CAPITOLO
SETTE
“I
Care WhAt the Monster
Thinks”
TEN DAYS
LATER…
Era la mattina
del ritorno
a scuola, dopo la lunga sospensione di due settimane. Ne erano accadute
di cose
in quel lasso di tempo e Sam, scendendo le scale frettolosamente,
sapeva che molte
cose sarebbero ancora accadute. Con la tracolla che dondolava sul
braccio,
scivolata dalla spalla, continuava a guardare verso il piano di sopra,
cauto,
mentre lanciava un’occhiata all’orologio, che
segnava le sei e mezzo. Sceso
l’ultimo gradito, Sam si diresse in cucina, con la testa
ancora girata verso le
scale.
Dovette fermarsi
bruscamente, quando si voltò davanti, trovando suo padre
alla soglia della
cucina. La cosa lo colse di sorpresa, l’uomo aveva le maniche
della camicia
arrotolate e un piatto di pancakes nella mano destra.
“Oh,
mi era sembrato di
sentirti scendere!” lo accolse con un sorriso beffardo.
L’altro
si irrigidì,
abbassando quasi sempre la testa e cercando di inumidire le labbra per
non
mostrare le ferite ancora presenti: “Ehm, pensavo che ti
saresti svegliato più
tardi oggi!”
“Beh,
perché svegliarsi più
tardi se questo significa non vedere il proprio figlio per il decimo
giorno
consecutivo!” si evinse una nota furibonda nel tono.
“Non
è vero che non mi vedi
per il decimo giorno consecutivo.”
“Per
almeno tre o quattro
giorni hai continuato a dirmi per telefono che te ne stavi da un amico
e quando
sei tornato a casa, non hai fatto altro che passare velocemente accanto
alle
stanze in cui mi trovo io. – spiegò, irritato
– Sam, non posso diventare un
mostro da evitare solo perché decido di fare una ramanzina a
mio figlio per la
sua pessima condotta a scuola… - fu più calmo,
dopo aver alzato leggermente la
voce – Ramanzina che, tra l’altro, ti ho fatto per
telefono nell’unica volta
che non mi hai chiuso la chiamata in faccia.”
“Papà,
non ti sto evitando,
ok?” si giustificò quello, mortificato, mantenendo
un atteggiamento ritirato.
“Lo
spero, Sam. – lo fissò
dritto negli occhi - Perché da quando è morto il
tuo amico non sembri più tu.”
“Devo
andare a scuola, ok?”
Sam cercò di evadere da quella conversazione.
“Non
è un po’ presto?” lo
incalzò, intuendo che era una scusa.
“Papà,
non sono arrabbiato
con te, ok? – urlò, esasperato – Non ti
sto evitando, non sto mentendo.”
Le labbra del
ragazzo
iniziarono a sanguinare per averle sforzate troppo.
“Cos’hai
alle labbra?” notò
suo padre, aguzzando la vista. Quasi cercò di sfiorarle con
le dita.
Sam
indietreggiò, pulendosi
il sangue con la mano: “Niente, mi sono morso le
labbra!”
“A me
sembrano strane, ora
che le vedo meglio…” non gli credette, sempre
più perplesso.
“Devo
andare!” si voltò,
spedito verso la porta.
“Fai
almeno colazione! –
quello non si voltò - Sam!”
“Farò
colazione con i miei
amici, buonagiornata!” esclamò con freddezza,
uscendo.
Suo padre rimase
in piedi,
immobile, lo sguardo fissò sulla porta che si era appena
chiusa. Non riusciva a
capire cosa era preso a suo figlio, ma sentiva una profonda
inquietudine per
come l’aveva percepito.
Sam, fuori, si
fermò appena
più avanti alla porta, gli occhi chiusi, che cercava di
riprendere fiato e
trovare la forza di superare quel momento. Quasi gli scese una lacrima
per aver
mentito l’ennessima volta e per non poter dire la
verità a suo padre.
Nonostante ciò, riprese a camminare, scendendo le gradinate.
Improvvisamente,
dovette fermarsi nuovamente: una scatola di media grandezza era
poggiata a
terra, alla fine dei gradini.
Sam scese
lentamente,
inginocchiandosi per prendendola in mano, una volta giunto vicino ad
essa.
C’era un biglietto attaccato sopra.
“Ambasciator
non porta
pena. Un regalo per i bugiardi!”
-A
Dopo aver letto
il
messaggio, Sam si guardò attorno per tutto il tragitto fino
alla macchina.
*
Riuniti nella
camera di
Nathaniel, quest’ultimo, Rider ed Eric fissavano la scatola
poggiata sul letto
a braccia conserte, mentre Sam osservava le foto e la stanza
dell’amico con
tanta spensieratezza.
“Sam,
sei sicuro di non
aver visto nessuno? – lo chiamò Rider –
Poteva anche uscire tuo padre, penso
che A fosse lì e
sapesse che saresti
uscito tu per primo.”
Quello non
rispose,
incantato a guardare una foto di Nathaniel in piscina da bambino, sulla
scrivania. Rider si voltò, chiamandolo più forte.
“Sam?
Mi hai sentito?”
“Eh?
– si girò
distrattamente – Hai detto qualcosa?”
“Hai detto qualcosa? –
la trovò una
domanda assurda – Sam, c’è una scatola
mandata da A qui davanti a noi e mi
stai chiedendo se ho detto qualcosa?”
“Scusa…
- sorrise quello,
mortificato – è che non ero mai stato nella stanza
di Nathaniel.”
Eric e Rider lo
fissarono abbastanza
straniti, più di Nathaniel, che, invece, si sentì
in imbarazzo.
“Anche
per me è la prima
volta, ma non credo che andrò a scriverlo sul mio diario
segreto…” commentò
Eric, sarcastico.
Nathaniel fece
un colpo di
tosse, focalizzando nuovamente il gruppo sulla scatola: “Ok,
la mia camera
emoziona anche me, ma adesso dobbiamo pensare alla scatola. E farlo in
fretta!
Se arriviamo tardi al nostro rientro dalla sospensione, Ackett
aumenterà le
nostre ore extracurriculari fino alla luna piena!”
Tutti si
voltarono nuovamente
verso la scatola, Sam si avvicinò accanto a loro, mentre la
fissavano.
“Beh,
è un regalo, no? E i
regali si aprono…” Rider mise le mani sopra di
essa, scoperchiando lentamente
la scatola.
Con il fiato
sospeso per il
contenuto, Rider finalmente aprì la scatola, per poi farsi
indietro. I quattro
rimasero alquanto perplessi da ciò che stavano osservando:
quattro telefoni e
quattro bracciali.
“Si
può rifiutare un
regalo?” domandò Sam, rabbrividendo.
I telefoni si
accessero
contemporaneamente.
Eric
fissò i suoi compagni,
prima di tornare a guardare i telefoni: “Sembra che ci sia un
nuovo messaggio
per tutti noi… - deglutì – E i miei
peli delle braccia hanno appena avuto un
erezione!”
Rider ne prese
uno; ogni
telefono aveva davanti un cartellino con i loro nomi per segnalare a
chi
appartenesse.
“Nel
mio ci sono tre
messaggi…”
“Io
solo due…” aggiunse
Nathaniel, seguito anche da Sam ed Eric.
Rider
deglutì amaramente,
mentre tutti leggevano il primo messaggio. Uguale per ognuno di loro.
“Nuovi
telefoni, nuove
regole.”
-A
I quattro si
guardarono tra
loro, per poi passare al secondo messaggio. Anche questo, uguale per
tutti.
“Indossate
i bracciali
con i vostri nomi.”
-A
Si guardarono
nuovamente,
sempre più preoccupati da ciò che aveva in mente
il loro nemico. Subito dopo,
eseguirono.
“Perché
il mio è rosa? –
sussultò Nathaniel, irritato – Non lo
metto!”
“Nat,
hai letto quello che
ha scritto A, no? – lo
richiamò
Rider con tono serio – Se ci dice che dobbiamo mettere i
bracciali, noi
mettiamo i bracciali!”
“E da
quando ti interessa
quello che dice il mostro?”
“Mi
interessa da quando io,
Eric e il mio cane abbiamo quasi respirato acqua di fogna dentro i
nostri
polmoni.” ribattè Rider, ancora provato da quella
vicenda.
Alla fine,
Nathaniel si
arrese, indossandolo.
“Dai,
al massimo lo metti
sotto alla manica e non lo vede nessuno.” gli
consigliò Eric.
Quando lo
indossarono anche
gli altri, le due estremità si agganciarono con un sonoro
click. Lo trovarono
talmente bizzarro che si guardarono l’un l’altro,
mentre Sam provava a
toglierselo.
“Ehi,
ma… - si sforzò nel
cercare di sganciarlo – Non si toglie
più!”
“Ma
dai! – esclamò Rider,
una nota scettica nel tono, mentre ci provava anche lui –
Certo che si
togl… -
si affannò, nel tentativo – Ma
che diavolo??”
Anche Nathaniel
ed Eric
provarono a toglierselo, ma invano.
“Ok,
questo sì che è
strano!” si espresse Nathaniel, sgranando gli occhi.
“Dobbiamo
preoccuparci?”
Eric si rivolse a tutti, spaesato.
Nessuno sapeva
cosa dire,
mentre abbassavano i telefoni. Solo Rider aveva ancora un messaggio da
leggere
e lo fece, osservato dai suoi compagni.
“Torna
a casa, c’è un
altro pacco per te. Quando avrai finito, raggiungi i tuoi amici
all’entrata
della scuola.”
-A
“Un
altro pacco? – Sam si mostrò preoccupato
– Non sarà pericoloso?”
“Ho
altra scelta?” replicò Rider, seccato.
“Ha
scritto che dovrà raggiungerci a scuola, no? –
fece notare Eric –
Non penso che gli accadrà qualcosa.”
“Dev’essere
di nuovo il mio turno, questo. – pensò Rider
– Evidentemente
è qualcosa inerente alle elezioni.”
“Non
sarà stato difficile per A mettere
quest’altro pacco a casa tua!” Sam alluse a Lindsay.
Rider
si irritò, fissandolo a lungo, per poi lanciare una
frecciatina:
“Hai parlato con Chloe?”
“E’
ancora nel South Dakota, da sua madre.”
Rider
si alterò: “Pensava che la disinfestazione sarebbe
durata un
mese?”
“Strano,
non abbiamo mai avuto problemi di topi a scuola…”
pensò Eric a
braccia conserte.
“C’è
un seminterrato sotto la scuola… - intervenne Nathaniel -
Saranno
arrivati da lì!”
“Topi
o no, - Rider si avvicinò alla finestra, dando le spalle -
la
scuola ha riaperto due giorni fa e Violet ha fatto il suo discorso. Ha
praticamente vinto, non mi sono nemmeno presentato…E questo
dimostra quanto me
ne frega, gli studenti mi voteranno sicuramente.”
“E
adesso Violet è rilevante in questo discorso per quale
motivo? – ribattè
Sam, perplesso – Insomma, abbiamo ormai capito che non
è A,
perciò…”
Rider
si voltò, teso: “Non sarà A,
ma ci odia! Immagina come saranno i nostri ultimi due anni con tutti
che
pendono dalle sue labbra. Saremo ancora più emarginati e
c’è chi ne trarrà
piacere a trattarci come Anthony trattava tutti…Io non
voglio stressarmi e iniziare
ad andare male in tutte le materie. Ho già A
a cui pensare e la serenità scolastica
è qualcosa che mi serve o giuro che
crollerò.”
“Sentite,
forse se è meglio se ci avviamo. –
suggerì Eric, osservando
l’orario - Stiamo perdendo già troppo
tempo!”
“Eric
ha ragione.” lo appoggiò Nathaniel.
I
quattro si guardarono, abbastanza esausti da quella situazione.
*
Rientrato
a casa, Rider stava salendo le scale, diretto verso la sua
stanza. Nel corridoio si imbattè in Lindsay, quasi ci
sbatteva contro.
“Ehi,
ma che problemi hai? Non eri uscito?” si alterò,
quella, irritata
come di suo solito.
“E
tu che ne sai?”
“Ehm,
- fu sarcastica – la tua camera era vuota?”
“Sei
entrata in camera mia? – alzò la voce –
Perché sei entrata in
camera mia?”
L’altra
lo fissò a lungo, perplessa dal suo comportamento:
“Guarda che
ci sono passata solo davanti. La porta era aperta. –
spiegò, disgustata –
E poi non ti ho nemmeno sentito parlare da
solo come al solito, così ho pensato che eri uscito. Tutto
qui.
Rider
era più calmo, ma comunque sul chi va là:
“Io non parlo da solo!”
“E
invece lo fai continuamente. Ripeti tutte le materie del giorno,
prima di andare a scuola. Quando ti alzi, quando fai colazione, quando
ti lavi
i denti…Ripeti, ripeti, ripeti! Oggi, invece, quando mi sono
svegliata, c’era
il più totale silenzio…La casa puzzava di
ignoranza senza te, Mamma e Papà.”
concluse con una vena sarcastica.
“E’
per questo che ce l’hai sempre con me? Perché ti
senti inferiore?”
“Non
mi sento inferiore a te, fratellino. Non mi sento inferiore a nessuno.
Io diventerò famosa, una modella! Forse anche
un’attrice… - sorrise – E
arriverà il giorno in cui voi capirete che
l’intelligenza sta anche nel saper
usare anche il resto del corpo e non solo la testa. La bellezza
è un arma che il
cervello stesso non può concepire. E un giorno
sarò fiera di me stessa, perché
avrò raggiunto tutto da sola. Nonostante nessuno abbia mai
creduto in me.”
“Oh,
ti prego, risparmiami il clichè delle ragazze bionde che
sono
stupide. Non l’ho mai pensato!”
“Sì,
che l’hai pensato. Lo pensate tutti!”
urlò, sofferente nel tono.
FLASHBACK
Rider
cercava qualcosa nei cassetti della
sua scrivania. Anthony era in piedi davanti alla porta, socchiusa alle
sue
spalle.
“Come
hai fatto a perdere la copia del test
di Matematica?” lo rimproverò, mentre
l’altro sudava nel cercarlo, risollevando
continuamente gli occhiali dalla punta del naso.
“Semplice,
io non ho bisogno delle
risposte corrette. Io STUDIO per rispondere correttamente!”
replicò con un
pizzico di ribellione nel tono.
“Beh,
ti avevo chiesto quella copia del
test almeno una settimana fa!”
Rider
si fermò dal cercare, fissandolo: “E
io avevo quel test già dal giorno dopo in cui me
l’hai chiesto. Eri tu che non
c’eri, ti ho mandato un sacco di messaggi.”
“Sono
stato impegnato, ok? – si giustificò
quello, preso in contropiede – E se non trovi quello stupido
foglio, chiedi a
tua sorella di procurarsene un altro. Non credo che per lei
sarà un problema.”
alluse alla relazione della ragazza con il suo Professore.
“No,
non credo.” ribattè, incapace di
andare contro di lui, abbassando lo sguardo.
Improvvisamente,
Anthony assunse un
espressione beffarda: “Mi chiedo come a nessuno risulti
strano che tua sorella
vada male in tutte le materie, tranne che in Matematica. –
rise – Se sei
intelligente in una materia, dovresti esserlo anche nelle
altre.”
“Solo
tu riesci a notare queste cose,
Anthony.” replicò Rider, assumendo un espressione
seria e svogliata.
“E
anche tu! - esclamò, lasciandosi
scappare una risata cinica – Non sono l’unico in
questa stanza a sapere della tua
cara sorellina che va a letto con il professore.”
“Senti,
possiamo non parlare di lei? Sono
affari suoi!” si irritò.
“Di
sicuro non miei, non sono suo
fratello. – lo guardò con finta compassione
– Sai, un po’ mi dispiace per te.
Non dev’essere bello avere una sorella che cerca di fare del
suo meglio nella
vita, rotolandosi sotto ad una coperta…O saltando su una
cattedra, in questo
caso.”
“A
me non dispiace, ok? – si alterò – Siamo
completamente diversi e non mi è mai interessato nulla della
sua vita. Presto
le nostre strade si divideranno e potrà usare i suoi stupidi
neuroni come
diavolo vuole! – si calmò, poi – Ora
possiamo cambiare discorso?”
“Adesso,
sì!” rispose, sogghignando, come
se il suo scopo fosse quello di farlo arrivare al limite.
Lindsay
era dietro la porta socchiusa e
aveva ascoltato tutto.
“Pensi
che non ti abbia mai
sentito parlare con Anthony di me? Di quello che pensavate
entrambi?” fece
presente Lindsay, di tutte le volte che passava dalla sua stanza.
“Ma
non pensavo davvero
quelle cose. – cercò di giustificarsi - Era dovuto
alla rabbia del momento,
Anthony era così stronzo.”
“E
invece le pensavi…E le
pensi tutt’ora!” ribadì.
“Penso
solo che tu stia
commettendo un errore a stare con uno più grande di te e che
fa l’insegnante.
Non ti rendi proprio conto?”
“Io lo
amo davvero. E lui
ama me. Non è una stupida cotta, ok? Alcune volte gli amori
proibiti non sono
del tutto sbagliati.”
“Questo
lo è! – la prese
per i polsi, mostrandosi esageratamente preoccupato –
Credimi! Tiratene fuori,
prima che…”
L’altra,
fulminandolo con
un occhiata confusa, tirò via i suoi polsi: “Prima che, cosa? Ti droghi per
caso?”
“Lindsay,
ascoltami!”
insistette, fermato nuovamente.
“NO,
non ti ascolto! Non
rinuncerò a Julian solo perché tu non sai cosa
vuol dire amare qualcuno…Perché
noi ci amiamo davvero e lui crede in me a differenza di tutti voi. E
stai certo
che un giorno lasceremo Rosewood insieme!” e si
voltò, andandosene via,
furente.
“Lindsay,
aspetta!” le
urlò, cercando di fermala, ma quella era già al
piano di sotto. La porta
d’ingresso sbattè: era uscita.
Rimasto da solo,
Rider
sospirò, per poi entrare in camera sua e trovare il pacco
lasciato da A, sul suo letto.
Avvicinatosi,
abbastanza
teso, prese in mano il biglietto che c’era sopra.
“Indossa
ciò che trovi
dentro e raggiungi i tuoi amici a scuola.”
-A
Intimorito dal
contenuto,
scoperchiò la scatola, restando agghiacciato
all’istante. Subito dopo, iniziò a
togliersi gli occhiali, gli occhi ancora sgranati.
*
Nel frattempo,
gli altri
avevano raggiunto la scuola. Sgattaiolati nel pargheggio, Sam,
Nathaniel ed
Eric stavano puntando una delle auto, mentre chiacchieravano.
“E se
ci becca?
Diventerebbe alquanto imbarazzante, non credere?” si
pronunciò Eric, che
camminava avanti ai due.
“Rider
non è riuscito ad
attivare il chip dal tablet, quindi dobbiamo farlo per forza
manualmente!”
replicò Sam.
“E poi
Brakner è sicuramente
dentro, - spiegò Nathaniel – abbiamo campo
libero!”
Ora erano
proprio accanto
all’auto dell’uomo e Sam si inginocchiò
accanto alla ruota posteriore, muovendo
il braccio sotto la vettura, in cerca del chip.
“Allora?
– aprì bocca Eric,
dopo qualche minuto – Che succede?”
“Non
riesco a trovarlo… -
cercò ancora Sam, per poi arrendersi e risollevarsi
– Deve averlo tolto, l’ha
scoperto!”
Nathaniel ne
rimase
incredulo: “Incredibile, non abbiamo più i nostri telefoni da più
di una settimana e A ci ascolta
ugualmente.”
“Beh,
abbiamo parlato del
chip alla casa sul lago. – ribbatè Eric
– Magari A ha messo dei
microfoni anche lì!”
Sam
sbuffò: “Sono stanco di
non avere più una privacy…Finiremo per imparare a
parlare telepaticamente pur
di non farci ascoltare da lui!”
“Torniamo
all’ingresso, -
suggerì Eric, guardandosi attorno – Rider
starà per raggiungerci.”
Gli altri due
annuirono,
prima di avviarsi.
Improvvisamente,
mentre
camminavano, Eric si fermò, in seguito ad un pensiero che lo
lasciò riflettere.
Sam si voltò, accorgendosi che si era fermato.
“Ehi,
che hai?”
Anche Nathaniel
si voltò,
aspettando una risposta.
“E se
Chloe ci avesse
visti? – fissò i due a lungo – Insomma,
se ha visto Lindsay, Albert e Brakner,
avrà visto sicuramente anche noi, arrivare subito
dopo.”
“No, -
scosse energicamente
la testa, Sam – me l’avrebbe detto sicuramente e,
inoltre, non era sconvolta
quando mi sono rivisto con lei dopo quella notte. Chloe non sa
mascherare la
paura, la conosco. Dev’essere andata via
immediatamente.”
“Sam,
Rider ha ragione, -
pensò Nathaniel - devi parlare con Chloe. Non solo capiremo
che diavolo ci
facesse in giro a quell’ora, dopo che eri uscito tu, ma
potrà anche dirci
cos’ha visto e sentito.”
“Ragazzi,
voglio scoprire
queste cose almeno quanto voi, ma Chloe non mi risponde. Quando va
fuori
Rosewood è come se sparisse nel triangolo delle
bermuda.”
Ripresero a
camminare.
“Perché
la madre di Chloe non
vive a Rosewood? – domandò Eric, curioso
– Lei vive da sola con i suoi zii,
qui, giusto?”
“Perché
la madre di Chloe
vive nel South Dakota e la sua vita è lì.
E’ stata Chloe a decidere di voler
venire a Rosewood a vivere con i suoi zii. Dopo che sua madre si
è risposata,
ha acquisito dei “fratelli” e Chloe non va molto
d’accordo con la sua
sorellastra. Per lei era insostenibile restare in quella casa e
frequentare la
scuola con loro.”
“In
ogni caso, continua a
chiamarla!” aggiunse Nathaniel.
Da dove si
trovavano, ora,
riuscivano a scrutare l’ingresso della scuola. Davanti alle
gradinate, un
ragazzo. Di spalle.
I ragazzi si
fermarono uno
dietro l’altro, come un effetto domino. Abbastanza
impressionati.
“Ma
quelli sono i vestiti
di…” pensò Sam, mentre Eric completava
la frase.
“Albert?”
Quel ragazzo si
voltò, ed
era Rider. Si diresse verso i suoi amici, notandoli, stringendo le
cinghie
dello zaino in maniera insicura, lo sguardo di tutti addosso.
Giunse davanti a
loro, lo
sguardo ancora basso, abbastanza a disagio:
“Ehi…”
“Rider,
ma quelli sono…” Nathaniel
lo scrutò da capo a piedi, agghiacciato.
“I
vestiti di Albert? Sì! –
esclamò con una nota seccata nella voce – Ci
mancava solo che mi facesse
tingere i capelli come i suoi.”
“I
tuoi occhiali? –
intervenne Sam, incredulo - Ci vedi senza?”
“Ho
delle lenti a contatto…
- si guardò attorno, sempre con gli occhi addosso
– Dio, perché mi sta facendo
questo? – pensò, nervoso – Prima ha
fatto in modo che mi odiassero tutti per
aver preso parte a quel video, poi mi ha candidato alle elezioni e ora
questo!”
“Tutti
abbiamo preso parte
a quel video… - specificò Sam, ricevendo
un’occhiataccia dall’amico – Che
c’è?
Dal minuto otto al minuto quattordici è il mio primo piano
che si vede mentre
parlo!”
Eric intervenne,
cambiando
argomento: “Ehi, siamo stati alla macchina di Brakner. Niente
chip, l’ha
tolto!”
“Cosa?
– Rider reagì con
una smorfia esagerata – Ma-ma…Adesso come facciamo
ad arrivare al covo di
Brakner? Non abbiamo più chip. Quello che avevo addosso
nelle fogne, l’ho
perso!”
E mentre si
guardavano l’un
l’altro, spaesati, il suono dei loro telefoni
notificò un messaggio. Dopo una
rapida occhiata tra loro, ognuno alzò il proprio telefono
per leggere.
“Bentornati
a scuola,
bugiardi. L’unione fa la forza, perciò
affronterete questo primo giorno da
soli. Separatevi fino a nuovo ordine, oppure…”
-A
“Oppure
cosa? – si alterò
Rider – Ci lega all’asta della bandiera?”
“Rider!”
lo richiamò
Nathaniel, cercando di calmarlo.
“Cosa,
Nat? – urlò – Eh?
Per te sarà facile restare da solo oggi, tanto non sei tu
quello che è vestito
da Albert!”
“Adesso
calmati, Rider. –
si intromise Sam – Non eri tu quello che diceva che dovevamo
assecondare il
mostro?”
Rider si
zittì, abbassando
lo sguardo. La campanella stava suonando.
“Ragazzi,
credo sia meglio
entrare. – suggerì Eric - Non voglio scoprire qual
è la conseguenza al mancato
ordine di A.”
Rider
roteò gli occhi,
avviandosi. Seguito dallo stesso Eric e poi da Sam. Nathaniel rimase
indietro.
“Ehi,
Sam!”
Quello si
voltò, mentre gli
altri continuarono a camminare.
“Che
c’è?”
“Sta
lontano da Brakner, se
lo incontri… - lo fissò negli occhi, preoccupato
per lui – Ok?”
Sam, restando
incantato a
guardarlo per qualche secondo, colpito dalla sua preoccupazione,
finalmente
disse qualcosa: “Ehm, ok…Sta attento anche
tu!”
“So
badare a me stesso. –
sorrise – Tu pensa a te, va bene?”
Sam
ricambiò il sorriso:
“Va bene…” e si voltò,
continuando a camminare, accentuando quel sorriso,
genuino.
*
Rider aveva
appena richiuso
il suo armadietto, diretto in classe. Rallentava, non appena vedeva
qualcuno
fissarlo. Molti scuotevano la testa, bisbigliando disgustati. Preso un
sospiro,
accellerò il passo. Il telefono suonò nuovamente:
un nuovo messaggio era
arrivato.
“Sei
pronto per il test a
sorpresa sui padri fondatori? Barra tutte le A, magari una risposta
riesci ad
azzeccarla.”
-A
Rider
si fermò un attimo, non credendo a quel messaggio. Aveva
studiato
molto per quel test, dopo essere stato avvertito dal Professor Palmer,
incontrato
al mercatino dei libri usati la settimana prima.
Non
appena entrò in classe, demoralizzato, fu proprio il suo
sguardo che
incontrò.
Palmer
sgranò gli occhi nel vederlo.
“…Stuart,
prenda posto.” si pronunciò, allibito.
Rider
si diresse al suo banco, osservato dai compagni e da Sam,
Nathaniel ed Eric, seduti l’uno distante
dall’altro. Nemmeno le parole di
Palmer riuscirono a spostare gli sguardi incessanti della classe.
“Preparate
le vostre penne, ragazzi. – Palmer prese una pila di fogli
dalla sua borsa – Test a sorpresa sui padri
fondatori!”
Un
lamento generale si fece sentire, mentre distribuiva i test. Quando
Rider ricevette il suo, assieme ad una lunga occhiata di Palmer, quello
deglutì
malamente.
Le
sue mani sudate presero la penna e ad ogni domanda, c’erano
quattro
opzioni. Sfortunatamente, però, era stato costretto a
sceglierne solo una; alla
prima domanda, infatti, Rider mise una crocetta sulla
A, consapevole che avrebbe scelto la stessa opzione fino alla
fine
del test.
*
Più
tardi, verso l’ora di pranzo, Eric era appena entrato in
mensa. Gli
arrivò un messaggio, mentre camminava.
“Prendi
il posto di
Colton Rhimes alla mensa della scuola. I poveri distibuiscono il cibo,
non si
fanno servire.”
-A
Quando
sollevò il capo,
infatti, Colton non era più alla sua solita postazione, ma
era seduto assieme a
sua sorella e altri studenti ad uno dei tavoli.
Eric
assunse un broncio serio sul volto, mentre quelli ridacchiavano,
lanciando
rapide occhiate: Violet per prima. Senza obbiettare, sotto gli occhi
dei suoi
amici, seduti a tavoli diversi, si diresso al banco del cibo,
indossando la
cuffietta bianca e il grembiule. Eric si scambiò un rapido
sguardo con Sam,
Rider e Nathaniel, prima di dar retta a due studentesse con in mano il
vassoio.
Improvvisamente,
l’altoparlante della scuola, fece un annuncio. Era il preside
Ackett a parlare.
“E
con una vittoria schiacciante e più che prevedibile,
il nuovo presidente del comitato studentesco è Violet
Rhimes. Congratulazioni!”
Immediatamente,
tutta la
mensa si alzò in piedi, applaudendola, mentre lei si
mostrava lusingata e
sorridente.
Sam, Eric, Rider
e
Nathaniel si scambiarono nuovamente uno sguardo, più isolati
che mai.
*
Poco
prima di iniziare la sessione pomeridiana, Sam si prese una pausa,
rinfrescandosi nel bagno dei ragazzi. Davanti al lavandino,
provò a richiamare
la sua amica.
“Chloe
appena ascolti questo messaggio, richiamami. E’ importante!
–
sospirò – Richiamami, per favore.”
Messo
il telefono giù, il ragazzo sbuffò, poggiato al
lavandino con
entrambe le mani, gli occhi chiusi. Improvvisamente, qualcuno lo prese
per i
fianchi e lo bacio sul collo. Sam reagì di scatto,
scansandosi. Si trattava di
uno studente.
“Ma
che cavolo ti dice il cervello??” lo fissò,
sconcertato.
L’altro
rise, arrogante: “Io so che sei gay e tu sai che sono
gay…Pensavo fosse chiaro cosa ho nel cervello!”
“Tu
sei gay?” se ne meravigliò Sam.
Quello
lo fissò, confuso: “Ma che problemi hai?”
“Che
problemi hai TU, Cameron! – si alterò –
Sta alla larga da me, ok?”
“Prima
mi attiri qui e poi mi respingi? – si infuriò
– Mi stai filmando,
forse? E’ una trappola?”
Sam
lo fissò a lungo, confuso: “Ma di cosa stai
parlando? Io non ti ho
attirato in un bel niente!”
“Mi
hai mandato un messaggio! – prese il suo telefono,
mostrandoglielo –
Questo è il tuo numero, mi pare.”
Da
Sam:
“Ti
va
se ci vediamo in bagno fra dieci minuti?”
“Cosa? – reagì, scioccato, difendendosi
immediatamente - Non te l’ho mandato
io!”
“Strano,
perché sono tre giorni che messaggi con me!”
“Tre
giorni???” si chinò in avanti con la testa per lo
stupore.
“Senti…
- si avvicinò verso di lui – So che sei spaventato
ora che le
cose si sono fatte serie. Nemmeno io volevo incontrarti, ma
è bello sapere che
c’è qualcun altro come
te, nella tua
stessa scuola… - lo riprese nuovamente per i fianchi
– E poi, ti ho sempre
trovato carino quando ti vedevo gironzolare per i corridoi assieme ad
Anthony e
il suo gruppetto…” e tentò di baciarlo,
mentre l’altro era disagio.
“No,
smettila… - si scansò, ma quello lo
riacciuffò – Basta, lasciami,
CAMERON! – cercò di spingerlo via, urlando
– Lascimi, ho detto!”
A
tirarlo via da Sam, prendendolo da dietro, fu Nathaniel, che lo
sbattè
al muro.
“Stai
bene?” chiese a Sam.
Quello
annuì, mentre Cameron riprendeva fiato.
“Ma
che vuol dire tutto questo? – si rivolse a Sam – Ti
stai prendendo
gioco di me?”
“Farai
meglio ad andartene, - lo avvertì Nathaniel - prima che dica
a
tutta la scuola che Cameron il donnaiolo è in
realtà un finocchio!”
Indignato,
guardò i due, per poi andarsene, furioso.
Sam
era fortemente provato, mentre si sciaquava la faccia.
“Si
può sapere che cavolo è successo?”
“Non
lo so, ok? – urlò Sam – Mi è
sputato alle spalle all’improvviso e ha
tentato di baciarmi. – quasi non riusciva a respirare, aveva
un attacco di
panico – Dice che ho messaggiato con lui per giorni e che gli
ho detto io di
venire qui in bagno.”
“Ok,
sta calmo… - gli mise una mano sul petto e una sulla
schiena,
cercando di farlo respirare meglio – Dammi il tuo
telefono.”
Sam
glielo consegnò e Nathaniel potè esaminarlo.
“Ha
ragione, qui ci sono delle conversazioni tra di voi… -
alzò lo
sguardo su Sam – Conversazioni molto intime.”
L’altro
era a dir poco agghiacciato: “C-cioè, adesso si
spaccia anche
per noi con altre persone? Oggi vengo aggredito da Cameron, domani
chissà da
chi altro? – si agitò – E’
questa la mia vita, adesso?”
“Ci
sta solo provocando, ok? Vuole che uno di noi crolli,
affinchè
confessi tutto: E’ questo il suo obbiettivo!”
“E’
assurdo, - era in lacrime - nessuno di noi confesserà mai
qualcosa
che non ha fatto. Tanto vale che ci dica di cosa si tratta, non
può torturarci
così!”
“Sta
allungando il brodo per Albert. Dobbiamo scontare anche quello,
ricordi?”
“Voglio
solo che tutto questo finisca… - si calmò, ma era
comunque
distrutto – E invece mi sembra che più andiamo
avanti e più le cose si
accumulino. Come la nostra visita a Jasper, che abbiamo nascosto a
Rider ed
Eric. – deglutì, prima di riprendere a parlare
– Mi sembra di impazzire a dover
ricordare tutto quello che devo dire o non devo dire. Di mentire a mio
padre, a
Chloe, a Eric e Rider…. – si asciugò le
lacrime - Passano i giorni e se penso a
come fare per uscirne, non vedo via d’uscita.”
Nathaniel
titubò: “I-io non so cosa dirti. Siamo sulla
stessa barca,
Sam.”
“Beh,
la barca sta affondando con noi dentro. – ribattè,
demoralizzato -
Tappi un buco e ne si aprono altri tre!”
“Lo
ammetto, non abbiamo un piano, ma adess… –
improvvisamente ricevette
una scossa, al livello del polso, urlando – Ma che
diavolo??”
“Che
cos’era?” Sam lo fissò, abbastanza
confuso.
Nathaniel
scoprì il braccialetto sotto alla manica.
“Mi
ha dato una scossa!” esclamò, incredulo.
Fu
il turno di Sam, poi, che sobbalzò per il dolore.
“Ma
stiamo scherzando?” urlò, sconvolto.
“Ecco
a cosa servono i bracciali…” ci arrivò
Nathaniel, scioccato.
Sam
provò a toglierselo con forza: “No, mi dispiace,
non sarò la sua
scimmietta ammaestrata!”
Ricevette
una nuova scossa, più forte.
“Sam,
smettila! – lo fermò Nathaniel, prendendolo per le
spalle –
Aumenterà il voltaggio, se continui
così!”
“Perché
ci sta dando delle scosse?” alzò la voce, non
capacitandosi di
tutto ciò.
“Forse
perché stiamo insieme…Nella stessa stanza,
intendo. Ci aveva
detto di separarci fino a nuovo ordine.”
“Quindi
prendiamo una scossa non appena facciamo qualcosa che ad A
non va a genio?”
“Credo
che sia questo il senso dei bracciali.”
“Dobbiamo
trovare il modo di toglier… - ebbe un’altra
scossa, chinandosi
a terra – DIAMINEE!”
Nathaniel
indietreggiò, alzando gli occhi al soffitto, le mani alzate:
“Ok ok, me ne sto andando! Smettila con le scosse!”
Sam,
col fiatone, lo guardò uscire dal bagno, basito.
*
All’uscita
della scuola, era ormai buio. Eric e Rider poggiavano il loro
fondoschiena sul cofano anteriore dell’auto di
quest’ultimo, mentre Sam era
davanti ai due ragazzi con la giacca sottobraccio. Sembrava aver
riferito loro
quanto accaduto durante la giornata. Dopo un attimo di silenzio, Rider
si
espresse abbastanza sconcertato.
“Quindi
i braccialetti servono a darci una scossa, ogni volta che
disubbidiamo ad A? – si
guardò con
Eric, allibito – Al prossimo giro ci regala un collare per
cani che ci da
fuoco?”
“Rider,
seriamente! – lo riprese Sam – Tu non hai idea di
quanto faccia
male.”
Quello
stette in silenzio, mentre Eric aveva altre perplessità.
“Quindi
Cameron è davvero gay? – ne era ancora incredulo
– Il ragazzo
più ricco della scuola, il festaiolo numero uno di Rosewood
e con una fama da mai stato single di ragazze…è
gay?”
Sam
sollevò la mano all’atezza del petto, con il palmo
rivolto verso di
loro, disgustato: “Oh, ti prego, non dire single
di ragazze…Fai sembrare le donne come articoli da
mercato!”
“Non
mi aspettavo un commento del genere da un ragazzo gay.”
intervenne
Rider, sarcastico, guadagnandosi una lunga occhiata da parte
dell’amico.
“Rider,
non tutti i gay odiano le donne! – gesticolò
nervoso, cambiando
discorso – E poi non è questo il punto! A
fa lunghe chattate con i nostri telefoni con gente a caso,
perciò controllate
sempre i vostri messaggi.”
I
due, prendendo sul serio quell’avvertimento, tirarono fuori i
loro
telefoni, controllando.
“Allora…
- Rider fissò il suo telefono a lungo, prima di alzare la
testa
– Zero messaggi! – annuì, quasi
sentendosi patetico per quel numero – Eccetto
quelli di A, ovviamente; quelli non
mancano mai!”
“Da
me è tutto ok, solo messaggi di A
e Alexis.”
Sam
compatì l’intero gruppo, mettendo il broncio:
“Mi rendo sempre più
conto di quanto la nostra vita sociale faccia schifo!”
“Già!
– fu d’accordo Rider – Anthony era come
un paio di occhiali 3D, in
grado di farti vedere tutte le cose in un’altra
prospettiva.”
“Ora
che non ci sono più quegli occhiali… -
continuò Eric – vediamo
tutto per com’è realmente.”
Dopo
qualche attimo di riflessione, mentre ognuno di loro guardava verso
una direzione, assorti, Sam fu colto da un piacevole ricordo, che lo
fece
sorridere: “Ricordate quando Anthony ci portò a
quel party? Proprio a casa di
Cameron?”
“Casa?
– Eric sollevò le sopracciglia, sorridendo per
quell’eufemismo –
Volevi dire villa gigante con piscina!”
“Fu
il mio primo party… - ricordò Rider con piacere
– Pensai finalmente
di far parte di qualcosa. Pensai…Caspita,
sto finalmente vivendo la mia adolescenza a pieno e non immaginando di
viverla
tra le mura della mia stanza e la penna fra le dita… - sorrise
– Anthony
non ci ha regalato solo parti buie, ma all’epoca…
- tornò serio – non pensavo
che ci sarebbero state.”
“Anch’io
non lo pensavo, ma è accaduto. – aggiunse Sam,
tornando a
sorridere – Nemmeno ci parlavamo noi quattro. O almeno, non
davvero, come
stiamo facendo adesso…Come stiamo facendo dalla sua
morte.”
Anche
Eric sorrise, continuando sulla scia di quel ricordo:
“Camminavamo
dietro Anthony come se fossimo i suoi cuccioli. Eravamo troppo
impegnati a
sbalordirci di essere lì che a parlare tra di
noi…”
Gli
altri due annuirono, mentre il sorriso sfumava. Eric si
voltò verso
Rider.
“E
la tua giornata? Com’è andata?”
“Ho
passato tutta la settimana a studiare per il test a sorpresa, ma non
è servito a niente. A mi
ha ordinato
di barrare tutte le A, e per un secondo…solo per un
secordo….ho quasi risposto
C, alla domanda numero otto. – rise, sdrammatizzando
– Fortuna che non l’ho
fatto o A mi avrebbe
fulminato.”
Sam
si rattristò per lui: “Rider mi
dispiace…So quanto ci tieni alla tua
media dei voti.”
Ad
un certo punto, Eric si voltò verso la scuola:
“Dite che Nathaniel
l’avrà ricevuto il messaggio di A?
Quello in cui ci dice che possiamo finalmente riunirci?”
“Starà
facendo ancora qualche vasca e comunque – fissò
l’orologio – io
devo tornare a casa, mio padre mi aspetta per cena. Con la scusa che ho
dormito
a casa di amici, nell’ultima settimana, pensa che lo stia
evitando.”
“Và
pure, aspettiamo noi Nathaniel!” esclamò Rider.
Sam
iniziò ad allontanarsi, fermato subito da Eric, apprensivo.
“Ehi,
vuoi che ti accompagnamo alla tua auto?”
“No,
è proprio là giù! – la
indicò, facendo rumore con il mazzo di
chiavi fra le dita – A domani!”
Rimasti
soli, Rider ed Eric continuarono a conversare.
“Cos’altro
ti ha fatto fare A,
oltre a sabotare il tuo test?”
“Niente,
Eric. – rispose abbastanza giù di morale - Per il
resto, ci
hanno pensato gli studenti della Rosewood high school.”
“Qualcunoti
ha preso a pugni perché eri vestito come Albert?”
“No
no… - scosse la testa – Ma sarebbe stato meglio,
forse. Evidentemente
questa generazione ha capito che uno sguardo è
più forte di un pugno…Ogni volta
che fissavo negli occhi ognuno di loro, riuscivo a sentire quanto poco
mi
tollerassero, quanto disgusto provavano nei miei confronti: volevo
sparire.”
“E’
quello che ho provato anch’io, in mensa. Ed è
stata la stessa cosa
che Colton provava tutti i giorni, ogni volta che arrivavamo
noi.”
Rider
sospirò, amareggiato: “Violet vince, A vince…Persino Anthony che
è morto, vince; l’aldi là è
sicuramente
meglio di quello che sta capitando a noi… - un altro sospiro
– Tutti
vincono, tranne noi. I ragazzi della
terra di mezzo…”
Eric
tornò a fissare la scuola, cercando di non piangersi
addosso:
“Forse dovremmo andare a chiamarlo. Anche io ho una casa a
cui tornare!”
“Andiamo
a chiamarlo, è meglio! – si sollevò dal
cofano – Probabilmente
non l’ha proprio letto il messaggio.”
Mentre
i due si avviavano verso l’ingresso, Nathaniel era in
palestra
che nuotava, facendo grosse bracciate, la testa sott’acqua.
Non si era reso
conto che qualcuno lo stava spiando, all’entrata della
palestra.Qualcuno che
indossava un cappuccio nero.
*
Rientrato
a casa, Sam sentì l’odore della cena provenire
dalla cucina
con grande intensità; ciò gli fece brontolare la
pancia, costringendolo a
raggiungere rapidamente la stanza.
Non
appena vi entrò, la tavola era apparecchiata e nei piatti
c’era del
pollo con patate. Era ancora fumante, probabilmente appena tirato fuori
dal
forno, ma di suo padre non c’era l’ombra.
“Papà?”
lo chiamò, appoggiando le sue cose sulla sedia.
Tornato
nel corridoio, continuò a chiamarlo, finchè non
lo trovò nel
salotto, seduto, che guardava in basso, i gomiti sulle ginocchia, le
mani fra i
capelli.
“Ehi,
Papà!” lo chiamò ancora, perplesso da
come l’aveva trovato:
sembrava disperato.
Quello
si sollevò lentamente, girandosi verso il figlio. Gli occhi
rossi
e umidi, di chi aveva pianto. Con espressione seria, prese
energicamente il suo
telefono, poggiato sul tavolino davanti a sé e si
alzò.
“Qualcuno
ti ha fatto del male?” domandò con tono deciso.
“Cosa?”
non capì Sam, mentre l’altro lo ripeteva,
più forte.
“HO
DETTO: Qualcuno ti ha fatto del male?”
Sam
era turbato: “Papà, adesso mi stai spaventando,
che succede?”
“Rispondi,
dannazione!” urlò, fuori controllo.
L’altro
sussultò, sgranando gli occhi.
“No,
Papà! – ribattè, urlando, confuso
– Ma che cos’hai?”
Suo
padre sollevò il telefono, mostrandogli delle fotografie:
ritraevano
lui, con le labbra distrutte e sanguinanti; sembravano autoscatti,
alcune erano
sfuocate, mentre le scorreva.
“Che
cosa sono queste?”
“I-io,
non lo so. – balbettò sconvolto –
Davvero, io…”
“Me
le hai mandate tu, Sam. Anzi, data la tua espressione stupita, forse
me le hai mandate per sbaglio!”
“Vado
nellla mia camera, - scappò via, gli occhi lucidi -
scusami!”
Il
padre lo inseguì nel corridoio, fermandolo per un braccio,
prima che
potesse salire le scale.
“No,
stavolta non te la caverai così!”
L’altro
si liberò, urlando.
“Lasciami!”
e corse velocemente sulle scale, diretto di sopra.
“Sam,
se è stato qualcuno della tua scuola a farti questo, sappi
che
andrò dal preside a denunciare la cosa e a scoprire la
verità!” gli urlò.
Sam
si fermò, voltandosi: “No, non farlo. Ti prego!
– fece qualche passo
più giù – Non è stato
nessuno.”
“Non
ti credo… - scosse la testa – E’ per il
video di insulti? Le
persone che hai insultato, qualcuno di loro ti ha ridotto le labbra
come nella
foto? Eh?”
“Ti
ho risposto di no! – urlò, in lacrime –
Perché non capisci?!”
“Se
non è stato nessuno: CHI, Sam? CHI?”
alzò ancora di più la voce,
furioso.
Sam
rimase a fissarlo, le labbra serrate, il volto serio e sofferente.
Si voltò e si diresse in camera, chiudendo energicamente la
porta. Si poggiò di
schiena ad essa, scoppiando in un pianto silenzioso. Improvvisamente il
suo
sguardo si posò sul suo vecchio telefono, sulla scrivania.
Si avvicinò e lo
prese, trovando le sue foto nei messaggi inviati.
Stringendo
i denti per la rabbia che provava nel vedere quelle immagini,
gettò il telefono con forza contro la parete, mandandolo in
mille pezzi.
Inginocchiatosi
a terra, sentì il padre che stava salendo, così
gattonò
velocemente verso uno dei pezzi del cellulare, raccogliendolo. Era
sottile e tagliente
e lo fissò intensamente, portandolo vicino al polso. Chiuse
gli occhi,
procurandosi un taglio, mentre suo padre stava entrando.
Quello
lo vide, sgranando gli occhi, buttandosi contro di lui e
separandolo da quel frammento appuntito, tirando via il lenzuolo del
letto,
accanto a loro, e premendolo sul polso, velocemente.
“Ma
che ti è saltato in mente?” gli gridò,
sconvolto, mentre Sam
piangeva tra le tue braccia.
“Sono
gay, Papà… - pianse più forte, mentre
quello sgranava ancora di
più gli occhi – Sono gay!”
Suo
padre lo distanziò dal suo petto, guardandolo negli occhi:
“E’
questo il motivo per cui lo stai facendo?”
Sam
deglutì, evitando il suo sguardo e poi annuì,
spiegandosi: “Avevo
paura a dirtelo, non sapevo quale sarebbe stata la tua reazione.
– singhiozzò,
mentre mentiva - E poi, poi a scuola è così
difficile, io…”
Suo
padre lo prese di getto tra le sue braccia, stringendolo forte, ad
occhi chiusi, come sollevato.
“E’
solo questo, Sam? – gli chiese con un filo di voce - Solo
questo?”
Poi
lo distanziò, prendendolo per la faccia.
“Non
devi avere paura, ok? Non devi fare queste cose, mi hai sentito?
–
gli sorrise, le lacrime scendevano copiose – La puoi
affrontare con me questa
cosa, io ti voglio bene. Sei sempre Sam, per me. Puoi dirmi
tutto!”
Sam
cercò di sorridere, mentre le lacrime gli scorrevano sul
viso.
Nonostante fosse una bugia, era sorpreso dalla reazione di suo padre.
“I-io
non pensavo fosse ancora un problema tra voi giovani, non essere
accettati.”
“Papà,
è un problema che ci sarà sempre.”
“Sì,
ma problemi come questi… - gli prese il polso, scuotendolo
cautamente – Non devono portare a questo! Sam, devi
affrontarli i problemi, ok?
Non distruggerti! Devi essere fiero di te stesso e di come sei. Devi
cercare di
far vedere agli altri che stai bene e che non ti interessa di
ciò che pensano.
– le parole gli uscivano soffocate, per la commozione che
stava provando e le
lacrime – E puoi cominciare dal fatto che io ti accetto
pienamente e che sto
bene, perché le cose peggiori sono altre; come la morte
così prematura di tua
madre.”
Dopo
quell’ultima frase, Sam si buttò nuovamente tra le
braccia di suo
padre, piagendo altre lacrime. Suo padre gli accarezzò la
testa e poi la baciò,
mentre erano inginocchiati a terra.
“Non
avere più paura, Sam. Non ce n’è
motivo. Non più.” lo rassicurò
nuovamente, tenendolo abbracciato a sé.
*
Mentre
Nathaniel nuotava indisturbato, l’incappucciato era accanto
ad un
quadrante con dei pulsanti. Improvvisamente ne premette uno, che
azionò la
copertura automatica della piscina. Nathaniel era a metà
vasca, quando la
copertura gli passò sopra la testa, colpendo il suo braccio.
Immediatamente,
iniziò a colpire il telo, urlando.
“EHIII???
EHI, C’E’ NESSUNO???”
L’incappucciato
indietreggiò, lasciando la palestra. Rider ed Eric,
intanto, si stavano dirigendo lì, alzando il passo, nel
sentire le urla del
ragazzo. Nel giro di pochi istanti, l’incappucciato
spuntò in mezzo al
corridoio, correndo dalla parte opposta ai ragazzi. Quelli si
bloccarono, nel
vedere A. Compresero che si
trattava
di lui dalla felpa nera che aveva indosso. Dietro, però,
aveva disegnata una
tigre.
“Oh
cavoli!” sgranò gli occhi Rider, mentre Eric
smetteva di restare
impalato, iniziando ad inseguirlo.
Rider
lo seguì a ruota, subito dopo, ma dovette fermarsi quando
passarono di fianco alla palestra, facendo caso a Nathaniel, bloccato.
Entrò,
allora, in palestra ad aiutarlo, abbandonando Eric.
“Nathaniel
resisti, sono io!”
“Presto,
tirami fuori!” gli urlò.
Rider
azionò il pulsante che ritirò la copertura.
Corse, poi, ad aiutare
l’amico ad uscire dall’acqua.
“C’è
A!” urlò
nuovamente
Nathaniel, dopo aver ripreso fiato.
“L’abbiamo
visto, Eric lo sta rincorrendo.”
Nathaniel
si sollevò in piedi, con l’acqua che gocciolava
dal suo corpo,
iniziando a camminare, pronto a raggiungere l’amico.
“Dobbiamo
bloccarlo!”
*
Eric
aveva inseguito A fino
al seminterrato. Stava camminando, vigile, dopo aver perso le sue
tracce. I
corridoi erano stretti, l’illuminazione scarsa, le pareti
arrugginite, i tubi
gocciolavano e c’erano tante scatole e cianfrusaglie ovunque
Qualche
passo più avanti, venne attirato da una parete, dove
c’era una
sottile fessura verticale che partiva da terra fino al soffitto. Eric
la toccò
con le dita, per poi apoggiare l’orecchio alla parete.
“Eric?
– gridò Rider, in lontananza – Eric, sei
qui?”
“Da
questa parte!” si fece sentire quello, mentre continuava a
dare
un’occhiata.
I
due ragazzi lo raggiunsero.
“Bene,
sei davvero nel seminterrato. – esordì Nathaniel,
con il fiatone
– Pensavamo che fosse stato A a
mandarci il messaggio, per ingannarci.”
“Potevi
almeno metterti qualcosa addosso!” lo squadrò,
Eric, con occhio
disturbato. Aveva indosso un costume a slip molto aderente e niente
più.
Nathaniel
si guardò per poi replicare: “Beh, avrei inseguito
A anche nudo!”
“Oookey,
- intervenne Rider – abbiamo capito che Nat non ha problemi a
mostrare i suoi genitali. Ora, però,
dov’è A?
– si guardò attorno, aspettando una risposta da
Eric – Eh? Dov’è?”
“L’ho
perso, una volta sceso qui.”
Gli
altri due reagirono delusi, mentre l’altro indicava loro la
parete.
“…Ma
ho trovato questa strana parete, vedete? – mise la sua mano
sulla
fessura – Esce dell’aria, proveniente
dall’altra parte.”
Rider
si avvicinò, incuriosito.
“Potrebbe
essere una porta scorrevole?” ipotizzò Nathaniel,
mentre Rider
la ispezionava attentamente.
“E’
una panic room! – dedusse –
C’è una stanza qui dietro.”
“Una
panic room?” ribattè Nathaniel, confuso.
“Sì,
è una specie di stanza blindata. –
spiegò Rider - Oggi giorno viene
installata anche negli appartamenti in caso di rapimenti, atti
criminali,
attacchi terroristici. E’ progettata per affrontare qualunque
tipo di minaccia
esterna. Inoltre, queste panic room, sono dotate di un
soffisticatissimo sistema
di sorveglianza, in modo che chi è dentro, può
vedere quello che accade fuori.”
Eric
e Nathaniel si guardarono.
“Un
posto perfetto per A, -
pensò Nathaniel – non credete?”
“Quando
sono sceso, prima, – raccontò Eric – ho
sentito un forte rumore.
Come quello di una porta che si chiude. Forse era la panic room.
Spiegherebbe
come A sia sparito.”
“Bene,
come la apriamo? – Nathaniel si mostrò impaziente
di agire – Se
questo è il covo di A,
abbiamo fatto
un bel colpo stavolta!”
“Rilassati,
incredibile Hulk. – lo estirpò Rider –
Aprire una panic room
è come tentare di aprire un buco nero con una filastrocca:
cioè impossibile!”
“Quindi
torniamo tranquillamente a casa, fingendo che Brakner non faccia
la sua pausa pranzo qui sotto?” lo trovò assurdo
Eric, quanto lo trovava
assurdo anche Nathaniel.
“Ragazzi,
avete idea di come sia strutturata una panic room? E’ fatta
di
cemento armato rivestito con lamiera balistica antiproiettile. Nemmeno
una
bomba la apre.”
“Stai
scherzando, vero?” commentò Nathaniel, incredulo.
“No,
non scherzo. Sarebbe più facile conoscere i codici per
aprirla, ma…
- si guardò intorno, osservando le pareti – Non
vedo alcuna tastiera dove
inserirli. Forse l’ha aperta con un telecomando o qualcosa di
simile.”
Nathaniel,
demoralizzato, si avvicinò alla porta, mettendoci le mani
sopra: “E pensare che qui dietro potrebbero esserci i nostri
video.”
Rider
sembrò riflettere: “Potremmo rivolgerci
a…” ma non finì la frase,
che il braccialetto gli lanciò una scossa.
La
stessa cosa accadde ai braccialetti di Nathaniel ed Eric.
“Oh
mio Dio! – urlò Rider, quando cessò
– Sarebbe questa la scossa di
cui parlava Sam?”
“Credo
che non ci voglia qua giù!” spiegò
Nathaniel, interpretando la cosa.
“Non
l’avevamo capito!” aggiunse Eric, sarcastico.
“Io
me ne vado! – iniziò ad allontanarsi Rider
– Non voglio sperimentare
l’ultima tacca con l’immagine del
teschio!”
Gli
altri due lo seguirono, d’accordo.
Usciti
dalla scuola, stavano raggiungendo l’auto a passo rapido. In
quello
stesso parcheggio, Eric notò qualcosa e si fermò
per farlo notare anche agli
altri.
“Ehi,
guardate, l’auto di Brakner è ancora
qui!”
Nathaniel
era a dir poco furioso, mentre fissava quell’auto:
“Mi chiedo
perché usi ancora quello stupido cappuccio nero, ormai
sappiamo che è lui il
cattivo.”
“E
mia sorella intende avere un lieto fine con lui, - commentò
Rider,
angosciato - lontano da Rosewood.”
I
due si girarono a guardare Rider, dispiaciuti per ciò che
stava passando.
*
Più
tardi, Rider telefonò a Sam per informarlo di ciò
che era accaduto a
scuola. Entrambi erano nella propria camera.
“Quindi
questa panic room potrebbe essere il covo di A?”
chiese conferma, Sam, mentre era
seduto alla sua scrivania a contemplare i pezzi del suo vecchio
telefono,
ammucchiati sopra il libro di algebra.
“Puoi
anche smettere di chiamarlo
A, sappiamo benissimo chi è… -
ribattè, tirando fuori un paio di pantaloni
da un cassetto – E comunque parlami di ciò che
è successo con tuo padre, sembri
abbastanza turbato.”
“Puoi
dirlo forte, A… - si
confuse, per poi correggersi – Cioè, Brakner, gli
ha mandato delle foto mie, di
quando le mie labbra erano messe male. Mio padre ha pensato subito che
qualcuno
a scuola mi avesse fatto del male per via del video con
Anthony.”
“Perché
ti sei scattato delle foto?” domandò, allibito,
mentre
appoggiava delle camicie sul letto, accanto al pantalone.
“Credi
davvero che volessi scattarmi un selfie post-trauma? –
trovò
assurda la sua accusa – A controllava
i nostri telefoni, perciò deduco che abbia attivato la
fotocamera interna
mentre controllavo i messaggi.”
“E
come l’hai spiegato a tuo padre?”
“Ho
praticamente fatto una scenata, sono corso in camera e ho spaccato
il telefono contro il muro. – assunse improvvisamente una
parlantina rapida per
il resto - Poi mi sono tagliato un polso e gli ho detto che sono
gay!”
Rider
si fermò da ciò che stava facendo:
“COSA?”
“Già,
ho dovuto farlo. Negli ultimi giorni sono stato così strano
che ho
dovuto dare una ragione alle mie stranezze.”
“Usando
la tua omosessualità?”
“Oh,
ti prego, odio quella parola…”
“Ehm…Gayosità?”
“Senti,
ci ha creduto, ok? Pensa che il mio disagio fosse quello…Ho
risparmiato a mio padre un’inutile caccia alle streghe!
– preferì cambiare
discorso, a quel punto – Piuttosto, che abbiamo in mente?
Sappiamo chi è A,
perciò come andiamo avanti col
gioco? Non ho intenzione di farmi molestare anche domani!”
Rider
si sedette sul letto, grattandosi il capo, privo di idee:
“Forse
dovremmo…ehm…Non lo so, siamo ad un punto morto.
Purtroppo, finchè Brakner ha
quei video su di noi, possiamo fare ben poco per
contrattaccare.”
“Io
avrei un’idea, ma non so se A
ci sta ascoltando…”
“Oh
cavoli… - Rider trovò qualcosa nella tasca dei
suoi pantaloni –
Vieni sul fisso!”
Sam,
intanto, stava torturando, con il dito, il mucchietto che rimaneva
del suo telefono, notando qualcosa di particolare: “Ehi,
credo di aver trovato
il dispositivo che A ha messo nei nostri
telefoni… - non sentì alcuna risposta da
parte dell’amico – Rider??”
Sam
si accorse che non era più in linea, così
lasciò la sua camera,
scendendo al piano di sotto. Il telefono di casa squillava. Finalmente
rispose.
“Pronto?
Rider, sei tu?”
“No,
una pizzeria...Sì, sono io, perché ci hai messo
tanto?!” si
infuriò.
“Beh,
non mi hai di certo avvisato, prima di riattaccare.”
replicò,
stringendo tra le mani il piccolo e quadrato aggeggio nero.
“Nella
tasca del mio pantalone, quello che avevo nelle fogne, ho trovato
uno dei chip che avevamo. Credo che funzioni, però devo
prima verificare con il
tablet, ma se funziona…Possiamo metterlo addosso a Brakner,
così quando si
dirigerà alla panic room, noi potremo seguirlo e vedere come
ci entra.”
“Io
avrei pensato ad un’altra cosa… - Sam
sembrò parecchio restio nel
voler condividere il suo pensiero - Tipo tu che parli con Lindsay
supplicandole
di aiutarci a recuperare i nostri video. Insomma, se lei lavora con il
nemico,
saprà sicuramente tutto. Tanto vale fare questa
chiacchierata vis-à-vis!”
“E’
un’idea stupida, non sappiamo nemmeno quanto sia coinvolta
mia
sorella in tutto questo e se sappia proprio tutto.”
“Chloe
l’ha vista nell’auto di Brakner, quella notte. A me
sembra
abbastanza coinvolta, invece.”
“Non
ci aiuterà, ok? O l’avrebbe già
fatto!”
“Ma
è tua sorella! Quale sorella non aiuterebbe suo fratello da
un pazzo
psicopatico. Se riavremo i video, potremmo finalmente
denunciarlo!”
“Lei
è innamorata del pazzo psicopatico, ecco perché
non ci aiuta!”
Sam,
a quel punto, sbuffò, mentre l’altro sospirava. Si
incantò a
guardare il dispositivo, durante quell’attimo di silenzio,
notando qualcosa di
insolito.
“Di
solito non c’è un numero di serie su questi
così elettronici?”
“Adesso
cosa c’entra?”
“Sul
dispositivo ci sono delle lettere… - cercò di
vedere attentamente,
ma erano troppo piccole - Aspetta, ho una lente di ingrandimento.
– corse a
prenderla da un cassetto, di un mobile nel corridoio
- Ecco, sono cinque lettere: DFPDM!”
“Aspetta,
ma non è possibile… - Rider sollevò il
chip che aveva in mano
– Anche i chip che abbiamo rubato al dipartimento hanno
quella sigla.”
I
due rimasero alquanto perplessi da tale scoperta, cercando di capirci
qualcosa.
*
Il
giorno seguente, Eric era pronto per andare a scuola. Quando si
affacciò in cucina per salutare sua madre, la
trovò lì in piedi con uno
splendido tailleur blu, un tacco nero e lungo e un grosso sorriso.
“Allora?
Come sto?”
“Uao,
mamma, sei stupenda!” ne rimase a bocca aperta.
“Dici
che non è troppo?” si guardò
attentamente.
“Beh,
tutte le commesse dei negozi d’abbigliamento vestono con
classe.
Direi che vai decisamente bene!”
Jennifer
non stava più nella pelle, mentre gesticolava briosa:
“Sono
così emozionata per il mio primo giorno!”
Bussarono
alla porta. Eric continuò a sorridere alla madre, mentre
andava ad aprire. Era Alexis.
“Muffin
e caffè! – li agitò, portando avanti il
contenitore di plastica
che li conteneva – Qualcuno ha fame?”
Eric
le sorrise, felice di vederla.
“Arrivi
sempre nel momento giusto, cara!” esclamò
Jennifer,
avvicinandosi.
“Caspita,
Signora Longo…Che schianto!” commentò
Alexis, squadrandola
dalla testa ai piedi.
“Oh,
per favore, – gettò la mano in avanti - esci con mio figlio,
chiamami Jennifer…o
Jen, come preferisci!”
“D’accordo,
Jen… - rise, imbarazzata, girandosi verso Eric - Jen
è
carino, non trovi?”
“Già!”
ribattè Eric, divertito.
“Alexis,
sappi che sarò la tua personal shopper, se mai verrai a
trovarmi da Valerìe. Con
il corpo che
ti ritrovi, immagino già degli abiti favolosi per
te!”
Alexis
si mostrò subito restia, non molto allettata
all’idea dalla
smorfia che aveva assunto il suo viso: “Ouh, no, non credo
proprio. Sono più
una tipa del ghetto, odio vestirmi bene.”
Jennifer
si mise una mano sul petto, tramortita da quelle parole:
“Sai,
anche le ragazze del ghetto hanno il loro lato principesco. Basta osare
per
tirarlo fuori.”
“Non
sono una principessa, Jen. Nemmeno un pò, credimi.”
“Ti
sottovaluti troppo, cara. Lascia che ti mostri quella parte di te
che non conosci.” Insistette Jennifer.
Alexis
era ancora indecisa. Fu Eric a darle un incentivo in più.
“Dai,
lasciati aiutare da mia madre. Se io sono passato alle tute da
ginnastica, tu puoi passare ai capi d’alta moda senza
problemi. E poi domani
sera abbiamo un appuntamento, ricordi?”
“Il
quarto appuntamento, per la precisione!” aggiunse Jennifer.
“Li
sta contando, per caso?” sorrise Alexis, sempre
più imbarazzata.
Quella
ammiccò, facendole un’occhiolino: “Ti
porto qualcosa da Valerìe,
allora? E la proviamo domani pomeriggio? – la
fissò a lungo – Dai, sarà
divertente!”
Alexis
guardò Eric, prima di rispondere:
“D’accordo!”
“Evviva!”
esultò la donna.
“Beh,
credo che sia ora di andare! – sorrise ancora Eric,
dirigendosi
alla porta con Alexis – Buon primo giorno, Mamma!”
“Grazie,
tesoro… - poi si rivolse ad Alexis – E a te ti
aspetto domani,
eh!”
“Certo!”
esclamò Alexis, tirata da Eric.
Non
appena la porta si chiuse, i due si ritrovarono sul pianerottolo,
dove Eric portò la ragazza contro il muro, baciandola
appassionatamente, mentre
sorridevano ad occhi chiusi ogni volta che separavano le loro bocche.
“Tua
madre sa anche a che numero di baci siamo arrivati?”
Eric
rise, mentre la teneva bloccata per i fianchi: “Difficile, ho
perso
il conto persino io…”
L’altra
rise, per poi diventare seria, mentre quello si distanziava:
“Sono davvero contenta di come stanno andando le cose tra
noi. Insomma, fino a
dieci giorni fa non avrei mai detto che le cose si sarebbero evolute
così
velocemente, ma è successo…E sicuramente, tu
vorrai passare ad un altro livello
di questo rapporto. Dico bene?”
Nonostante
fosse confuso, rispose sinceramente: “Beh,
sì…Continuiamo ad
uscire, a baciarci e ad essere in sintonia, ma ancora non abbiamo
parlato di
rendere ufficiale la cosa.”
“Eric,
in genere non sono una che ama ufficializzare le cose. Ma quando
lo faccio, devo essere sicura di quello che sto facendo.”
“Cioè?
– non capì, tentennando confuso – Non
sei sicura di voler stare
con me?”
“Non
sono sicura di riuscire a vederti completamente. E’ come se
dentro
la tua testa ci fossero due grandi blocchi: uno rappresenta
ciò che conosco di
te, le cose basilari, che hai condiviso con me. Poi
c’è quest’altro blocco,
molto più grande, dove risiedono le cose più
importanti, che non vuoi
raccontarmi.”
“Pensi
che ti stia nascondendo qualcosa?”
“Non
lo so…Lo stai facendo?”
Eric
titubò, prima di rispondere con gran sicurezza:
“Tutto quello che
sai è quello c’è… - la
baciò di nuovo, freddamente – E ora devo andare a
scuola!” concluse, iniziando a scendere le scale.
Alexis
lo seguì solo dopo qualche secondo, non molto convinta dalle
sue
parole.
*
Anche
Sam stava per uscire di casa, quando sentì il padre parlare
al
telefono, passando accanto alla cucina.
“Lasci
che gliene
parli, poi decideremo quando prendere questi appuntamenti. Grazie per
la sua
disponibilità!”
Sam
entrò in cucina di soppiatto, mentre quello poggiava il
telefono.
“Con
chi parlavi, Papà?”
Quello
si voltò, colto di sopresa: “Ehi, ciao…
- gli sorrise
nervosamente - Tutto bene?”
“Papà
devi smetterla di chiedermi se va bene, ogni dieci minuti.”
“Lo
so, è che dopo ieri…Beh, mi hai fatto preoccupare
molto.”
Sam
sorrise: “Tranquillo, ora sto molto meglio. Mi ha fatto bene
dirti
finalmente tutto.”
“Beh,
sì, questo si… - spostò lo sguardo
altrove, nervoso – Ehm, però,
Sam… - ora lo fissò dritto negli occhi, serio -
questo non basta a farmi stare
tranquillo.”
“Che
vuoi dire?”
“Ho
parlato con uno psicologo, poco fa…”
Sam
si lasciò sfuggire una risata, prima di tornare serio e
leggermente
infastidito: “U-uno psicologo? Papà, non sono
matto!”
“No,
non sei matto ma hai dei problemi. Problemi di
autolesionismo!”
“Cosa?
– rise nuovamente – E’ assurdo anche solo
pronunciare quella
parola.”
“Non
stai prendendo sul serio la cosa, Sam. Se ogni volta che sei
depresso per qualcosa, ti fai del male, hai bisogno di essere aiutato.
Insomma,
ieri non hai battuto ciglio nel tagliarti il polso.”
“Ma
ti ho detto che sto bene e che non accadrà
più!” urlò.
“E
ti dovrei credere sulla parola? – ribattè con un
tono più alto - Per
poi pentirmene quando ti succederà qualcosa?”
“Non
andrò da uno psicologo.” si rifiutò
categoricamente.
“Sam,
non ti sto mica chiedendo di essere internato. Si tratta solo di
qualche seduta a settimana con qualcuno che può aiutarti
dove io non riesco.
Che può farti stare meglio e vivere meglio, ok? –
lo fissò con il cuore in mano
– Ti prego, fallo per me.”
Sam
era combattuto, ma alla fine si arrese alle preoccupazioni del
padre, abbassando lo sguardo: “Va bene, farò
qualche seduta… - tornò a fissarlo
- E’ una donna?”
“E’
un uomo…Si chiama Wesam Grimes!”
“Ouh…
- si imbarazzò Sam - Ok!”
Suo
padre intuì il motivo del suo imbarazzo, o, almeno, lo
immaginò,
subito dopo: “Oh Dio, aspetta, non è mica un
problema per te se è un…”
L’altro
lo fermò subito: “No no, non è un
problema! – iniziò a sudare,
molto imbarazzato - Cioè, non mi interessa se è
un uomo o una donna.”
“Capisco…”
annuì, leggermente a disagio, guardando da altre parti.
Anche
Sam lo era: “Forse è meglio che vada!”
“Bene,
- sorrise l’altro - allora ti mando gli appuntamenti per
email!”
Sam
sollevò il pollice, mentre usciva:
“Ottimo!”
*
Più
tardi, a scuola, il Professor Palmer stava distribuendo i test
corretti. Rider era nuovamente vestito come Albert, anche quella
mattina, con
una camicia di diverso colore ma pur sempre nello stile di Albert.
Aveva appena
ricevuto il suo compito, accompagnato da un’occhiataccia poco
positiva del suo
insegnante.
“Non
è possibile… - Rider lo visionò,
incredulo – Le ho sbagliate
tutte!”
Sam,
Eric e Nathaniel lo udirono da dove erano seduti.
Rider
si alzò con il foglio, dirigendosi alla cattedra.
“E’
uno scherzo? Non è possibile che in un test, la risposta
giusta sia
divisa in tre opzioni quando ce ne sono quattro. Su quindici domande,
vuole
farmi credere che nemmeno una è la A?”
Palmer
lo fissò abbastanza basito, come tutto il resto della
classe: “Anche
io mi chiedo se tutto questo sia uno scherzo, Signor Stuart. Prima si
veste in…
- lo squadrò da capo a piedi, indignato – questa
maniera, poco rispettosa nei
confronti di un ragazzo che è scomparso e che non
è più tornato a casa perché
si sentiva ogni giorno ridicolizzato dal vostro gruppo, poi sbaglia
tutte le
risposte del test barrando la stessa opzione a tutte le domande e ha il
coraggio di venire qui a chiedermi spiegazioni?”
“Non
ho tutta questa faccia tosta! – deglutì, Rider,
difendendosi –
Almeno cinque domande del test avevano come risposta giusta la A, ma
nel mio
test sono state spostate. – si avvicinò ad una
ragazza al primo banco e prese
il suo foglio – Non me lo sto inventando, ora le faccio
vedere… - cominciò a
cercare la domanda con lo sguardo - Allora, domanda numero
sette…numero sette…
- la stava guardando – Ricordo che la numero sette era
A.”
Tutti
lo stavano fissando, abbastanza scioccati. Sam, Eric e Nathaniel
si guardarono tra loro, impietriti.
Rider,
fermo a guardare il foglio, si stava rendendo conto che non aveva
ragione.
“No,
non è possibile… - si voltò, prendendo
il foglio di un altro
studente – Io lo ricordo perfettamente, la numero sette era
la A!”
“Signor
Stuart…” lo richiamò il Professore,
abbastanza seccato.
Rider
prese ancora un altro foglio, dal banco di un altro compagno:
“Le
dico che la numero sette era…”
Palmer
battè la mano sulla cattedra, alzandosi, urlando, ne aveva
abbastanza: “SIGNOR STUART, ESCA DALLA CLASSE! ORA!”
Quello
si bloccò, fissandolo, gli occhi sgranati per lo spavento.
Tutti
si irrigidirono.
“Vada
fuori! – gli intimò ancora una volta - Se non
accetta il suo voto,
si senta in dovere di contestarlo al preside, ma dubito che lo
farà dal momento
che il suo test è una presa in giro.”
Senza
aggiungere nulla, Rider si incamminò verso la porta, ma non
prima
di aver guardato i suoi amici, allibito. Poi uscì.
*
Più
tardi, in mensa, la tensione era alle stelle per i quattro ragazzi.
Sam era seduto da solo, che cercava ancora di contattare Chloe, mentre
si
lanciava continui sguardi con Nathaniel, seduto più avanti.
Rider, invece, non
riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse andato storto con il test e
si
stava dirigendo con il vassoio al banco del cibo, dove c’era
Eric.
Prima
di lui, arrivarono Violet e il suo gruppo; tra questi vi erano
anche suo fratello e Lisa.
“Allora
Eric, come ti trovi dietro al banco?” esordì lei,
un sorriso
cinico. Gli altri ridacchiavano alle sue spalle.
“Come
dovrei trovarmi? – restò calmo, quasi
indifferente, per non darle
soddisfazioni – Sono dietro ad un banco e distribuisco il
cibo. – sorrise loro,
sforzatamente – cosa vi servo?”
“Quello
che ho preso ieri e due uova sode!” esclamò
Colton, con tono
arrogante. Sembrava un’altra persona, più sicura
di sé.
Eric
sorrise, beffardo, mentre riempiva i vassoi: “Serve
altro?”
“Sai,
Eric… – Violet non volle congedarsi senza avere
qualche
soddisfazione – Come nuovo presidente del comitato
studentesco, mi è stato
detto che morivi dalla voglia di distribuire il cibo alla mensa. Per
questo ti
trovi qui.”
“Quindi?
– scosse la testa Eric, indifferente, per poi chiarire la sua
posizione – Se pensi che farò una scenata, qui,
dentro la mensa, per gonfiare
il tuo ego e quello del tuo esercito della salvezza…Beh,
dovrai fare di
meglio!”
“Esatto!”
si avvicinò Rider, che aveva ascoltato tutto.
Violer
si voltò verso di lui, così come gli altri, con
sorriso cinico:
“Ma guardate chi c’è, Mr.
A!”
“Come,
scusa?”
“E’
questo il tuo soprannome, - spiegò Violet, divertita - dopo
che hai
delirato all’ora di letteratura.”
“Chissà
chi è la fonte, pazza stronza!” ribattè
Rider, sprezzante. Ne
aveva abbastanza
Colton
intervenì, spintonandolo. Rider lo fece a sua volta, mentre
gli
altri gridavano loro di fermarsi. Eric fece il giro del bancone.
Nathaniel
lasciò il suo tavolo, raggiungendo l’amico e
dividendolo da Colton assieme ad
Eric.
I
due gruppi si guardavano con sguardi fulminei, mentre i ragazzi
riprendevano fiato e si ricomponevano.
“Perché
non vai a giocare alla dittatrice da un’altra
parte?” suggerì
Nathaniel a Violet, in maniera poco amichevole.
“Qui
nessuno sta dettando niente. Il tuo amico mi ha dato della pazza,
quando il pazzo è lui che si veste da Albert e si mette a
delirare in classe su
risposte giuste e sbagliate.”
“Avete
avuto quello che volete. – aggiunse Eric - La scuola, la
vostra
rivincita e anche il cibo. Perché non ve ne andate,
adesso?”
“Ce
ne andiamo! – esclamò quella – Ma
perché siamo noi a volerlo. Non
comandate più voi, qui…” si
congedò, dando le spalle, sorridendo soddisfatta,
assieme al suo gruppo, mentre si dirigevano ai tavoli.
“Stai
bene?” domandò Eric a Rider.
“No!
– si svincolò dai due ragazzi, nervoso –
Oggi va tutto storto!”
“Ehi!
– li raggiunse Sam – Tutto a posto?”
Improvvisamente
ricevettero tutti la scossa, agitandosi.
“STRONZO!”
urlò Rider, quando la scossa terminò.
Attirò qualche sguardo,
naturalmente.
“Torniamo
ai nostri tavoli, non possiamo ancora stare insieme: è la
regola. ” ricordò loro, Nathaniel.
Annuirono
tutti, dividendosi nuovamente. Eric tornò dietro al banco e
gli altri ai tavoli. Rider lasciò la mensa, invece,
lanciandosi ancora sguardi
fulminei con Violet.
*
Finite
le attività extracurriculari, verso il pomeriggio, i quattro
si
riunirono intorno ad uno dei tavoli che c’erano nel cortile
interno alla
scuola. Da soli. Dopo il messaggio di A,
poterono finalmente ricongiungersi.
“Ragazzi,
voi mi credete, vero? A
ha spostato le risposte per farmi prendere zero, ne avevo
prese almeno
cinque su quindici. Avrei potuto recuperare, ma ora...ora come cavolo
faccio?
Sempre che A non decida di
aiutarmi
anche nella prossima verifica! ”
spiegò, sofferente.
“Certo
che ti crediamo, Rider. – intervenì Nathaniel -
Stiamo
combattendo tutti con la stessa persona, sappiamo di cosa sia capace.
Rider
continuò: “La cosa che non capisco è
come Palmer non abbia battuto
ciglio su quello che gli stavo dicendo. Insomma, i test gli ha fatti
lui,
perciò sapeva sotto quale lettera erano le risposte giuste e
che la risposta
esatta alla domanda numero sette non poteva passare dalla A alla C,
come per
magia. Ed è impossibile che su quindici domande, nemmeno una
di quelle giuste sia
sotto la A!”
Anche
Eric prese parola: “Smettila di scervellarti inutilmente. A avrà scassinato
l’armadietto di
Palmer e avrà fatto la magia. E Palmer non ti ha creduto per
il semplice fatto
che hai barrato tutte le A senza ragionare alle domande, come se non
avessi
studiato, nonostante ti avesse avvertito di questo test. La delusione
nei suoi
occhi per i risultati che hai ottenuto, l’ha completamente
accecato e si è
giustamente sentito preso in giro.”
“Almeno
a voi è andata bene… - sospirò Rider,
scivolando sullo schienale
della sedia - Del resto vi ho avvisati io di questo test a
sorpresa!”
“Ti
rifarai, ok? – cercò di consolarlo, Sam, mentre
tirava fuori i chip
dalla borsa e li metteva sul tavolo – Piuttosto, dobbiamo
aggiornare anche Eric
e Nat della nostra telefonata di ieri.”
Nathaniel
rimase perplesso, confuso quanto Eric: “Aggiornarci su
cosa?”
“Ieri
ho spaccato il mio telefono, non chiedetemi perché.
Comunque, ho
trovato il chip che Brakner ha messo nei nostri vecchi telefoni, mentre
Rider
ha trovato uno dei chip che avete rubato al dipartimento.”
“E
quale sarebbe l’aggiornamento? Una collezione di
chip?” non capiva
ancora Eric.
Sam
tirò fuori una lente di ingrandimento.
“Osservate
le sigle sui chip… - continuò, mentre Eric e
Nathaniel
guardavano i chip da vicino – DFPDM è la stessa
sigla che viene riportata su
entrambi i chip.”
Eric
si guardò perplesso con Nathaniel, prima di dire qualcosa:
“Ma
questo vuol dire che…”
Rider
prese parola per confermare i loro pensieri: “Sì,
i chip che
Brakner ha messo nei nostri telefoni provengono dal dipartimento di
ingegneria
elettronica a Brokehaven.”
“Che
strana coincidenza che noi siamo stati lì, parecchio tempo
dopo A.”
pensò Nathaniel.
“Nessuna
coincidenza. – chiarì Rider - Prima di andare a
Brokehaven, ho
chiesto a mio padre chi intervistasse per i suoi libri, per la parte
tecnologica. A è stato
nello studio
di mio padre per lasciarmi quel libro che parlava del crimine commeso
da
Anthony e dove si trovavano le medicine di Nathaniel, ricordate? Beh,
avrà
guardato la sua agenda e così ha trovato il contatto di
Denna Marx. Semplice!”
“Un
momento… - Nathaniel fermò tutti, ricordando una
cosa – Quando sono
stato nel laboratorio del dipartimento, ho conosciuto una certa Zoe,
che mi ha
detto che il progetto dei chip sui topi era un’idea di una
studentessa chiamata
Ella Duval ma che l’aveva aiutata Denna Marx.”
“Ok,
quindi Ella Duval sarebbe il braccio destro di A?
– dedusse Sam, trovando tutto pazzesco e bizzarro –
Chi cazzo è
questa, adesso?”
“Non
credo! – precisò Nathaniel – Zoe mi ha
fatto intendere che Denna ci
aveva messo più di una mano sopra quel progetto.
Perciò è Denna il braccio
destro!”
Rider
ed Eric erano a dir poco senza parole. Sam continuava a trovare
tutto assurdo.
“Denna
Marx? Che cosa cavolo c’entra con noi questa donna?”
“Niente,
Sam. – continuò Rider - Brakner
l’avrà pagata!”
Anche
Eric si espresse: “E profumatamente, direi: stava partendo
per
Miami!”
Rider
fissò tutti, serio: “Avete lasciato i telefoni
negli armadietti?”
Quelli
annuirono.
“Bene,
non voglio che Brakner ci ascolti…Dobbiamo trovare Denna
Marx e
minacciarla. Che ci aiuti almeno a levarci questi dannati bracciali,
prima che
i miei neuroni comincino ad abbandonarmi uno ad uno a forza di scosse
elettriche!”
“E
come la minacciamo, scusa?” replicò Nathaniel.
“Ehm,
- ribattè Rider con ovvietà - torture su
minori?”
“Scusate
se sono ripetitivo, - si intromise nuovamente Eric – ma Denna
è
partita per Miami, ricordate? L’unico modo per parlarle
è iniziare a fare una
scorta di infradito e collane di fiori per raggiungerla al resort a
cinque
stelle in cui sicuramente starà alloggiando!”
Rider
rimase in silenzio, mentre gli altri lo fissavano. Rider fissava
loro a sua volta, come se dietro al suo silenzio si celasse il suo
solito
pensiero estremo. Sam lo intercettò.
“Rider,
vai al diavolo! Io dopo la vicenda del treno ho deciso di non
seguirti più da nessuna parte.”
“A
chi lo dici!” aggiunse Eric con enfasi, riferendosi, invece,
alla
vicenda delle fogne.
Quello
lanciò una lunga occhiataccia ai due, offeso:
“Grazie mille, eh!
E comunque non sono così folle da spingermi fino a
Miami…Anzi, forse non è come
sembra!”
Nathaniel
perso il filo del discorso: “Cioè, che vuoi
dire?”
“Dico
che, secondo me, Denna Marx è ancora tra noi.
Dev’essere tutta una
farsa, non credo che sia partita…Altrimenti non si
spiegherebbero i
braccialetti che abbiamo appena avuto. Se c’è una
cosa certa è che Brakner ha
solo una laurea in matematica e sguardi seducenti!”
“Quindi
torniamo al dipartimento?” dedusse Eric, mentre si alzavano.
“Sì,
mi fingerò nuovamente podcaster e ci faremo avere
l’indirizzzo del
suo domiciglio!”
I
quattro raggiunsero i loro armadietti, recuperando i telefoni. Sam
ricevette un messaggio, puntato immediatamente dallo sguardo degli
altri.
“E’
solo mio padre!” spezzò la suspence.
“Dovremmo
avere una suoneria personalizzata solo per A.
Odio questi momenti in cui le nostre
mandibole precipitano a terra ad ogni sms che riceviamo!”
pensò Nathaniel,
riprendendo fiato.
“Sì,
- continuò Sam, mentre avevano ripreso a camminare
– comunque…non
posso fare i compiti con voi domani!”
Quelli
si fermarono nuovamente. Intuirono che si trattava di una frase
in codice, che mascherava la gita al dipartimento.
Rider
fu il primo a prendere parola: “Perché?”
“Ho
uno psicologo, grazie ad A!
– rispose, sarcastico e irritato – Lo incontro
domani, Mercoledì e Venerdì!”
Nathaniel
era confuso a quel punto, come Eric: “Un secondo, che mi sono
perso? Perché tuo padre ti manda dallo psicologo?”
Fu
Rider ad aggiornarlo: “Perché Brakner gli ha
mandando foto di Sam di
quando aveva le labbra malconce. Ha
dovuto inventare qualcosa prima che corresse qui a scuola a cercare il
suo
bullo.”
“Tipo
cosa?” cercò di capire Nathaniel, fissando Sam.
Fu
sempre Rider a rispondere, incurante: “Tipo fare coming out,
tagliandosi un polso!”
“COSA?”
gridarono in coro Eric e Nathaniel, sgranando gli occhi.
Sam
lanciò un’occhiataccia a Rider per averlo detto in
quel modo.
“Risparmiati
quella faccia, Sam. Ho avuto una giornata di merda!”
Quello
attenuò la sua smorfia, voltandosi a spiegare agli altri due.
“Sentite,
dovevo dare un senso a quelle foto. Fingere di avere una
specie di disagio interiore! - roteò gli occhi, seccato -
Peccato che ora mio
padre pensi che l’autolesionismo sia il mio nuovo
hobby!”
“Sam,
è stato pericoloso fare quello che hai fatto. – lo
sgridò Eric,
mentre Nathaniel si mostrava seriamente allibito e preoccupato
– Poteva andarti
peggio!”
Sam
alzò la manica, indifferente, mostrando il polso fasciato:
“E’ solo
un taglietto, rilassatevi!”
Nathaniel
si infuriò: “Un taglietto?? Sam, ti rendi conto di
che potere
ha A su di te?”
“Ha
potere su tutti noi, Nat!” ribettè
l’altro.
“No,
non è vero. Di certo non giustifico i miei disagi camminando
su un
cornicione!”
Sam,
stufo, si sistemò la tracolla, superando i compagni.
“Io
me ne vado, ci vediamo domani!”
Mentre
Nathaniel lo fissava altamente infastidito, voltare loro le
spalle, Rider lo fermò.
“Sam,
chiamami domani mattina. Sul fisso!”
Quello
roteò gli occhi ancora una volta, prima di voltarsi
nuovamente e
andare: “Ok!”
*
Come
concordato, Sam e Rider si sentirono per telefono la mattina
seguente.
“Sam,
devi venire con noi a Brokehaven oggi. Non puoi non venire.”
“Lo
sai che non posso. Tra le ore extra a scuola e lo psicologo, non ho
il potere di sdoppiarmi in due.”
“Davvero?
– si pronunciò con finto scetticismo –
Mi stai dicendo che per
te lo psicologo è più importante di quello che
dobbiamo fare? Avanti, non me la
bevo!”
“Che
vorresti dire, scusa?” Sam percepì un velo di
insinuazione.
“Intendo
dire che, forse, Nat ha ragione. Che A ha
molto potere su di te!”
“Noi
facciamo continui buchi nell’acqua, ok? Non
pagherò le conseguenze
anche questa volta!”
“Sam, noi ci andremo ugualmente a Brokehaven. E se riusciamo
a togliere i
bracciali, Brakner se la prenderà solo con te,
perciò decidi tu.”
Sam
sospirò, fissando la parete. Improvvisamente
sentì un suono
provenire dall’esterno.
“Rider…
- cercò di guardare fuori, attraverso le finestre,
abbastanza
distratto da quel suono insistente – Ne riparliamo a scuola,
ok? Ora devo
andare!”
Quando
mise giù la cornetta, ancora si sentiva la voce di Rider che
parlava, nell’intento di trattenerlo e finire il discorso.
Sam
era già alla porta, subito dopo, uscito a vedere di cosa si
trattasse. Con gran sorpresa, trovò Nathaniel, che camminava
con accanto un
tandem, suonando il campanellino.
Confuso,
Sam sorrise, avvicinandosi.
“E
questa bicicletta?”
Nathaniel,
altrettanto divertito, prese un biglietto dal cestello e
glielo fece leggere. Il sorriso scomparse immediatamente dal viso di
Sam, non
appena lo lesse.
“Dopo
il vostro primo
bacio, sarete sicuramente felici di fare un giro romantico prima di
andare a
scuola.”
-A
Sam
alzò la testa, sentendosi in colpa, una mano sul petto:
“Nat, mi
dispiace. Sono così mortificato.”
L’espressione
dell’altro era totalmente serena: “E’
tutto ok, Sam.
D’accordo?”
“Ma
ci vedranno tutti! – si disperò –
E’ tutta colpa mia, ora A pensa
che siamo una coppia.”
“Senti,
sono stato io a baciarti. E’ tutto a posto, ti ho
detto.”
Sam
lo fissò a lungo, in una smorfia angosciata: “E io
che pensavo che A sarebbe stato
impegnato con Eric e
Rider, mentre noi andavamo in carcere da Jasper. Questo vuol dire che
sa che
abbiamo parlato con lui.”
“Forse
ci ha seguiti Lindsay. Brakner non poteva preparare la trappola
ad Eric e Rider ed essere a Philadelphia con noi,
contemporaneamente.”
“Pff,
e poi Rider dice che sua sorella non è coinvolta
più di tanto.
Secondo me ci è dentro fino al collo!”
Nathaniel
suonò il campanello della bicicletta, accennando poi un
sorriso, per sdrammatizzare.
“Dai,
sali! – ci montò sopra, aspettando
l’amico - Non
avevo mai provato una bicicletta a due
posti…”
Sam
era ancora restio nel voler fare questo giro: “Nat, ma le
persone…”
Quello
lo zittì immediatamente.
“Smetti-di-parlare.
Ok? Non mi importa di quello che dice la gente. Mi
importa di quello che dico io…E quello che dico io mi fa
stare bene, perciò
sali su questo dannato tandem!”
Sam
lo fissò a lungo, colpito dalle sue parole, arrendendosi:
“Beh, A ci ha detto di
fare un giro, ma non
ha specificato dove. Propongo di andare al parco, così
eviteremo di dare
qualcosa di cui sparlare ai cittadini di Rosewood.”
“Te
l’ho detto, non ho problemi. Ma se desideri questo, che parco
sia!”
Sam
montò sul tandem.
“Ok,
ci sono!”
Nathaniel
si voltò, assicurandosi che potessero partire.
“Pronto?
Possiamo andare?”
“Sì!”
accennò un sorriso, l’altro.
I
due iniziarono a pedalare, allontanandosi lungo il viale.
*
Più
tardi, a scuola, Eric e Rider erano seduti sulle panche che
c’erano
davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Mentre
quest’ultimo
controllava il telefono, l’altro osservava alcuni annunci sul
giornale.
“Violet
ha dato una festa per la sua vittoria: 67 foto… - Rider le
vide
una ad una, facendo delle smorfie con il viso – Ah, no, -
accentuò la smorfia,
seccato – sono 72!... –
notò dell’altro,
poi - Ehi, ha
appena pubblicato uno
stato: Il ballo degli ex alunni si
avvicina, suggerimenti per la band da chiamare? –
sollevò lo sguardo dal
telefono, indignato – Pazzesco, ha già ricevuto
108 like!”
“Rider,
la smetti di controllare il profilo di Violet? Sto cercando di
concentrarmi!”
Quello
buttò un occhio sul suo giornale, perplesso:
“Concentrarti su
cosa? Sugli annunci dei cani scomparsi?”
“No!
– girò la pagina, Eric, nervoso – Sto
cercando gli annunci di lavoro,
voglio aiutare mia madre.”
“Sono
alla fine, comunque…” indicò con gli
occhi.
“Grazie…
- ribattè, giù di morale, andando alla fine del
giornale – In
più, Alexis sembra avere dei ripensamenti su di
me.”
“Pensavo
che andasse a gonfievele tra di voi.”
“Beh,
pensa che io nascondi qualcosa…Il che è vero: A!”
“Non
azzardarti a raccontarle assolutamente nulla. So che è dura,
ma
devi lasciarla fuori da questa storia.”
“Non
è facile… - si mise le mani sulla faccia,
oppresso – Non ce la
faccio più, diventa sempre più pesante la nostra
situazione.”
“E
lo dici a me? Ieri sono stato letteralmente cacciato fuori
dall’aula!”
Eric,
intanto, aveva posato lo sguardo su una ragazza che stava salendo
le gradinate della scuola: Chloe. La indicò con gli occhi a
Rider, che era di
spalle e non poteva vederla. Quando si voltò, la vide anche
lui.
“Era
ora! – Rider prese subito il telefono – Avverto
Sam… - ma si
bloccò, sgranando gli occhi a qualcosa che aveva appena
visto – OH-OH!”
“OH-OH,
cosa?” volle sapere Eric, incuriosito.
Rider
gli mostrò il telefono: una foto di Sam e Nathaniel, al
parco, su
un tandem.
“L’ha
appena postata Cameron Ashcroft. – spiegò,
leggendo lo stato – Quanti like per
#Nathaniam, la nuova ship della
scuola?
“Cameron
sa essere assai vendicativo. E’ dura essere rifiutati;
soprattutto per uno come lui.” pensò Eric.
“E
A sa essere assai
creativo! Non so se riuscirò a sorprendermi di
qualcos’altro, dopo il tandem!”
“Povero
Nat, - ribattè Eric - almeno Sam è gay per
davvero, ma lui no.”
“E’
umiliante per entrambi, credimi.”
Improvvisamente,
videro Sam e Nathaniel arrivare a piedi, ignari della
foto che stava circolando.
Eric
e Rider si alzarono per andare verso di loro e metterli al corrente
di tutto, ma un messaggio li costrinse a fermarsi.
“Non
avvicinatevi a loro.
E già un privilegio avervi concesso di restare a
coppie.”
-A
I
due sollevarono lo
sguardo, scuotendo la testa. Sam e Nathaniel compresero perfettamente
che non
potevano avvicinarsi a loro. Anche questi ricevettero un messaggio.
“Entrate
a scuola per
mano.”
-A
I
due sgranarono gli occhi, fissando il vuoto. Poi si guardarono.
Nathaniel non era più così sereno come prima,
stavolta era in pubblico.
“Nathaniel,
non sei costretto a…”
“Lo
sono, invece…Non abbiamo altra scelta.”
Entrambi
deglutirono, nel panico, mentre gli amici, da lontano, gli
osservavano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Mentre Sam era
completamente immobile, fu Nathaniel a prendere l’iniziativa
e a prendergli la
mano. Sam sentì il cuore che gli batteva forte, mentre,
tesi, si incamminavano.
Eric e Rider si scambiarono una lunga occhiata, in pena per loro.
Una
volta dentro, ogni studente aveva gli occhi puntati su di loro.
Espressioni di stupore spaziavano i corridoi, tra bisbigli e risate
silenziose.
I due continuarono a camminare senza guardare nessuno,
finchè la cosa sembrò
sempre meno percettibile e gli studenti tornavano a fare ciò
che stavano
facendo prima del loro arrivo. Inoltre, la campanella
contribuì ad interrompere
quel momento imbarazzante.
Improvvisamente,
Sam vide Chloe in lontananza, lasciando la mano a
Nathaniel in maniera brusca. Quello si sentì ancora strano,
quasi come se si
era abituato a tenergliela.
“E’
tornata! – gli disse, prima di camminarle in contro
– Chloe?” la
chiamò, mentre quella stava parlando con altre due ragazze.
Il
suono della campanella copriva la sua voce, ma era a metà
strada e la
stava raggiungendo. Nathaniel lo guardò allontanarsi e anche
Eric e Rider, più
dietro. Tutti non vedevano l’ora che parlasse con lei.
“Chloe?”
la chiamò ancora, ma quella non lo sentì,
iniziando ad
allontanarsi con le due ragazze verso le classi.
Sam,
a quel punto, alzò il passo, ma fu fermato da un nuovo
messaggio
che non lo lasciò indifferente.
“Prova
a parlare con
Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”
-A
Barcollò,
agghiacciato, mentre la ragazza era ormai scomparsa dalla sua
visuale. Un brivido corse lungo la sua schiena, fino alle braccia. Era
il
messaggio più minaccioso che avesse mai ricevuto. I ragazzi
non capivano cosa
stesse facendo lì impalato, in mezzo al corridoio.
Finalmente
Sam si voltò, aveva gli occhi rossi e lucidi ed era alquanto
scosso. Fissò i suoi compagni per qualche secondo, prima di
scappare in bagno.
Nathaniel si voltò alle sue spalle, guardandosi con Eric e
Rider, poi lo seguì.
Quando
lo raggiunse, Sam era a dir poco sotto shock e cercava di
sfilarsi il bracciale con forza, disperato.
“Sam,
mi dici che cosa è successo? – si fermò
accanto a lui – Perché non
hai raggiunto Chloe?”
“A ha detto che se provo a
parlarle, mi fa esplodere il braccio. – spiegò,
piagnucolando, per poi mettersi
una mano sul petto – Non riesco a respirare, - si
voltò verso di lui – Oddio,
può farlo davvero? Può farmi esplodere il
braccio?”
“Non
essere ridicolo, Sam.” cercò di tranquillizzarlo,
anche se era
spaventato anche lui.
Improvvisamente,
qualcuno entrò in bagno. Si trattava di Cameron. I due
si voltarono a guardarlo e Sam si rimise giù la manica,
cercando di ricomporsi.
“Sam…
- esordì nervoso, accorgendosi anche della presenza di
Nathaniel –
Ragazzi, non sono stato io a postare la foto, ok?”
Nathaniel
non capì di cosa stesse parlando: “Quale
foto?”
Cameron
vide confuso anche Sam: “Ouh, non l’avete ancora
vista allora… -
mortificato, prese il suo telefono, mostrandola a loro –
Qualcuno deve aver
prese il mio telefono, perché vi giuro
che…”
Nathaniel
lo prese immediatamente dal petto, inchiodandolo al muro. Sam
intervenne.
“Lascialo,
lascialo! – tirò Nathaniel per un braccio
– Dice la verità,
lo sai che è la verità!”
Quello
lo lasciò, mentre l’altro ragazzo parve incredulo.
“Mi
credete, allora…” lo trovò abbastanza
strano.
“Vattene!”
gli urlò Nathaniel, facendolo sobbalzare.
Il
ragazzo indietreggiò, quasi inciampando.
“Sì,
ma non dite a nessuno che sono gay. – supplicò -
Per favore!”
Fu
Sam a pronunciarsi, serio: “Credimi, non ce ne frega niente.
Quelli
sono affari tuoi!”
Cameron,
nonostante fosse stranito dal loro comportamento, uscì,
senza
aggiungere altro.
Il
silenzio calò improvvisamente sulla stanza e Nathaniel si
appoggiò al
muro con le braccia. Sam, alle sue spalle, non sapeva se rivolgergli la
parola;
temeva una sua brutta reazione, dato lo stress accumulato.
“Nat,
stai bene?”
Dopo
un po’, quello si voltò, più calmo:
“Non proprio, ma…Insomma, va
bene così…”
“Mi
dispiace che tu sia finito in mezzo a questa storia. Per me non
è un
problema, a questo punto, ma…Non voglio che tu ci
soffra.”
“Senti,
non mi interessa…Che mi credano gay o quello che vogliono.
Prima
o poi smetteranno di fare caso a noi.” concluse, tendendogli
la mano.
Sam,
con un sorriso poco marcato, la bocca serrata, prese la sua mano e
i due uscirono, spavaldi.
*
Dopo
la scuola, i ragazzi giunsero a Brokehaven come programmato. La
segreteria del dipartimento era ancora aperta, ma la donna di colore
che era di
turno, era assai difficile da convincere in quanto ad informazioni
confidenziali. Rider era avanti ai suoi amici che parlava con lei.
“Che
significa che non può darci l’indirizzo di Denna
Marx?”
“C’è
la privacy su queste cose!” chiarì quella.
“La
privacy? – titubò, incredulo – Dove
siamo, alla NASA?”
“La
professoressa non lavora più qui e noi non siamo tenuti a
dare alcun
recapito. Ora, se non vi dispiace, ho dei fogli da spillare!”
e si congedò,
lasciando i quattro con un palmo di naso.
Rider
si voltò verso i suoi amici, abbastanza furioso.
“E’
incredibile, ora come la troviamo?”
Nessuno
di loro aveva alcuna idea, ciondolando con loro sguardo.
Improvvisamente, una voce fece voltare i ragazzi.
“Nathan?”
era una ragazza, fermatasi accanto a loro.
“Zoe!”
la riconobbe Nathaniel, avvicinandosi a lei, mentre gli altri tre
si scambiarono una rapida occhiata, confusi.
Quella,
stringendo il libri al petto, fu felice di vederlo:
“E’ un po’
presto per le iscrizioni, non pensavo di rivederti così
presto.”
“In
verità, - si fece avanti Rider – stavamo cercando
la Professoressa
Marx!”
“Pff,
chi non la cerca! – esclamò quella – Da
quando se n’è andata, i
suoi studenti si sentono tutti abbastanza spaesati.”
“Sai
per caso dove abita?” ne approfittò Nathaniel, con
discrezione.
“Certo,
mia madre è stata il suo agente immobiliare quando si
è
trasferita qui. Ha visto almeno tredici case prima di
decidersi!”
“Oh,
ma è fantastico! – si entusiasmò Rider
– Potresti scriverci il suo
indirizzo?”
“Dubito
che la troverete, si è trasferita a Miami.”
Stavolta
fu Sam ad intromettersi: “Non ha qualche parente,
qui?”
“In
verità, sì. So che ha una
sorella…”
“Puoi
scriverci il suo indirizzo?” insistette Rider.
“Ehm…
- lo fissò quella, iniziando a stranirsi – Ok,
dammi carta e
penna…”
“Hai
una penna?” ribattè Rider.
“Si!”
la tirò fuori dalla borsa.
“Bene,
scrivimelo sul braccio!”
“Ouh…
- lo fissò, sempre più perplessa –
D’accordo…”
Nathaniel
lanciò un’occhiataccia a Rider per i suoi
atteggiamenti
bizzarri, mentre quella scriveva l’indirizzo.
“Ecco
fatto!” indietreggiò la ragazza, rimettendo la
penna nella borsa.
I quattro la sorpassarono.
“Grazie,
Zoe. – si pronunciò Nathaniel - Sei stata molto
gentile!”
“Per
caso… - li fermò quella, con un espressione
dubbiosa – Avete nulla
a che fare con il furto dei chip, al laboratorio? –
fissò Nathaniel – Insomma,
ti ho incontrato lì, quel giorno.”
“No!
– scosse la testa Nathaniel, come tutti gli altri –
Direi proprio
di no.”
Poco
convinta, Zoe continuò con un’altra domanda:
“Ok…E posso sapere
perché cercate la Professoressa Marx, almeno?”
“Speravo
di poterla intervistare di nuovo, sono un podcaster. –
replicò
Rider – I miei follower sono impazziti per lei. Magari mi
concederà altro del
suo tempo, via skype!”
“Credo
che inizierò a seguirti anch’io. –
annuì Zoe – Sai, mi
interessano molto gli argomenti della Professoressa Marx. Come ti
chiami? Così
ti aggiungo su Twitter.”
“Ehm…
- Rider stava iniziando a rispondere, mentre gli amici lo
fissavano abbastanza tesi – Taylor Buh! – rise
– Ora dobbiamo proprio andare!”
concluse, voltandosi velocemente e andandosene. Gli altri lo seguirono
a ruota,
dopo aver sorriso alla ragazza.
Quella
continuò a guardarli, trovandoli strani.
*
Intanto,
a Rosewood, Alexis era salita con Jennifer al suo appartamento
per provare qualche abito per l’appuntamento con Eric.
In
quel momento, la donna era in salotto che attendeva la ragazza.
Finalmente entrò nella stanza, con indosso
l’outfit che le aveve scelto. Si
trattava di un top rosso e lungo che si allargava alla vita, un
pantalone nero
di seta, un cardigan nero e un tacco rosso e alto. I suoi capelli erano
raccolti, solo due ciuffi ai lati del viso e un rossetto rosso sulle
labbra.
“Sei…
- Jennifer non aveva parole, mentre l’altra girava su se
stessa,
sorridente – Sei bellissima!”
“Dici
che sto davvero bene?”
“Sei
un incanto, tesoro. Mio figlio è davvero
fortunato.”
Alexis
si guardò ancora una volta. Jennifer pensò che
mancava qualcosa.
“Aggiungerei
solo un accessorio… - si tolse dal polso una serie di
bracciali incastrati fra loro, color argento – Me lo
regalò mio marito al
nostro primo appuntamento e da allora non ci siamo più
lasciati.”
Si
diresse verso di lei per darglielo, ma Alexis indietreggiò,
subito
contraria.
“No
no, non è necessario Jen!”
“Non
essere sciocca, sta meglio a te, questa sera.” glielo
infilò al
polso.
“Ma…
- Alexis era a disagio - E se lo perdo?”
“Non
lo perderai…” le sorrise, premurosa.
E
quella se lo ammirò, facendo poi una giravolta e scoppiando
in una
risata incontrollata con la donna.
*
Nel
frattempo, a Brokehaven, i quattro stavano salendo le scale di un
edificio. Eric e Sam erano avanti a Nathaniel e Rider.
“E’
l’interno 7B, giusto?” chiese Sam, esausto.
Rider
confermò: “Così
c’è scritto sul mio braccio!”
“Non
potevamo prendere l’ascensore? – anche Nathaniel
era esausto –
Questa scale non finiscono mai!”
“Meglio
di no… - sottolineò Rider – Per
esperienza personale, ho deciso
di non inficcarmi più in luoghi senza via
d’uscita!”
Nathaniel
gli lanciò un’occhiataccia.
“Che
c’è? – sussultò Rider
– A potrebbe
bloccarci anche negli ascensori!”
“Non
contesto! – intervenne Sam, mentre volgeva la testa in alto,
verso
la nuova rampa di scale da salire – A questo punto non mi
stupisco più di
niente.”
Rider
si voltò nuovamente verso Nathaniel, fissandolo.
“Sai,
hai qualcosa di diverso…” ma non capiva cosa.
“Io?”
titubò quello, confuso.
“La
tua faccia…Sembra diversa! – abbassò lo
sguardo sul resto del corpo –
Anche il tuo fisico.”
“Eh?
– stranì, toccandosi il petto e la faccia
– Sono sempre io, di che
diavolo parli?”
“Lascia
perdere, forse sto delirando per queste scale!” concluse,
raggiungendo Sam e Rider: erano arrivati.
Prima
di alzare il passo, rimasto indietro, Nathaniel si toccò
nuovamente i suoi pettorali e la sua faccia, pensando ancora alla
strana
osservazione di Rider.
“I
telefoni sono tutti in macchina, giusto? –
bisbigliò Rider, mentre
quelli annuivano, davanti alla porta dell’interno 7B
– Ricordare tutti il
piano, non avrà altra scelta che toglierceli se ha un
briciolo di umanità.”
I
quattro sospirarono, voltandosi davanti alla porta. Fu Eric a bussare.
Dopo
qualche secondo, aprì una donna, ma non era Denna Marx.
“Sì?
– domandò quella, fissandoli.
Abbassò,
poi, lo sguardo, intravedendo un bracciale sotto alla manica di
uno di loro.
Ella
sgranò gli occhi, quasi immediatamente, esplodendo in una
reazione
esagerata: “Oh cazzo! – urlò,
richiudendo la porta – Cazzo, cazzo, cazzo!”
I
ragazzi si buttarono subito contro la porta, impedendone la chiusura.
“SPINGETEEE!”
gridò Rider agli amici, mentre l’altra cedeva.
Dopo
un estenuante lotta, i ragazzi erano dentro l’appartamento.
“Sto
per chiamare la polizia!” minacciò quella,
indietreggiando,
nervosa.
“Strana
la tua reazione, - Rider le sorrise cinicamente, mentre Eric
chiudeva la porta – Noi non ti conosciamo nemmeno, ma tu
sembri conoscere noi.”
Anche
Sam e Nathaniel la guardarono con volto serio e cinico, per poi
muoversi verso le altre stanze.
“Ehi!
– spostò lo sguardo su di loro – EHI,
dove credete di andare?”
“Dov’è
Denna Marx? – le domandò Rider, mettendosi davanti
a lei – Tu
devi essere sua sorella, no?”
“Non
c’è nessun’altro, qui!”
esclamò Sam, di ritorno con Nathaniel.
Ora,
tutti la fissavano. Uno sguardo pesante che la mise alle strette.
“Ehm…
- aveva lo sguardo basso e stava sudando – Non siamo proprio
sorelle; stessa madre, padre diverso.”
“Quindi
siete sorellastre!” dedusse Sam.
Quella
annuì, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo.
“Mi
chiamo Julie Orlando…”
“Bene,
Julie Orlando… - cominciò Rider –
Dov’è Denna?”
“E’
andata via. E’ partita!”
“Certo,
e io sono James Bond!” non ci credette, Nathaniel.
“E’
la verità!” urlò Julie.
Eric,
a quel punto, si fece più avanti, alzando la manica e
mostrando il
bracciale al polso: “Tua sorella non può essere
partita. Altrimenti non avremmo
questi dannati cosi al polso!”
Julie
fissò a lungo quel bracciale, sempre più nervosa:
“Non gli ha
fatti lei quei bracciali…ma io!”
I
quattro ragazzi si guardarono, confusi, per poi tornare a guardarla,
in attesa di saperne di più.
“Sono
laureata anch’io in ingegneria elettronica. Denna ha solo
costruito
i vostri chip!”
“Quindi
ci conosci?” Rider strinse gli occhi, sbigottito.
“No,
non vi ho mai visti prima d’ora. Ho solo riconosciuto il
bracciale.”
“Cosa
sai su di noi e sulla persona che ti ha chiesto questi
bracciali?”
chiese Nathaniel.
“I-io…
- deglutì, a disagio – Francamente pensavo che
foste più grandi,
non degli adolescenti.”
Sam
non capì, guardandosi con gli altri:
“Cioè? Che significa?”
“Io
e Denna commissioniamo delle cose a delle persone, ogni tanto.
Queste persone ci chiamano e ci chiedono delle cose. La maggior parte,
sono
criminali. Altri sono amici di Denna.”
Quelli
ascoltarono assorti, increduli, mentre continuava.
“Molti
anni fa, Denna si è messa in un giro pericolo. Non
l’hanno mai
beccata, così ne è uscita ed è entrata
ad insegnare al dipartimento di ingegneria
elettronica, qui a Brokehaven…Solo che, ogni tanto, qualcuno
la chiama ancora.
E, ora, chiamano anche me.”
“La
persona che vi ha contattato per i chip e i bracciali – prese
parola
Nathaniel – L’hai mai incontrata di
persona?”
“Hai
mai visto una ragazza, per caso?” aggiunse Rider, sperando di
no.
“No,
non ho mai incontrato nessuno e nemmeno Denna. – scosse la
testa,
convincente – Ci ho parlato circa una settimana fa, ma aveva
la voce
camuffata.”
Fu
il turno di Rider: “E per la consegna?”
“Avete
mai visto New york taxy?”
Sam
conosceva quel film: “Gli hai messi in un bidone dei
rifiuti?”
“Mi
aveva detto di lasciarli lì, i soldi per la commissione
erano già
sul mio conto.”
“Che
cosa sai di tutta questa storia, - le chiese Eric - di
preciso?”
“So
quello che mi ha raccontato Denna, che non è molto.
Francamente, era
molto entusiasta di essere stata contattata da questa
persona…”
Flashback
– una settimana e mezza prima
Denna
era
appena rientrata a casa, raggiante, con una scatola in mano, piena dei
suoi
oggetti personali. Julie le andò in contro con una tazza di
caffè in mano.
“Fai
sul
serio?”
“Già,
mi sono
licenziata! – esclamò quella, gettando la scatola
sul tavolo – Pensavi che
scherzassi?”
“Dico
che
questa faccenda è strana, Denna. Il tuo misterioso cliente
ha chiamato di
nuovo, mentre non c’eri, e aveva una voce a dir poco
inquietante, camuffata
come nei film!”
“E
allora? –
si sedette, curiosa – Che voleva?”
“Ha
chiesto
quattro bracciali in grado di fornire una posione.”
“No,
se lo
può scordare! – si alzò, dirigendosi
verso il frigo e tirando fuori una birra –
Tra un’ora ho il volo, finisci tu questo lavoro, dal momento
che hai deciso di
non venire con me! - fantasticò su quella che sarebbe stata
la sua destinazione
– Dio, non vedo l’ora di passare le mie giornate a
bere cocktail sulla
spiaggia, nuda! – sua sorella la fissò malamente,
costringendola a rettificare
– Ok, non nuda, ma…”
“Denna,
non
mi ha chiesto solo questo. – continuò,
preoccuapata - Vuole
anche che questi bracciali generino una
scossa elettrica.”
“Perverso!
-
pensò Denna, disinteressata, sollevandosi il seno
– Dici che le mie tette sono
troppe piccole per Miami? Forse dovrei rifarmele!”
“Denna,
dico
sul serio! – la richiamò alla ragione - Nessuno ci
aveva mai chiesto cose del
genere, fino ad oggi.”
“Senti,
questa persona mi ha pagata bene! Moolto bene! –
poggiò la sua birra, ormai
vuota – Sono libera, ho finito, ho chiuso! Passerò
il resto della mia vita a
far fruttare ciò che ho guadagnato duramente e a non fare
assolutamente niente.
Solo sole, sesso, shopping, party, amici…Sesso!”
“Sei
disgustosa!”
“Beh,
la vita
è una sola, Sestra! Disgustosa
o no,
è vita vera!…Che non vivrei, stando qui a fare la
cervellona, fino alla pensione.”
L’atra
esternò
ancora le sue angosce: “Ma non pensi alle persone che
riceveranno questa
scossa? E se sono animali?”
Denna
rise:
“Non sono animali, tesoro. L’uomo crea armi solo
contro l’uomo. E in ogni caso,
non mi interessa. Ho 33 anni, ho studiato per più della
metà della mia vita e
fatto cose che non pensavo di riuscire a fare. Certo, ho fatto cose di
cui non
vado fiera, ma…nessuno di noi andrà in paradiso,
perché il paradiso non
esiste!...Ho vissuto tra la paura dell’essere scoperta in
ogni mio lavoretto e
a svegliarmi ogni mattina per istruire giovani menti su giovani menti.
Non
posso fare tutto questo per sempre, non posso. Ho finalmente una chance
di
ricominciare altrove e di godermi la mia meritata ricompensa. Una vita
che
tutti sognano di poter vivere, ma che non tutti hanno la
possibilità di vivere.”
Julie
comprese che quella di sua sorella era una scelta definitiva:
“Bene, divertiti
allora!”
Quella
si avvicinò
a lei e le prese le mani, premurosa: “Fai questa ultima
commissione e
raggiungimi. La nostra sarà una vita meravigliosa, non te ne
pentirai.”
“Ci
penserò…
- l’idea la allettava, ma aveva ancora qualche dubbio
– Prometto che ci
penserò!”
“Evviva!
–
esultò, alzando le braccia – Ora, se non ti
dispiace, vado preparare la mia
valigia di soli bikini!”
Julie
sorrise, nel vederla passare nell’altra stanza, ma subito fu
assalita dai suoi
pensieri sul misterioso cliente.
“Ci
ho pensato, ragazzi…Ci ho davvero pensato, ma…non
ci sono riuscita.
Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato.”
spiegò Julie, dopo aver raccontato
della sua ultima conversazione con sua sorella.
“Puoi
toglierci questi bracciali, per favore? – chiese Sam,
mostrandosi
fragile per la prima volta ai suoi occhi – Ha minacciato di
farmi esplodere il braccio!”
Julie
ne rimase scioccata, gli occhi le lacrimavano per essere stata la
causa della loro sofferenza: “C-certo!”
“Grazie!
– esclamò Rider, sorpreso – Eravamo
venuti qui con un piano:
quello di fingere di ricevere una scossa talmente forte da costringere
tua
sorella a toglierceli. Perciò, grazie per averci risparmiato
la recita.”
“Pensavate
che mia sorella fosse qui? – lo trovò strano - A
proposito,
come la conoscete?”
“E’
una lunga storia, ma è davvero bizzarro come le vite delle
persone
si intreccino in questo modo quando sono coinvolte tutte nella stessa
faccenda.” rispose Eric.
Intanto
la stavano seguendo nel suo piccolo studio. La donna prese uno
strano oggetto da un cassetto con dei pulsanti sopra.
“Per
togliere i bracciali, serve una particolare frequenza. Un
suono!”
spiegò, mentre smanettava il dispositivo che teneva in mano.
Aveva anche messo
gli occhiali.
“Quanta
creatività per uno strumento di tortura!”
pensò Rider, ironico.
“Ok,
ci sono. – fissò i ragazzi, poi –
E’ meglio se vi coprite le orecchie,
il suono è molto acuto.”
Quelli
eseguirono, mentre Julie era pronta a premere il tasto.
Improvvisamente, i quattro furono colti da una potente scossa
elettrica, che li
costrinse a piegarsi in due, spaventando la donna.
“Julie,
fa prestoo! – urlò Rider – Sa che siamo
qui!”
“Ti
pregoo!” urlò anche Sam, straziato dal dolore.
“Oh
cazzo, - Julie cercò di mantenere il sangue freddo,
nonostante
avesse gli occhi sgranati per il terrore - resistete!”
Finalmente
avviò il dispositivo. Un suono acutissimo riempì
la stanza,
aumentando la sofferenza dei ragazzi anche al livello uditivo. Dopo
qualche
secondo, i bracciali si aprirono, cascando sul pavimento. Era finita.
I
quattro erano ancora piegati in due, che cercavano di riprendere
fiato, toccandosi il polso.
“Mio
Dio, - Eric fu il primo a ritrovare le parole - era come se mi
stesse staccando il braccio…”
Julie,
realmente scioccata, era senza parole: “M-ma che vuole questa
persona da voi? Perché vi sta facendo questo?”
Ognuno
di loro la fissò, senza dire nulla, abbastanza provati.
“Hai
detto che i bracciali servono a localizzare la posizione di chi lo
indossa, giusto? – si riprese Rider – Non ci hai
messo qualche microfono per
ascoltare, vero?”
Quella
scosse la testa: “No…”
“Senti,
noi non possiamo rispondere alle tue domande. Ci sono cose che
preferiamo tenere per noi e abbiamo i nostri motivi.”
chiarì Rider, guardandosi
con Eric, accanto a lui, che continuò il discorso.
Sam
e Rider si guardarono; loro non erano riusciti a mantenere il
segreto con Jasper e le parole di Rider li intimidirono.
“L’unica
cosa che possiamo dirti è che abbiamo a che fare con una
persona crudele e squilibrata. Un vero psicopatico. Non possiamo
nemmeno
chiedere aiuto alla polizia.”
“E
non potete chiedere aiuto alla polizia,
perché…???” cercò di capire
la donna, leggermente confusa.
Nathaniel
si fece avanti: “Questa persona, A,
possiede qualcosa che può usare contro di noi.”
“Ed
è una cosa grave?”
Fu
il turno di Sam: “Ascolta, Julie, siamo tutti bravi ragazzi
qui
dentro. Purtroppo, però, siamo finiti in un brutto casino.
Un casino enorme.”
“Fossi
in te, - le suggerì Eric – seguirei il consiglio
di tua sorella e
scapperei a Miami. A se la
prenderà
con te per averci aiutati a togliere i bracciali.”
La
donna si voltò dall’altra parte, verso la
finestra, dopo averli
fissati a lungo, abbastanza turbata. Molti pensieri le passarono per la
mente.
“Questa
cosa che A ha contro
di voi, non potete proprio recuperarla?”
“Julie,
non hai sentito quello che ha detto Eric? –
replicò Sam –
Vattene, finchè sei in tempo. Rovinerà anche la
tua vita.”
Quella
si girò: “No, se potete finalmente denunciarlo!
Rispondete alla
cazzo di domanda: c’è modo di recuperare quello
che ha contro di voi o no?”
I
ragazzi si guardarono e fu Rider a parlare per tutti.
“Forse,
non ne siamo sicuri. Sospettiamo che ciò che ha contro di
noi,
lo nasconda all’interno di una panic room. Solo
che…non sappiamo come
entrarci!”
Julie
annuì, riflettendo: “Capisco…E sapete
dov’è questa panic room?”
“Sotto
la nostra scuola!” rispose Nathaniel.
Inevitabilmente,
la donna si lasciò scappare una lunga risata
incontrollata: “Tutto questo è così
folle!”
Continuò
a ridere, mentre quelli la fissavano con la bocca serrata. Si
diresse al frigo, prendendosi una birra e accendendosi una sigaretta,
dando le
spalle.
“…E
mia sorella è a Miami che fa immersioni con degli squali di
merda. –
rise ancora, quasi invidiosa - Dio, che fortunata stronza!”
Eric,
a quel punto, decise di interrompere le sue riflessioni personali:
“Quindi…ci aiuterai?”
Julie
si voltò di scatto: “Certo che vi
aiuterò, idioti! Rispetto a mia
sorella, godo di un senso di colpa grande quanto il Four
season! Ho creato io i vostri strumenti di tortura e Dio solo
sa cosa vi ha fatto passare questa persona.”
Sam,
nel sentire quelle parole, ricordò ogni singola cosa che gli
era
stata fatta, gli occhi lucidi: “Credimi, non ne hai la minima
idea…”
Quella
fissò i volti di tutti e quattro, rendendosi conto di quanto
fosse seria la gravità della situazione; pur non sapendo
tutti i dettagli della
storia.
SCENA
FINALE
Eric
era appena sceso al Brew, dopo una lunga doccia. Elegante, era
pronto ad uscire con Alexis, che lo stava aspettando per chiudere il
locale e
andare.
Era
davanti al bancone, quando lui scese l’ultimo gradino. Rimase
letteralmente a bocca aperta, impalato.
“Sei
la cosa più bella che abbia mai visto…”
La
ragazza sorrise, facendosi ammirare: “E tu sei in
ritardo!”
Quello
si avvicinò a lei: “Ero fuori città, io
e i miei amici abbiamo
accompagnato un nostro amico dell’ultimo anno a visitare un
college. La cosa si
è tirata per le lunghe, sai come sono le
confraternite!”
“Un
po’ presto per iniziare a visitare college, non
credi?” pensò,
perplessa.
“Ne
ha molti da visitare, quest’anno. Meglio iniziare da ora,
è un tipo
abbastanza scrupoloso! – si avvicinò a darle un
bacio sulla bocca, per tagliare
il discorso. Poi le sorrise, fissandola negli occhi – Ma
ciao!”
“Ciao
a te!” ricambiò il sorriso, dimenticandosi tutto.
“Sei
pronta? Vogliamo andare?” le porse il braccio e lei ci
infilò la
mano.
“Non
aspetto altro…”
I
due uscirono dal locale e Alexis lo chiuse a chiave. Attraversarono la
strada, dirigendosi alla macchina.
“Mamma
ha fatto un ottimo lavoro, sembri una di quelle attrici sul Red
carpet!”
L’altra,
mentre il ragazzo apriva la portiera, si ricordò che aveva
dimenticato qualcosa, guardandosi il polso.
“Oh
no! – sbiancò, voltandosi verso di lui - Ho
dimenticato dentro il
braccialetto di tua madre, quello che tuo padre le regalò al
loro primo appuntamento.
– si agitò, mortificata – L’ho
tolto solo un attimo perché stavo lavando dei
piattini e non volevo rovinarlo.”
Eric
le sorrise: “Traquilla, non è successo nulla. Lo
vado a prendere
io.”
Quella
gli diede le chiavi: “L’ho appoggiato nel secondo
ripiano in
basso, sotto la macchinetta del caffè!”
Il
ragazzo attraverso la strada, mentre Alexis aspettava vicino alla
macchina. Qualcuno li stava osservando dall’interno di un
auto, non molto
lontano.
Arrivato
alla porta, Eric ebbe qualche difficoltà ad aprirla e la
ragazza se ne accorse dopo qualche secondo.
“Eric,
va tutto bene?”
“Sì,
- gridò quello, voltandosi un secondo – La
serratura è un po’
bastarda!”
“Devi
tirare la porta verso di te e spingere la chiave più in
dentro
fino al terzo giro. – suggerì – Anche io
ho avuto lo stesso problema i primi tempi,
ma a quanto pare una serratura nuova è chiedere troppo per
il mio boss!”
“Che
palle!” iniziò a perdere la pazienza, tirando la
porta
ripetutamente.
Alexis
intuì che non ce l’avrebbe fatta:
“Lascia perdere, sto arrivando!
– rise – Ora vedrai la Supergirl che
c’è in me!”
Eric
si voltò, arreso, aspettandola arrivare. Le sorrise,
vergognandosi.
Improvvisamente, mentre ella stava attraversando, spensierata, fu
abbagliata
dai fari di un’auto, che stava puntando verso di lei a tutta
velocità.
Il
ragazzo distolse lo sguardo, accorgendosi dell’auto prima di
lei. Il
sorriso si spense, la paura prese il sopravvento.
“Alexis,
attenta!” gridò, avvertendola.
Quella
si voltò, senza nemmeno avere il tempo di reagire:
l’auto la
prese in pieno.
La
ragazza rotolò sopra il tettucciò della vettura,
prima di finire
sopra l’asfalto.
Eric
sgranò gli occhi, correndo verso di lei, urlando.
L’auto si dileguò
in un batter d’occhio.
Piena
di sangue e lividi, Alexis non dava segni di vita al richiamo
disperato di Eric, che chiamò immediatamente
un’ambulanza.
Qualcuno
finalmente rispose: “911, qual è
l’emergenza?”
“Aiuto,
qualcuno ha investito la mia ragazza. Vi prego, fate presto.”
“Respira?”
domandò la donna al telefono.
“Ehm,
sì… - controllò la giugulare con le
dita – Credo di sì, ma è molto
debole. – pianse – Vi prego, mandate subito
qualcuno.”
“Stanno
arrivando, si calmi.”
Tra
le lacrime, il ragazzo attese l’intervento dei paramedici,
inginocchiato accanto a lei, con la voce della donna al telefono che
continuò a
parlargli.
CONTINUA
NELL’OTTAVO
CAPITOLO