Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Anonimadelirante    20/04/2016    1 recensioni
«Non ci sarebbe nulla da dire, Helena» bisbiglia, azzardandosi a lanciarle un'occhiata fugace, dal basso del pavimento dov'è accovacciato. Helena ride, gettando indietro la testa; è seduta alla scrivania, mezzo busto voltato verso di lui, le labbra nascoste dalla mano – mano con dita da pianista, da scrittrice, sporche dell'inchiostro dei libri che ha consultato.
«Non muovetevi» ripete, con quel tono basso che più che un rimprovero pare una confessione. Helena ride con gli occhi, e sorride con la voce: «E non lo sapete che è proprio quando non c'è nulla dire che le parole si sprecano?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Corvonero, Helena Corvonero
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Pairing/Personaggi: il Barone Sanguinario (che nel mio headcanon si chiama Ser Jafferson) e Helena Corvonero, Jeff/Helena.
Warnings: angst, paranoie varie, flussi di coscienza, malinconico.Fintamenteromantico, perché veramenteromantico non sono in grado, e po va beh, le solite cose, su – tipo, ormai che leggermi nuoce alla salute sia fisica che mentale lo sanno anche i muri, per cui...
Word Count: 1711 w.
N/A: Ella passa radiosa come la notte La grazia senza nome che ondeggia sulla sua treccia corvina, sono entrambi versi della poesia She Walks in Beauty (googlando trovate una traduzione, ma se ne avete la possibilità leggetela in lingua perché sì). Il primo sta lì, e fa da titolo, perché è risaputo che sono una schiappa nei titoli. Il secondo è disperso per il testo (verso le ultime righe). Sono, entrambi, prompt orfani trovati ciondolando pigramente per la piscinadiprompt. Sappiatelo.
Nel mio headcanon, il barone si chiama Jefferson, Jeff, aehm.

 



 

 

She walks in beauty, like as the night

(“Ella passa radiosa, come la notte”
She Walks in Beauty’ – G. G. Byron)

 


Le ciocche color carbone le scivolano sulle spalle, soffici e pesanti come seta: non le lega mai – non durante il giorno: «Non dovreste guardarmi così», si passa le dita pallide fra i capelli nerissimi, tracce di luna sulla chioma di notte. Così come, però, non lo specifica: «Non sta bene». Lei ha sedici anni, lui appena diciotto, ed è estremante sconveniente che stiano da soli nella stessa stanza – ciò che non si dovrebbe fare, d'altronde, è estremante piacevole. Anche se è lei. Che è irritante, spocchiosa e a volte semplicemente insopportabile. Però bella. Di quelle bellezze che difficilmente passano inosservate, anche se lui finge blandamente di non farci caso.
«Non vi sto- Ferma
Ed Helena si blocca, mentre lui tratteggia col carboncino linee d'ebano lì dove la veste di lei sta frusciando: «Vi continuate a muovere – come faccio, se vi agitate in questo modo?»
Jeff tratteggia il chiaroscuro del collo da cigno, la guarda mordicchiarsi un labbro, prima di poggiarvi le nocche della piccola mano: «Davvero», mormora lei, un sorriso appena percettibile nella voce, «pensate a cosa direbbero.»
Jeff sente lo sguardo scuro e denso di malizia, come un brivido che gli scivola sulla schiena, come le pieghe blu sera delle gonne di lei, che gli rimangono incastrate in gola e gli impediscono di respirare. Sorride, lui, mentre fissa il foglio e sente lei sorridere solo con le parole: «Non ci sarebbe nulla da dire, Helena» bisbiglia, azzardandosi a lanciarle un'occhiata fugace, dal basso del pavimento dov'è accovacciato. Helena ride, gettando indietro la testa; è seduta alla scrivania, mezzo busto voltato verso di lui, le labbra nascoste dalla mano – mano con dita da pianista, da scrittrice, sporche dell'inchiostro dei libri che ha consultato.
«Non muovetevi» ripete, con quel tono basso che più che un rimprovero pare una confessione. Helena ride con gli occhi, e sorride con la voce: «E non lo sapete che è proprio quando non c'è nulla dire che le parole si sprecano?» risponde. Nasconde dietro le palpebre quel macelato divertimento per pochi – per chi vede il mondo, ma non sente di appartenervi veramente, e ne coglie la stupida, sottile, ironia. Helena lo fissa così, quasi sfrontata, mentre lui fa scivolare svelto il carboncino sulla pergamena – si direbbe frenetico, da fuori, ma in realtà è più preciso di quando non fa scivolare la punta lentamente – nell'ombreggiare la danza immobile delle ciglia. Lo fissa, come se i loro ruoli fossero invertiti, come se non fosse lui, ad intrappolare la sua orma per sempre su un pezzo di carta, ma lei, a coglierlo invece nella sua più completa, infima essenza. Quando coglie quello scintillio nel suo sguardo, e lo coglie rivolto a lui, si sente mozzare il respiro: non riesce mai a lasciarlo sul foglio. C'è qualcosa, in Helena, forse il fatto che non abbassi lo sguardo neppure quando diventa sconveniente non farlo – e anzi, paia provarci più gusto, quanto più quest'abitudine la faccia sembrare, essere, impertinente – o forse il modo in cui tiene fisso lo sguardo su qualcosa, su qualcuno, su di lui: come se volesse impararlo a memoria, strappagli il respiro e carpirgli ogni segreto; Jeff non riesce mai a a disegnarla, quella luce nei suoi occhi: esce dalla sua penna distorta, come oltre una lente rigonfia, gli sembra sempre di non averla colta davvero.
Forse è solo quello, forse è la cupidigia dell'Artista c'ha trovato la modella perfetta, l'incarnazione dell'Arte, e s'accorge di non essere in grado di renderle giustizia.
È solo questo, si dice, quando torna di notte nella sua stanza, per paura di essere sorpreso durante un peccato non commesso, ma pensato, facendo attenzione a non far rumore. Dev'essere solo questo, s'assicura mentre trattiene il respiro e strizza gli occhi brucianti di sudore, e si rigira fra le lenzuola. La gioia e la rabbia di chi ama disegnare, e gli scoppia il petto di passione, nell'impeto di finire di tratteggiare l'orlo appena sollevato del vestito.
Helena, che non sorride mai con le labbra, ma ride con gli occhi, a volte sembra lusingata, a volte finge ritrosia – altre, invece, è lei a richiamare giocosamente la sua attenzione, oggi non dipingete, barone? Avete perso interesse nei vostro soggetto preferito, o ne avete trovato un altro?
Jeff ride e scuote la testa, quelle volte. Siete tornato ai paesaggi?, chioccia lei, Sentite il bisogno di qualcosa di meno complesso? Mi è stato detto che le persone sono molto complicate, da disegnare – eppure voi catturate sempre quella scintilla di meraviglia, quando disegnate il resto.
Siete odiosa, vorrebbe risponderle. Invece ride. È un inno alle reazioni violente, Helena dal fare saccente, dalla provocazione grondante di sarcasmo e malizia. Jeff, a volte, vorrebbe solo strattonarla per i capelli e urlarle dismetterla – per l'amor del Cielo, smetterla di trattare il mondo come se fosse una biglia buffamente scheggiata. Smetterla, d'essere così voluttuosamente capricciosa, caparbiamente desiderosa di sapere e avere – possedere. Quelle volte, quelle volte in cui gli fremono le dita dal bisogno d'allungare le mani sul suo collo dritto, per abbassarle il mento alto e farsi guardare negli occhi – veramente, senza barriere, senza gradini, senza sentirsi inferiore (o senza che lei si senta così ineffabilmente superiore). In quei momenti, disegna il suo profilo.
Lo fa con tratti svelti, precisi, e potrebbe farlo ad occhi chiusi, rispettando ogni proporzione. Lo fa, perché almeno quella parte di lei è chiara, limpida. Sono i suoi capelli, poi, la curva del suo collo, l'ombra sottile del suo sorriso, la luce nel suo sguardo ad essere impregnati di segreti. Ma il profilo, il naso dritto, la testa inclinata, le spalle morbide – quelle cose sa coglierle. Riesce a intrappolarle, con l'inchiostro nero; ha provato con il blu, anche, ed riuscito a svelare l'enigma delle sue gambe e delle sue sopracciglia appena inarcate. Si chiede, quelle volte in cui lei gli si rivolge così sprezzante, e ha quasi paura, se non dovrebbe provare a disegnare la sua espressione in rosso, color del sangue. Forse, allora, coglierebbe la sua bramosia d'attenzione e segreti che tanto vorrebbe custodire e che prima o poi ha fiducia di scoprire.
Forse, anche i suoi capelli costantemente sciolti a separala dal mondo, verrebbero meglio, macchiati di rosso.
La sua treccia, invece... quando lui smette di cercare di vederla sulla pergamena, quando la notte si fa persino più scura della sua chioma senza stelle, allora Helena dal fare enigmatico, di certo antipatico, gioca con i suoi capelli, sorridendogli sfrontata: «Dovreste andarvene, Sir, non è maleducato rimanere nelle stanze di una signora, quando si fa buio?» – tutte le notti, sempre uguale a sé stessa eppure un po' diversa, seguendo il copione non scritto dell'odio e dell'attrazione ripete le parole incise con sangue indelebile. E allora, lui, abbandonando la macelata gentilezza del giorno, sorride a sua volta, a lei direttamente e non alla sua immagine sul foglio: «Ma voi non siete una signora, Helena.»
Ridono entrambi le risate graffianti della non-luce. Non reale divertimento, ma incontenibile ironia, quasi cattiveria, e con voce morbida di malizia appena palpabile, lei: «Vorreste forse rimanere, milord?»
«Sarebbe sconveniente persino per voi, mia Helena», Helena, Helena, Helena, con l'accento sulla seconda ‘e’, come quella sciocca di sua madre, che la richiama alla francese: Lène. Gli piace ripeterlo piano, all'infinito,Helèna, che s'arriccia sulla lingua come un suono trasformato in petalo di fiore velenoso.
Helena – quando la notte si fa scura, oltre la finestra della stanza in cui si nascondono aspettando che uno dei due valichi il confine del decoro, ma senza mai fare il primo passo; quando lui non le dice più State ferma e lei può finalmente scuotere le spalle – si passa le dita lunghe fra i capelli e li divide in ciocche. Intreccia lentamente, lo sguardo fisso negli occhi di lui, come se fosse una danza di seduzione e non un semplice rituale. (Non sa, d'altra parte, Jefferson, che di semplice i riti non hanno mai nulla; Helena sorride della sua stupidità.)
Il barone ricambia lo sguardo, trattenendo il respiro: non la dipinge mai, quando lei comincia a farsi la treccia, ch'è una specie di ultimo congedo – l'unico reale. Sa che basterebbe poco, basterebbe rimanere lì anche dopo, quando lei sia alza, i capelli intrecciati, e si volta per andare a prendere la camicia da notte. Se restasse, potrebbe disegnare il bianco latteo delle sue cosce. Lo sa. Lei non lo caccerebbe più di quanto già non faccia giocando durante le ore di luce. Lo sa, eppure non si ferma mai oltre. Quando Helena ha finito d'intrecciare i suoi capelli, gli dà le spalle.
È quello il segnale, il congedo definitivo, il limite ultimo dopo il quale ci sarebbe un cambiamento, un'evoluzione (un'involuzione, d'altro canto, sarebbe impossibile) nelle loro scortesie legittimate e reciproche. Quando lei stacca gli occhi dai suoi.
Potrebbe rimanere a fissarla, oppure alzarsi e scioglierle i nodi del corpetto. Potrebbe, se volesse, scioglierle anche, di nuovoi capelli e baciarle il collo, strattonarla appena per la gonna; lei riderebbe, e starebbe all'ennesimo gioco: poco cortese ed intrigante, come tutti quelli che fanno. Non lo fa mai, però: si limita ad accarezzarle le reni, in un impalpabile saluto.
Chissà se lei n'è delusa, ogni sera, o semplicemente non aspetta altro. Nonsospetta altro.
Jeff se ne va chiudendo la porta alle sue spalle, ogni notte, col sapore dolce-amaro della sconfitta (o vittoria?, nei loro scontri non v'è mai un reale punteggio. Solo ferite da leccare in silenzio e divertimento congelato in macigni) sotto la lingua ed un sorriso strano, non è chiaro neppure a lui se vero o finto, sulle labbra. Aleggia, nella sua mente, il bozzetto d'un altro disegno che non farà mai, ma che sognerà sempre: una donna dai seni scoperti e l'innegabile sensualità di chi custodisce infiniti segreti. L'ambizione sta annidata nei nodi dei suoi capelli mezzi sciolti, insieme all'irreparabile fatalità della sua superbia, costretta in una treccia mezza fatta o mezza sfatta.
Nei suoi sogni, o incubi, o quello che sono, c'è giusto questo: la grazia senza nome che ondeggia sulla sua treccia corvina. Sarebbe bello – facile, persino – tirargliela leggermente per farla finire con la schiena contro il proprio petto, eppure – eppure si sveglia o se ne va sempre un attimo prima di farlo.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Anonimadelirante