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Autore: SamuelRoth93    22/04/2016    1 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO SETTE

“I Care WhAt the Monster Thinks”

 

TEN DAYS LATER…

 

Era la mattina del ritorno a scuola, dopo la lunga sospensione di due settimane. Ne erano accadute di cose in quel lasso di tempo e Sam, scendendo le scale frettolosamente, sapeva che molte cose sarebbero ancora accadute. Con la tracolla che dondolava sul braccio, scivolata dalla spalla, continuava a guardare verso il piano di sopra, cauto, mentre lanciava un’occhiata all’orologio, che segnava le sei e mezzo. Sceso l’ultimo gradito, Sam si diresse in cucina, con la testa ancora girata verso le scale.

Dovette fermarsi bruscamente, quando si voltò davanti, trovando suo padre alla soglia della cucina. La cosa lo colse di sorpresa, l’uomo aveva le maniche della camicia arrotolate e un piatto di pancakes nella mano destra.

“Oh, mi era sembrato di sentirti scendere!” lo accolse con un sorriso beffardo.

L’altro si irrigidì, abbassando quasi sempre la testa e cercando di inumidire le labbra per non mostrare le ferite ancora presenti: “Ehm, pensavo che ti saresti svegliato più tardi oggi!”

“Beh, perché svegliarsi più tardi se questo significa non vedere il proprio figlio per il decimo giorno consecutivo!” si evinse una nota furibonda nel tono.

“Non è vero che non mi vedi per il decimo giorno consecutivo.”

“Per almeno tre o quattro giorni hai continuato a dirmi per telefono che te ne stavi da un amico e quando sei tornato a casa, non hai fatto altro che passare velocemente accanto alle stanze in cui mi trovo io. – spiegò, irritato – Sam, non posso diventare un mostro da evitare solo perché decido di fare una ramanzina a mio figlio per la sua pessima condotta a scuola… - fu più calmo, dopo aver alzato leggermente la voce – Ramanzina che, tra l’altro, ti ho fatto per telefono nell’unica volta che non mi hai chiuso la chiamata in faccia.”

“Papà, non ti sto evitando, ok?” si giustificò quello, mortificato, mantenendo un atteggiamento ritirato.

“Lo spero, Sam. – lo fissò dritto negli occhi - Perché da quando è morto il tuo amico non sembri più tu.”

“Devo andare a scuola, ok?” Sam cercò di evadere da quella conversazione.

“Non è un po’ presto?” lo incalzò, intuendo che era una scusa.

“Papà, non sono arrabbiato con te, ok? – urlò, esasperato – Non ti sto evitando, non sto mentendo.”

Le labbra del ragazzo iniziarono a sanguinare per averle sforzate troppo.

“Cos’hai alle labbra?” notò suo padre, aguzzando la vista. Quasi cercò di sfiorarle con le dita.

Sam indietreggiò, pulendosi il sangue con la mano: “Niente, mi sono morso le labbra!”

“A me sembrano strane, ora che le vedo meglio…” non gli credette, sempre più perplesso.

“Devo andare!” si voltò, spedito verso la porta.

“Fai almeno colazione! – quello non si voltò - Sam!”

“Farò colazione con i miei amici, buonagiornata!” esclamò con freddezza, uscendo.

Suo padre rimase in piedi, immobile, lo sguardo fissò sulla porta che si era appena chiusa. Non riusciva a capire cosa era preso a suo figlio, ma sentiva una profonda inquietudine per come l’aveva percepito.

Sam, fuori, si fermò appena più avanti alla porta, gli occhi chiusi, che cercava di riprendere fiato e trovare la forza di superare quel momento. Quasi gli scese una lacrima per aver mentito l’ennessima volta e per non poter dire la verità a suo padre. Nonostante ciò, riprese a camminare, scendendo le gradinate. Improvvisamente, dovette fermarsi nuovamente: una scatola di media grandezza era poggiata a terra, alla fine dei gradini.

Sam scese lentamente, inginocchiandosi per prendendola in mano, una volta giunto vicino ad essa. C’era un biglietto attaccato sopra.

“Ambasciator non porta pena. Un regalo per i bugiardi!”

-A

 

Dopo aver letto il messaggio, Sam si guardò attorno per tutto il tragitto fino alla macchina.

 

*

 

Riuniti nella camera di Nathaniel, quest’ultimo, Rider ed Eric fissavano la scatola poggiata sul letto a braccia conserte, mentre Sam osservava le foto e la stanza dell’amico con tanta spensieratezza.

“Sam, sei sicuro di non aver visto nessuno? – lo chiamò Rider – Poteva anche uscire tuo padre, penso che A fosse lì e sapesse che saresti uscito tu per primo.”

Quello non rispose, incantato a guardare una foto di Nathaniel in piscina da bambino, sulla scrivania. Rider si voltò, chiamandolo più forte.

“Sam? Mi hai sentito?”

“Eh? – si girò distrattamente – Hai detto qualcosa?”


Hai detto qualcosa? – la trovò una domanda assurda – Sam, c’è una scatola mandata da A qui davanti a noi e mi stai chiedendo se ho detto qualcosa?”

“Scusa… - sorrise quello, mortificato – è che non ero mai stato nella stanza di Nathaniel.”

Eric e Rider lo fissarono abbastanza straniti, più di Nathaniel, che, invece, si sentì in imbarazzo.

“Anche per me è la prima volta, ma non credo che andrò a scriverlo sul mio diario segreto…” commentò Eric, sarcastico.

Nathaniel fece un colpo di tosse, focalizzando nuovamente il gruppo sulla scatola: “Ok, la mia camera emoziona anche me, ma adesso dobbiamo pensare alla scatola. E farlo in fretta! Se arriviamo tardi al nostro rientro dalla sospensione, Ackett aumenterà le nostre ore extracurriculari fino alla luna piena!”

Tutti si voltarono nuovamente verso la scatola, Sam si avvicinò accanto a loro, mentre la fissavano.

“Beh, è un regalo, no? E i regali si aprono…” Rider mise le mani sopra di essa, scoperchiando lentamente la scatola.

Con il fiato sospeso per il contenuto, Rider finalmente aprì la scatola, per poi farsi indietro. I quattro rimasero alquanto perplessi da ciò che stavano osservando: quattro telefoni e quattro bracciali.

“Si può rifiutare un regalo?” domandò Sam, rabbrividendo.

I telefoni si accessero contemporaneamente.

Eric fissò i suoi compagni, prima di tornare a guardare i telefoni: “Sembra che ci sia un nuovo messaggio per tutti noi… - deglutì – E i miei peli delle braccia hanno appena avuto un erezione!”

Rider ne prese uno; ogni telefono aveva davanti un cartellino con i loro nomi per segnalare a chi appartenesse.

“Nel mio ci sono tre messaggi…”

“Io solo due…” aggiunse Nathaniel, seguito anche da Sam ed Eric.

Rider deglutì amaramente, mentre tutti leggevano il primo messaggio. Uguale per ognuno di loro.

 

“Nuovi telefoni, nuove regole.”

-A

 

I quattro si guardarono tra loro, per poi passare al secondo messaggio. Anche questo, uguale per tutti.

 

“Indossate i bracciali con i vostri nomi.”

-A

 

Si guardarono nuovamente, sempre più preoccupati da ciò che aveva in mente il loro nemico. Subito dopo, eseguirono.

“Perché il mio è rosa? – sussultò Nathaniel, irritato – Non lo metto!”

“Nat, hai letto quello che ha scritto A, no? – lo richiamò Rider con tono serio – Se ci dice che dobbiamo mettere i bracciali, noi mettiamo i bracciali!”

“E da quando ti interessa quello che dice il mostro?”

“Mi interessa da quando io, Eric e il mio cane abbiamo quasi respirato acqua di fogna dentro i nostri polmoni.” ribattè Rider, ancora provato da quella vicenda.

Alla fine, Nathaniel si arrese, indossandolo.

“Dai, al massimo lo metti sotto alla manica e non lo vede nessuno.” gli consigliò Eric.

Quando lo indossarono anche gli altri, le due estremità si agganciarono con un sonoro click. Lo trovarono talmente bizzarro che si guardarono l’un l’altro, mentre Sam provava a toglierselo.

“Ehi, ma… - si sforzò nel cercare di sganciarlo – Non si toglie più!”

“Ma dai! – esclamò Rider, una nota scettica nel tono, mentre ci provava anche lui – Certo che si togl…  - si affannò, nel tentativo – Ma che diavolo??”

Anche Nathaniel ed Eric provarono a toglierselo, ma invano.

“Ok, questo sì che è strano!” si espresse Nathaniel, sgranando gli occhi.

“Dobbiamo preoccuparci?” Eric si rivolse a tutti, spaesato.

Nessuno sapeva cosa dire, mentre abbassavano i telefoni. Solo Rider aveva ancora un messaggio da leggere e lo fece, osservato dai suoi compagni.

 

“Torna a casa, c’è un altro pacco per te. Quando avrai finito, raggiungi i tuoi amici all’entrata della scuola.”

-A

 

“Un altro pacco? – Sam si mostrò preoccupato – Non sarà pericoloso?”

“Ho altra scelta?” replicò Rider, seccato.

“Ha scritto che dovrà raggiungerci a scuola, no? – fece notare Eric – Non penso che gli accadrà qualcosa.”

“Dev’essere di nuovo il mio turno, questo. – pensò Rider – Evidentemente è qualcosa inerente alle elezioni.”

“Non sarà stato difficile per A mettere quest’altro pacco a casa tua!” Sam alluse a Lindsay.

Rider si irritò, fissandolo a lungo, per poi lanciare una frecciatina: “Hai parlato con Chloe?”

“E’ ancora nel South Dakota, da sua madre.”

Rider si alterò: “Pensava che la disinfestazione sarebbe durata un mese?”

“Strano, non abbiamo mai avuto problemi di topi a scuola…” pensò Eric a braccia conserte.

“C’è un seminterrato sotto la scuola… - intervenne Nathaniel - Saranno arrivati da lì!”

“Topi o no, - Rider si avvicinò alla finestra, dando le spalle - la scuola ha riaperto due giorni fa e Violet ha fatto il suo discorso. Ha praticamente vinto, non mi sono nemmeno presentato…E questo dimostra quanto me ne frega, gli studenti mi voteranno sicuramente.”

“E adesso Violet è rilevante in questo discorso per quale motivo? – ribattè Sam, perplesso – Insomma, abbiamo ormai capito che non è A, perciò…”

Rider si voltò, teso: “Non sarà A, ma ci odia! Immagina come saranno i nostri ultimi due anni con tutti che pendono dalle sue labbra. Saremo ancora più emarginati e c’è chi ne trarrà piacere a trattarci come Anthony trattava tutti…Io non voglio stressarmi e iniziare ad andare male in tutte le materie. Ho già A a cui pensare e la serenità scolastica è qualcosa che mi serve o giuro che crollerò.”

“Sentite, forse se è meglio se ci avviamo. – suggerì Eric, osservando l’orario - Stiamo perdendo già troppo tempo!”

“Eric ha ragione.” lo appoggiò Nathaniel.

I quattro si guardarono, abbastanza esausti da quella situazione.

 

*

 

Rientrato a casa, Rider stava salendo le scale, diretto verso la sua stanza. Nel corridoio si imbattè in Lindsay, quasi ci sbatteva contro.

“Ehi, ma che problemi hai? Non eri uscito?” si alterò, quella, irritata come di suo solito.

“E tu che ne sai?”

“Ehm, - fu sarcastica – la tua camera era vuota?”

“Sei entrata in camera mia? – alzò la voce – Perché sei entrata in camera mia?”

L’altra lo fissò a lungo, perplessa dal suo comportamento: “Guarda che ci sono passata solo davanti. La porta era aperta. – spiegò, disgustata  – E poi non ti ho nemmeno sentito parlare da solo come al solito, così ho pensato che eri uscito. Tutto qui.

Rider era più calmo, ma comunque sul chi va là: “Io non parlo da solo!”

“E invece lo fai continuamente. Ripeti tutte le materie del giorno, prima di andare a scuola. Quando ti alzi, quando fai colazione, quando ti lavi i denti…Ripeti, ripeti, ripeti! Oggi, invece, quando mi sono svegliata, c’era il più totale silenzio…La casa puzzava di ignoranza senza te, Mamma e Papà.” concluse con una vena sarcastica.

“E’ per questo che ce l’hai sempre con me? Perché ti senti inferiore?”

“Non mi sento inferiore a te, fratellino. Non mi sento inferiore a nessuno. Io diventerò famosa, una modella! Forse anche un’attrice… - sorrise – E arriverà il giorno in cui voi capirete che l’intelligenza sta anche nel saper usare anche il resto del corpo e non solo la testa. La bellezza è un arma che il cervello stesso non può concepire. E un giorno sarò fiera di me stessa, perché avrò raggiunto tutto da sola. Nonostante nessuno abbia mai creduto in me.”

“Oh, ti prego, risparmiami il clichè delle ragazze bionde che sono stupide. Non l’ho mai pensato!”

“Sì, che l’hai pensato. Lo pensate tutti!” urlò, sofferente nel tono.

 

FLASHBACK

 

Rider cercava qualcosa nei cassetti della sua scrivania. Anthony era in piedi davanti alla porta, socchiusa alle sue spalle.

“Come hai fatto a perdere la copia del test di Matematica?” lo rimproverò, mentre l’altro sudava nel cercarlo, risollevando continuamente gli occhiali dalla punta del naso.

“Semplice, io non ho bisogno delle risposte corrette. Io STUDIO per rispondere correttamente!” replicò con un pizzico di ribellione nel tono.

“Beh, ti avevo chiesto quella copia del test almeno una settimana fa!”

Rider si fermò dal cercare, fissandolo: “E io avevo quel test già dal giorno dopo in cui me l’hai chiesto. Eri tu che non c’eri, ti ho mandato un sacco di messaggi.”

“Sono stato impegnato, ok? – si giustificò quello, preso in contropiede – E se non trovi quello stupido foglio, chiedi a tua sorella di procurarsene un altro. Non credo che per lei sarà un problema.” alluse alla relazione della ragazza con il suo Professore.

“No, non credo.” ribattè, incapace di andare contro di lui, abbassando lo sguardo.

Improvvisamente, Anthony assunse un espressione beffarda: “Mi chiedo come a nessuno risulti strano che tua sorella vada male in tutte le materie, tranne che in Matematica. – rise – Se sei intelligente in una materia, dovresti esserlo anche nelle altre.”

“Solo tu riesci a notare queste cose, Anthony.” replicò Rider, assumendo un espressione seria e svogliata.

“E anche tu! - esclamò, lasciandosi scappare una risata cinica – Non sono l’unico in questa stanza a sapere della tua cara sorellina che va a letto con il professore.”

“Senti, possiamo non parlare di lei? Sono affari suoi!” si irritò.

“Di sicuro non miei, non sono suo fratello. – lo guardò con finta compassione – Sai, un po’ mi dispiace per te. Non dev’essere bello avere una sorella che cerca di fare del suo meglio nella vita, rotolandosi sotto ad una coperta…O saltando su una cattedra, in questo caso.”

“A me non dispiace, ok? – si alterò – Siamo completamente diversi e non mi è mai interessato nulla della sua vita. Presto le nostre strade si divideranno e potrà usare i suoi stupidi neuroni come diavolo vuole! – si calmò, poi – Ora possiamo cambiare discorso?”

“Adesso, sì!” rispose, sogghignando, come se il suo scopo fosse quello di farlo arrivare al limite.

Lindsay era dietro la porta socchiusa e aveva ascoltato tutto.

 

“Pensi che non ti abbia mai sentito parlare con Anthony di me? Di quello che pensavate entrambi?” fece presente Lindsay, di tutte le volte che passava dalla sua stanza.

“Ma non pensavo davvero quelle cose. – cercò di giustificarsi - Era dovuto alla rabbia del momento, Anthony era così stronzo.”

“E invece le pensavi…E le pensi tutt’ora!” ribadì.

“Penso solo che tu stia commettendo un errore a stare con uno più grande di te e che fa l’insegnante. Non ti rendi proprio conto?”

“Io lo amo davvero. E lui ama me. Non è una stupida cotta, ok? Alcune volte gli amori proibiti non sono del tutto sbagliati.”

“Questo lo è! – la prese per i polsi, mostrandosi esageratamente preoccupato – Credimi! Tiratene fuori, prima che…”

L’altra, fulminandolo con un occhiata confusa, tirò via i suoi polsi: “Prima che, cosa? Ti droghi per caso?”

“Lindsay, ascoltami!” insistette, fermato nuovamente.

“NO, non ti ascolto! Non rinuncerò a Julian solo perché tu non sai cosa vuol dire amare qualcuno…Perché noi ci amiamo davvero e lui crede in me a differenza di tutti voi. E stai certo che un giorno lasceremo Rosewood insieme!” e si voltò, andandosene via, furente.

“Lindsay, aspetta!” le urlò, cercando di fermala, ma quella era già al piano di sotto. La porta d’ingresso sbattè: era uscita.

Rimasto da solo, Rider sospirò, per poi entrare in camera sua e trovare il pacco lasciato da A, sul suo letto.

Avvicinatosi, abbastanza teso, prese in mano il biglietto che c’era sopra.

 

“Indossa ciò che trovi dentro e raggiungi i tuoi amici a scuola.”

-A

 

Intimorito dal contenuto, scoperchiò la scatola, restando agghiacciato all’istante. Subito dopo, iniziò a togliersi gli occhiali, gli occhi ancora sgranati.

 

*

 

Nel frattempo, gli altri avevano raggiunto la scuola. Sgattaiolati nel pargheggio, Sam, Nathaniel ed Eric stavano puntando una delle auto, mentre chiacchieravano.

“E se ci becca? Diventerebbe alquanto imbarazzante, non credere?” si pronunciò Eric, che camminava avanti ai due.

“Rider non è riuscito ad attivare il chip dal tablet, quindi dobbiamo farlo per forza manualmente!” replicò Sam.

“E poi Brakner è sicuramente dentro, - spiegò Nathaniel – abbiamo campo libero!”

Ora erano proprio accanto all’auto dell’uomo e Sam si inginocchiò accanto alla ruota posteriore, muovendo il braccio sotto la vettura, in cerca del chip.

“Allora? – aprì bocca Eric, dopo qualche minuto – Che succede?”

“Non riesco a trovarlo… - cercò ancora Sam, per poi arrendersi e risollevarsi – Deve averlo tolto, l’ha scoperto!”

Nathaniel ne rimase incredulo: “Incredibile, non abbiamo più i nostri  telefoni da più di una settimana e A ci ascolta ugualmente.”

“Beh, abbiamo parlato del chip alla casa sul lago. – ribbatè Eric – Magari A ha messo dei microfoni anche lì!”

Sam sbuffò: “Sono stanco di non avere più una privacy…Finiremo per imparare a parlare telepaticamente pur di non farci ascoltare da lui!”

“Torniamo all’ingresso, - suggerì Eric, guardandosi attorno – Rider starà per raggiungerci.”

Gli altri due annuirono, prima di avviarsi.

Improvvisamente, mentre camminavano, Eric si fermò, in seguito ad un pensiero che lo lasciò riflettere. Sam si voltò, accorgendosi che si era fermato.

“Ehi, che hai?”

Anche Nathaniel si voltò, aspettando una risposta.

“E se Chloe ci avesse visti? – fissò i due a lungo – Insomma, se ha visto Lindsay, Albert e Brakner, avrà visto sicuramente anche noi, arrivare subito dopo.”

“No, - scosse energicamente la testa, Sam – me l’avrebbe detto sicuramente e, inoltre, non era sconvolta quando mi sono rivisto con lei dopo quella notte. Chloe non sa mascherare la paura, la conosco. Dev’essere andata via immediatamente.”

“Sam, Rider ha ragione, - pensò Nathaniel - devi parlare con Chloe. Non solo capiremo che diavolo ci facesse in giro a quell’ora, dopo che eri uscito tu, ma potrà anche dirci cos’ha visto e sentito.”

“Ragazzi, voglio scoprire queste cose almeno quanto voi, ma Chloe non mi risponde. Quando va fuori Rosewood è come se sparisse nel triangolo delle bermuda.”

Ripresero a camminare.

“Perché la madre di Chloe non vive a Rosewood? – domandò Eric, curioso – Lei vive da sola con i suoi zii, qui, giusto?”

“Perché la madre di Chloe vive nel South Dakota e la sua vita è lì. E’ stata Chloe a decidere di voler venire a Rosewood a vivere con i suoi zii. Dopo che sua madre si è risposata, ha acquisito dei “fratelli” e Chloe non va molto d’accordo con la sua sorellastra. Per lei era insostenibile restare in quella casa e frequentare la scuola con loro.”

“In ogni caso, continua a chiamarla!” aggiunse Nathaniel.

Da dove si trovavano, ora, riuscivano a scrutare l’ingresso della scuola. Davanti alle gradinate, un ragazzo. Di spalle.

I ragazzi si fermarono uno dietro l’altro, come un effetto domino. Abbastanza impressionati.

“Ma quelli sono i vestiti di…” pensò Sam, mentre Eric completava la frase.

“Albert?”

Quel ragazzo si voltò, ed era Rider. Si diresse verso i suoi amici, notandoli, stringendo le cinghie dello zaino in maniera insicura, lo sguardo di tutti addosso.

Giunse davanti a loro, lo sguardo ancora basso, abbastanza a disagio: “Ehi…”

“Rider, ma quelli sono…” Nathaniel lo scrutò da capo a piedi, agghiacciato.

“I vestiti di Albert? Sì! – esclamò con una nota seccata nella voce – Ci mancava solo che mi facesse tingere i capelli come i suoi.”

“I tuoi occhiali? – intervenne Sam, incredulo - Ci vedi senza?”

“Ho delle lenti a contatto… - si guardò attorno, sempre con gli occhi addosso – Dio, perché mi sta facendo questo? – pensò, nervoso – Prima ha fatto in modo che mi odiassero tutti per aver preso parte a quel video, poi mi ha candidato alle elezioni e ora questo!”

“Tutti abbiamo preso parte a quel video… - specificò Sam, ricevendo un’occhiataccia dall’amico – Che c’è? Dal minuto otto al minuto quattordici è il mio primo piano che si vede mentre parlo!”

Eric intervenne, cambiando argomento: “Ehi, siamo stati alla macchina di Brakner. Niente chip, l’ha tolto!”

“Cosa? – Rider reagì con una smorfia esagerata – Ma-ma…Adesso come facciamo ad arrivare al covo di Brakner? Non abbiamo più chip. Quello che avevo addosso nelle fogne, l’ho perso!”

E mentre si guardavano l’un l’altro, spaesati, il suono dei loro telefoni notificò un messaggio. Dopo una rapida occhiata tra loro, ognuno alzò il proprio telefono per leggere.

 

“Bentornati a scuola, bugiardi. L’unione fa la forza, perciò affronterete questo primo giorno da soli. Separatevi fino a nuovo ordine, oppure…”

-A

 

“Oppure cosa? – si alterò Rider – Ci lega all’asta della bandiera?”

“Rider!” lo richiamò Nathaniel, cercando di calmarlo.

“Cosa, Nat? – urlò – Eh? Per te sarà facile restare da solo oggi, tanto non sei tu quello che è vestito da Albert!”

“Adesso calmati, Rider. – si intromise Sam – Non eri tu quello che diceva che dovevamo assecondare il mostro?”

Rider si zittì, abbassando lo sguardo. La campanella stava suonando.

“Ragazzi, credo sia meglio entrare. – suggerì Eric - Non voglio scoprire qual è la conseguenza al mancato ordine di A.”

Rider roteò gli occhi, avviandosi. Seguito dallo stesso Eric e poi da Sam. Nathaniel rimase indietro.

“Ehi, Sam!”

Quello si voltò, mentre gli altri continuarono a camminare.

“Che c’è?”

“Sta lontano da Brakner, se lo incontri… - lo fissò negli occhi, preoccupato per lui – Ok?”

Sam, restando incantato a guardarlo per qualche secondo, colpito dalla sua preoccupazione, finalmente disse qualcosa: “Ehm, ok…Sta attento anche tu!”

“So badare a me stesso. – sorrise – Tu pensa a te, va bene?”

Sam ricambiò il sorriso: “Va bene…” e si voltò, continuando a camminare, accentuando quel sorriso, genuino.

 

*

 

Rider aveva appena richiuso il suo armadietto, diretto in classe. Rallentava, non appena vedeva qualcuno fissarlo. Molti scuotevano la testa, bisbigliando disgustati. Preso un sospiro, accellerò il passo. Il telefono suonò nuovamente: un nuovo messaggio era arrivato.

“Sei pronto per il test a sorpresa sui padri fondatori? Barra tutte le A, magari una risposta riesci ad azzeccarla.”

-A

Rider si fermò un attimo, non credendo a quel messaggio. Aveva studiato molto per quel test, dopo essere stato avvertito dal Professor Palmer, incontrato al mercatino dei libri usati la settimana prima.

Non appena entrò in classe, demoralizzato, fu proprio il suo sguardo che incontrò.

Palmer sgranò gli occhi nel vederlo.

“…Stuart, prenda posto.” si pronunciò, allibito.

Rider si diresse al suo banco, osservato dai compagni e da Sam, Nathaniel ed Eric, seduti l’uno distante dall’altro. Nemmeno le parole di Palmer riuscirono a spostare gli sguardi incessanti della classe.

“Preparate le vostre penne, ragazzi. – Palmer prese una pila di fogli dalla sua borsa – Test a sorpresa sui padri fondatori!”

Un lamento generale si fece sentire, mentre distribuiva i test. Quando Rider ricevette il suo, assieme ad una lunga occhiata di Palmer, quello deglutì malamente.

Le sue mani sudate presero la penna e ad ogni domanda, c’erano quattro opzioni. Sfortunatamente, però, era stato costretto a sceglierne solo una; alla prima domanda, infatti, Rider mise una crocetta sulla A, consapevole che avrebbe scelto la stessa opzione fino alla fine del test.

 

*

 

Più tardi, verso l’ora di pranzo, Eric era appena entrato in mensa. Gli arrivò un messaggio, mentre camminava.

 

“Prendi il posto di Colton Rhimes alla mensa della scuola. I poveri distibuiscono il cibo, non si fanno servire.”

-A

 

 

Quando sollevò il capo, infatti, Colton non era più alla sua solita postazione, ma era seduto assieme a sua sorella e altri studenti ad uno dei tavoli. Eric assunse un broncio serio sul volto, mentre quelli ridacchiavano, lanciando rapide occhiate: Violet per prima. Senza obbiettare, sotto gli occhi dei suoi amici, seduti a tavoli diversi, si diresso al banco del cibo, indossando la cuffietta bianca e il grembiule. Eric si scambiò un rapido sguardo con Sam, Rider e Nathaniel, prima di dar retta a due studentesse con in mano il vassoio.

Improvvisamente, l’altoparlante della scuola, fece un annuncio. Era il preside Ackett a parlare.

“E con una vittoria schiacciante e più che prevedibile, il nuovo presidente del comitato studentesco è Violet Rhimes. Congratulazioni!”

Immediatamente, tutta la mensa si alzò in piedi, applaudendola, mentre lei si mostrava lusingata e sorridente.

Sam, Eric, Rider e Nathaniel si scambiarono nuovamente uno sguardo, più isolati che mai.

 

*

 

Poco prima di iniziare la sessione pomeridiana, Sam si prese una pausa, rinfrescandosi nel bagno dei ragazzi. Davanti al lavandino, provò a richiamare la sua amica.

“Chloe appena ascolti questo messaggio, richiamami. E’ importante! – sospirò – Richiamami, per favore.”

Messo il telefono giù, il ragazzo sbuffò, poggiato al lavandino con entrambe le mani, gli occhi chiusi. Improvvisamente, qualcuno lo prese per i fianchi e lo bacio sul collo. Sam reagì di scatto, scansandosi. Si trattava di uno studente.

“Ma che cavolo ti dice il cervello??” lo fissò, sconcertato.

L’altro rise, arrogante: “Io so che sei gay e tu sai che sono gay…Pensavo fosse chiaro cosa ho nel cervello!”

“Tu sei gay?” se ne meravigliò Sam.

Quello lo fissò, confuso: “Ma che problemi hai?”

“Che problemi hai TU, Cameron! – si alterò – Sta alla larga da me, ok?”

“Prima mi attiri qui e poi mi respingi? – si infuriò – Mi stai filmando, forse? E’ una trappola?”

Sam lo fissò a lungo, confuso: “Ma di cosa stai parlando? Io non ti ho attirato in un bel niente!”

“Mi hai mandato un messaggio! – prese il suo telefono, mostrandoglielo – Questo è il tuo numero, mi pare.”

Da Sam:

“Ti va se ci vediamo in bagno fra dieci minuti?”


“Cosa? – reagì, scioccato, difendendosi immediatamente - Non te l’ho mandato io!”

“Strano, perché sono tre giorni che messaggi con me!”

“Tre giorni???” si chinò in avanti con la testa per lo stupore.

“Senti… - si avvicinò verso di lui – So che sei spaventato ora che le cose si sono fatte serie. Nemmeno io volevo incontrarti, ma è bello sapere che c’è qualcun altro  come te, nella tua stessa scuola… - lo riprese nuovamente per i fianchi – E poi, ti ho sempre trovato carino quando ti vedevo gironzolare per i corridoi assieme ad Anthony e il suo gruppetto…” e tentò di baciarlo, mentre l’altro era disagio.

“No, smettila… - si scansò, ma quello lo riacciuffò – Basta, lasciami, CAMERON! – cercò di spingerlo via, urlando – Lascimi, ho detto!”

A tirarlo via da Sam, prendendolo da dietro, fu Nathaniel, che lo sbattè al muro.

“Stai bene?” chiese a Sam.

Quello annuì, mentre Cameron riprendeva fiato.

“Ma che vuol dire tutto questo? – si rivolse a Sam – Ti stai prendendo gioco di me?”

“Farai meglio ad andartene, - lo avvertì Nathaniel - prima che dica a tutta la scuola che Cameron il donnaiolo è in realtà un finocchio!”

Indignato, guardò i due, per poi andarsene, furioso.

Sam era fortemente provato, mentre si sciaquava la faccia.

“Si può sapere che cavolo è successo?”

“Non lo so, ok? – urlò Sam – Mi è sputato alle spalle all’improvviso e ha tentato di baciarmi. – quasi non riusciva a respirare, aveva un attacco di panico – Dice che ho messaggiato con lui per giorni e che gli ho detto io di venire qui in bagno.”

“Ok, sta calmo… - gli mise una mano sul petto e una sulla schiena, cercando di farlo respirare meglio – Dammi il tuo telefono.”

Sam glielo consegnò e Nathaniel potè esaminarlo.

“Ha ragione, qui ci sono delle conversazioni tra di voi… - alzò lo sguardo su Sam – Conversazioni molto intime.”

L’altro era a dir poco agghiacciato: “C-cioè, adesso si spaccia anche per noi con altre persone? Oggi vengo aggredito da Cameron, domani chissà da chi altro? – si agitò – E’ questa la mia vita, adesso?”

“Ci sta solo provocando, ok? Vuole che uno di noi crolli, affinchè confessi tutto: E’ questo il suo obbiettivo!”

“E’ assurdo, - era in lacrime - nessuno di noi confesserà mai qualcosa che non ha fatto. Tanto vale che ci dica di cosa si tratta, non può torturarci così!”

“Sta allungando il brodo per Albert. Dobbiamo scontare anche quello, ricordi?”

“Voglio solo che tutto questo finisca… - si calmò, ma era comunque distrutto – E invece mi sembra che più andiamo avanti e più le cose si accumulino. Come la nostra visita a Jasper, che abbiamo nascosto a Rider ed Eric. – deglutì, prima di riprendere a parlare – Mi sembra di impazzire a dover ricordare tutto quello che devo dire o non devo dire. Di mentire a mio padre, a Chloe, a Eric e Rider…. – si asciugò le lacrime - Passano i giorni e se penso a come fare per uscirne, non vedo via d’uscita.”

Nathaniel titubò: “I-io non so cosa dirti. Siamo sulla stessa barca, Sam.”

“Beh, la barca sta affondando con noi dentro. – ribattè, demoralizzato - Tappi un buco e ne si aprono altri tre!”

“Lo ammetto, non abbiamo un piano, ma adess… – improvvisamente ricevette una scossa, al livello del polso, urlando – Ma che diavolo??”

“Che cos’era?” Sam lo fissò, abbastanza confuso.

Nathaniel scoprì il braccialetto sotto alla manica.

“Mi ha dato una scossa!” esclamò, incredulo.

Fu il turno di Sam, poi, che sobbalzò per il dolore.

“Ma stiamo scherzando?” urlò, sconvolto.

“Ecco a cosa servono i bracciali…” ci arrivò Nathaniel, scioccato.

Sam provò a toglierselo con forza: “No, mi dispiace, non sarò la sua scimmietta ammaestrata!”

Ricevette una nuova scossa, più forte.

“Sam, smettila! – lo fermò Nathaniel, prendendolo per le spalle – Aumenterà il voltaggio, se continui così!”

“Perché ci sta dando delle scosse?” alzò la voce, non capacitandosi di tutto ciò.

“Forse perché stiamo insieme…Nella stessa stanza, intendo. Ci aveva detto di separarci fino a nuovo ordine.”

“Quindi prendiamo una scossa non appena facciamo qualcosa che ad A non va a genio?”

“Credo che sia questo il senso dei bracciali.”

“Dobbiamo trovare il modo di toglier… - ebbe un’altra scossa, chinandosi a terra – DIAMINEE!”

Nathaniel indietreggiò, alzando gli occhi al soffitto, le mani alzate: “Ok ok, me ne sto andando! Smettila con le scosse!”

Sam, col fiatone, lo guardò uscire dal bagno, basito.

 

*

 

All’uscita della scuola, era ormai buio. Eric e Rider poggiavano il loro fondoschiena sul cofano anteriore dell’auto di quest’ultimo, mentre Sam era davanti ai due ragazzi con la giacca sottobraccio. Sembrava aver riferito loro quanto accaduto durante la giornata. Dopo un attimo di silenzio, Rider si espresse abbastanza sconcertato.

“Quindi i braccialetti servono a darci una scossa, ogni volta che disubbidiamo ad A? – si guardò con Eric, allibito – Al prossimo giro ci regala un collare per cani che ci da fuoco?”

“Rider, seriamente! – lo riprese Sam – Tu non hai idea di quanto faccia male.”

Quello stette in silenzio, mentre Eric aveva altre perplessità.

“Quindi Cameron è davvero gay? – ne era ancora incredulo – Il ragazzo più ricco della scuola, il festaiolo numero uno di Rosewood e con una fama da mai stato single di ragazze…è gay?”

Sam sollevò la mano all’atezza del petto, con il palmo rivolto verso di loro, disgustato: “Oh, ti prego, non dire single di ragazze…Fai sembrare le donne come articoli da mercato!”

“Non mi aspettavo un commento del genere da un ragazzo gay.” intervenne Rider, sarcastico, guadagnandosi una lunga occhiata da parte dell’amico.

“Rider, non tutti i gay odiano le donne! – gesticolò nervoso, cambiando discorso – E poi non è questo il punto! A fa lunghe chattate con i nostri telefoni con gente a caso, perciò controllate sempre i vostri messaggi.”

I due, prendendo sul serio quell’avvertimento, tirarono fuori i loro telefoni, controllando.

“Allora… - Rider fissò il suo telefono a lungo, prima di alzare la testa – Zero messaggi! – annuì, quasi sentendosi patetico per quel numero – Eccetto quelli di A, ovviamente; quelli non mancano mai!”

“Da me è tutto ok, solo messaggi di A e Alexis.”

Sam compatì l’intero gruppo, mettendo il broncio: “Mi rendo sempre più conto di quanto la nostra vita sociale faccia schifo!”

“Già! – fu d’accordo Rider – Anthony era come un paio di occhiali 3D, in grado di farti vedere tutte le cose in un’altra prospettiva.”

“Ora che non ci sono più quegli occhiali… - continuò Eric – vediamo tutto per com’è realmente.”

Dopo qualche attimo di riflessione, mentre ognuno di loro guardava verso una direzione, assorti, Sam fu colto da un piacevole ricordo, che lo fece sorridere: “Ricordate quando Anthony ci portò a quel party? Proprio a casa di Cameron?”

“Casa? – Eric sollevò le sopracciglia, sorridendo per quell’eufemismo – Volevi dire villa gigante con piscina!”

“Fu il mio primo party… - ricordò Rider con piacere – Pensai finalmente di far parte di qualcosa. Pensai…Caspita, sto finalmente vivendo la mia adolescenza a pieno e non immaginando di viverla tra le mura della mia stanza e la penna fra le dita… - sorrise – Anthony non ci ha regalato solo parti buie, ma all’epoca… - tornò serio – non pensavo che ci sarebbero state.”

“Anch’io non lo pensavo, ma è accaduto. – aggiunse Sam, tornando a sorridere – Nemmeno ci parlavamo noi quattro. O almeno, non davvero, come stiamo facendo adesso…Come stiamo facendo dalla sua morte.”

Anche Eric sorrise, continuando sulla scia di quel ricordo: “Camminavamo dietro Anthony come se fossimo i suoi cuccioli. Eravamo troppo impegnati a sbalordirci di essere lì che a parlare tra di noi…”

Gli altri due annuirono, mentre il sorriso sfumava. Eric si voltò verso Rider.

“E la tua giornata? Com’è andata?”

“Ho passato tutta la settimana a studiare per il test a sorpresa, ma non è servito a niente. A mi ha ordinato di barrare tutte le A, e per un secondo…solo per un secordo….ho quasi risposto C, alla domanda numero otto. – rise, sdrammatizzando – Fortuna che non l’ho fatto o A mi avrebbe fulminato.”

Sam si rattristò per lui: “Rider mi dispiace…So quanto ci tieni alla tua media dei voti.”

Ad un certo punto, Eric si voltò verso la scuola: “Dite che Nathaniel l’avrà ricevuto il messaggio di A? Quello in cui ci dice che possiamo finalmente riunirci?”

“Starà facendo ancora qualche vasca e comunque – fissò l’orologio – io devo tornare a casa, mio padre mi aspetta per cena. Con la scusa che ho dormito a casa di amici, nell’ultima settimana, pensa che lo stia evitando.”

“Và pure, aspettiamo noi Nathaniel!” esclamò Rider.

Sam iniziò ad allontanarsi, fermato subito da Eric, apprensivo.

“Ehi, vuoi che ti accompagnamo alla tua auto?”

“No, è proprio là giù! – la indicò, facendo rumore con il mazzo di chiavi fra le dita – A domani!”

Rimasti soli, Rider ed Eric continuarono a conversare.

“Cos’altro ti ha fatto fare A, oltre a sabotare il tuo test?”

“Niente, Eric. – rispose abbastanza giù di morale - Per il resto, ci hanno pensato gli studenti della Rosewood high school.”

“Qualcunoti ha preso a pugni perché eri vestito come Albert?”

“No no… - scosse la testa – Ma sarebbe stato meglio, forse. Evidentemente questa generazione ha capito che uno sguardo è più forte di un pugno…Ogni volta che fissavo negli occhi ognuno di loro, riuscivo a sentire quanto poco mi tollerassero, quanto disgusto provavano nei miei confronti: volevo sparire.”

“E’ quello che ho provato anch’io, in mensa. Ed è stata la stessa cosa che Colton provava tutti i giorni, ogni volta che arrivavamo noi.”

Rider sospirò, amareggiato: “Violet vince, A vince…Persino Anthony che è morto, vince; l’aldi là è sicuramente meglio di quello che sta capitando a noi… - un altro sospiro  – Tutti vincono, tranne noi. I ragazzi della terra di mezzo…”

Eric tornò a fissare la scuola, cercando di non piangersi addosso: “Forse dovremmo andare a chiamarlo. Anche io ho una casa a cui tornare!”

“Andiamo a chiamarlo, è meglio! – si sollevò dal cofano – Probabilmente non l’ha proprio letto il messaggio.”

Mentre i due si avviavano verso l’ingresso, Nathaniel era in palestra che nuotava, facendo grosse bracciate, la testa sott’acqua. Non si era reso conto che qualcuno lo stava spiando, all’entrata della palestra.Qualcuno che indossava un cappuccio nero.

 

*

 

Rientrato a casa, Sam sentì l’odore della cena provenire dalla cucina con grande intensità; ciò gli fece brontolare la pancia, costringendolo a raggiungere rapidamente la stanza.

Non appena vi entrò, la tavola era apparecchiata e nei piatti c’era del pollo con patate. Era ancora fumante, probabilmente appena tirato fuori dal forno, ma di suo padre non c’era l’ombra.

“Papà?” lo chiamò, appoggiando le sue cose sulla sedia.

Tornato nel corridoio, continuò a chiamarlo, finchè non lo trovò nel salotto, seduto, che guardava in basso, i gomiti sulle ginocchia, le mani fra i capelli.

“Ehi, Papà!” lo chiamò ancora, perplesso da come l’aveva trovato: sembrava disperato.

Quello si sollevò lentamente, girandosi verso il figlio. Gli occhi rossi e umidi, di chi aveva pianto. Con espressione seria, prese energicamente il suo telefono, poggiato sul tavolino davanti a sé e si alzò.

“Qualcuno ti ha fatto del male?” domandò con tono deciso.

“Cosa?” non capì Sam, mentre l’altro lo ripeteva, più forte.

“HO DETTO: Qualcuno ti ha fatto del male?”

Sam era turbato: “Papà, adesso mi stai spaventando, che succede?”

“Rispondi, dannazione!” urlò, fuori controllo.

L’altro sussultò, sgranando gli occhi.

“No, Papà! – ribattè, urlando, confuso – Ma che cos’hai?”

Suo padre sollevò il telefono, mostrandogli delle fotografie: ritraevano lui, con le labbra distrutte e sanguinanti; sembravano autoscatti, alcune erano sfuocate, mentre le scorreva.

“Che cosa sono queste?”

“I-io, non lo so. – balbettò sconvolto – Davvero, io…”

“Me le hai mandate tu, Sam. Anzi, data la tua espressione stupita, forse me le hai mandate per sbaglio!”

“Vado nellla mia camera, - scappò via, gli occhi lucidi - scusami!”

Il padre lo inseguì nel corridoio, fermandolo per un braccio, prima che potesse salire le scale.

“No, stavolta non te la caverai così!”

L’altro si liberò, urlando.

“Lasciami!” e corse velocemente sulle scale, diretto di sopra.

“Sam, se è stato qualcuno della tua scuola a farti questo, sappi che andrò dal preside a denunciare la cosa e a scoprire la verità!” gli urlò.

Sam si fermò, voltandosi: “No, non farlo. Ti prego! – fece qualche passo più giù – Non è stato nessuno.”

“Non ti credo… - scosse la testa – E’ per il video di insulti? Le persone che hai insultato, qualcuno di loro ti ha ridotto le labbra come nella foto? Eh?”

“Ti ho risposto di no! – urlò, in lacrime – Perché non capisci?!”

“Se non è stato nessuno: CHI, Sam? CHI?” alzò ancora di più la voce, furioso.

Sam rimase a fissarlo, le labbra serrate, il volto serio e sofferente. Si voltò e si diresse in camera, chiudendo energicamente la porta. Si poggiò di schiena ad essa, scoppiando in un pianto silenzioso. Improvvisamente il suo sguardo si posò sul suo vecchio telefono, sulla scrivania. Si avvicinò e lo prese, trovando le sue foto nei messaggi inviati.

Stringendo i denti per la rabbia che provava nel vedere quelle immagini, gettò il telefono con forza contro la parete, mandandolo in mille pezzi.

Inginocchiatosi a terra, sentì il padre che stava salendo, così gattonò velocemente verso uno dei pezzi del cellulare, raccogliendolo. Era sottile e tagliente e lo fissò intensamente, portandolo vicino al polso. Chiuse gli occhi, procurandosi un taglio, mentre suo padre stava entrando.

Quello lo vide, sgranando gli occhi, buttandosi contro di lui e separandolo da quel frammento appuntito, tirando via il lenzuolo del letto, accanto a loro, e premendolo sul polso, velocemente.

“Ma che ti è saltato in mente?” gli gridò, sconvolto, mentre Sam piangeva tra le tue braccia.

“Sono gay, Papà… - pianse più forte, mentre quello sgranava ancora di più gli occhi – Sono gay!”

Suo padre lo distanziò dal suo petto, guardandolo negli occhi: “E’ questo il motivo per cui lo stai facendo?”

Sam deglutì, evitando il suo sguardo e poi annuì, spiegandosi: “Avevo paura a dirtelo, non sapevo quale sarebbe stata la tua reazione. – singhiozzò, mentre mentiva - E poi, poi a scuola è così difficile, io…”

Suo padre lo prese di getto tra le sue braccia, stringendolo forte, ad occhi chiusi, come sollevato.

“E’ solo questo, Sam? – gli chiese con un filo di voce - Solo questo?”

Poi lo distanziò, prendendolo per la faccia.

“Non devi avere paura, ok? Non devi fare queste cose, mi hai sentito? – gli sorrise, le lacrime scendevano copiose – La puoi affrontare con me questa cosa, io ti voglio bene. Sei sempre Sam, per me. Puoi dirmi tutto!”

Sam cercò di sorridere, mentre le lacrime gli scorrevano sul viso. Nonostante fosse una bugia, era sorpreso dalla reazione di suo padre.

“I-io non pensavo fosse ancora un problema tra voi giovani, non essere accettati.”

“Papà, è un problema che ci sarà sempre.”

“Sì, ma problemi come questi… - gli prese il polso, scuotendolo cautamente – Non devono portare a questo! Sam, devi affrontarli i problemi, ok? Non distruggerti! Devi essere fiero di te stesso e di come sei. Devi cercare di far vedere agli altri che stai bene e che non ti interessa di ciò che pensano. – le parole gli uscivano soffocate, per la commozione che stava provando e le lacrime – E puoi cominciare dal fatto che io ti accetto pienamente e che sto bene, perché le cose peggiori sono altre; come la morte così prematura di tua madre.”

Dopo quell’ultima frase, Sam si buttò nuovamente tra le braccia di suo padre, piagendo altre lacrime. Suo padre gli accarezzò la testa e poi la baciò, mentre erano inginocchiati a terra.

“Non avere più paura, Sam. Non ce n’è motivo. Non più.” lo rassicurò nuovamente, tenendolo abbracciato a sé.

 

*

 

Mentre Nathaniel nuotava indisturbato, l’incappucciato era accanto ad un quadrante con dei pulsanti. Improvvisamente ne premette uno, che azionò la copertura automatica della piscina. Nathaniel era a metà vasca, quando la copertura gli passò sopra la testa, colpendo il suo braccio.

Immediatamente, iniziò a colpire il telo, urlando.

“EHIII??? EHI, C’E’ NESSUNO???”

L’incappucciato indietreggiò, lasciando la palestra. Rider ed Eric, intanto, si stavano dirigendo lì, alzando il passo, nel sentire le urla del ragazzo. Nel giro di pochi istanti, l’incappucciato spuntò in mezzo al corridoio, correndo dalla parte opposta ai ragazzi. Quelli si bloccarono, nel vedere A. Compresero che si trattava di lui dalla felpa nera che aveva indosso. Dietro, però, aveva disegnata una tigre.

“Oh cavoli!” sgranò gli occhi Rider, mentre Eric smetteva di restare impalato, iniziando ad inseguirlo.

Rider lo seguì a ruota, subito dopo, ma dovette fermarsi quando passarono di fianco alla palestra, facendo caso a Nathaniel, bloccato. Entrò, allora, in palestra ad aiutarlo, abbandonando Eric.

“Nathaniel resisti, sono io!”

“Presto, tirami fuori!” gli urlò.

Rider azionò il pulsante che ritirò la copertura. Corse, poi, ad aiutare l’amico ad uscire dall’acqua.

“C’è A!” urlò nuovamente Nathaniel, dopo aver ripreso fiato.

“L’abbiamo visto, Eric lo sta rincorrendo.”

Nathaniel si sollevò in piedi, con l’acqua che gocciolava dal suo corpo, iniziando a camminare, pronto a raggiungere l’amico.

“Dobbiamo bloccarlo!”

 

*

 

Eric aveva inseguito A fino al seminterrato. Stava camminando, vigile, dopo aver perso le sue tracce. I corridoi erano stretti, l’illuminazione scarsa, le pareti arrugginite, i tubi gocciolavano e c’erano tante scatole e cianfrusaglie ovunque

Qualche passo più avanti, venne attirato da una parete, dove c’era una sottile fessura verticale che partiva da terra fino al soffitto. Eric la toccò con le dita, per poi apoggiare l’orecchio alla parete.

“Eric? – gridò Rider, in lontananza – Eric, sei qui?”

“Da questa parte!” si fece sentire quello, mentre continuava a dare un’occhiata.

I due ragazzi lo raggiunsero.

“Bene, sei davvero nel seminterrato. – esordì Nathaniel, con il fiatone – Pensavamo che fosse stato A a mandarci il messaggio, per ingannarci.”

“Potevi almeno metterti qualcosa addosso!” lo squadrò, Eric, con occhio disturbato. Aveva indosso un costume a slip molto aderente e niente più.

Nathaniel si guardò per poi replicare: “Beh, avrei inseguito A anche nudo!”

“Oookey, - intervenne Rider – abbiamo capito che Nat non ha problemi a mostrare i suoi genitali. Ora, però, dov’è A? – si guardò attorno, aspettando una risposta da Eric – Eh? Dov’è?”

“L’ho perso, una volta sceso qui.”

Gli altri due reagirono delusi, mentre l’altro indicava loro la parete.

“…Ma ho trovato questa strana parete, vedete? – mise la sua mano sulla fessura – Esce dell’aria, proveniente dall’altra parte.”

Rider si avvicinò, incuriosito.

“Potrebbe essere una porta scorrevole?” ipotizzò Nathaniel, mentre Rider la ispezionava attentamente.

“E’ una panic room! – dedusse – C’è una stanza qui dietro.”

“Una panic room?” ribattè Nathaniel, confuso.

“Sì, è una specie di stanza blindata. – spiegò Rider - Oggi giorno viene installata anche negli appartamenti in caso di rapimenti, atti criminali, attacchi terroristici. E’ progettata per affrontare qualunque tipo di minaccia esterna. Inoltre, queste panic room, sono dotate di un soffisticatissimo sistema di sorveglianza, in modo che chi è dentro, può vedere quello che accade fuori.”

Eric e Nathaniel si guardarono.

“Un posto perfetto per A, - pensò Nathaniel – non credete?”

“Quando sono sceso, prima, – raccontò Eric – ho sentito un forte rumore. Come quello di una porta che si chiude. Forse era la panic room. Spiegherebbe come A sia sparito.”

“Bene, come la apriamo? – Nathaniel si mostrò impaziente di agire – Se questo è il covo di A, abbiamo fatto un bel colpo stavolta!”

“Rilassati, incredibile Hulk. – lo estirpò Rider – Aprire una panic room è come tentare di aprire un buco nero con una filastrocca: cioè impossibile!”

“Quindi torniamo tranquillamente a casa, fingendo che Brakner non faccia la sua pausa pranzo qui sotto?” lo trovò assurdo Eric, quanto lo trovava assurdo anche Nathaniel.

“Ragazzi, avete idea di come sia strutturata una panic room? E’ fatta di cemento armato rivestito con lamiera balistica antiproiettile. Nemmeno una bomba la apre.”

“Stai scherzando, vero?” commentò Nathaniel, incredulo.

“No, non scherzo. Sarebbe più facile conoscere i codici per aprirla, ma… - si guardò intorno, osservando le pareti – Non vedo alcuna tastiera dove inserirli. Forse l’ha aperta con un telecomando o qualcosa di simile.”

Nathaniel, demoralizzato, si avvicinò alla porta, mettendoci le mani sopra: “E pensare che qui dietro potrebbero esserci i nostri video.”

Rider sembrò riflettere: “Potremmo rivolgerci a…” ma non finì la frase, che il braccialetto gli lanciò una scossa.

La stessa cosa accadde ai braccialetti di Nathaniel ed Eric.

“Oh mio Dio! – urlò Rider, quando cessò – Sarebbe questa la scossa di cui parlava Sam?”

“Credo che non ci voglia qua giù!” spiegò Nathaniel, interpretando la cosa.

“Non l’avevamo capito!” aggiunse Eric, sarcastico.

“Io me ne vado! – iniziò ad allontanarsi Rider – Non voglio sperimentare l’ultima tacca con l’immagine del teschio!”

Gli altri due lo seguirono, d’accordo.

 

Usciti dalla scuola, stavano raggiungendo l’auto a passo rapido. In quello stesso parcheggio, Eric notò qualcosa e si fermò per farlo notare anche agli altri.

“Ehi, guardate, l’auto di Brakner è ancora qui!”

Nathaniel era a dir poco furioso, mentre fissava quell’auto: “Mi chiedo perché usi ancora quello stupido cappuccio nero, ormai sappiamo che è lui il cattivo.”

“E mia sorella intende avere un lieto fine con lui, - commentò Rider, angosciato - lontano da Rosewood.”

I due si girarono a guardare Rider, dispiaciuti per ciò che stava passando.

 

*

 

Più tardi, Rider telefonò a Sam per informarlo di ciò che era accaduto a scuola. Entrambi erano nella propria camera.

“Quindi questa panic room potrebbe essere il covo di A?” chiese conferma, Sam, mentre era seduto alla sua scrivania a contemplare i pezzi del suo vecchio telefono, ammucchiati sopra il libro di algebra.

“Puoi anche smettere di chiamarlo A, sappiamo benissimo chi è… - ribattè, tirando fuori un paio di pantaloni da un cassetto – E comunque parlami di ciò che è successo con tuo padre, sembri abbastanza turbato.”

“Puoi dirlo forte, A… - si confuse, per poi correggersi – Cioè, Brakner, gli ha mandato delle foto mie, di quando le mie labbra erano messe male. Mio padre ha pensato subito che qualcuno a scuola mi avesse fatto del male per via del video con Anthony.”

“Perché ti sei scattato delle foto?” domandò, allibito, mentre appoggiava delle camicie sul letto, accanto al pantalone.

“Credi davvero che volessi scattarmi un selfie post-trauma? – trovò assurda la sua accusa – A controllava i nostri telefoni, perciò deduco che abbia attivato la fotocamera interna mentre controllavo i messaggi.”

“E come l’hai spiegato a tuo padre?”

“Ho praticamente fatto una scenata, sono corso in camera e ho spaccato il telefono contro il muro. – assunse improvvisamente una parlantina rapida per il resto - Poi mi sono tagliato un polso e gli ho detto che sono gay!”

Rider si fermò da ciò che stava facendo: “COSA?”

“Già, ho dovuto farlo. Negli ultimi giorni sono stato così strano che ho dovuto dare una ragione alle mie stranezze.”

“Usando la tua omosessualità?”

“Oh, ti prego, odio quella parola…”

“Ehm…Gayosità?”

“Senti, ci ha creduto, ok? Pensa che il mio disagio fosse quello…Ho risparmiato a mio padre un’inutile caccia alle streghe! – preferì cambiare discorso, a quel punto – Piuttosto, che abbiamo in mente? Sappiamo chi è A, perciò come andiamo avanti col gioco? Non ho intenzione di farmi molestare anche domani!”

Rider si sedette sul letto, grattandosi il capo, privo di idee: “Forse dovremmo…ehm…Non lo so, siamo ad un punto morto. Purtroppo, finchè Brakner ha quei video su di noi, possiamo fare ben poco per contrattaccare.”

“Io avrei un’idea, ma non so se A ci sta ascoltando…”

“Oh cavoli… - Rider trovò qualcosa nella tasca dei suoi pantaloni – Vieni sul fisso!”

Sam, intanto, stava torturando, con il dito, il mucchietto che rimaneva del suo telefono, notando qualcosa di particolare: “Ehi, credo di aver trovato il dispositivo  che A ha messo nei nostri telefoni… - non sentì alcuna risposta da parte dell’amico – Rider??”

Sam si accorse che non era più in linea, così lasciò la sua camera, scendendo al piano di sotto. Il telefono di casa squillava. Finalmente rispose.

“Pronto? Rider, sei tu?”

“No, una pizzeria...Sì, sono io, perché ci hai messo tanto?!” si infuriò.

“Beh, non mi hai di certo avvisato, prima di riattaccare.” replicò, stringendo tra le mani il piccolo e quadrato aggeggio nero.

“Nella tasca del mio pantalone, quello che avevo nelle fogne, ho trovato uno dei chip che avevamo. Credo che funzioni, però devo prima verificare con il tablet, ma se funziona…Possiamo metterlo addosso a Brakner, così quando si dirigerà alla panic room, noi potremo seguirlo e vedere come ci entra.”

“Io avrei pensato ad un’altra cosa… - Sam sembrò parecchio restio nel voler condividere il suo pensiero - Tipo tu che parli con Lindsay supplicandole di aiutarci a recuperare i nostri video. Insomma, se lei lavora con il nemico, saprà sicuramente tutto. Tanto vale fare questa chiacchierata vis-à-vis!”

“E’ un’idea stupida, non sappiamo nemmeno quanto sia coinvolta mia sorella in tutto questo e se sappia proprio tutto.”

“Chloe l’ha vista nell’auto di Brakner, quella notte. A me sembra abbastanza coinvolta, invece.”

“Non ci aiuterà, ok? O l’avrebbe già fatto!”

“Ma è tua sorella! Quale sorella non aiuterebbe suo fratello da un pazzo psicopatico. Se riavremo i video, potremmo finalmente denunciarlo!”

“Lei è innamorata del pazzo psicopatico, ecco perché non ci aiuta!”

Sam, a quel punto, sbuffò, mentre l’altro sospirava. Si incantò a guardare il dispositivo, durante quell’attimo di silenzio, notando qualcosa di insolito.

“Di solito non c’è un numero di serie su questi così elettronici?”

“Adesso cosa c’entra?”

“Sul dispositivo ci sono delle lettere… - cercò di vedere attentamente, ma erano troppo piccole - Aspetta, ho una lente di ingrandimento. – corse a prenderla da un cassetto, di un mobile nel corridoio  - Ecco, sono cinque lettere: DFPDM!”

“Aspetta, ma non è possibile… - Rider sollevò il chip che aveva in mano – Anche i chip che abbiamo rubato al dipartimento hanno quella sigla.”

I due rimasero alquanto perplessi da tale scoperta, cercando di capirci qualcosa.

 

*

 

Il giorno seguente, Eric era pronto per andare a scuola. Quando si affacciò in cucina per salutare sua madre, la trovò lì in piedi con uno splendido tailleur blu, un tacco nero e lungo e un grosso sorriso.

“Allora? Come sto?”

“Uao, mamma, sei stupenda!” ne rimase a bocca aperta.

“Dici che non è troppo?” si guardò attentamente.

“Beh, tutte le commesse dei negozi d’abbigliamento vestono con classe. Direi che vai decisamente bene!”

Jennifer non stava più nella pelle, mentre gesticolava briosa: “Sono così emozionata per il mio primo giorno!”

Bussarono alla porta. Eric continuò a sorridere alla madre, mentre andava ad aprire. Era Alexis.

“Muffin e caffè! – li agitò, portando avanti il contenitore di plastica che li conteneva – Qualcuno ha fame?”

Eric le sorrise, felice di vederla.

“Arrivi sempre nel momento giusto, cara!” esclamò Jennifer, avvicinandosi.

“Caspita, Signora Longo…Che schianto!” commentò Alexis, squadrandola dalla testa ai piedi.

“Oh, per favore, – gettò la mano in avanti  - esci con mio figlio, chiamami Jennifer…o Jen, come preferisci!”

“D’accordo, Jen… - rise, imbarazzata, girandosi verso Eric - Jen è carino, non trovi?”

“Già!” ribattè Eric, divertito.

“Alexis, sappi che sarò la tua personal shopper, se mai verrai a trovarmi da Valerìe. Con il corpo che ti ritrovi, immagino già degli abiti favolosi per te!”

Alexis si mostrò subito restia, non molto allettata all’idea dalla smorfia che aveva assunto il suo viso: “Ouh, no, non credo proprio. Sono più una tipa del ghetto, odio vestirmi bene.”

Jennifer si mise una mano sul petto, tramortita da quelle parole: “Sai, anche le ragazze del ghetto hanno il loro lato principesco. Basta osare per tirarlo fuori.”

“Non sono una principessa, Jen. Nemmeno un pò, credimi.”

“Ti sottovaluti troppo, cara. Lascia che ti mostri quella parte di te che non conosci.” Insistette  Jennifer.

Alexis era ancora indecisa. Fu Eric a darle un incentivo in più.

“Dai, lasciati aiutare da mia madre. Se io sono passato alle tute da ginnastica, tu puoi passare ai capi d’alta moda senza problemi. E poi domani sera abbiamo un appuntamento, ricordi?”

“Il quarto appuntamento, per la precisione!” aggiunse Jennifer.

“Li sta contando, per caso?” sorrise Alexis, sempre più imbarazzata.

Quella ammiccò, facendole un’occhiolino: “Ti porto qualcosa da Valerìe, allora? E la proviamo domani pomeriggio? – la fissò a lungo – Dai, sarà divertente!”

Alexis guardò Eric, prima di rispondere: “D’accordo!”

“Evviva!” esultò la donna.

“Beh, credo che sia ora di andare! – sorrise ancora Eric, dirigendosi alla porta con Alexis – Buon primo giorno, Mamma!”

“Grazie, tesoro… - poi si rivolse ad Alexis – E a te ti aspetto domani, eh!”

“Certo!” esclamò Alexis, tirata da Eric.

Non appena la porta si chiuse, i due si ritrovarono sul pianerottolo, dove Eric portò la ragazza contro il muro, baciandola appassionatamente, mentre sorridevano ad occhi chiusi ogni volta che separavano le loro bocche.

“Tua madre sa anche a che numero di baci siamo arrivati?”

Eric rise, mentre la teneva bloccata per i fianchi: “Difficile, ho perso il conto persino io…”

L’altra rise, per poi diventare seria, mentre quello si distanziava: “Sono davvero contenta di come stanno andando le cose tra noi. Insomma, fino a dieci giorni fa non avrei mai detto che le cose si sarebbero evolute così velocemente, ma è successo…E sicuramente, tu vorrai passare ad un altro livello di questo rapporto. Dico bene?”

Nonostante fosse confuso, rispose sinceramente: “Beh, sì…Continuiamo ad uscire, a baciarci e ad essere in sintonia, ma ancora non abbiamo parlato di rendere ufficiale la cosa.”

“Eric, in genere non sono una che ama ufficializzare le cose. Ma quando lo faccio, devo essere sicura di quello che sto facendo.”

“Cioè? – non capì, tentennando confuso – Non sei sicura di voler stare con me?”

“Non sono sicura di riuscire a vederti completamente. E’ come se dentro la tua testa ci fossero due grandi blocchi: uno rappresenta ciò che conosco di te, le cose basilari, che hai condiviso con me. Poi c’è quest’altro blocco, molto più grande, dove risiedono le cose più importanti, che non vuoi raccontarmi.”

“Pensi che ti stia nascondendo qualcosa?”

“Non lo so…Lo stai facendo?”

Eric titubò, prima di rispondere con gran sicurezza: “Tutto quello che sai è quello c’è… - la baciò di nuovo, freddamente – E ora devo andare a scuola!” concluse, iniziando a scendere le scale.

Alexis lo seguì solo dopo qualche secondo, non molto convinta dalle sue parole.

 

*

 

Anche Sam stava per uscire di casa, quando sentì il padre parlare al telefono, passando accanto alla cucina.

“Lasci che gliene parli, poi decideremo quando prendere questi appuntamenti. Grazie per la sua disponibilità!”

Sam entrò in cucina di soppiatto, mentre quello poggiava il telefono.

“Con chi parlavi, Papà?”

Quello si voltò, colto di sopresa: “Ehi, ciao… - gli sorrise nervosamente - Tutto bene?”

“Papà devi smetterla di chiedermi se va bene, ogni dieci minuti.”

“Lo so, è che dopo ieri…Beh, mi hai fatto preoccupare molto.”

Sam sorrise: “Tranquillo, ora sto molto meglio. Mi ha fatto bene dirti finalmente tutto.”

“Beh, sì, questo si… - spostò lo sguardo altrove, nervoso – Ehm, però, Sam… - ora lo fissò dritto negli occhi, serio - questo non basta a farmi stare tranquillo.”

“Che vuoi dire?”

“Ho parlato con uno psicologo, poco fa…”

Sam si lasciò sfuggire una risata, prima di tornare serio e leggermente infastidito: “U-uno psicologo? Papà, non sono matto!”

“No, non sei matto ma hai dei problemi. Problemi di autolesionismo!”

“Cosa? – rise nuovamente – E’ assurdo anche solo pronunciare quella parola.”

“Non stai prendendo sul serio la cosa, Sam. Se ogni volta che sei depresso per qualcosa, ti fai del male, hai bisogno di essere aiutato. Insomma, ieri non hai battuto ciglio nel tagliarti il polso.”

“Ma ti ho detto che sto bene e che non accadrà più!” urlò.

“E ti dovrei credere sulla parola? – ribattè con un tono più alto - Per poi pentirmene quando ti succederà qualcosa?”

“Non andrò da uno psicologo.” si rifiutò categoricamente.

“Sam, non ti sto mica chiedendo di essere internato. Si tratta solo di qualche seduta a settimana con qualcuno che può aiutarti dove io non riesco. Che può farti stare meglio e vivere meglio, ok? – lo fissò con il cuore in mano – Ti prego, fallo per me.”

Sam era combattuto, ma alla fine si arrese alle preoccupazioni del padre, abbassando lo sguardo: “Va bene, farò qualche seduta… - tornò a fissarlo - E’ una donna?”

“E’ un uomo…Si chiama Wesam Grimes!”

“Ouh… - si imbarazzò Sam - Ok!”

Suo padre intuì il motivo del suo imbarazzo, o, almeno, lo immaginò, subito dopo: “Oh Dio, aspetta, non è mica un problema per te se è un…”

L’altro lo fermò subito: “No no, non è un problema! – iniziò a sudare, molto imbarazzato - Cioè, non mi interessa se è un uomo o una donna.”

“Capisco…” annuì, leggermente a disagio, guardando da altre parti.

Anche Sam lo era: “Forse è meglio che vada!”

“Bene, - sorrise l’altro - allora ti mando gli appuntamenti per email!”

Sam sollevò il pollice, mentre usciva: “Ottimo!”

 

*

 

Più tardi, a scuola, il Professor Palmer stava distribuendo i test corretti. Rider era nuovamente vestito come Albert, anche quella mattina, con una camicia di diverso colore ma pur sempre nello stile di Albert. Aveva appena ricevuto il suo compito, accompagnato da un’occhiataccia poco positiva del suo insegnante.

“Non è possibile… - Rider lo visionò, incredulo – Le ho sbagliate tutte!”

Sam, Eric e Nathaniel lo udirono da dove erano seduti.

Rider si alzò con il foglio, dirigendosi alla cattedra.

“E’ uno scherzo? Non è possibile che in un test, la risposta giusta sia divisa in tre opzioni quando ce ne sono quattro. Su quindici domande, vuole farmi credere che nemmeno una è la A?”

Palmer lo fissò abbastanza basito, come tutto il resto della classe: “Anche io mi chiedo se tutto questo sia uno scherzo, Signor Stuart. Prima si veste in… - lo squadrò da capo a piedi, indignato – questa maniera, poco rispettosa nei confronti di un ragazzo che è scomparso e che non è più tornato a casa perché si sentiva ogni giorno ridicolizzato dal vostro gruppo, poi sbaglia tutte le risposte del test barrando la stessa opzione a tutte le domande e ha il coraggio di venire qui a chiedermi spiegazioni?”

“Non ho tutta questa faccia tosta! – deglutì, Rider, difendendosi – Almeno cinque domande del test avevano come risposta giusta la A, ma nel mio test sono state spostate. – si avvicinò ad una ragazza al primo banco e prese il suo foglio – Non me lo sto inventando, ora le faccio vedere… - cominciò a cercare la domanda con lo sguardo - Allora, domanda numero sette…numero sette… - la stava guardando – Ricordo che la numero sette era A.”

Tutti lo stavano fissando, abbastanza scioccati. Sam, Eric e Nathaniel si guardarono tra loro, impietriti.

Rider, fermo a guardare il foglio, si stava rendendo conto che non aveva ragione.

“No, non è possibile… - si voltò, prendendo il foglio di un altro studente – Io lo ricordo perfettamente, la numero sette era la A!”

“Signor Stuart…” lo richiamò il Professore, abbastanza seccato.

Rider prese ancora un altro foglio, dal banco di un altro compagno: “Le dico che la numero sette era…”

Palmer battè la mano sulla cattedra, alzandosi, urlando, ne aveva abbastanza: “SIGNOR STUART, ESCA DALLA CLASSE! ORA!”

Quello si bloccò, fissandolo, gli occhi sgranati per lo spavento. Tutti si irrigidirono.

“Vada fuori! – gli intimò ancora una volta - Se non accetta il suo voto, si senta in dovere di contestarlo al preside, ma dubito che lo farà dal momento che il suo test è una presa in giro.”

Senza aggiungere nulla, Rider si incamminò verso la porta, ma non prima di aver guardato i suoi amici, allibito. Poi uscì.

 

 

*

 

Più tardi, in mensa, la tensione era alle stelle per i quattro ragazzi. Sam era seduto da solo, che cercava ancora di contattare Chloe, mentre si lanciava continui sguardi con Nathaniel, seduto più avanti. Rider, invece, non riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse andato storto con il test e si stava dirigendo con il vassoio al banco del cibo, dove c’era Eric.

Prima di lui, arrivarono Violet e il suo gruppo; tra questi vi erano anche suo fratello e Lisa.

“Allora Eric, come ti trovi dietro al banco?” esordì lei, un sorriso cinico. Gli altri ridacchiavano alle sue spalle.

“Come dovrei trovarmi? – restò calmo, quasi indifferente, per non darle soddisfazioni – Sono dietro ad un banco e distribuisco il cibo. – sorrise loro, sforzatamente – cosa vi servo?”

“Quello che ho preso ieri e due uova sode!” esclamò Colton, con tono arrogante. Sembrava un’altra persona, più sicura di sé.

Eric sorrise, beffardo, mentre riempiva i vassoi: “Serve altro?”

“Sai, Eric… – Violet non volle congedarsi senza avere qualche soddisfazione – Come nuovo presidente del comitato studentesco, mi è stato detto che morivi dalla voglia di distribuire il cibo alla mensa. Per questo ti trovi qui.”

“Quindi? – scosse la testa Eric, indifferente, per poi chiarire la sua posizione – Se pensi che farò una scenata, qui, dentro la mensa, per gonfiare il tuo ego e quello del tuo esercito della salvezza…Beh, dovrai fare di meglio!”

“Esatto!” si avvicinò Rider, che aveva ascoltato tutto.

Violer si voltò verso di lui, così come gli altri, con sorriso cinico: “Ma guardate chi c’è, Mr. A!”

“Come, scusa?”

“E’ questo il tuo soprannome, - spiegò Violet, divertita - dopo che hai delirato all’ora di letteratura.”

“Chissà chi è la fonte, pazza stronza!” ribattè Rider, sprezzante. Ne aveva abbastanza

Colton intervenì, spintonandolo. Rider lo fece a sua volta, mentre gli altri gridavano loro di fermarsi. Eric fece il giro del bancone. Nathaniel lasciò il suo tavolo, raggiungendo l’amico e dividendolo da Colton assieme ad Eric.

I due gruppi si guardavano con sguardi fulminei, mentre i ragazzi riprendevano fiato e si ricomponevano.

“Perché non vai a giocare alla dittatrice da un’altra parte?” suggerì Nathaniel a Violet, in maniera poco amichevole.

“Qui nessuno sta dettando niente. Il tuo amico mi ha dato della pazza, quando il pazzo è lui che si veste da Albert e si mette a delirare in classe su risposte giuste e sbagliate.”

“Avete avuto quello che volete. – aggiunse Eric - La scuola, la vostra rivincita e anche il cibo. Perché non ve ne andate, adesso?”

“Ce ne andiamo! – esclamò quella – Ma perché siamo noi a volerlo. Non comandate più voi, qui…” si congedò, dando le spalle, sorridendo soddisfatta, assieme al suo gruppo, mentre si dirigevano ai tavoli.

“Stai bene?” domandò Eric a Rider.

“No! – si svincolò dai due ragazzi, nervoso – Oggi va tutto storto!”

“Ehi! – li raggiunse Sam – Tutto a posto?”

Improvvisamente ricevettero tutti la scossa, agitandosi.

“STRONZO!” urlò Rider, quando la scossa terminò. Attirò qualche sguardo, naturalmente.

“Torniamo ai nostri tavoli, non possiamo ancora stare insieme: è la regola. ” ricordò loro, Nathaniel.

Annuirono tutti, dividendosi nuovamente. Eric tornò dietro al banco e gli altri ai tavoli. Rider lasciò la mensa, invece, lanciandosi ancora sguardi fulminei con Violet.

 

*

 

Finite le attività extracurriculari, verso il pomeriggio, i quattro si riunirono intorno ad uno dei tavoli che c’erano nel cortile interno alla scuola. Da soli. Dopo il messaggio di A, poterono finalmente ricongiungersi.

“Ragazzi, voi mi credete, vero? A ha spostato le risposte per farmi prendere zero, ne avevo prese almeno cinque su quindici. Avrei potuto recuperare, ma ora...ora come cavolo faccio? Sempre che A non decida di aiutarmi anche nella prossima verifica! ” spiegò, sofferente.

“Certo che ti crediamo, Rider. – intervenì Nathaniel - Stiamo combattendo tutti con la stessa persona, sappiamo di cosa sia capace.

Rider continuò: “La cosa che non capisco è come Palmer non abbia battuto ciglio su quello che gli stavo dicendo. Insomma, i test gli ha fatti lui, perciò sapeva sotto quale lettera erano le risposte giuste e che la risposta esatta alla domanda numero sette non poteva passare dalla A alla C, come per magia. Ed è impossibile che su quindici domande, nemmeno una di quelle giuste sia sotto la A!”

Anche Eric prese parola: “Smettila di scervellarti inutilmente. A avrà scassinato l’armadietto di Palmer e avrà fatto la magia. E Palmer non ti ha creduto per il semplice fatto che hai barrato tutte le A senza ragionare alle domande, come se non avessi studiato, nonostante ti avesse avvertito di questo test. La delusione nei suoi occhi per i risultati che hai ottenuto, l’ha completamente accecato e si è giustamente sentito preso in giro.”

“Almeno a voi è andata bene… - sospirò Rider, scivolando sullo schienale della sedia - Del resto vi ho avvisati io di questo test a sorpresa!”

“Ti rifarai, ok? – cercò di consolarlo, Sam, mentre tirava fuori i chip dalla borsa e li metteva sul tavolo – Piuttosto, dobbiamo aggiornare anche Eric e Nat della nostra telefonata di ieri.”

Nathaniel rimase perplesso, confuso quanto Eric: “Aggiornarci su cosa?”

“Ieri ho spaccato il mio telefono, non chiedetemi perché. Comunque, ho trovato il chip che Brakner ha messo nei nostri vecchi telefoni, mentre Rider ha trovato uno dei chip che avete rubato al dipartimento.”

“E quale sarebbe l’aggiornamento? Una collezione di chip?” non capiva ancora Eric.

Sam tirò fuori una lente di ingrandimento.

“Osservate le sigle sui chip… - continuò, mentre Eric e Nathaniel guardavano i chip da vicino – DFPDM è la stessa sigla che viene riportata su entrambi i chip.”

Eric si guardò perplesso con Nathaniel, prima di dire qualcosa: “Ma questo vuol dire che…”

Rider prese parola per confermare i loro pensieri: “Sì, i chip che Brakner ha messo nei nostri telefoni provengono dal dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven.”

“Che strana coincidenza che noi siamo stati lì, parecchio tempo dopo A.” pensò Nathaniel.

“Nessuna coincidenza. – chiarì Rider - Prima di andare a Brokehaven, ho chiesto a mio padre chi intervistasse per i suoi libri, per la parte tecnologica. A è stato nello studio di mio padre per lasciarmi quel libro che parlava del crimine commeso da Anthony e dove si trovavano le medicine di Nathaniel, ricordate? Beh, avrà guardato la sua agenda e così ha trovato il contatto di Denna Marx. Semplice!”

“Un momento… - Nathaniel fermò tutti, ricordando una cosa – Quando sono stato nel laboratorio del dipartimento, ho conosciuto una certa Zoe, che mi ha detto che il progetto dei chip sui topi era un’idea di una studentessa chiamata Ella Duval ma che l’aveva aiutata Denna Marx.”

“Ok, quindi Ella Duval sarebbe il braccio destro di A? – dedusse Sam, trovando tutto pazzesco e bizzarro – Chi cazzo è questa, adesso?”

“Non credo! – precisò Nathaniel – Zoe mi ha fatto intendere che Denna ci aveva messo più di una mano sopra quel progetto. Perciò è Denna il braccio destro!”

Rider ed Eric erano a dir poco senza parole. Sam continuava a trovare tutto assurdo.

“Denna Marx? Che cosa cavolo c’entra con noi questa donna?”

“Niente, Sam. – continuò Rider - Brakner l’avrà pagata!”

Anche Eric si espresse: “E profumatamente, direi: stava partendo per Miami!”

Rider fissò tutti, serio: “Avete lasciato i telefoni negli armadietti?”

Quelli annuirono.

“Bene, non voglio che Brakner ci ascolti…Dobbiamo trovare Denna Marx e minacciarla. Che ci aiuti almeno a levarci questi dannati bracciali, prima che i miei neuroni comincino ad abbandonarmi uno ad uno a forza di scosse elettriche!”

“E come la minacciamo, scusa?” replicò Nathaniel.

“Ehm, - ribattè Rider con ovvietà - torture su minori?”

“Scusate se sono ripetitivo, - si intromise nuovamente Eric – ma Denna è partita per Miami, ricordate? L’unico modo per parlarle è iniziare a fare una scorta di infradito e collane di fiori per raggiungerla al resort a cinque stelle in cui sicuramente starà alloggiando!”

Rider rimase in silenzio, mentre gli altri lo fissavano. Rider fissava loro a sua volta, come se dietro al suo silenzio si celasse il suo solito pensiero estremo. Sam lo intercettò.

“Rider, vai al diavolo! Io dopo la vicenda del treno ho deciso di non seguirti più da nessuna parte.”

“A chi lo dici!” aggiunse Eric con enfasi, riferendosi, invece, alla vicenda delle fogne.

Quello lanciò una lunga occhiataccia ai due, offeso: “Grazie mille, eh! E comunque non sono così folle da spingermi fino a Miami…Anzi, forse non è come sembra!”

Nathaniel perso il filo del discorso: “Cioè, che vuoi dire?”

“Dico che, secondo me, Denna Marx è ancora tra noi. Dev’essere tutta una farsa, non credo che sia partita…Altrimenti non si spiegherebbero i braccialetti che abbiamo appena avuto. Se c’è una cosa certa è che Brakner ha solo una laurea in matematica e sguardi seducenti!”

“Quindi torniamo al dipartimento?” dedusse Eric, mentre si alzavano.

“Sì, mi fingerò nuovamente podcaster e ci faremo avere l’indirizzzo del suo domiciglio!”

I quattro raggiunsero i loro armadietti, recuperando i telefoni. Sam ricevette un messaggio, puntato immediatamente dallo sguardo degli altri.

“E’ solo mio padre!” spezzò la suspence.

“Dovremmo avere una suoneria personalizzata solo per A. Odio questi momenti in cui le nostre mandibole precipitano a terra ad ogni sms che riceviamo!” pensò Nathaniel, riprendendo fiato.

“Sì, - continuò Sam, mentre avevano ripreso a camminare – comunque…non posso fare i compiti con voi domani!”

Quelli si fermarono nuovamente. Intuirono che si trattava di una frase in codice, che mascherava la gita al dipartimento.

Rider fu il primo a prendere parola: “Perché?”

“Ho uno psicologo, grazie ad A! – rispose, sarcastico e irritato – Lo incontro domani, Mercoledì e Venerdì!”

Nathaniel era confuso a quel punto, come Eric: “Un secondo, che mi sono perso? Perché tuo padre ti manda dallo psicologo?”

Fu Rider ad aggiornarlo: “Perché Brakner gli ha mandando foto di Sam di quando aveva le labbra malconce. Ha dovuto inventare qualcosa prima che corresse qui a scuola a cercare il suo bullo.”

“Tipo cosa?” cercò di capire Nathaniel, fissando Sam.

Fu sempre Rider a rispondere, incurante: “Tipo fare coming out, tagliandosi un polso!”

“COSA?” gridarono in coro Eric e Nathaniel, sgranando gli occhi.

Sam lanciò un’occhiataccia a Rider per averlo detto in quel modo.

“Risparmiati quella faccia, Sam. Ho avuto una giornata di merda!”

Quello attenuò la sua smorfia, voltandosi a spiegare agli altri due.

“Sentite, dovevo dare un senso a quelle foto. Fingere di avere una specie di disagio interiore! - roteò gli occhi, seccato - Peccato che ora mio padre pensi che l’autolesionismo sia il mio nuovo hobby!”

“Sam, è stato pericoloso fare quello che hai fatto. – lo sgridò Eric, mentre Nathaniel si mostrava seriamente allibito e preoccupato – Poteva andarti peggio!”

Sam alzò la manica, indifferente, mostrando il polso fasciato: “E’ solo un taglietto, rilassatevi!”

Nathaniel si infuriò: “Un taglietto?? Sam, ti rendi conto di che potere ha A su di te?”

“Ha potere su tutti noi, Nat!” ribettè l’altro.

“No, non è vero. Di certo non giustifico i miei disagi camminando su un cornicione!”

Sam, stufo, si sistemò la tracolla, superando i compagni.

“Io me ne vado, ci vediamo domani!”

Mentre Nathaniel lo fissava altamente infastidito, voltare loro le spalle, Rider lo fermò.

“Sam, chiamami domani mattina. Sul fisso!”

Quello roteò gli occhi ancora una volta, prima di voltarsi nuovamente e andare: “Ok!”

 

*

 

Come concordato, Sam e Rider si sentirono per telefono la mattina seguente.

“Sam, devi venire con noi a Brokehaven oggi. Non puoi non venire.”

“Lo sai che non posso. Tra le ore extra a scuola e lo psicologo, non ho il potere di sdoppiarmi in due.”

“Davvero? – si pronunciò con finto scetticismo – Mi stai dicendo che per te lo psicologo è più importante di quello che dobbiamo fare? Avanti, non me la bevo!”

“Che vorresti dire, scusa?” Sam percepì un velo di insinuazione.

“Intendo dire che, forse, Nat ha ragione. Che A ha molto potere su di te!”

“Noi facciamo continui buchi nell’acqua, ok? Non pagherò le conseguenze anche questa volta!”


“Sam, noi ci andremo ugualmente a Brokehaven. E se riusciamo a togliere i bracciali, Brakner se la prenderà solo con te, perciò decidi tu.”

Sam sospirò, fissando la parete. Improvvisamente sentì un suono provenire dall’esterno.

“Rider… - cercò di guardare fuori, attraverso le finestre, abbastanza distratto da quel suono insistente – Ne riparliamo a scuola, ok? Ora devo andare!”

Quando mise giù la cornetta, ancora si sentiva la voce di Rider che parlava, nell’intento di trattenerlo e finire il discorso.

Sam era già alla porta, subito dopo, uscito a vedere di cosa si trattasse. Con gran sorpresa, trovò Nathaniel, che camminava con accanto un tandem, suonando il campanellino.

Confuso, Sam sorrise, avvicinandosi.

“E questa bicicletta?”

Nathaniel, altrettanto divertito, prese un biglietto dal cestello e glielo fece leggere. Il sorriso scomparse immediatamente dal viso di Sam, non appena lo lesse.

 

“Dopo il vostro primo bacio, sarete sicuramente felici di fare un giro romantico prima di andare a scuola.”

-A

 

Sam alzò la testa, sentendosi in colpa, una mano sul petto: “Nat, mi dispiace. Sono così mortificato.”

L’espressione dell’altro era totalmente serena: “E’ tutto ok, Sam. D’accordo?”

“Ma ci vedranno tutti! – si disperò – E’ tutta colpa mia, ora A pensa che siamo una coppia.”

“Senti, sono stato io a baciarti. E’ tutto a posto, ti ho detto.”

Sam lo fissò a lungo, in una smorfia angosciata: “E io che pensavo che A sarebbe stato impegnato con Eric e Rider, mentre noi andavamo in carcere da Jasper. Questo vuol dire che sa che abbiamo parlato con lui.”

“Forse ci ha seguiti Lindsay. Brakner non poteva preparare la trappola ad Eric e Rider ed essere a Philadelphia con noi, contemporaneamente.”

“Pff, e poi Rider dice che sua sorella non è coinvolta più di tanto. Secondo me ci è dentro fino al collo!”

Nathaniel suonò il campanello della bicicletta, accennando poi un sorriso, per sdrammatizzare.

“Dai, sali! – ci montò sopra, aspettando l’amico -  Non avevo mai provato una bicicletta a due posti…”

Sam era ancora restio nel voler fare questo giro: “Nat, ma le persone…”

Quello lo zittì immediatamente.

“Smetti-di-parlare. Ok? Non mi importa di quello che dice la gente. Mi importa di quello che dico io…E quello che dico io mi fa stare bene, perciò sali su questo dannato tandem!”

Sam lo fissò a lungo, colpito dalle sue parole, arrendendosi: “Beh, A ci ha detto di fare un giro, ma non ha specificato dove. Propongo di andare al parco, così eviteremo di dare qualcosa di cui sparlare ai cittadini di Rosewood.”

“Te l’ho detto, non ho problemi. Ma se desideri questo, che parco sia!”

Sam montò sul tandem.

“Ok, ci sono!”

Nathaniel si voltò, assicurandosi che potessero partire.

“Pronto? Possiamo andare?”

“Sì!” accennò un sorriso, l’altro.

I due iniziarono a pedalare, allontanandosi lungo il viale.

 

*

 

Più tardi, a scuola, Eric e Rider erano seduti sulle panche che c’erano davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Mentre quest’ultimo controllava il telefono, l’altro osservava alcuni annunci sul giornale.

“Violet ha dato una festa per la sua vittoria: 67 foto… - Rider le vide una ad una, facendo delle smorfie con il viso – Ah, no, - accentuò la smorfia, seccato – sono 72!...  – notò dell’altro, poi -  Ehi, ha appena pubblicato uno stato: Il ballo degli ex alunni si avvicina, suggerimenti per la band da chiamare? – sollevò lo sguardo dal telefono, indignato – Pazzesco, ha già ricevuto 108 like!”

“Rider, la smetti di controllare il profilo di Violet? Sto cercando di concentrarmi!”

Quello buttò un occhio sul suo giornale, perplesso: “Concentrarti su cosa? Sugli annunci dei cani scomparsi?”

“No! – girò la pagina, Eric, nervoso – Sto cercando gli annunci di lavoro, voglio aiutare mia madre.”

“Sono alla fine, comunque…” indicò con gli occhi.

“Grazie… - ribattè, giù di morale, andando alla fine del giornale – In più, Alexis sembra avere dei ripensamenti su di me.”

“Pensavo che andasse a gonfievele tra di voi.”

“Beh, pensa che io nascondi qualcosa…Il che è vero: A!”

“Non azzardarti a raccontarle assolutamente nulla. So che è dura, ma devi lasciarla fuori da questa storia.”

“Non è facile… - si mise le mani sulla faccia, oppresso – Non ce la faccio più, diventa sempre più pesante la nostra situazione.”

“E lo dici a me? Ieri sono stato letteralmente cacciato fuori dall’aula!”

Eric, intanto, aveva posato lo sguardo su una ragazza che stava salendo le gradinate della scuola: Chloe. La indicò con gli occhi a Rider, che era di spalle e non poteva vederla. Quando si voltò, la vide anche lui.

“Era ora! – Rider prese subito il telefono – Avverto Sam… - ma si bloccò, sgranando gli occhi a qualcosa che aveva appena visto – OH-OH!”

“OH-OH, cosa?” volle sapere Eric, incuriosito.

Rider gli mostrò il telefono: una foto di Sam e Nathaniel, al parco, su un tandem.

“L’ha appena postata Cameron Ashcroft. – spiegò, leggendo lo stato – Quanti like per #Nathaniam, la nuova ship della scuola?

“Cameron sa essere assai vendicativo. E’ dura essere rifiutati; soprattutto per uno come lui.” pensò Eric.

“E A sa essere assai creativo! Non so se riuscirò a sorprendermi di qualcos’altro, dopo il tandem!”

“Povero Nat, - ribattè Eric - almeno Sam è gay per davvero, ma lui no.”

“E’ umiliante per entrambi, credimi.”

Improvvisamente, videro Sam e Nathaniel arrivare a piedi, ignari della foto che stava circolando.

Eric e Rider si alzarono per andare verso di loro e metterli al corrente di tutto, ma un messaggio li costrinse a fermarsi.

 

“Non avvicinatevi a loro. E già un privilegio avervi concesso di restare a coppie.”

-A

I due sollevarono lo sguardo, scuotendo la testa. Sam e Nathaniel compresero perfettamente che non potevano avvicinarsi a loro. Anche questi ricevettero un messaggio.

 

“Entrate a scuola per mano.”

-A

 

I due sgranarono gli occhi, fissando il vuoto. Poi si guardarono. Nathaniel non era più così sereno come prima, stavolta era in pubblico.

“Nathaniel, non sei costretto a…”

“Lo sono, invece…Non abbiamo altra scelta.”

Entrambi deglutirono, nel panico, mentre gli amici, da lontano, gli osservavano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Mentre Sam era completamente immobile, fu Nathaniel a prendere l’iniziativa e a prendergli la mano. Sam sentì il cuore che gli batteva forte, mentre, tesi, si incamminavano. Eric e Rider si scambiarono una lunga occhiata, in pena per loro.

Una volta dentro, ogni studente aveva gli occhi puntati su di loro. Espressioni di stupore spaziavano i corridoi, tra bisbigli e risate silenziose. I due continuarono a camminare senza guardare nessuno, finchè la cosa sembrò sempre meno percettibile e gli studenti tornavano a fare ciò che stavano facendo prima del loro arrivo. Inoltre, la campanella contribuì ad interrompere quel momento imbarazzante.

Improvvisamente, Sam vide Chloe in lontananza, lasciando la mano a Nathaniel in maniera brusca. Quello si sentì ancora strano, quasi come se si era abituato a tenergliela.

“E’ tornata! – gli disse, prima di camminarle in contro – Chloe?” la chiamò, mentre quella stava parlando con altre due ragazze.

Il suono della campanella copriva la sua voce, ma era a metà strada e la stava raggiungendo. Nathaniel lo guardò allontanarsi e anche Eric e Rider, più dietro. Tutti non vedevano l’ora che parlasse con lei.

“Chloe?” la chiamò ancora, ma quella non lo sentì, iniziando ad allontanarsi con le due ragazze verso le classi.

Sam, a quel punto, alzò il passo, ma fu fermato da un nuovo messaggio che non lo lasciò indifferente.

 

“Prova a parlare con Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”

-A

 

Barcollò, agghiacciato, mentre la ragazza era ormai scomparsa dalla sua visuale. Un brivido corse lungo la sua schiena, fino alle braccia. Era il messaggio più minaccioso che avesse mai ricevuto. I ragazzi non capivano cosa stesse facendo lì impalato, in mezzo al corridoio.

Finalmente Sam si voltò, aveva gli occhi rossi e lucidi ed era alquanto scosso. Fissò i suoi compagni per qualche secondo, prima di scappare in bagno. Nathaniel si voltò alle sue spalle, guardandosi con Eric e Rider, poi lo seguì.

Quando lo raggiunse, Sam era a dir poco sotto shock e cercava di sfilarsi il bracciale con forza, disperato.

“Sam, mi dici che cosa è successo? – si fermò accanto a lui – Perché non hai raggiunto Chloe?”

A ha detto che se provo a parlarle, mi fa esplodere il braccio. – spiegò, piagnucolando, per poi mettersi una mano sul petto – Non riesco a respirare, - si voltò verso di lui – Oddio, può farlo davvero? Può farmi esplodere il braccio?”

“Non essere ridicolo, Sam.” cercò di tranquillizzarlo, anche se era spaventato anche lui.

Improvvisamente, qualcuno entrò in bagno. Si trattava di Cameron. I due si voltarono a guardarlo e Sam si rimise giù la manica, cercando di ricomporsi.

“Sam… - esordì nervoso, accorgendosi anche della presenza di Nathaniel – Ragazzi, non sono stato io a postare la foto, ok?”

Nathaniel non capì di cosa stesse parlando: “Quale foto?”

Cameron vide confuso anche Sam: “Ouh, non l’avete ancora vista allora… - mortificato, prese il suo telefono, mostrandola a loro – Qualcuno deve aver prese il mio telefono, perché vi giuro che…”

Nathaniel lo prese immediatamente dal petto, inchiodandolo al muro. Sam intervenne.

“Lascialo, lascialo! – tirò Nathaniel per un braccio – Dice la verità, lo sai che è la verità!”

Quello lo lasciò, mentre l’altro ragazzo parve incredulo.

“Mi credete, allora…” lo trovò abbastanza strano.

“Vattene!” gli urlò Nathaniel, facendolo sobbalzare.

Il ragazzo indietreggiò, quasi inciampando.

“Sì, ma non dite a nessuno che sono gay. – supplicò - Per favore!”

Fu Sam a pronunciarsi, serio: “Credimi, non ce ne frega niente. Quelli sono affari tuoi!”

Cameron, nonostante fosse stranito dal loro comportamento, uscì, senza aggiungere altro.

Il silenzio calò improvvisamente sulla stanza e Nathaniel si appoggiò al muro con le braccia. Sam, alle sue spalle, non sapeva se rivolgergli la parola; temeva una sua brutta reazione, dato lo stress accumulato.

“Nat, stai bene?”

Dopo un po’, quello si voltò, più calmo: “Non proprio, ma…Insomma, va bene così…”

“Mi dispiace che tu sia finito in mezzo a questa storia. Per me non è un problema, a questo punto, ma…Non voglio che tu ci soffra.”

“Senti, non mi interessa…Che mi credano gay o quello che vogliono. Prima o poi smetteranno di fare caso a noi.” concluse, tendendogli la mano.

Sam, con un sorriso poco marcato, la bocca serrata, prese la sua mano e i due uscirono, spavaldi.

 

 

*

 

 

Dopo la scuola, i ragazzi giunsero a Brokehaven come programmato. La segreteria del dipartimento era ancora aperta, ma la donna di colore che era di turno, era assai difficile da convincere in quanto ad informazioni confidenziali. Rider era avanti ai suoi amici che parlava con lei.

“Che significa che non può darci l’indirizzo di Denna Marx?”

“C’è la privacy su queste cose!” chiarì quella.

“La privacy? – titubò, incredulo – Dove siamo, alla NASA?”

“La professoressa non lavora più qui e noi non siamo tenuti a dare alcun recapito. Ora, se non vi dispiace, ho dei fogli da spillare!” e si congedò, lasciando i quattro con un palmo di naso.

Rider si voltò verso i suoi amici, abbastanza furioso.

“E’ incredibile, ora come la troviamo?”

Nessuno di loro aveva alcuna idea, ciondolando con loro sguardo. Improvvisamente, una voce fece voltare i ragazzi.

“Nathan?” era una ragazza, fermatasi accanto a loro.

“Zoe!” la riconobbe Nathaniel, avvicinandosi a lei, mentre gli altri tre si scambiarono una rapida occhiata, confusi.

Quella, stringendo il libri al petto, fu felice di vederlo: “E’ un po’ presto per le iscrizioni, non pensavo di rivederti così presto.”

“In verità, - si fece avanti Rider – stavamo cercando la Professoressa Marx!”

“Pff, chi non la cerca! – esclamò quella – Da quando se n’è andata, i suoi studenti si sentono tutti abbastanza spaesati.”

“Sai per caso dove abita?” ne approfittò Nathaniel, con discrezione.

“Certo, mia madre è stata il suo agente immobiliare quando si è trasferita qui. Ha visto almeno tredici case prima di decidersi!”

“Oh, ma è fantastico! – si entusiasmò Rider – Potresti scriverci il suo indirizzo?”

“Dubito che la troverete, si è trasferita a Miami.”

Stavolta fu Sam ad intromettersi: “Non ha qualche parente, qui?”

“In verità, sì. So che ha una sorella…”

“Puoi scriverci il suo indirizzo?” insistette Rider.

“Ehm… - lo fissò quella, iniziando a stranirsi – Ok, dammi carta e penna…”

“Hai una penna?” ribattè Rider.

“Si!” la tirò fuori dalla borsa.

“Bene, scrivimelo sul braccio!”

“Ouh… - lo fissò, sempre più perplessa – D’accordo…”

Nathaniel lanciò un’occhiataccia a Rider per i suoi atteggiamenti bizzarri, mentre quella scriveva l’indirizzo.

“Ecco fatto!” indietreggiò la ragazza, rimettendo la penna nella borsa. I quattro la sorpassarono.

“Grazie, Zoe. – si pronunciò Nathaniel - Sei stata molto gentile!”

“Per caso… - li fermò quella, con un espressione dubbiosa – Avete nulla a che fare con il furto dei chip, al laboratorio? – fissò Nathaniel – Insomma, ti ho incontrato lì, quel giorno.”

“No! – scosse la testa Nathaniel, come tutti gli altri – Direi proprio di no.”

Poco convinta, Zoe continuò con un’altra domanda: “Ok…E posso sapere perché cercate la Professoressa Marx, almeno?”

“Speravo di poterla intervistare di nuovo, sono un podcaster. – replicò Rider – I miei follower sono impazziti per lei. Magari mi concederà altro del suo tempo, via skype!”

“Credo che inizierò a seguirti anch’io. – annuì Zoe – Sai, mi interessano molto gli argomenti della Professoressa Marx. Come ti chiami? Così ti aggiungo su Twitter.”

“Ehm… - Rider stava iniziando a rispondere, mentre gli amici lo fissavano abbastanza tesi – Taylor Buh! – rise – Ora dobbiamo proprio andare!” concluse, voltandosi velocemente e andandosene. Gli altri lo seguirono a ruota, dopo aver sorriso alla ragazza.

Quella continuò a guardarli, trovandoli strani.

 

*

 

Intanto, a Rosewood, Alexis era salita con Jennifer al suo appartamento per provare qualche abito per l’appuntamento con Eric.

In quel momento, la donna era in salotto che attendeva la ragazza. Finalmente entrò nella stanza, con indosso l’outfit che le aveve scelto. Si trattava di un top rosso e lungo che si allargava alla vita, un pantalone nero di seta, un cardigan nero e un tacco rosso e alto. I suoi capelli erano raccolti, solo due ciuffi ai lati del viso e un rossetto rosso sulle labbra.

“Sei… - Jennifer non aveva parole, mentre l’altra girava su se stessa, sorridente – Sei bellissima!”

“Dici che sto davvero bene?”

“Sei un incanto, tesoro. Mio figlio è davvero fortunato.”

Alexis si guardò ancora una volta. Jennifer pensò che mancava qualcosa.

“Aggiungerei solo un accessorio… - si tolse dal polso una serie di bracciali incastrati fra loro, color argento – Me lo regalò mio marito al nostro primo appuntamento e da allora non ci siamo più lasciati.”

Si diresse verso di lei per darglielo, ma Alexis indietreggiò, subito contraria.

“No no, non è necessario Jen!”

“Non essere sciocca, sta meglio a te, questa sera.” glielo infilò al polso.

“Ma… - Alexis era a disagio - E se lo perdo?”

“Non lo perderai…” le sorrise, premurosa.

E quella se lo ammirò, facendo poi una giravolta e scoppiando in una risata incontrollata con la donna.

 

*

 

Nel frattempo, a Brokehaven, i quattro stavano salendo le scale di un edificio. Eric e Sam erano avanti a Nathaniel e Rider.

“E’ l’interno 7B, giusto?” chiese Sam, esausto.

Rider confermò: “Così c’è scritto sul mio braccio!”

“Non potevamo prendere l’ascensore? – anche Nathaniel era esausto – Questa scale non finiscono mai!”

“Meglio di no… - sottolineò Rider – Per esperienza personale, ho deciso di non inficcarmi più in luoghi senza via d’uscita!”

Nathaniel gli lanciò un’occhiataccia.

“Che c’è? – sussultò Rider – A potrebbe bloccarci anche negli ascensori!”

“Non contesto! – intervenne Sam, mentre volgeva la testa in alto, verso la nuova rampa di scale da salire – A questo punto non mi stupisco più di niente.”

Rider si voltò nuovamente verso Nathaniel, fissandolo.

“Sai, hai qualcosa di diverso…” ma non capiva cosa.

“Io?” titubò quello, confuso.

“La tua faccia…Sembra diversa! – abbassò lo sguardo sul resto del corpo – Anche il tuo fisico.”

“Eh? – stranì, toccandosi il petto e la faccia – Sono sempre io, di che diavolo parli?”

“Lascia perdere, forse sto delirando per queste scale!” concluse, raggiungendo Sam e Rider: erano arrivati.

Prima di alzare il passo, rimasto indietro, Nathaniel si toccò nuovamente i suoi pettorali e la sua faccia, pensando ancora alla strana osservazione di Rider.

“I telefoni sono tutti in macchina, giusto? – bisbigliò Rider, mentre quelli annuivano, davanti alla porta dell’interno 7B – Ricordare tutti il piano, non avrà altra scelta che toglierceli se ha un briciolo di umanità.”

I quattro sospirarono, voltandosi davanti alla porta. Fu Eric a bussare.

Dopo qualche secondo, aprì una donna, ma non era Denna Marx.

“Sì? – domandò quella, fissandoli.

Abbassò, poi, lo sguardo, intravedendo un bracciale sotto alla manica di uno di loro.

Ella sgranò gli occhi, quasi immediatamente, esplodendo in una reazione esagerata: “Oh cazzo! – urlò, richiudendo la porta – Cazzo, cazzo, cazzo!”

I ragazzi si buttarono subito contro la porta, impedendone la chiusura.

“SPINGETEEE!” gridò Rider agli amici, mentre l’altra cedeva.

Dopo un estenuante lotta, i ragazzi erano dentro l’appartamento.

“Sto per chiamare la polizia!” minacciò quella, indietreggiando, nervosa.

“Strana la tua reazione, - Rider le sorrise cinicamente, mentre Eric chiudeva la porta – Noi non ti conosciamo nemmeno, ma tu sembri conoscere noi.”

Anche Sam e Nathaniel la guardarono con volto serio e cinico, per poi muoversi verso le altre stanze.

“Ehi! – spostò lo sguardo su di loro – EHI, dove credete di andare?”

“Dov’è Denna Marx? – le domandò Rider, mettendosi davanti a lei – Tu devi essere sua sorella, no?”

“Non c’è nessun’altro, qui!” esclamò Sam, di ritorno con Nathaniel.

Ora, tutti la fissavano. Uno sguardo pesante che la mise alle strette.

“Ehm… - aveva lo sguardo basso e stava sudando – Non siamo proprio sorelle; stessa madre, padre diverso.”

“Quindi siete sorellastre!” dedusse Sam.

Quella annuì, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo.

“Mi chiamo Julie Orlando…”

“Bene, Julie Orlando… - cominciò Rider – Dov’è Denna?”

“E’ andata via. E’ partita!”

“Certo, e io sono James Bond!” non ci credette, Nathaniel.

“E’ la verità!” urlò Julie.

Eric, a quel punto, si fece più avanti, alzando la manica e mostrando il bracciale al polso: “Tua sorella non può essere partita. Altrimenti non avremmo questi dannati cosi al polso!”

Julie fissò a lungo quel bracciale, sempre più nervosa: “Non gli ha fatti lei quei bracciali…ma io!”

I quattro ragazzi si guardarono, confusi, per poi tornare a guardarla, in attesa di saperne di più.

“Sono laureata anch’io in ingegneria elettronica. Denna ha solo costruito i vostri chip!”

“Quindi ci conosci?” Rider strinse gli occhi, sbigottito.

“No, non vi ho mai visti prima d’ora. Ho solo riconosciuto il bracciale.”

“Cosa sai su di noi e sulla persona che ti ha chiesto questi bracciali?” chiese Nathaniel.

“I-io… - deglutì, a disagio – Francamente pensavo che foste più grandi, non degli adolescenti.”

Sam non capì, guardandosi con gli altri: “Cioè? Che significa?”

“Io e Denna commissioniamo delle cose a delle persone, ogni tanto. Queste persone ci chiamano e ci chiedono delle cose. La maggior parte, sono criminali. Altri sono amici di Denna.”

Quelli ascoltarono assorti, increduli, mentre continuava.

“Molti anni fa, Denna si è messa in un giro pericolo. Non l’hanno mai beccata, così ne è uscita ed è entrata ad insegnare al dipartimento di ingegneria elettronica, qui a Brokehaven…Solo che, ogni tanto, qualcuno la chiama ancora. E, ora, chiamano anche me.”

“La persona che vi ha contattato per i chip e i bracciali – prese parola Nathaniel – L’hai mai incontrata di persona?”

“Hai mai visto una ragazza, per caso?” aggiunse Rider, sperando di no.

“No, non ho mai incontrato nessuno e nemmeno Denna. – scosse la testa, convincente – Ci ho parlato circa una settimana fa, ma aveva la voce camuffata.”

Fu il turno di Rider: “E per la consegna?”

“Avete mai visto New york taxy?”

Sam conosceva quel film: “Gli hai messi in un bidone dei rifiuti?”

“Mi aveva detto di lasciarli lì, i soldi per la commissione erano già sul mio conto.”

“Che cosa sai di tutta questa storia, - le chiese Eric - di preciso?”

“So quello che mi ha raccontato Denna, che non è molto. Francamente, era molto entusiasta di essere stata contattata da questa persona…”

 

Flashback – una settimana e mezza prima

 

Denna era appena rientrata a casa, raggiante, con una scatola in mano, piena dei suoi oggetti personali. Julie le andò in contro con una tazza di caffè in mano.

“Fai sul serio?”

“Già, mi sono licenziata! – esclamò quella, gettando la scatola sul tavolo – Pensavi che scherzassi?”

“Dico che questa faccenda è strana, Denna. Il tuo misterioso cliente ha chiamato di nuovo, mentre non c’eri, e aveva una voce a dir poco inquietante, camuffata come nei film!”

“E allora? – si sedette, curiosa – Che voleva?”

“Ha chiesto quattro bracciali in grado di fornire una posione.”

“No, se lo può scordare! – si alzò, dirigendosi verso il frigo e tirando fuori una birra – Tra un’ora ho il volo, finisci tu questo lavoro, dal momento che hai deciso di non venire con me! - fantasticò su quella che sarebbe stata la sua destinazione – Dio, non vedo l’ora di passare le mie giornate a bere cocktail sulla spiaggia, nuda! – sua sorella la fissò malamente, costringendola a rettificare – Ok, non nuda, ma…”

“Denna, non mi ha chiesto solo questo. – continuò, preoccuapata -  Vuole anche che questi bracciali generino una scossa elettrica.”

“Perverso! - pensò Denna, disinteressata, sollevandosi il seno – Dici che le mie tette sono troppe piccole per Miami? Forse dovrei rifarmele!”

“Denna, dico sul serio! – la richiamò alla ragione - Nessuno ci aveva mai chiesto cose del genere, fino ad oggi.”

“Senti, questa persona mi ha pagata bene! Moolto bene! – poggiò la sua birra, ormai vuota – Sono libera, ho finito, ho chiuso! Passerò il resto della mia vita a far fruttare ciò che ho guadagnato duramente e a non fare assolutamente niente. Solo sole, sesso, shopping, party, amici…Sesso!”

“Sei disgustosa!”

“Beh, la vita è una sola, Sestra! Disgustosa o no, è vita vera!…Che non vivrei, stando qui a fare la cervellona, fino alla pensione.”

L’atra esternò ancora le sue angosce: “Ma non pensi alle persone che riceveranno questa scossa? E se sono animali?”

Denna rise: “Non sono animali, tesoro. L’uomo crea armi solo contro l’uomo. E in ogni caso, non mi interessa. Ho 33 anni, ho studiato per più della metà della mia vita e fatto cose che non pensavo di riuscire a fare. Certo, ho fatto cose di cui non vado fiera, ma…nessuno di noi andrà in paradiso, perché il paradiso non esiste!...Ho vissuto tra la paura dell’essere scoperta in ogni mio lavoretto e a svegliarmi ogni mattina per istruire giovani menti su giovani menti. Non posso fare tutto questo per sempre, non posso. Ho finalmente una chance di ricominciare altrove e di godermi la mia meritata ricompensa. Una vita che tutti sognano di poter vivere, ma che non tutti hanno la possibilità di vivere.”

Julie comprese che quella di sua sorella era una scelta definitiva: “Bene, divertiti allora!”

Quella si avvicinò a lei e le prese le mani, premurosa: “Fai questa ultima commissione e raggiungimi. La nostra sarà una vita meravigliosa, non te ne pentirai.”

“Ci penserò… - l’idea la allettava, ma aveva ancora qualche dubbio – Prometto che ci penserò!”

“Evviva! – esultò, alzando le braccia – Ora, se non ti dispiace, vado preparare la mia valigia di soli bikini!”

Julie sorrise, nel vederla passare nell’altra stanza, ma subito fu assalita dai suoi pensieri sul misterioso cliente.

 

“Ci ho pensato, ragazzi…Ci ho davvero pensato, ma…non ci sono riuscita. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato.” spiegò Julie, dopo aver raccontato della sua ultima conversazione con sua sorella.

“Puoi toglierci questi bracciali, per favore? – chiese Sam, mostrandosi fragile per la prima volta ai suoi occhi – Ha minacciato di farmi esplodere il braccio!”

Julie ne rimase scioccata, gli occhi le lacrimavano per essere stata la causa della loro sofferenza: “C-certo!”

“Grazie! – esclamò Rider, sorpreso – Eravamo venuti qui con un piano: quello di fingere di ricevere una scossa talmente forte da costringere tua sorella a toglierceli. Perciò, grazie per averci risparmiato la recita.”

“Pensavate che mia sorella fosse qui? – lo trovò strano - A proposito, come la conoscete?”

“E’ una lunga storia, ma è davvero bizzarro come le vite delle persone si intreccino in questo modo quando sono coinvolte tutte nella stessa faccenda.” rispose Eric.

Intanto la stavano seguendo nel suo piccolo studio. La donna prese uno strano oggetto da un cassetto con dei pulsanti sopra.

“Per togliere i bracciali, serve una particolare frequenza. Un suono!” spiegò, mentre smanettava il dispositivo che teneva in mano. Aveva anche messo gli occhiali.

“Quanta creatività per uno strumento di tortura!” pensò Rider, ironico.

“Ok, ci sono. – fissò i ragazzi, poi – E’ meglio se vi coprite le orecchie, il suono è molto acuto.”

Quelli eseguirono, mentre Julie era pronta a premere il tasto. Improvvisamente, i quattro furono colti da una potente scossa elettrica, che li costrinse a piegarsi in due, spaventando la donna.

“Julie, fa prestoo! – urlò Rider – Sa che siamo qui!”

“Ti pregoo!” urlò anche Sam, straziato dal dolore.

“Oh cazzo, - Julie cercò di mantenere il sangue freddo, nonostante avesse gli occhi sgranati per il terrore - resistete!”

Finalmente avviò il dispositivo. Un suono acutissimo riempì la stanza, aumentando la sofferenza dei ragazzi anche al livello uditivo. Dopo qualche secondo, i bracciali si aprirono, cascando sul pavimento. Era finita.

I quattro erano ancora piegati in due, che cercavano di riprendere fiato, toccandosi il polso.

“Mio Dio, - Eric fu il primo a ritrovare le parole - era come se mi stesse staccando il braccio…”

Julie, realmente scioccata, era senza parole: “M-ma che vuole questa persona da voi? Perché vi sta facendo questo?”

Ognuno di loro la fissò, senza dire nulla, abbastanza provati.

“Hai detto che i bracciali servono a localizzare la posizione di chi lo indossa, giusto? – si riprese Rider – Non ci hai messo qualche microfono per ascoltare, vero?”

Quella scosse la testa: “No…”

“Senti, noi non possiamo rispondere alle tue domande. Ci sono cose che preferiamo tenere per noi e abbiamo i nostri motivi.” chiarì Rider, guardandosi con Eric, accanto a lui, che continuò il discorso.

Sam e Rider si guardarono; loro non erano riusciti a mantenere il segreto con Jasper e le parole di Rider li intimidirono.

“L’unica cosa che possiamo dirti è che abbiamo a che fare con una persona crudele e squilibrata. Un vero psicopatico. Non possiamo nemmeno chiedere aiuto alla polizia.”

“E non potete chiedere aiuto alla polizia, perché…???” cercò di capire la donna, leggermente confusa.

Nathaniel si fece avanti: “Questa persona, A, possiede qualcosa che può usare contro di noi.”

“Ed è una cosa grave?”

Fu il turno di Sam: “Ascolta, Julie, siamo tutti bravi ragazzi qui dentro. Purtroppo, però, siamo finiti in un brutto casino. Un casino enorme.”

“Fossi in te, - le suggerì Eric – seguirei il consiglio di tua sorella e scapperei a Miami. A se la prenderà con te per averci aiutati a togliere i bracciali.”

La donna si voltò dall’altra parte, verso la finestra, dopo averli fissati a lungo, abbastanza turbata. Molti pensieri le passarono per la mente.

“Questa cosa che A ha contro di voi, non potete proprio recuperarla?”

“Julie, non hai sentito quello che ha detto Eric? – replicò Sam – Vattene, finchè sei in tempo. Rovinerà anche la tua vita.”

Quella si girò: “No, se potete finalmente denunciarlo! Rispondete alla cazzo di domanda: c’è modo di recuperare quello che ha contro di voi o no?”

I ragazzi si guardarono e fu Rider a parlare per tutti.

“Forse, non ne siamo sicuri. Sospettiamo che ciò che ha contro di noi, lo nasconda all’interno di una panic room. Solo che…non sappiamo come entrarci!”

Julie annuì, riflettendo: “Capisco…E sapete dov’è questa panic room?”

“Sotto la nostra scuola!” rispose Nathaniel.

Inevitabilmente, la donna si lasciò scappare una lunga risata incontrollata: “Tutto questo è così folle!”

Continuò a ridere, mentre quelli la fissavano con la bocca serrata. Si diresse al frigo, prendendosi una birra e accendendosi una sigaretta, dando le spalle.

“…E mia sorella è a Miami che fa immersioni con degli squali di merda. – rise ancora, quasi invidiosa - Dio, che fortunata stronza!”

Eric, a quel punto, decise di interrompere le sue riflessioni personali: “Quindi…ci aiuterai?”

Julie si voltò di scatto: “Certo che vi aiuterò, idioti! Rispetto a mia sorella, godo di un senso di colpa grande quanto il Four season! Ho creato io i vostri strumenti di tortura e Dio solo sa cosa vi ha fatto passare questa persona.”

Sam, nel sentire quelle parole, ricordò ogni singola cosa che gli era stata fatta, gli occhi lucidi: “Credimi, non ne hai la minima idea…”

Quella fissò i volti di tutti e quattro, rendendosi conto di quanto fosse seria la gravità della situazione; pur non sapendo tutti i dettagli della storia.

 

SCENA FINALE

Eric era appena sceso al Brew, dopo una lunga doccia. Elegante, era pronto ad uscire con Alexis, che lo stava aspettando per chiudere il locale e andare.

Era davanti al bancone, quando lui scese l’ultimo gradino. Rimase letteralmente a bocca aperta, impalato.

“Sei la cosa più bella che abbia mai visto…”

La ragazza sorrise, facendosi ammirare: “E tu sei in ritardo!”

Quello si avvicinò a lei: “Ero fuori città, io e i miei amici abbiamo accompagnato un nostro amico dell’ultimo anno a visitare un college. La cosa si è tirata per le lunghe, sai come sono le confraternite!”

“Un po’ presto per iniziare a visitare college, non credi?” pensò, perplessa.

“Ne ha molti da visitare, quest’anno. Meglio iniziare da ora, è un tipo abbastanza scrupoloso! – si avvicinò a darle un bacio sulla bocca, per tagliare il discorso. Poi le sorrise, fissandola negli occhi – Ma ciao!”

“Ciao a te!” ricambiò il sorriso, dimenticandosi tutto.

“Sei pronta? Vogliamo andare?” le porse il braccio e lei ci infilò la mano.

“Non aspetto altro…”

I due uscirono dal locale e Alexis lo chiuse a chiave. Attraversarono la strada, dirigendosi alla macchina.

“Mamma ha fatto un ottimo lavoro, sembri una di quelle attrici sul Red carpet!”

L’altra, mentre il ragazzo apriva la portiera, si ricordò che aveva dimenticato qualcosa, guardandosi il polso.

“Oh no! – sbiancò, voltandosi verso di lui - Ho dimenticato dentro il braccialetto di tua madre, quello che tuo padre le regalò al loro primo appuntamento. – si agitò, mortificata – L’ho tolto solo un attimo perché stavo lavando dei piattini e non volevo rovinarlo.”

Eric le sorrise: “Traquilla, non è successo nulla. Lo vado a prendere io.”

Quella gli diede le chiavi: “L’ho appoggiato nel secondo ripiano in basso, sotto la macchinetta del caffè!”

Il ragazzo attraverso la strada, mentre Alexis aspettava vicino alla macchina. Qualcuno li stava osservando dall’interno di un auto, non molto lontano.

Arrivato alla porta, Eric ebbe qualche difficoltà ad aprirla e la ragazza se ne accorse dopo qualche secondo.

“Eric, va tutto bene?”

“Sì, - gridò quello, voltandosi un secondo – La serratura è un po’ bastarda!”

“Devi tirare la porta verso di te e spingere la chiave più in dentro fino al terzo giro. – suggerì – Anche io ho avuto lo stesso problema i primi tempi, ma a quanto pare una serratura nuova è chiedere troppo per il mio boss!”

“Che palle!” iniziò a perdere la pazienza, tirando la porta ripetutamente.

Alexis intuì che non ce l’avrebbe fatta: “Lascia perdere, sto arrivando! – rise – Ora vedrai la Supergirl che c’è in me!”

Eric si voltò, arreso, aspettandola arrivare. Le sorrise, vergognandosi. Improvvisamente, mentre ella stava attraversando, spensierata, fu abbagliata dai fari di un’auto, che stava puntando verso di lei a tutta velocità.

Il ragazzo distolse lo sguardo, accorgendosi dell’auto prima di lei. Il sorriso si spense, la paura prese il sopravvento.

“Alexis, attenta!” gridò, avvertendola.

Quella si voltò, senza nemmeno avere il tempo di reagire: l’auto la prese in pieno.

La ragazza rotolò sopra il tettucciò della vettura, prima di finire sopra l’asfalto.

Eric sgranò gli occhi, correndo verso di lei, urlando. L’auto si dileguò in un batter d’occhio.

Piena di sangue e lividi, Alexis non dava segni di vita al richiamo disperato di Eric, che chiamò immediatamente un’ambulanza.

Qualcuno finalmente rispose: “911, qual è l’emergenza?”

“Aiuto, qualcuno ha investito la mia ragazza. Vi prego, fate presto.”

“Respira?” domandò la donna al telefono.

“Ehm, sì… - controllò la giugulare con le dita – Credo di sì, ma è molto debole. – pianse – Vi prego, mandate subito qualcuno.”

“Stanno arrivando, si calmi.”

Tra le lacrime, il ragazzo attese l’intervento dei paramedici, inginocchiato accanto a lei, con la voce della donna al telefono che continuò a parlargli.

 

CONTINUA NELL’OTTAVO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

  
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