioso.
- David
- Perdonami – si avvicinò per baciarlo sulla guancia – ti voglio bene. Ma è meglio che me ne vada.
Lei gli sorrise staccandosi da lui e se ne andò da dov’era venuta.
Non era quella l’intenzione con cui aveva preso quella giornata di libertà, certamente non per perdersi in lontani ricordi fatti di vecchi rancori e ferite ancora aperte, come quella verso il fratello che non aveva avuto il coraggio di sostenerla nel momento in cui il padre scoprendo la sua omosessualità l’aveva esclusa dal suo cuore, ed era riuscito ad allontanarla dalla loro casa non appena le era venuta a mancare la protezione della madre. Ma nonostante tutto lo capiva, quell’uomo burbero sapeva far valere i suoi diritti di genitore, e poi il figlio, e un tempo anche lei, lo adoravano. Suo padre sapeva farsi amare dai suoi figli, ma anche odiare non appena si usciva fuori dalle sue regole e principi morali. Il suo silenzio, i suoi sguardi carichi di vergogna, le mezze parole e il mancato conforto quando ne avrebbe avuto più bisogno, lui aveva perso sua moglie, la compagna di una vita, ma lei aveva perso l’unica persona che amava e con lei tutto il suo mondo.
Le tornarono in mente gli anni fatti di stenti e di continua paura, il terrore di morire o di continuare a vivere.
Avvertendo il calore delle lacrime trattenne il respiro e si diresse in una zona dove sapeva esserci una mostra di artisti di strada. Si sarebbe nuovamente immersa in quel mondo che conosceva e che aveva costruito con tanta forza e determinazione e ricacciando il passato in quell’angolo buio del suo cuore. Prima di raggiungere la sua meta si fermò per un breve pranzo in un localino piccolo e accogliente, mentre consumava il suo pasto tirò fuori il libro che aveva acquistato solo qualche ora prima per immergersi nella lettura come unica compagna del suo pranzo.
Trascorse più di un’ora leggendo e sorseggiando una tazza di caffè quando si decise a raggiungere la sua meta. Non dovette fare molta strada, iniziò a vedere la lunga fila di dipinti e sculture poste lungo il marciapiede, adorava questo genere di iniziative, c’erano anche dei musicisti che improvvisavano dei brani jazz e soul, nel pomeriggio che si inoltrava in una fresca sera d’estate, il profumo dei fiori alle finestre della abitazioni, la gente allegra che la circondava, tutto questo contribuì a scacciare la tristezza che l’aveva invasa dopo l’incontro della mattina.
- Sono appena le cinque e non sei ancora chiusa in ufficio? Eppure mi avevano detto che eri una stacanovista.
Victoria.
Sembrava proprio che quel giorno fosse contrario ai suoi propositi. Si girò a guardare l’artista che la stava osservando con un mezzo sorriso stampato in faccia. Ruth la squadrò dalla testa ai piedi con aria infastidita.
- Vedo che ti sei ripresa.
- A proposito di questo, ti chiedo scusa, ero infastidita e di pessimo umore..e credo di essermela presa con te.
- Dicevo che non ti devi scusare, sono io che me la sono presa per niente, tu in fondo non stavi bene e..
- Facciamo che ci passiamo sopra?
- Si, per me va benissimo. – Poi inclinò la testa guardandola – Non ci conosciamo da molto ma siamo già passate sopra ad un sacco di cose…
- Già, chissà dove andremo a finire.
- E’ anche curioso il fatto di come continuiamo a incontraci così, casualmente. Posso farti compagnia o aspetti qualcuno?
- No, nessuno.
- Altrimenti saremmo tutti degli artisti
- Ma lo siamo in fondo, artisti mancati. La tecnica, come la definisci tu, la puoi acquisire, puoi fare dei ritratti perfetti, riproduzioni esatte di ciò che rappresentano. Ma vedrai soltanto quello, non sentirai mai che cosa ha provato l’artista nel dipingerlo, le sue emozioni. Sarà soltanto bello, ma nient’altro.
- Beh, l’arte non è anche ricerca del bello? O per te è solo sensazione e sentimento. Che sia chiaro, anche per me è così, dev’essere espressività e deve suscitare in me qualcosa.
- Anche il disgusto è un sentimento, guarda questo ad esempio.
- Tu pensi che molto probabilmente il nostro amico qui abbia preso dei colori e li abbia buttati a caso sulla tela, ma se osservi bene, la scelta che ha fatto è stata accurata.
- E tu lo vedi da?
- Dal fatto che ha scelto solo colori freddi, la maggior parte primari e che proprio per questo dove si mischiano vengono fuori altre tinte di colore rendendo il tutto molto variegato.
- Ciò non toglie che anche un bambino di 5 anni possa farlo.
- Grazie!
- Mi scusi non volevo…
- Si la scusi, ce ne andiamo subito…
- Per essere una curatrice d’arte sembri avere una visione limitata.
- Sei offensiva così, anche perché non è la realtà. Dico solo che c’è una bella differenza fra te e quel tizio, tutto qui.
- Solo perché so tenere in mano un pennello meglio di lui?
- Adesso non fare la modesta, non è soltanto quello e lo sai. I tuoi dipinti nel bene o nel male toccano nel profondo le persone che le osservano. Quindi no, non è perché tu sai dipingere e lui no.
- Si sta facendo tardi, ti va se prendiamo qualcosa di fresco da bere e andiamo al Bushwick inlet park?
- Per me va bene.
- Se ne fossi capace, immortalerei questo momento nella speranza di riuscire a trasmettere sia la bellezza di quello che vedo che la serenità che sto provando.
- Ma se non ricordo male, tu ne sei capace.
- No, ti sbagli. Prima, quando parlavi della tecnica fine a se stessa, parlavi di me. E forse è per il fatto che possedendo soltanto quella ne faccio un fattore primario nella scelta degli artisti che seguo. E sono consapevole che è un limite quando invece vorrei non averne…
- Dipingi ancora?
- No, non ne ho più il tempo e forse nemmeno la voglia.
- Ma hai ancora qualcuno dei tuoi quadri?
- Si, certo.
- Voglio vederli.
- Non mi sembra il caso.
- Ti preoccupi che li possa trovare brutti? Insomma ho trovato bello persino il quadro di quel tizio, quanto vuoi che siano orrendi i tuoi dipinti?
- Davvero confortante.
- Ti devo pregare? Posso farlo se vuoi.
- E scommetto che saresti molto convincente.
- Ok, magari te li mostrerò.
- Allora?
- Allora cosa?
- Andiamo o no? Dove si trovano?
- Ma non intendevo adesso!
- Si trovano a casa mia..ma davvero vuoi andare adesso?
- Dai muoviti!
Victoria osservava l’ambiente lucidato quasi a specchio, salutò con un cenno della testa il portiere in livrea, e rimase in silenzio per tutto il tempo che servì all’ascensore per portarle al piano in cui viveva la curatrice. Continuò ad osservare l’ambiente in cui si era ritrovata una volta che Ruth l’aveva fatta entrare in casa. Quell’abitazione dai grandi spazi sapientemente organizzati per suddividere le varie zone, dal salotto con il grande divano bianco al centro, la libreria che copriva un’intera parete, alla cucina ultra moderna che si intravedeva sullo sfondo ma delimitata dai pilastri interni dell’edificio. Sulle pareti esterne c’erano ovunque grandi finestre che lasciavano libero lo sguardo sul panorama circostante. Il tutto risultava molto elegante ma allo stesso tempo era caldo ed accogliente. Si riusciva ad avvertire la presenza della persona che vi abitava e che era evidente aver scelto ogni singola cosa prensente in quell’appartamento.
Ruth avrebbe voluto sapere cosa pensasse in quel momento la sua compagna, se ne restava in silenzio da quando erano arrivate guardandosi intorno con aria impenetrabile. Sapeva che lei aveva uno stile di vita molto lontano dal suo, ma per la prima volta avvertì un leggero disagio.
Victoria ruppe il silenzio solo quando prese in mano una cornice con dentro una foto che ritraeva una Ruth molto particolare. Ere un primo piano ma si intravedevano le spalle che facevano intuire come fosse seduta di fianco mentre il volto era rivolto verso l’obbiettivo, aveva i capelli raccolti disciplinatamente dietro, in una curva volta a delinearne il contorno del viso, aveva un copricapo che sembrava di sottili piume nere, il collo era coperto da un intricato intreccio di perle che lo coprivano per tutta la sua lunghezza, e sulle spalle poteva intravedersi un vestito di tessuto anch’esso nero. Gli occhi erano messi in risalto da un trucco molto scuro tendente al bronzo che risaltava il colore dei suoi occhi e anche il rossetto era della stessa tonalità.
Posò quella foto e prese quella accanto in bianco e nero, dove aveva un leggerissimo trucco ma votato sempre ad esaltare il contorno dei suoi occhi e i capelli sempre raccolti ma lasciati morbidi e un po’ disordinati, era seduta sempre di profilo con le gambe rannicchiate al petto che nascondevano il seno nudo. Victoria rimase colpita dallo sguardo che aveva e da quell’espressione un po’ arrabbiata. Le labbra leggermente socchiuse non avevano un filo di trucco e forse erano ancora più sensuali.
- Sono delle foto molto inconsuete.
- Si sono di qualche anno fa. Forse un secolo..per un po’ per mantenermi all’università ho fatto la modella
- Ma di che mi stupisco.
- Allora, che ne dici di farmi vedere quello per cui siamo venute?
Victoria si perse nella contemplazione di quei due dipinti che raffiguravano uno un paesaggio urbano e l’altro era il suo opposto, incentrato su un grande lago con montagne e alberi, insomma molto bucolico.
- Sono ben eseguiti, che sei padrona del mezzo non vi è alcun dubbio, com’ è innegabile il fatto che siano belli. Ma sono belli come lo può essere una cartolina.
- Te l’ avevo detto, non c’era bisogno di venire fin qui.
- Vedi questi alberi? Avranno avuto qualche ramo secco no? Ma tu li hai accuratamente eliminati. O in questo prato ci sarà stata una zolla di terra fuori posto!
- Fai nei tuoi dipinti quello che fai a te stessa.
- Ad esempio, tu credi che la tua bellezza dipenda dal fatto che ti impegni tanto a nascondere i tuoi difetti.
- Non è presuntuoso da parte tua dirmi una cosa del genere, chi ti dice che io lo faccia?
- Me lo dice il tuo viso, è un’ovale perfetto, a volte guardandoti mi ricordi quei ritratti cinquecenteschi di dame ed ermellini. Ma non è quello che lo rende gradevole alla vista, è l’ imperfezione dalla piccola gobbetta che hai sul naso, o quel neo, non quello sullo zigomo destro, ma quello sul sinistro, quello che ti impegni tanto a nascondere perché scommetto che pensi che ti renda strana la simmetria di questa cosa.
- Invece ti rende ancora più interessante. O le tue labbra stupende che lasciano spazio ad un sorriso un po’ irregolare ma che lo rende reale e sincero.
- Mi hai osservata veramente con attenzione.
- La bellezza delle cose sta nelle imperfezioni che le rendono uniche. Puoi impegnarti a nasconderle quanto vuoi ma resteranno comunque lì, perché senza sono solo delle riproduzioni artificiali.
Rimasero in silenzio per un periodo che ad entrambe apparve eterno.
- Credo che sia il caso che tu te ne vada.
- Sono stata bene con te oggi, veramente. Ma sappiamo entrambe che se non vogliamo rovinare la giornata è meglio se vai via.
- Si hai ragione. Spero di non averla già rovinata con quello che ho detto.
- No, non lo hai fatto. Ma non giudicarmi solo per quello che vedi o che pensi di aver visto. Perché davvero, tu non mi conosci. Sono consapevole delle imperfezioni della vita. E delle mie ne vado fiera, ho lottato per esse e no, non le nascondo.
- Non ti stavo giudicando.
- Eppure sembrava di si, nel profondo so che hai un’idea di me, ho solo paura che sia sbagliata.
- Non dovresti dare molta importanza a quello che penso.
- Già, ma non so perché, non riesco a non farlo.
- Comunque, oggi sono stata bene anch’io.
Quando rientrò a casa Victoria si sentiva stranamente bene, era da anni ormai che non provava quel genere di sensazione. Non voleva soffermarsi sul fatto che fosse grazie al pomeriggio trascorso con Ruth, voleva soltanto godersi la leggerezza di quel momento. Si diresse verso l’enorme tela che voleva fosse il centro della sua esposizione e quando prese il pennello in mano improvvisamente gli cadde a causa del forte dolore che le aveva afferrato la mano.
- Dannazione!
- Vic, ma dov’eri?
- Che vuoi Kat?
- Sempre gentile! E poi da quando devo avere una motivazione per chiamarti.
- Katrin..
- Volevo sapere come stavi, è un reato?
- Scusa, non volevo, mi hai preso in un cattivo momento.
- Va così male?
- No,cioè lo sai, la mia è solo paura.
- Lo sai che non puoi vivere così, vedrai, l’altro giorno è stato un episodio occasionale. Sta tranquilla.
- Già…starò tranquilla.