I’m
not a Murderer
13
Risvegli
di routine
Svegliarsi finalmente riposato,
sebbene dolorante, sembrava essere una manna dal cielo da un paio di
settimane
a quella parte.
La
luce che filtrava dalle
persiane era ancora chiara e l’unico rumore sembrava essere
quello degli
uccellini che cantavano appena fuori dal vetro.
Per
un attimo si chiese se non
fosse un sogno.
Ancora pochi secondi, si disse,
e la pace che stava provando si sarebbe infranta, schiacciata dal peso
della
realtà.
Castor che lo aveva così
barbaramente tradito – tecnicamente gettato via come uno
straccio e ignorato,
ma che diamine, concedetegli un po’ di licenza poetica. Bach
finito sotto un
camion e bloccato a letto, la carriera stroncata. Il campionato sempre
più
lontano.
Sospirando fece per tirarsi su,
domandandosi come avesse fatto a dimenticare le persiane aperte, lui
che non le
sbloccava mai, socchiudendo gli occhi per abituarsi alla luce, ma un
peso
inaspettato lo costrinse a ricadere sul letto.
All’altezza del viso, a pochi
centimetri dal suo naso, un paio di iridi azzurre lo fissavano.
Chiuse gli occhi per un intenso
istante e quando li riaprì si trovò ancora nella
camera color crema, tra
pregiate lenzuola di seta – parecchio stropicciate
– e un braccio caldo
possessivamente avvolto attorno al torace.
«Dove pensavi di andare?» la voce
di Castor era roca.
«Ehm…» cosa doveva dire? Come
la volta precedente: c'era un codice di comportamento da seguire?
Il
ricordo di come era andata a
finire non gli
ispirava molta fiducia.
«Hai una ruga» l'altro lo girò
verso di sé posandogli un dito tra le sopracciglia,
«non dovresti farlo,
invecchierai più velocemente».
«Mi stavo solo-»
«So a cosa stavi pensando. Non
serve» quella frase seccata gli sembrò
assurdamente tranquillizzante.
«Volevo andare in bagno»
rettificò velocemente.
«Puoi andarci dopo» brontolò,
tirandoselo contro e chiudendogli il petto in una morsa. Probabilmente
Max
avrebbe potuto liberarsi da quella presa se avesse voluto, ma
preferì aderire
ancora una volta a quella schiena, sapendo che finché
fossero rimasti così
sarebbe andato tutto bene.
«Hai impegni?» lo sorprese.
Pensava che Castor sarebbe rimasto in silenzio il più
possibile, esattamente
come lui.
«Pensavo di tornare in
ospedale» confessò, sentendo l'ormai familiare
senso di colpa che lo
attanagliava al pensiero della disavventura dell'amico.
«Possiamo andarci oggi
pomeriggio, se ti va» si era immaginato quella nota incerta?
«Sono certo che
stamattina verrà assediato dai vostri compagni».
Gemendo per l'imbarazzo affondò
la faccia nel cuscino. Sarebbe stato un agli allenamenti: Joakim
e Brook lo avrebbero risparmiato –
forse – ma Dorian e Lionel avrebbero fatto di lui…
God, non voleva nemmeno pensarci.
Sarebbe diventato la vittima
designata.
Se
non altro avrebbero smesso
di considerarlo un verginello. Non lo era più, decisamente,
da nessuna delle
due… parti.
«Stai andando in
autocombustione» osservò Castor nel sentire la
pelle di Max riscaldarsi. Quando
tornò a voltarsi vide che aveva le guance in fiamme.
«Tu non sarai il bersaglio dei
miei compagni» biascicò con le labbra premute
sulla sua spalla.
«Perché sei stato con un uomo?»
«Che centra?»
«Cerco di capire di cos'hai
paura» rivelò, sorprendendolo con la sua
schiettezza. Quella docilità lo colse
alla sprovvista: il momento di sospensione dalla realtà
stava durando molto più
a lungo di quanto si sarebbe aspettato. Quando sarebbe arrivato il
momento in
cui sarebbe dovuto uscire da quella porta?
Eccolo il panico che faceva
ritorno.
«Mi daranno del pappamolla o
dello smidollato. Ci sono cascato ancora».
«In uno scherzo?»
Max
non riusciva a capire se
facesse finta di non sapere o proprio non riusciva ad arrivarci.
«A letto con te» sbottò alla
fine. Rimase immobile, in attesa di sentire la stretta allontanarsi.
Sapeva
dove come sarebbe
finita nonostante
tutte le belle parole del giorno prima. Era ancora lo sciocco
provinciale che
era stato mollato da Tiana – la sua unica ex.
«Perché non hai ancora
abbastanza esperienza per soddisfarmi?» scherzò
nuovamente. Fu Max a liberarsi
da quell’abbraccio, sconcertato.
«Fai finta di non capire?»
«Sei tu che non capisci» lo
interruppe duramente. «Non ti butterò fuori. Non
lo farò».
«Ma io dovrò andare a casa
prima o poi» non voleva sperarci.
«Quando te ne andrai saprai
anche che potrai tornare» lo fissava diritto negli occhi per
assicurarsi che capisse
quanto gli stava dicendo.
«Per un'altra cena?» non
avrebbe davvero dovuto sperarci, ma glielo stava dicendo piuttosto
chiaramente.
«O per un tea. Per una
chiacchierata. Per passare una bella giornata»
tornò ad avvicinarglisi e
strusciò il naso sul suo petto, allungandosi pigramente su
di lui. «Potrei
persino darti una copia delle chiavi».
«È… ci conosciamo appena. Non
dovresti fidarti del primo che passa» sentiva sempre
più un groppo in gola.
«Se dovessero mancarmi delle
stoviglie saprei già il colpevole».
Quel
momento angosciante si era
rapidamente trasformato in qualcosa di tenero. E inaspettato. E
bellissimo.
«E i tuoi fratelli?» gli
accarezzò i capelli con dolcezza, finalmente in pace.
«Rubano solo vestiti. Tu non lo
faresti mai».
Risero, rotolandosi fino
all’estremità opposta del letto, dove Max
costrinse Castor sulla schiena,
bloccandogli i polsi. Il rosso mugolò, divertito da
quell'iniziativa. Era
andata bene.
Molto meglio di quanto si
sarebbe mai aspettato.
«Cos’hai in mente?» fece le
fusa senza provare a riprendere il controllo.
«Fare colazione» stette al
gioco, arrossendo. Forse non era così disinvolto come
avrebbe voluto essere, ma
era un buon inizio. Un inizio dannatamente buono!
«Serviti allora» lo provocò,
leccandosi le labbra.
Che
ci provasse. Non vedeva
l’ora.
«Castor, sei nudo? Non voglio
entrare e vedere i tuoi gioielli al vento!» una voce
purtroppo conosciuta
arrivò attutita dalla parte opposta della casa, distruggendo
quello che sarebbe
stato un momento meraviglioso.
«Cosa…» Max si ritrasse come se
si fosse scottato, sedendosi sul bordo, mentre Castor si sollevava con
un
sospiro disperato.
«Devo toglierle quelle
maledette chiavi».
«Verrà qui?» Max si guardò
intorno come a valutare l’ipotesi di nascondersi sotto il
letto.
«Non lo farebbe mai» non sembrava
molto convinto. «Vado avanti io. Tu trova qualcosa da
metterti».
La
richiesta lo lasciò
spiazzato. Il volto impietrito di Max cercò quello
assurdamente rilassato di
Castor. Si rendeva conto di quello che gli stava chiedendo? Sarebbe
dovuto
tornare in quella cucina, davanti a quella donna, come se nulla fosse
successo?
«Forse è meglio che vada a
casa» c’era solo da immaginare cosa sarebbe
successo se si fosse presentato
anche l’altro fratello.
«No» lo guardò negli occhi per
fargli capire. «Vestiti, la colazione ti aspetta».
Max
chinò il capo, nascondendo
il viso tra quelle ciocche rosse ribelli. Gli stava venendo voglia di
piangere
come una femminuccia.
«Muoviti, non voglio che ti
veda nudo» Castor svicolò imbarazzato prima di
raccattare qualcosa da terra e
svanire dietro la porta.
Max
rimase ancora per un attimo
a godersi il momento prima di passare al problema successivo: dove
diavolo
erano finiti i suoi vestiti? Frugando tra la stoffa sul pavimento si
rese conto
che i suoi abiti dovevano proprio gradire il salotto.
Sbirciò dallo stipite,
controllando che non ci fosse nessuno in corridoio –
ignorando le battute dalla
parte opposta della casa – e scivolò dentro la
sala, inciampando immediatamente
nel mastodontico cuscino del divano. Era un casino lì dentro.
Recuperò i jeans dallo
schienale – non aveva idea di dove fossero finite le mutande
– e la maglietta,
decidendo che la camicia sarebbe stata bene dov’era,
incastrata sotto i
cuscini.
Dallo spiraglio della seconda
porta poteva vedere Castor entrare e uscire dal suo campo visivo,
impegnato in
chissà cosa, una volta persino seguito da uno straccio
volante.
Fu
quando alzò lo sguardo –
cogliendolo a fissarlo di nascosto – che si
obbligò ad uscire. Avrebbe smesso
di essere vigliacco, lo giurava. E si sarebbe preso la meritata
rivincita.
Basta nascondersi.
«Buongiorno».
Sperò di non sbagliarsi nel
vedere un lampo di orgoglio negli occhi di Castor.
Clio
si illuminò, sfoderando il
più largo sorriso che avesse mai visto su una ragazza.
«Ciao» cinguettò felice,
scendendo dallo sgabello saltellando – era parecchio bassa,
molto più di quanto
si aspettasse: gli arrivava sì e no al torace. Incredibile
come una cosetta
tanto piccola potesse essere tanto molesta.
«Ciao» fece di rimando, impreparato
a quella reazione.
«Oggi sei vestito» constatò,
atteggiando la bocca in una smorfia contrariata, facendolo –
chissà come –
sentire in colpa per essersi messo la maglia e ancora più
nudo di prima.
«Giù le mani» intervenne
Castor, passandogli accanto per raggiungere il tavolo e strizzandogli
una
natica, «lui è mio!»
Max
scattò appena, ma Clio non
sembrava essere dispiaciuta quella dimostrazione di possesso,
perché rise
ancora più forte e gli diede una pacca sul bicipite.
«Questo significa che Eleo
aveva ragione. Sta arrivando, perché tu lo sappia:
è in macchina con Oscar. Hai
preparato la colazione?»
«Che cazzo stai dicendo?» il
rosso la squadrò, sconvolto. «Che giorno
è?»
«Domenica» confermò,
picchettando il giorno cerchiato sul calendario, appeso proprio
lì accanto. «Ci
avevi promesso scones, pancakes e muffin».
«Non me lo ricordo!»
«Sì, beh, forse eri un pochino
ubriaco quando l'hai detto» annuì perfida.
«Forse è meglio se-» Max non
aveva voglia di trovarsi ancora in mezzo ad un ritrovo O'Connell, vista
com'era
andata la precedente.
«Oh, no» intervenne Clio.
«Quello è il tuo posto» disse
Castor contemporaneamente, battendo una mano sullo sgabello
più vicino ai
fornelli.
Sentendosi messo alle strette, si
appollaiò dove indicato e rimase rigido in attesa che Castor
finisse di
preparare gli ingredienti e che Clio smettesse di fissarlo come se
fosse stato una
statua in esposizione.
°°°
Il
frantumarsi di qualcosa a
terra annunciò l’arrivo di qualcun altro alla
festa.
«Castor! Quando ti deciderai a capire che il
fottuto posto per i vasi non è
l’ingresso?» la voce
si levò indignata dal corridoio.
«Quando tu smetterai di distruggere tutto con la
tua grazia» la seconda voce sembrava una replica della prima
– stessa arroganza
e decisione – ma solo per il fatto che avesse ribattuto a
Oscar aveva
guadagnato la simpatia di Max.
Eleo
era una versione più giovane di Castor:
stessi occhi penetranti – eredità di famiglia
– e capelli tinti, sebbene
biondi. L'unica differenza sostanziale era dovuta al fatto che il
giovane – non
poteva avere più di diciotto anni – sembrava
essere stato tirato, tanto era
alto.
Precedeva il fratello maggiore con baldanza ma si
fermò di botto sulla soglia per non farlo passare.
«Togliti dalle palle!» sibilò Oscar
appena
dietro, in naso premuto nella chioma ingellata contro cui si era
trovato per
aver camminato con lo sguardo fisso sul tablet.
«Ti salvo la vita fratello: c'è il tuo
arcinemico».
L'uomo sbirciò da sopra la sua testa e regalò a
Max una delle sue migliori occhiate di disapprovazione.
«Cosa ci fa ancora qui?»
«Colazione» cinguettò Clio chinandosi
per
avvicinarsi al ragazzo, indicando il fratello. «Ma non
mangiarlo, ha un pessimo
sapore!»
Le
orecchie di Oscar raggiunsero un preoccupante
livello di rossore alla battuta della sorella. Se la sua assurda
famiglia non
avesse smesso in tempi brevi di prenderlo per i fondelli li avrebbe
estromessi
dal giro di affari.
«Ciao» Eleo avanzò a grandi passi, la
mano tesa
in direzione di Max, «piacere».
Thank
God,
il
fratellino sembrava normale.
«Maximillian» gliela strinse sollevato.
«Lo so, hai fatto bene a minacciarlo».
Come
non detto.
Oscar si sedette alla solita sedia ignorando al
meglio la presenza del ragazzo.
«Allora questi muffin? Non ho tutto il giorno!»
«Vatteli a comprare» mormorò Castor
rimestando
l'impasto.
«Avevi promesso».
«Me lo avete estorto» puntualizzò.
Max
osservò il quadretto familiare scambiarsi
battute, insulti e occasionali lanci di suppellettili.
Avvertì una tale fitta di nostalgia da
costringerlo a chiudere gli occhi. Erano più di tre anni che
non tornava a
casa. Sean gli aveva mandato diverse mail, alcune con foto allegate, ma
sapere
che Dom Jr. fosse diventato più alto di Ted oppure che Liam
si fosse fatto
crescere i capelli fino a metà schiena non rendeva. Gli
mancava l’odore della
cucina di sua madre.
Vedere Castor fare la linguaccia alle spalle di
Clio gli diede un tale senso di tenerezza che si chiese come avesse
potuto non
rendersene conto prima. Quella famiglia disfunzionale era talmente
unita da
fargli venire voglia di abbracciarli.
Eleo, che aveva continuato a blaterare delle
minacce perpetrate nei confronti del fratello maggiore negli anni,
rimase
sconcertato dalla piega di dolore sulle sopracciglia corrucciate
dell'ospite.
«Non fanno sempre così» si
affrettò a
rassicurarlo. «In realtà vanno
d’accordo».
«Ne sono certo».
Nonostante la distrazione, anche Castor si era
accorto che qualcosa non andava perché gli passò
una mano sulle spalle,
baciandogli la sommità della testa.
Un
gesto talmente intimo da farlo arrossire. Non
se lo aspettava.
Evidentemente doveva essere un comportamento
insolito per il rosso perché Eleo si mise a ridacchiare alle
occhiate
insofferenti di Orion, quelle deliziate di Clio e l’unica
lunga occhiata
allibita di Max.
Castor infornò la seconda teglia di muffin,
ignorandoli con nonchalance. Lui l’aveva detto che sarebbe
stato diverso; i
cretini erano stati loro a non crederci. Poteva anche essere un
vigliacco ogni
tanto, ma perlomeno, una volta presa una decisione, era suo uso
mantenerla fino
in fondo.
Se i
suoi fratelli ne sarebbero venuti a capo a
breve, Max vi avrebbe impiegato più tempo.
I
muffin erano venuti bene, ma avrebbero avuto
bisogno ancora di qualche attimo per essere prelevati senza rovinarli.
Solo uno
scivolò fuori dalla teglia senza sforzo: lo diede a Max.
«La colazione, come promesso» sussurrò.
Il
ricordo di quella che sarebbe dovuta essere la loro colazione premeva
ancora da
qualche parte nel bassoventre, nascosto dai più larghi
pantaloni della tuta in
dotazione al suo guardaroba. Il suo odore non era ancora andato via da
Max,
l’aveva sentito quando si era chinato per baciarlo. Tempo
prima quell’intimità
lo avrebbe fatto arretrare, ma il dolore e l'insonnia patiti durante la
settimana
precedente gli avevano fatto vedere le cose da una diversa prospettiva.
Non
poteva modificare le azioni passate, ma
avrebbe imparato dai propri errori.
«Grazie» non aveva
idea se il rossore alla base del collo fosse dovuto
all’imbarazzo provocato
della famiglia o alla sua vicinanza. Di sicuro teneva gli occhi ben
piantati
sulle sue dita. Magari stava ricordando quello che gli avevano fatto
durante
tutta la notte.
Il
fatto che non fosse scappato rappresentava un
bel passo avanti.
Gli
diede una rapida stretta alla mano –
ricambiata fugacemente – prima di tornare alla colazione.
«Siete disgustosi» fu il commento di Oscar a
quella scenetta sdolcinata, ma si vedeva che non era veramente
contrario. Clio
ghignò da dietro la tazza, mai una volta che Orion mostrasse
il suo vero volto.
Max
osservò le dinamiche con maggiore attenzione:
in fondo non erano poi così complicati. L’affetto
tra di loro era innegabile.
Eleo sembrava il più comprensivo tra tutti, il
più calmo. Clio doveva essere la
personalità più forte – essere una
donna rendeva necessario compensare in
qualche modo, visti quei fratelli ingombranti. Castor era
l’eccentrico, forse
il meno classificabile tra loro, ma i precedenti avevano dimostrato
quanto in
realtà tenesse a quella sgangherata marmaglia. Il suo
atteggiamento ricordava
quello di Noah – forse tra geni si sarebbero capiti, pieni di
tutte quelle
assurde contraddizioni che lo facevano impazzire. Nel bene e nel male.
E
poi c’era Oscar.
Vederlo sorridere compiaciuto gli dava una certa
irritazione, ma si sentiva anche costretto a spezzare una lancia in suo
favore.
Era stato uno stronzo, ma aveva offerto un lavoro a Bach. E lui gli
aveva
rubato un cappotto da tremila dollari, l'ultima volta che era fuggito
da quella
casa – Bach lo aveva cercato su internet.
Senza una parola prese il piattino che Castor gli
aveva messo davanti e lo allungò verso l’altra
parte del tavolo.
Il
sopracciglio dell’uomo scattò versò
l’alto e
l’angolo della bocca tremò appena, dandogli per un
attimo un’aria smarrita.
Nonostante la vena polemica e l’indiscussa boria,
c’era qualcosa in Oscar che
lo rendeva affascinante. Suppose che fossero gli occhi made by
O’Connell.
«Considero la proposta di lavoro a Bach un
adeguato pagamento per la volta scorsa».
Oscar lo prese con sufficienza.
«Sei contento Orion?» Clio gli diede
un’affettuosa
pacca sul braccio. «Così non dovrai più
andare fuori a cena con il terrore di
venire steso».
«Mi chiamo Oscar» sibilò in tutta
risposta.
«Non dare via il tuo cibo. Non per lui!» Castor
gli veleggiò nuovamente attorno rimpiazzando il muffin con
due crêpe
affogate nello sciroppo d’acero.
«Ho restituito un favore» gli era ancora
difficile credere di essere veramente lì, con lui, dopo
quello che avevano
passato insieme. Fino ad una settimana prima non avrebbe mai immaginato
che
Castor avrebbe potuto esporsi.
Erano anni che non provava una gioia tanto
normale quanto quella di una persona che ti si siede accanto
guardandoti come
se fossi un dono, sfiorandoti il braccio con la punta delle dita. Quel
fuoco
non divampava da anni, sempre che quelle braci che Castor aveva
risvegliato
fossero mai state accese, oltre la coltre di fumo grigio lasciata a
disperdersi
anni prima.
Castor aveva fatto per lui più di quanto avesse
mai immaginato – risvegliandogli i sensi, cercandolo nella
folla, chiedendogli
di riprovarci e accettandolo così com’era. Quella
notte gli aveva sussurrato
all’orecchio parole che non erano scomparse con il sole della
mattina.
Lo
aveva stretto e baciato in posti che, a
ripensarci, lo facevano avvampare e – God,
non credeva sarebbe mai arrivato questo momento – desiderare
di tornare in
quella stanza. Il fruscio dei pantaloni
di Castor sullo sgabello era talmente
disturbante da chiudergli lo stomaco: fino a quel momento la sua
preoccupazione
era stata quella di superare indenne l’incontro con gli
O’Connell, ora non
poteva che sperare se ne andassero in tempi brevi.
Eleo
stava infastidendo Oscar su un imprecisato
argomento, Clio enumerava una serie infinita di motivi per cui
sì, l’idea di
trasferirsi in Giappone era stata molto ben ponderata, e Castor
ribatteva punto
su punto con razionale fastidio. Nessuno faceva caso a lui,
fortunatamente.
Seguendo quella nuova, irrazionale linea di
pensiero, tolse le mani dal piatto. Con il fiato strozzato in gola fece
scivolare la sinistra sotto il tavolo e ne posò il palmo
aperto sulla coscia di
Castor.
Se
Clio si fosse resa conto dell’improvviso
pallore del fratello non lo diede a vedere, ma Max avvertì
distintamente i
muscoli irrigidirsi al suo tocco. Castor portò la propria
mano libera sulla
sua, premendola prima di intrecciare le dita in una muta promessa. Non
lo aveva
guardato, ma quel calore era stato più che sufficiente a
fargli capire.
Forse avrebbe fatto in tempo a presenziare agli
allenamenti quel pomeriggio.
In
tutto quel susseguirsi di eventi, Max non poté
che ringraziare il fatto che Will e sua zia fossero ad Atlanta per le
vacanze.
In caso contrario non avrebbe saputo come spiegare le continue assenze
e
l’improvvisa fioritura di succhiotti lungo la gola.
…
baci
NLH