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Autore: aliasNLH    21/04/2016    1 recensioni
«Tu lo sai, vero, che quando un uomo compra dei vestiti alla propria ragazza, lo fa perché vuole toglierglieli personalmente?» mormorò, rispondendo finalmente all’interrogativo.
Max deglutì, improvvisamente accaldato per via del contatto di quella mano – per non dire altro, considerato il fatto che si trovava tra decine di corpi sudati e uno in particolare felicemente spalmato su di lui.
Molto felicemente, in effetti. Avvampò.
«M-ma… io non sono la tua ragazza» cercò di erigere una – blanda – difesa a quello che sembrava qualcosa di inevitabile.
«Questo è vero» gli sussurrò in risposta, sfiorandogli il lobo con le labbra «non sei una donna».
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I’m not a Murderer

13
 
Risvegli di routine
 
    Svegliarsi finalmente riposato, sebbene dolorante, sembrava essere una manna dal cielo da un paio di settimane a quella parte.
    La luce che filtrava dalle persiane era ancora chiara e l’unico rumore sembrava essere quello degli uccellini che cantavano appena fuori dal vetro.
    Per un attimo si chiese se non fosse un sogno.
    Ancora pochi secondi, si disse, e la pace che stava provando si sarebbe infranta, schiacciata dal peso della realtà.
    Castor che lo aveva così barbaramente tradito – tecnicamente gettato via come uno straccio e ignorato, ma che diamine, concedetegli un po’ di licenza poetica. Bach finito sotto un camion e bloccato a letto, la carriera stroncata. Il campionato sempre più lontano.
    Sospirando fece per tirarsi su, domandandosi come avesse fatto a dimenticare le persiane aperte, lui che non le sbloccava mai, socchiudendo gli occhi per abituarsi alla luce, ma un peso inaspettato lo costrinse a ricadere sul letto.
    All’altezza del viso, a pochi centimetri dal suo naso, un paio di iridi azzurre lo fissavano.
    Chiuse gli occhi per un intenso istante e quando li riaprì si trovò ancora nella camera color crema, tra pregiate lenzuola di seta – parecchio stropicciate – e un braccio caldo possessivamente avvolto attorno al torace.
    «Dove pensavi di andare?» la voce di Castor era roca.
    «Ehm…» cosa doveva dire? Come la volta precedente: c'era un codice di comportamento da seguire?
    Il ricordo di come era andata a finire non  gli ispirava molta fiducia.
    «Hai una ruga» l'altro lo girò verso di sé posandogli un dito tra le sopracciglia, «non dovresti farlo, invecchierai più velocemente».
    «Mi stavo solo-»
    «So a cosa stavi pensando. Non serve» quella frase seccata gli sembrò assurdamente tranquillizzante.
    «Volevo andare in bagno» rettificò velocemente.
    «Puoi andarci dopo» brontolò, tirandoselo contro e chiudendogli il petto in una morsa. Probabilmente Max avrebbe potuto liberarsi da quella presa se avesse voluto, ma preferì aderire ancora una volta a quella schiena, sapendo che finché fossero rimasti così sarebbe andato tutto bene.
    «Hai impegni?» lo sorprese. Pensava che Castor sarebbe rimasto in silenzio il più possibile, esattamente come lui.
    «Pensavo di tornare in ospedale» confessò, sentendo l'ormai familiare senso di colpa che lo attanagliava al pensiero della disavventura dell'amico.
    «Possiamo andarci oggi pomeriggio, se ti va» si era immaginato quella nota incerta? «Sono certo che stamattina verrà assediato dai vostri compagni».
    Gemendo per l'imbarazzo affondò la faccia nel cuscino. Sarebbe stato un agli allenamenti: Joakim e Brook lo avrebbero risparmiato – forse – ma Dorian e Lionel avrebbero fatto di lui… God, non voleva nemmeno pensarci. Sarebbe diventato la vittima designata.
    Se non altro avrebbero smesso di considerarlo un verginello. Non lo era più, decisamente, da nessuna delle due… parti.
    «Stai andando in autocombustione» osservò Castor nel sentire la pelle di Max riscaldarsi. Quando tornò a voltarsi vide che aveva le guance in fiamme.
    «Tu non sarai il bersaglio dei miei compagni» biascicò con le labbra premute sulla sua spalla.
    «Perché sei stato con un uomo?»
    «Che centra?»
    «Cerco di capire di cos'hai paura» rivelò, sorprendendolo con la sua schiettezza. Quella docilità lo colse alla sprovvista: il momento di sospensione dalla realtà stava durando molto più a lungo di quanto si sarebbe aspettato. Quando sarebbe arrivato il momento in cui sarebbe dovuto uscire da quella porta?
    Eccolo il panico che faceva ritorno.
    «Mi daranno del pappamolla o dello smidollato. Ci sono cascato ancora».
    «In uno scherzo?»
    Max non riusciva a capire se facesse finta di non sapere o proprio non riusciva ad arrivarci.
    «A letto con te» sbottò alla fine. Rimase immobile, in attesa di sentire la stretta allontanarsi. Sapeva dove  come sarebbe finita nonostante tutte le belle parole del giorno prima. Era ancora lo sciocco provinciale che era stato mollato da Tiana – la sua unica ex.
    «Perché non hai ancora abbastanza esperienza per soddisfarmi?» scherzò nuovamente. Fu Max a liberarsi da quell’abbraccio, sconcertato.
    «Fai finta di non capire?»
    «Sei tu che non capisci» lo interruppe duramente. «Non ti butterò fuori. Non lo farò».
    «Ma io dovrò andare a casa prima o poi» non voleva sperarci.
    «Quando te ne andrai saprai anche che potrai tornare» lo fissava diritto negli occhi per assicurarsi che capisse quanto gli stava dicendo.
    «Per un'altra cena?» non avrebbe davvero dovuto sperarci, ma glielo stava dicendo piuttosto chiaramente.
    «O per un tea. Per una chiacchierata. Per passare una bella giornata» tornò ad avvicinarglisi e strusciò il naso sul suo petto, allungandosi pigramente su di lui. «Potrei persino darti una copia delle chiavi».
    «È… ci conosciamo appena. Non dovresti fidarti del primo che passa» sentiva sempre più un groppo in gola.
    «Se dovessero mancarmi delle stoviglie saprei già il colpevole».
    Quel momento angosciante si era rapidamente trasformato in qualcosa di tenero. E inaspettato. E bellissimo.
    «E i tuoi fratelli?» gli accarezzò i capelli con dolcezza, finalmente in pace.
    «Rubano solo vestiti. Tu non lo faresti mai».
    Risero, rotolandosi fino all’estremità opposta del letto, dove Max costrinse Castor sulla schiena, bloccandogli i polsi. Il rosso mugolò, divertito da quell'iniziativa. Era andata bene.
    Molto meglio di quanto si sarebbe mai aspettato.
    «Cos’hai in mente?» fece le fusa senza provare a riprendere il controllo.
    «Fare colazione» stette al gioco, arrossendo. Forse non era così disinvolto come avrebbe voluto essere, ma era un buon inizio. Un inizio dannatamente buono!
    «Serviti allora» lo provocò, leccandosi le labbra.
    Che ci provasse. Non vedeva l’ora.
    «Castor, sei nudo? Non voglio entrare e vedere i tuoi gioielli al vento!» una voce purtroppo conosciuta arrivò attutita dalla parte opposta della casa, distruggendo quello che sarebbe stato un momento meraviglioso.
    «Cosa…» Max si ritrasse come se si fosse scottato, sedendosi sul bordo, mentre Castor si sollevava con un sospiro disperato.
    «Devo toglierle quelle maledette chiavi».
    «Verrà qui?» Max si guardò intorno come a valutare l’ipotesi di nascondersi sotto il letto.
    «Non lo farebbe mai» non sembrava molto convinto. «Vado avanti io. Tu trova qualcosa da metterti».
    La richiesta lo lasciò spiazzato. Il volto impietrito di Max cercò quello assurdamente rilassato di Castor. Si rendeva conto di quello che gli stava chiedendo? Sarebbe dovuto tornare in quella cucina, davanti a quella donna, come se nulla fosse successo?
    «Forse è meglio che vada a casa» c’era solo da immaginare cosa sarebbe successo se si fosse presentato anche l’altro fratello.
    «No» lo guardò negli occhi per fargli capire. «Vestiti, la colazione ti aspetta».
    Max chinò il capo, nascondendo il viso tra quelle ciocche rosse ribelli. Gli stava venendo voglia di piangere come una femminuccia.
    «Muoviti, non voglio che ti veda nudo» Castor svicolò imbarazzato prima di raccattare qualcosa da terra e svanire dietro la porta.
    Max rimase ancora per un attimo a godersi il momento prima di passare al problema successivo: dove diavolo erano finiti i suoi vestiti? Frugando tra la stoffa sul pavimento si rese conto che i suoi abiti dovevano proprio gradire il salotto.
    Sbirciò dallo stipite, controllando che non ci fosse nessuno in corridoio – ignorando le battute dalla parte opposta della casa – e scivolò dentro la sala, inciampando immediatamente nel mastodontico cuscino del divano. Era un casino lì dentro.
    Recuperò i jeans dallo schienale – non aveva idea di dove fossero finite le mutande – e la maglietta, decidendo che la camicia sarebbe stata bene dov’era, incastrata sotto i cuscini.
    Dallo spiraglio della seconda porta poteva vedere Castor entrare e uscire dal suo campo visivo, impegnato in chissà cosa, una volta persino seguito da uno straccio volante.
    Fu quando alzò lo sguardo – cogliendolo a fissarlo di nascosto – che si obbligò ad uscire. Avrebbe smesso di essere vigliacco, lo giurava. E si sarebbe preso la meritata rivincita.
    Basta nascondersi.
    «Buongiorno».
    Sperò di non sbagliarsi nel vedere un lampo di orgoglio negli occhi di Castor.
    Clio si illuminò, sfoderando il più largo sorriso che avesse mai visto su una ragazza.
    «Ciao» cinguettò felice, scendendo dallo sgabello saltellando – era parecchio bassa, molto più di quanto si aspettasse: gli arrivava sì e no al torace. Incredibile come una cosetta tanto piccola potesse essere tanto molesta.
    «Ciao» fece di rimando, impreparato a quella reazione.
    «Oggi sei vestito» constatò, atteggiando la bocca in una smorfia contrariata, facendolo – chissà come – sentire in colpa per essersi messo la maglia e ancora più nudo di prima.
    «Giù le mani» intervenne Castor, passandogli accanto per raggiungere il tavolo e strizzandogli una natica, «lui è mio!»
    Max scattò appena, ma Clio non sembrava essere dispiaciuta quella dimostrazione di possesso, perché rise ancora più forte e gli diede una pacca sul bicipite.
    «Questo significa che Eleo aveva ragione. Sta arrivando, perché tu lo sappia: è in macchina con Oscar. Hai preparato la colazione?»
    «Che cazzo stai dicendo?» il rosso la squadrò, sconvolto. «Che giorno è?»
    «Domenica» confermò, picchettando il giorno cerchiato sul calendario, appeso proprio lì accanto. «Ci avevi promesso scones, pancakes e muffin».
    «Non me lo ricordo!»
    «Sì, beh, forse eri un pochino ubriaco quando l'hai detto» annuì perfida.
    «Forse è meglio se-» Max non aveva voglia di trovarsi ancora in mezzo ad un ritrovo O'Connell, vista com'era andata la precedente.
    «Oh, no» intervenne Clio.
    «Quello è il tuo posto» disse Castor contemporaneamente, battendo una mano sullo sgabello più vicino ai fornelli.
    Sentendosi messo alle strette, si appollaiò dove indicato e rimase rigido in attesa che Castor finisse di preparare gli ingredienti e che Clio smettesse di fissarlo come se fosse stato una statua in esposizione.
 
°°°
 
    Il frantumarsi di qualcosa a terra annunciò l’arrivo di qualcun altro alla festa.
    «Castor! Quando ti deciderai a capire che il fottuto posto per i vasi non è l’ingresso?» la voce si levò indignata dal corridoio.
    «Quando tu smetterai di distruggere tutto con la tua grazia» la seconda voce sembrava una replica della prima – stessa arroganza e decisione – ma solo per il fatto che avesse ribattuto a Oscar aveva guadagnato la simpatia di Max.
    Eleo era una versione più giovane di Castor: stessi occhi penetranti – eredità di famiglia – e capelli tinti, sebbene biondi. L'unica differenza sostanziale era dovuta al fatto che il giovane – non poteva avere più di diciotto anni – sembrava essere stato tirato, tanto era alto.
    Precedeva il fratello maggiore con baldanza ma si fermò di botto sulla soglia per non farlo passare.
    «Togliti dalle palle!» sibilò Oscar appena dietro, in naso premuto nella chioma ingellata contro cui si era trovato per aver camminato con lo sguardo fisso sul tablet.
    «Ti salvo la vita fratello: c'è il tuo arcinemico».
    L'uomo sbirciò da sopra la sua testa e regalò a Max una delle sue migliori occhiate di disapprovazione.
    «Cosa ci fa ancora qui?»
    «Colazione» cinguettò Clio chinandosi per avvicinarsi al ragazzo, indicando il fratello. «Ma non mangiarlo, ha un pessimo sapore!»
    Le orecchie di Oscar raggiunsero un preoccupante livello di rossore alla battuta della sorella. Se la sua assurda famiglia non avesse smesso in tempi brevi di prenderlo per i fondelli li avrebbe estromessi dal giro di affari.
    «Ciao» Eleo avanzò a grandi passi, la mano tesa in direzione di Max, «piacere».
    Thank God, il fratellino sembrava normale.
    «Maximillian» gliela strinse sollevato.
    «Lo so, hai fatto bene a minacciarlo».
    Come non detto.
    Oscar si sedette alla solita sedia ignorando al meglio la presenza del ragazzo.
    «Allora questi muffin? Non ho tutto il giorno!»
    «Vatteli a comprare» mormorò Castor rimestando l'impasto.
    «Avevi promesso».
    «Me lo avete estorto» puntualizzò.
    Max osservò il quadretto familiare scambiarsi battute, insulti e occasionali lanci di suppellettili.
    Avvertì una tale fitta di nostalgia da costringerlo a chiudere gli occhi. Erano più di tre anni che non tornava a casa. Sean gli aveva mandato diverse mail, alcune con foto allegate, ma sapere che Dom Jr. fosse diventato più alto di Ted oppure che Liam si fosse fatto crescere i capelli fino a metà schiena non rendeva. Gli mancava l’odore della cucina di sua madre.
    Vedere Castor fare la linguaccia alle spalle di Clio gli diede un tale senso di tenerezza che si chiese come avesse potuto non rendersene conto prima. Quella famiglia disfunzionale era talmente unita da fargli venire voglia di abbracciarli.
    Eleo, che aveva continuato a blaterare delle minacce perpetrate nei confronti del fratello maggiore negli anni, rimase sconcertato dalla piega di dolore sulle sopracciglia corrucciate dell'ospite.
    «Non fanno sempre così» si affrettò a rassicurarlo. «In realtà vanno d’accordo».
    «Ne sono certo».
    Nonostante la distrazione, anche Castor si era accorto che qualcosa non andava perché gli passò una mano sulle spalle, baciandogli la sommità della testa.
    Un gesto talmente intimo da farlo arrossire. Non se lo aspettava.
    Evidentemente doveva essere un comportamento insolito per il rosso perché Eleo si mise a ridacchiare alle occhiate insofferenti di Orion, quelle deliziate di Clio e l’unica lunga occhiata allibita di Max.
    Castor infornò la seconda teglia di muffin, ignorandoli con nonchalance. Lui l’aveva detto che sarebbe stato diverso; i cretini erano stati loro a non crederci. Poteva anche essere un vigliacco ogni tanto, ma perlomeno, una volta presa una decisione, era suo uso mantenerla fino in fondo.
    Se i suoi fratelli ne sarebbero venuti a capo a breve, Max vi avrebbe impiegato più tempo.
    I muffin erano venuti bene, ma avrebbero avuto bisogno ancora di qualche attimo per essere prelevati senza rovinarli. Solo uno scivolò fuori dalla teglia senza sforzo: lo diede a Max.
    «La colazione, come promesso» sussurrò. Il ricordo di quella che sarebbe dovuta essere la loro colazione premeva ancora da qualche parte nel bassoventre, nascosto dai più larghi pantaloni della tuta in dotazione al suo guardaroba. Il suo odore non era ancora andato via da Max, l’aveva sentito quando si era chinato per baciarlo. Tempo prima quell’intimità lo avrebbe fatto arretrare, ma il dolore e l'insonnia patiti durante la settimana precedente gli avevano fatto vedere le cose da una diversa prospettiva.
    Non poteva modificare le azioni passate, ma avrebbe imparato dai propri errori.
    «Grazie» non aveva idea se il rossore alla base del collo fosse dovuto all’imbarazzo provocato della famiglia o alla sua vicinanza. Di sicuro teneva gli occhi ben piantati sulle sue dita. Magari stava ricordando quello che gli avevano fatto durante tutta la notte.
    Il fatto che non fosse scappato rappresentava un bel passo avanti.
    Gli diede una rapida stretta alla mano – ricambiata fugacemente – prima di tornare alla colazione.
    «Siete disgustosi» fu il commento di Oscar a quella scenetta sdolcinata, ma si vedeva che non era veramente contrario. Clio ghignò da dietro la tazza, mai una volta che Orion mostrasse il suo vero volto.
    Max osservò le dinamiche con maggiore attenzione: in fondo non erano poi così complicati. L’affetto tra di loro era innegabile. Eleo sembrava il più comprensivo tra tutti, il più calmo. Clio doveva essere la personalità più forte – essere una donna rendeva necessario compensare in qualche modo, visti quei fratelli ingombranti. Castor era l’eccentrico, forse il meno classificabile tra loro, ma i precedenti avevano dimostrato quanto in realtà tenesse a quella sgangherata marmaglia. Il suo atteggiamento ricordava quello di Noah – forse tra geni si sarebbero capiti, pieni di tutte quelle assurde contraddizioni che lo facevano impazzire. Nel bene e nel male.
    E poi c’era Oscar.
    Vederlo sorridere compiaciuto gli dava una certa irritazione, ma si sentiva anche costretto a spezzare una lancia in suo favore. Era stato uno stronzo, ma aveva offerto un lavoro a Bach. E lui gli aveva rubato un cappotto da tremila dollari, l'ultima volta che era fuggito da quella casa – Bach lo aveva cercato su internet.
    Senza una parola prese il piattino che Castor gli aveva messo davanti e lo allungò verso l’altra parte del tavolo.
    Il sopracciglio dell’uomo scattò versò l’alto e l’angolo della bocca tremò appena, dandogli per un attimo un’aria smarrita. Nonostante la vena polemica e l’indiscussa boria, c’era qualcosa in Oscar che lo rendeva affascinante. Suppose che fossero gli occhi made by O’Connell.
    «Considero la proposta di lavoro a Bach un adeguato pagamento per la volta scorsa».
    Oscar lo prese con sufficienza.
    «Sei contento Orion?» Clio gli diede un’affettuosa pacca sul braccio. «Così non dovrai più andare fuori a cena con il terrore di venire steso».
    «Mi chiamo Oscar» sibilò in tutta risposta.
    «Non dare via il tuo cibo. Non per lui!» Castor gli veleggiò nuovamente attorno rimpiazzando il muffin con due crêpe affogate nello sciroppo d’acero.
    «Ho restituito un favore» gli era ancora difficile credere di essere veramente lì, con lui, dopo quello che avevano passato insieme. Fino ad una settimana prima non avrebbe mai immaginato che Castor avrebbe potuto esporsi.
    Erano anni che non provava una gioia tanto normale quanto quella di una persona che ti si siede accanto guardandoti come se fossi un dono, sfiorandoti il braccio con la punta delle dita. Quel fuoco non divampava da anni, sempre che quelle braci che Castor aveva risvegliato fossero mai state accese, oltre la coltre di fumo grigio lasciata a disperdersi anni prima.
    Castor aveva fatto per lui più di quanto avesse mai immaginato – risvegliandogli i sensi, cercandolo nella folla, chiedendogli di riprovarci e accettandolo così com’era. Quella notte gli aveva sussurrato all’orecchio parole che non erano scomparse con il sole della mattina.
    Lo aveva stretto e baciato in posti che, a ripensarci, lo facevano avvampare e – God, non credeva sarebbe mai arrivato questo momento – desiderare di tornare in quella stanza.     Il fruscio dei pantaloni di Castor sullo sgabello era talmente disturbante da chiudergli lo stomaco: fino a quel momento la sua preoccupazione era stata quella di superare indenne l’incontro con gli O’Connell, ora non poteva che sperare se ne andassero in tempi brevi.
    Eleo stava infastidendo Oscar su un imprecisato argomento, Clio enumerava una serie infinita di motivi per cui sì, l’idea di trasferirsi in Giappone era stata molto ben ponderata, e Castor ribatteva punto su punto con razionale fastidio. Nessuno faceva caso a lui, fortunatamente.
    Seguendo quella nuova, irrazionale linea di pensiero, tolse le mani dal piatto. Con il fiato strozzato in gola fece scivolare la sinistra sotto il tavolo e ne posò il palmo aperto sulla coscia di Castor.
    Se Clio si fosse resa conto dell’improvviso pallore del fratello non lo diede a vedere, ma Max avvertì distintamente i muscoli irrigidirsi al suo tocco. Castor portò la propria mano libera sulla sua, premendola prima di intrecciare le dita in una muta promessa. Non lo aveva guardato, ma quel calore era stato più che sufficiente a fargli capire.
    Forse avrebbe fatto in tempo a presenziare agli allenamenti quel pomeriggio.
    In tutto quel susseguirsi di eventi, Max non poté che ringraziare il fatto che Will e sua zia fossero ad Atlanta per le vacanze. In caso contrario non avrebbe saputo come spiegare le continue assenze e l’improvvisa fioritura di succhiotti lungo la gola.
 
 
 
baci
NLH
  
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