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Autore: Bab1974    22/04/2016    1 recensioni
Serie di storie slash ispirate alle fiabe, partecipanti al contest di sango_79 '[Contest fiume] A mille ce n'è... di slash da narrar! (Originali e multifandom - Slash e yaoi)'
1- Il principe ranocchio Storia ispirata dalla favola Il principe ranocchio, ne stravolge il finale facendola diventare una favola slash. Il ranocchio Padon, dopo un anno di permanenza a palazzo, riesce a farsi baciare dalla principessa, ma non torna uomo. All'inizio sembra che non ci sia soluzione, ma ne trova una il fratello minore di lei.
2- Nome in codice: Cappuccetto Rosso (prossimamente)
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest di Sango_79, indetto sia sul forum di efp che su quello di Disegni e Parole, ispirato alla seguente immagine

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La fortuna del Gatto

 

 

Manuel osservò la banconota nella propria mano e sospirò. Quei 100 euro erano gli ultimi suoi risparmi e doveva farli bastare per l'affitto, le bollette, il cibo.

Uff, se voleva mangiare doveva rinunciare a qualcosa e capì che avrebbe dovuto rimanere al buio, senza acqua, né riscaldamento, poiché era già moroso da mesi.

-Un panino, devo abituarmi a cibarmi di cose che non hanno necessità di essere scaldate o cotte.-

Per fortuna la sua era una casa ad equo canone e gli bastava poco per mantenerla. Purtroppo la malattia improvvisa della madre lo aveva lasciato spiazzato e senza soldi. E il poco che era rimasto lo aveva speso per un funerale modesto.

Intanto avrebbe dovuto decidersi a mollare l'Università. Ci aveva provato a studiare e a lavorare per mantenersi, ma non era un genio e negli ultimi mesi aveva dovuto smettere di servire pasti alla mensa degli operai per concentrarsi nei suoi studi di veterinaria. Purtroppo era arrivato al punto di non ritorno. Non avrebbe avuto i soldi per pagare le tasse Universitarie del successivo trimestre.

-Oltretutto i miei voti fanno schifo, non ne vale la pena morire di fame per nulla. Mi troverò un lavoro e smetterò di sognare ad occhi aperti.-

Passeggiava per la città, immerso in questi cupi pensieri, in cui erano incluse altre opzioni del genere, omicidio, suicidio, rapimento etc., che sentì delle grida soffocate provenire da un vicoletto poco illuminato: sembrava una richiesta d'aiuto. Vi si infilò dentro e vide un gruppo di ragazzetti, poco più che adolescenti, che malmenava qualcuno bloccato in un angolo. Non era certo del numero. Potevano anche assere di più, ma di sicuro erano ubriachi fradici. Nel buio non si vedeva bene e, senza essere certo di quello che stava facendo, si avvicinò.

Erano talmente fusi che nessuno si accorse della sua presenza, finché non fu tanto vicino da toccare uno di loro che incitava la rissa. E nemmeno allora quello capì che era giunto uno sconosciuto. Forse, con la mente annebbiata dall'alcol, pensava fosse uno di loro. Allora ebbe un'idea per fermare il macello prima che le conseguenze fossero peggiori. Prese i soldi, i suoi ultimi risparmi, e li buttò nella mischia.

Quelli li riconobbero subito.

“Ragazzi, guardate! Cento euro, andiamo a berli al bar all'angolo. Lì non chiedono i documenti.” gridò uno in preda a una gioia sfrenata.

“E di questo che ce ne facciamo?” chiese un altro.

“In queste condizioni non se ne va da nessuna parte.” ribatté quello che sembrava una specie di capo “Appena abbiamo finito i soldi, torniamo qui e questa volta lo riduciamo in briciole il mostro.”

Manuel cercò di trattenere un conato di vomito e la voglia di mettergli le mani addosso: erano troppi, ci avrebbe rimesso. Attese buono che uscissero da vicolo, uno dopo l'altro, ridendo e sorreggendosi l'un l'altro per non cadere.

-Bastardi.- pensò Manuel. Si chiedeva dove avessero trovato la forza per malmenare il poveretto, a fatica si reggevano in piedi. Si sporse dal vicolo e, appena li vide entrare in uno dei bar più malfamati della città, tornò indietro e si buttò sul ragazzo. Era vestito in modo casual ma aveva una particolarità: aveva orecchie e coda da animale. Inoltre i suoi vestiti erano sporchi e stracciati in alcuni punti.

-Ehm, ora capisco perché lo chiamavano mostro. Certo che a dicembre siamo fuori stagione per i travestimenti.-

Cercò di farlo rinvenire, ma non vi riuscì e, a fatica, lo trascinò fuori. Casa sua non era molto lontana e sperò di arrivarci in tempo, prima che quelli si ricordassero di lui. Ci mise più dei soliti cinque minuti e non incontrò nessuno che potesse aiutarlo. Si chiese che ci faceva quello lì. Non lo aveva mai visto e di solito li notava i bei ragazzi.

Dopo mezz'ora, con un fiatone da fare compassione, si ritrovò davanti alla porta dell'appartamento. Era al quinto piano senza ascensore, quindi si poteva ritenere fortunato di non essere crepato. Prese le chiavi, le infilò nella toppa e si ritrovò nell'unico posto in cui si era mai trovato veramente a casa. Forse perché il rischio che glielo portassero via, com'era accaduto anni prima alla villa del padre, non c'era più. Depositò il ragazzo sul divano e, per la prima volta, lo osservò bene. Era davvero carino come lo aveva visto, al buio e con la concitazione del momento. I capelli era bianchi e lunghi fino alle spalle e fra essi spuntavano le due orecchie da gatto.

“Mi dispiace, ragazzo, queste sono le prime che se ne vanno.” borbottò a mezza voce e tirò per sfilarle. Con disappunto non vi riuscì, anzi, provocò un gemito di dolore al giovane che si lamentò nell'incoscienza.

“Accidenti, ma quanto le hai incollate?” si lamentò, rivolgendosi allo svenuto “Ok, sono un veterinario, o quasi, adoro gli animali, ma non me ne andrei mai in giro conciato in questa maniera.”

Gli scostò, allora, i capelli, alla ricerca dell'attacco della protesi. Fu allora che scattò all'indietro, rischiando di cadere rovinosamente a terra. Aveva osservato bene, ne era certo: quelle orecchie erano vere!

Cercò di dominarsi e di proseguire la cura dello sconosciuto, nonostante le mani gli tremassero e le gambe non lo reggessero al meglio. L'Essere, chiunque fosse, aveva bisogno di cure. Si procurò ogni medicazione che aveva in casa e cercò di curarlo meglio che poteva. All'improvviso, la consapevolezza che non poteva chiamare né un'ambulanza, né la polizia, lo aveva colpito come una bastonata ed era già abbastanza stordito. Non poteva sapere cosa avrebbero fatto ad un ragazzo del genere e non poteva farlo diventare un fenomeno da baraccone senza motivo.

Lo spoglio del tutto, cercando di fingere di non vedere il corpo tonico e di pensare solo a quanto era inquietante quella coda attaccata appena sopra al fondo schiena. Era pieno di ematomi, per fortuna non particolarmente gravi. Le uniche perdite di sangue erano al viso: un labbro spaccato e il naso forse rotto.

-Ehm, qui ci vorrebbe uno specialista, ma non posso fare di più, al momento. L'importante è che respiri, se proprio si è rotto il naso, ci penserò dopo.-

Un movimento del viso, provocato dal bruciore del disinfettante, gli fece capire che stava riprendendo i sensi. Si preparò a descrivergli cosa era successo, sperando di non spaventarlo troppo.

 

 

 

I suoi occhi erano molto chiari, quasi bianchi, ma belli come due diamanti. Manuel inghiottì un paio di volte per evitare che la voce si rompesse e che un rivolo di bava gli colasse dalla bocca.

“Non ti spaventare, sei in salvo ora.” gli disse “Come ti chiami e come mai hai la coda e le orecchie?” Forse non era la domanda più giusta da fare di primo acchito, ma non era riuscito a resistere.

Il ragazzo non rispose ma non scattò: era un buon segno. Voleva significare che aveva capito di non essere in pericolo in quella casa. Cercò di spiegargli quello che era accaduto e benché continuasse a fissarlo muto, sembrava avere capito.

Un rombo distrasse entrambi. Lo stomaco del giovanotto reclamava cibo e Manuel si sentì in imbarazzo: non aveva molto da dargli, per non dire nulla. Con quei soldi che aveva gettato per salvarlo, doveva fare la spesa. Si era distratto molto dalla morte della madre e non si occupava abbastanza di se stesso da comprarsi cibi sani o in quantità sufficiente.

“C'è del latte nel frigo e ho un po' di pane di ieri. Spero che ti sia sufficiente per ora.” Lo coprì con un plaid, accese il camino e scaldò il latte, lo versò in una ciotola in cui aveva messo il pane e prese un cucchiaio. Tornò a sedersi sul divano, con l'intenzione, in seguito, di appoggiare sul tavolo la ciotola. Non fece in tempo che il ragazzo, davvero affamato, si gettò verso di lui, nudo com'era, e cominciò a leccare il latte direttamente dalla ciotola. Era una situazione piuttosto imbarazzante, anche perché la posizione gli impediva qualsiasi movimento, escluso quello del proprio pene che si erse in tutta la sua grandezza. Concentrarsi sul caminetto acceso non riuscì a distrarlo e la speranza che il ragazzo non se ne accorgesse fu vana. Dopo la voracità iniziale, pur continuando a non parlare, quello smise di colpo e cominciò ad osservare proprio il punto in cui l'erezione gli puntava sul petto. Doveva trovare una scusa plausibile, subito!

“Ah, è il cucchiaio. Me lo sono messo in tasca. Poiché vedo che non ti serve, direi che lo posso riportare in cucina. Ti scoccia se appoggio la ciotola sul tavolino?” chiese, cercando di fare apparire la conversazione banale e non un tentativo di fuga.

Il ragazzo si scostò quel tanto da farlo passare e, appena arrivato in cucina, Manuel si rese conto che aveva capito al volo ciò che gli era stato detto. Uhm, questo significava che era meno scemo di quanto volesse apparire. Forse la sua condizione semi-umana lo portava a comportarsi come fosse un finto tonto solo per difendersi. Si chiuse a chiave in bagno e si liberò del dolce fardello e quando tornò, lo trovò intento a fare le pulizie come avrebbe fatto un qualsiasi Gatto. Con la lingua. Raggiungendo zone che lui a malapena riusciva a vedersi se si specchiava. E a volte facendo contorsioni pazzesche.

-Cavolo, non posso continuare a fissarlo, sembro un maniaco sessuale.- pensò. Decise che era il caso di proporgli dell'abbigliamento e andò a prendere alcuni vestiti sportivi della madre, felpa e pantaloni, che erano circa della sua misura, una sua vestaglia e dell'intimo che, anche se era un po' grande, era meglio di nulla.

Glieli porse e lui li annusò con fare sospetto, poi fece una smorfia.

“Mi dispiace, Micetto, non ho altro da darti. Puoi dormire nella stanza di mia madre, se ti va.”

Come tutta risposta, questo si accoccolò davanti il caminetto acceso, dimostrando di gradire il tepore del fuoco. Manuel, sospirando, gli portò una coperta che questa volta fu accettata, con un rumore che sembrava quello delle fusa.

“Cerca di riposare.” lo consigliò “Domattina devi svegliarmi presto. Ho bisogno urgente di un lavoro, se vuoi qualcosa di diverso dal latte on il pane secco. Mi sa che mi tocca tornare alla paninoteca Speriamo che mi riprenda, il capo sembrava soddisfatto del mio lavoro.”

Mentre parlava accarezzava la testa a Micetto (aveva deciso di chiamarlo così poiché lui non sembrava intenzionato a dirgli il nome) che gradì le sue attenzioni, aumentando la frequenza delle fusa. La notte Manuel dormì pochissimo. Passò il tempo a pensare a quel ragazzo completamente nudo e si chiese se fosse anche disponibile. Si vergognò di quel pensiero sconcio diretto verso un essere di cui non conosceva identità, gusti sessuali e neppure quanto era umano. Non riuscì però a evitarlo e durante i pochi momenti di sonno, lo sognò. Non faceva più le fusa, ma si concedeva docilmente per ringraziarlo di averlo salvato.

 

 

 

Dopo la notte insonne, cercò di acconciarsi meglio che poteva per fare una figura decente davanti al suo ex capo. Uscì dal bagno, sbarbato e vestito casual elegante e si diresse in cucina. Preparò la colazione per entrambi con ciò che era rimasto del latte e lo appoggiò sul tavolino davanti al camino. Ora era spento e Micetto, forse sentendo freddo, si era vestito con l'intimo che gli aveva portato.

-Almeno non mi girerà più davanti nudo, è un miglioramento.-

Poi gli diede qualche consiglio.

“Non aprire la porta, se senti suonare. Deve sembrare che non ci sia nessuno. Non si accettano né ospiti, né animali in questo stabile e tu sei entrambi.”

Manuel ebbe l'impressione che un sorriso sfiorasse il volto del ragazzo, ma fu solo un attimo e non fu neppure sicuro.

“Non usare il telefono, non funziona. Questo l'ho fatto staccare appena morta la mamma, mi conveniva di più il cellulare.”

Fece altre piccole raccomandazioni, sempre tenendo conto del fatto che Micetto sembrava capire, poi uscì.

Raggiunse il locale a piedi. Non era molto lontano e non voleva sprecare neppure un euro per il tram. Entrando fu salutato calorosamente dal proprietario, con cui si era lasciato in amicizia e dal quale si serviva spesso se non riusciva a cucinare.

“Allora, come va?” gli chiese l'uomo.

“Non bene, Tommaso. Come ti ho già detto, ho scoperto che non posso campare senza lavorare e non posso studiare se lavoro. Ho deciso di mollare gli studi.”

Tommaso s'intristì.

“Mi dispiace. Ma non ti mancavano solo otto esami? Sei sicuro di non riuscire a stringere i denti?” insistette.

Manuel scosse la testa.

“Non ce la faccio.” ribatté il ragazzo “Hai ancora la possibilità di darmi un lavoro? Mi accontento anche di poco, giusto per riuscire a pagarmi da mangiare. Sono davvero in bolletta.”

“Uh, sei messo così male? Avresti dovuto fermarti prima, allora.” lo contestò l'altro.

“Hai ragione, ma avevo in mano cento euro e pensavo di avere un minimo di protezione, ma li ho ceduti per salvare un... un gattino e ora in casa mia siamo in due e ho rimasto solo qualche litro di latte a lunga conservazione.”

“Ma sapevo che non potevi tenere animali in casa.” gli ricordò con un sorriso Tommaso.

“Beh, se vedi qualcuno del mio palazzo, non lo dire. Potrebbero farmi cacciare e al momento non posso permettermi altro.”

Tommaso tenne il sorriso sul volto ancora un po', poi, senza guardarsi attorno, gli disse osservare il nuovo aiutante, osservò l'orologio e cominciò un conto alla rovescia partendo da venti. Arrivato allo zero, si sentì un rumore di stoviglie rotte.

“Meglio di un orologio svizzero. Ogni venti minuti mi rompe qualcosa. Potrei andare in rovina, se proseguo di questo passo.” si lamentò “Dammi due minuti per licenziarlo e il posto è tuo.”

Manuel abbassò la testa, vergognandosi di essere contento che il nuovo aiuto fosse tanto imbranato. Dopo i fatidici due minuti (Tommaso era davvero preciso nelle tempistiche) tornò con un grembiule e lo porse a Manuel.

“Puoi aiutarmi subito o devi tornare a casa a controllare il gattino?”

“No, credo di poterlo lasciare da solo per qualche ora. Questa notte non mi ha neppure pisciato sul tappeto. Deve essere ben educato.”

“Hai trovato un gatto di razza, dunque? Potresti pure prenderci una ricompensa.”

“Non so. Comunque è una razza mista, questo è certo.” furono le ultime parole di Manuel, prima di cominciare a lavorare. Sarebbe stato divertente inchiodare la foto di Micetto agli alberi della città. Probabilmente la maggior parte avrebbe pensato ad uno scherzo cattivo gusto.

Dopo un turno di sei ore, Tommaso lo fece andare a casa obbligandolo a prendere su alcuni scarti bruciacchiati, ma ancora commestibili, da portare al gatto.

“E fagli una foto che la esponiamo nel negozio. Magari i suoi proprietari lo stanno cercando.” insistette. Manuel ringraziò senza promettere nulla.

 

 

 

Al suo ritorno, non trovò più Micetto. Lo aveva lasciato solo per troppo tempo e lui se n'era andato. Forse aveva pensato che volesse abbandonarlo, oppure voleva solo tornarsene a casa sua. Non aveva l'aspetto di un giovane sbandato, probabilmente aveva una famiglia che se ne prendeva cura e quelle teste calde lo avevano bloccato sulla via del ritorno. La cosa lo rattristò e fissò il cibo che aveva portato a casa per un bel po' prima di convincersi che non lo avrebbe mai più rivisto. Il giorno seguente, al lavoro, avvisò Tommaso della fuga dell'animale e del fatto che non aveva più bisogno di cibo per lui. L'uomo lo vide davvero triste e cercò per tutto il giorno di convincerlo che non poteva più starsene solo.

“Devi trovarti un ragazzo!” fu la conclusione del capo “Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ti sei fatto una bella cavalcata senza pensieri?”

Manuel arrossì per il tono confidenziale che si era preso Tommaso. Si conoscevano da tanto tempo, ancora prima che cominciasse a lavorare per lui forse lo considerava il figlio maschio che non aveva e gli dispiaceva che fosse gay per non appioppargli una delle sue donne, ma lo metteva in imbarazzo quando gli parlava così.

“Non sono certo che sia un argomento che voglio discutere con te.” lo ammonì, ma sembrò proprio che l'uomo non lo volesse lasciare perdere.

“Non fare storie, fingi che parliamo di ragazze e non di maschi. Ti piace qualcuno?”

La mente di Manuel si fermò a immaginare ancora una volta Micetto, il suo corpo snello e il suo sguardo così espressivo, nonostante il silenzio. Tommaso ghignò, pensando di aver colto nel segno.

“E dimmi, è un amore impossibile?”

Manuel scosse la testa sconsolato.

“Non so neppure il suo nome.” ammise tristemente.

Tommaso smise di ridere e capì che non era un buon argomento di cui trattare. Meglio affogare i dispiaceri nel lavoro, per l'amore e il sesso c'era sempre tempo.

 

 

 

La vita di Manuel continuò per i seguenti due mesi in un tranquillo trambusto. Nonostante avesse giurato che si sarebbe ritirato, aveva deciso di non sprecare l'esame che aveva già pagato e di farlo comunque. Non studiò, eppure prese le votazioni più alte mai ottenute negli anni precedenti.

-Sembra che qualcuno mi prenda per i fondelli.- pensò irritato da quella situazione. Poi prese da parte il professore e gli disse che non avrebbe più frequentato.

“E allora perché hai pagato le tasse per il prossimo trimestre?” chiese stupito dottor Dominici.

“Ehm, ci deve essere un errore, prof. Io non ho più di qualche centinaio di euro in banca, tutto ciò che ho guadagnato in questo periodo l'ho usato per pagare alcuni debiti che avevo contratto, non ho più nulla per l'Università. Per questo ho deciso di ritirarmi.”

“Nessun errore, ne sono certo. Forse ti hanno dato la borsa di studio che avevi chiesto?” suppose l'uomo.

“Mi dissero che i miei voti erano troppo bassi per potervi accedere.” Manuel non sapeva come ribattere a quella novità.

“Allora qualche benefattore ti ha preso in simpatia e ti ha donato a possibilità di proseguire gli studi. Fossi in te non sprecherei questa occasione.”

Gli diede una pacca su una spalla e lo lasciò imbambolato a riflettere, ma non ne veniva a capo.

Non notò due diamanti grigi che lo fissavano intensamente, forse perché era troppo preso da se stesso per accorgersi di qualcun altro. A meno che non fosse in pericolo.

 

 

 

Manuel passò in segreteria: la donna che interpellò controllò i suoi incartamenti e confermò l'avvenuto pagamento.

“Mi può dire chi è stato, per cortesia?” La curiosità lo stava divorando.

“Mi spiace, è avvenuto in forma anonima. Chi le ha pagato le tasse, non vuole essere rintracciato.”

“Ma qualcuno deve pur avere accettato il pagamento. Sa a chi potrei rivolgermi per informazioni più dettagliate?”

La donna si guardò con circospezione attorno, poi cominciò all'improvviso a sussurrare, quando un secondo prima la sua voce era squillante quanto una suoneria fastidiosa.

“Non sono certo di poterglielo dire, ma visto che comunque sono documenti che lei può consultare, le consiglio di osservare bene la firma di colui che ha preso in mano il pagamento. Ma si ricordi che io non le ho suggerito nulla, le è venuto in mente da solo.”

Poi lo salutò, mentre Manuel se ne andava con la sua copia. La osservò bene. Era firmata Gualtiero Senise. Nulla di meno che il preside di facoltà. Questo significava che chiunque lo avesse aiutato doveva essere un pezzo grosso e non capiva che aveva fatto per attirare l'attenzione di una personalità del genere. Sapeva che se si fosse rivolto direttamente a lui non ne avrebbe ricevuto risposta, ma doveva tentare comunque e chiese un appuntamento.

 

 

 

“Signor Maltoni, cosa la porta da queste parti? Ha problemi con lo studio?” chiese l'uomo che lo accolse con un sorriso studiato e inquietante.

“Li avevo, fino a poco tempo fa. Non avevo più i soldi per pagare le tasse, questo era l'ultimo esame che avrei potuto sostenere. Ma, stamani, mi è giunta voce che qualcuno, senza alcun motivo apparente, mi sta pagando tutto e vorrei sapere chi e perché.”

“Non so perché lo stia chiedendo a me.” Senise aveva deciso di fare lo gnorri e di fingere di non sapere.

Manuel, allora, gli mostrò il foglio con la sua firma e pretese spiegazioni. Senise allora scosse la testa capendo di essere stato scoperto, ma non si arrese.

“Non posso dire nulla. Si accontenti del fatto che potrà finire gli studi senza problemi.” concluse il dirigente scolastico e, senza dargli occasione di controbattere, chiamò la sua segretaria e la pregò di accompagnarlo fuori.

Manuel, esasperato da quella situazione che aveva del paradossale, uscì e se ne tornò al lavoro, dove si sfogò con Tommaso.

 

 

 

 

“Davvero ti ha detto che non avrai problemi per tutto il resto dell'Università?” chiese il capo alla fine del racconto. “Beh, dovresti esserne contento. Avrai tutto il tempo per studiare e ti basterà fare qualche ora qui per mantenerti. Anche se sei un ottimo aiuto, non ereditai la mia attività, non potendo sposare una delle mie ragazze. Devi cercare il tuo futuro da un'altra parte.”

“Tutti mi dicono che devo essere contento.” sbottò Manuel “Nessuno capisce che vorrei sapere chi mi sta aiutando e, soprattutto, perché proprio ora. Ho avuto dei periodi che mi sarei ammazzato per una borsa di studio, ma fra il lavoro e la mamma non aveva abbastanza tempo per avere dei voti decenti.”

“Forse qualcuno ha capito che non avresti potuto continuare gli studi e si è impietosito.” suggerì Tommaso.

“Non sono un tipo cui piace piangersi addosso. Tu sei l'unico a cui ho detto tutto.” Poi ebbe un dubbio “Ehi, non avrai mica raccontato a qualcuno la mia situazione? Mi seppellirei in questo caso.”

“Ma no, lo so che tu non vuoi che si raccontino i fatti tuoi in giro. Anche se...” Tommaso si bloccò un attimo, poi proseguì “Ora che mi ci fai pensare, qualche settimana fa è arrivato un tipo, con un macchinone lungo un chilometro che mi ha chiesto se tu lavoravi qui. Ho detto che avevi fatto il turno di notte e che non c'eri al momento e se n'è andato. Mi è sembrato strano, ma non ci ho più pensato, anzi, mi sono addirittura dimenticato di dirtelo. Probabilmente non mi sarebbe mai tornato in mente, se non avessi avuto questa curiosità.”

Manuel si agitò: doveva sapere e questo era un gran bell'indizio.

“Ti ricordi che macchina era e la targa?” chiese speranzoso.

“Eh, la targa! Chi sono Derrick? Però ti posso dire che quella era senza dubbio una Rolls. Potrebbe essere il tuo uomo. O forse era solo il suo autista, ora che ci penso aveva la livrea.”

I pensieri di Manuel cominciarono a girare vorticosamente. Un uomo con una macchina da miliardario era venuto a cercarlo. Si chiese quante Rolls Royls potessero esistere in Italia, ma al momento capì che era successo qualcosa, di cui non si era reso conto, che lo aveva messo in buona luce con qualcuno d'importante. Mentre cercava di capire cosa, fece quello che tutti gli avevano suggerito: si approfittò della situazione e ricominciò a studiare di brutto.

 

 

 

Un giorno, uscendo da una lezione, si sentì osservato. In realtà non era la prima volta che gli capitava di avere quella sensazione, ma in quel momento, per la prima volta, si accorse di chi lo stesse spiando. Lo conosceva di vista, anche se non si erano mai parlati, forse perché era davvero sfuggente. Era convinto che sotto quella bandana, gli occhiali scuri e i vestiti larghi, si nascondesse un ragazzo niente male, ma che non dava occasione di avvicinarsi. Questa volta era riuscito a sgamarlo, prima che distogliesse lo sguardo fingendo di essere impegnato a leggere un mattone grosso un dito. Manuel sorrise e si chiese se fosse il caso di avvicinarlo. Come gli aveva ricordato più volte Tommaso, non aveva un ragazzo da un pezzo ed era ora di rifarsi.

Sorrise e si avvicinò. Vide il ragazzo osservarsi attorno spaventato e quando capì di essere stato colto in fragranze, Manuel era già a una spanna da lui.

“Ciao. Frequenti anche tu Veterinaria, se non sbaglio. Mi chiamo Manuel, e tu?”

Il ragazzo, cercò di defilarsela, ma andò a sbattere contro un energumeno e cadde a terra rovinosamente. Il ragazzone si voltò e benché non avesse ricevuto alcun danno, fissò l'altro in maniera truce.

“Ehi, tu! Hai bisogno della badante o riesci andare a fare in culo da solo.” La battuta fece ridere tutta la sua combriccola, tanto che ebbe voglia di proseguire e lo prese per il colletto della giacca. “Forse dovrei darti una lezione, così la prossima volta ti ricorderai di guardare dove metti i piedi.”

Manuel, vedendolo in difficoltà, intervenne.

“Senti, amico, sei sicuro di volerti mettere nei guai per un'idiozia del genere?” domandò.

“Vuoi fare la spia?”

“Può darsi, ma prima ti spezzo le gambe.” disse fingendo una sicurezza che non sentiva. Conosceva i tipi come lui, solo si sentivano in inferiorità, mollavano l'osso.

“Non credo che una mammoletta come te possa farmi nulla.” ghignò, lasciando andare un ragazzo e puntando l'altro.

“Fossi in te non rischierei, ma sei libero di tentare.”

In fondo era cintura nera di karate e se i suoi amici non intervenivano, poteva avere la meglio. Non accadde, però, nulla almeno al momento. Il tipo si allontanò borbottando che qualcuno gliela avrebbe pagata salata e tutta la combriccola lo seguì.

Manuel soccorse il giovanotto che cominciò a balbettare.

“Tu... tu mi hai salvato... un'altra volta?” chiese con voce strozzata dall'emozione.

“Ma se a fatica ci conosciamo? Comunque, non volevo spaventarti, scusami. Se la mia presenza tifa innervosire in questo modo, forse è meglio che ti ignori.”

L'altro scosse la testa.

“A questo punto sarà difficile. Mi chiamo Arturo. Ti dispiace se troviamo un luogo appartato in cui parlare?”

Manuel, che dopo un tale incipit non pensava di avere molte chance, fu rallegrato dal cambiamento della situazione e trotterellò dietro lui, finché non raggiunsero un'aula che al momento non era in uso, essendo in ristrutturazione. Dentro, senza aggiungere altro, Arturo si levò gli occhiali e la bandana, mostrando i suoi occhi chiari e le inconfondibili orecchie.

“Mi...Micetto?” balbettò a sua volta Manuel “Ops, scusa, ora che ci penso era davvero un nome stupido. Quindi tu parli?”

Arturo gli si avvicinò e lo fissò bene.

“Mi hai salvato la vita un'altra volta.” ripeté come una cantilena.

“Ma che dici?” si schernì arrossendo Manuel, imbarazzato dalla situazione “Se non fossi intervenuto io, lo avrebbe fatto qualcun altro.”

“No, sono certo di aver sentito delle voci, che si sono allontanate, anche se non ero completamente in me.” Poi decise di spiegarsi meglio “Come avrai immaginato, non sono un essere umano come tutti gli altri. Soffro di una malattia rarissima, o un difetto genetico di cui la mia famiglia sperava di essersi liberata, poiché era tanto tempo che nessuno ne era affetto che si cominciava a pensare che si fosse estinta. Qualcuno diceva addirittura che si trattava di una leggenda.” Sospirò “Purtroppo io sono la dimostrazione che questa malattia esiste ancora e le orecchie e la coda non sono il problema più grave. Ogni tanto perdo la cognizione di me e cerco in ogni modo di fuggire di casa. I miei genitori fanno di tutto per preservarmi, ma l'ultima volta sono riuscito a scappare e sai com'è finita. Sarebbe stata la fine per me, se non ti fossi preoccupato della mia salvezza.”

Manuel, commosso dalla sua rivelazione, si avvicinò e lo abbracciò senza secondi fini. Fu Arturo a prendere l'iniziativa e a porgergli le labbra. Nonostante la consapevolezza di stare approfittando di un momento di debolezza di una ragazzo che aveva già i suoi problemi, non poté fare a meno di appoggiare le labbra su quelle del compagno di Università e di assaporare quella bocca che si donava docilmente a lui.

La porta che si aprì e l'entrare di alcuni operai li interruppe.

“E quattro!” esclamò uno di loro ridendo “Vinciamo una bambolina alla decima volta?”

Manuel cercò con il proprio corpo di nascondere Arturo, mentre si rinfilava bandana e occhiali.

“Ehm, scusatemi, pensavamo foste in pausa pranzo.”

“Beh, almeno voi non siete ancora nudi. Però è la prima volta che ci capitano due maschi. Conta lo stesso?” chiese uno all'altro.

“Perché no?” fu la riposta “Come premio, ti pago il dolce della mensa.” E una smorfia di disgusto apparve sul viso divertito.

Manuel e Arturo uscirono di corsa. Almeno non erano stati gli unici deficienti che si erano fatti beccare. Questo li rincuorava parecchio.

“Hai rischiato di farti vedere.” esordì Manuel.

“Non preoccuparti, sono campione mondiale di bandana.” lo consolò l'altro “Dopo due secondi l'avevo già infilata. Non sai quante volte ho corso il rischio di essere visto nei pochi momenti di relax. In effetti è piuttosto scomoda, anche se è l'unica maniera per avere una vita normale. Se non è questa è un berretto, o un cappello, oppure una fascia, qualunque cosa che mi possa infilare in testa senza destare sospetti.”

Manuel gli passò un braccio dietro le spalle e lo attrasse a sé.

“Credi che sia troppo sconveniente se ti invito a mangiare qualcosa questa sera? Nulla di che, non posso permettermi molto. Oltretutto, visto che è il posto dove lavoro, ho anche dei vantaggi economici. Questo per farti capire che sono uno spiantato e che, se ti metti con me per i soldi, parti male.”

Arturo scoppiò a ridere e cominciò a scuotere la testa, per fargli capire che non era interessato alla faccenda, ma senza riuscire a calmare la sua ilarità. Allora anche Manuel rise e continuarono finché si furono chetati, attirando la curiosità di tutti. Si misero d'accordo per la serata. Arturo si sarebbe fatto trovare al locale, poiché Manuel non aveva i mezzi per andarlo a prendere, poi si separarono.

 

 

 

 

“Stasera ho appuntamento con un ragazzo. Qui.” annunciò a Tommaso con il fiatone. Aveva fatto tutta la strada di corsa, per risparmiare anche i soldi che di solito spendeva nel tram.

“Ehi, ultimamente ti gira bene di brutto.” si complimentò l'uomo battendogli una mano sulla spalla “Un misterioso anfitrione ti paga gli studi, ti fai il ragazzo. Hai pensato di giocare alla lotteria? Potrebbe essere il tuo momento.”

“Non mi hai chiesto se è carino?” gli fece notare Manuel.

“Forse perché non m'intendo molto di maschi.” gli ricordò “Nelle donne, per quanto cesse siano, riesco sempre a trovare qualcosa che mi potrebbe attrarre, ma gli uomini mi lasciano alquanto indifferenti. L'importante è che piaccia a te.”

Allora organizzò la serata. Il tavolino migliore, un paravento per celarsi agli occhi e un menù studiato alla perfezione. Voleva che tutto fosse perfetto, anche se dovevano mangiare dei panini.

“Per il menu faccio io, fidati di me.” propose Tommaso. Il ragazzo capì che non poteva rifiutare e sperò che almeno si facesse pagare: ultimamente era stato troppo buono con lui e non voleva approfittarsene. Verso sera raggiunse il locale e vide che Arturo era già arrivato e camminava avanti e indietro.

“Potevi entrare, fa freschino questa sera.” si presentò Manuel.

“Non so, c'è scritto chiuso per inventario e temevo di disturbare.”

Il moro si avvicinò alla porta, abbassò la maniglia che cedette subito e si ritrovò nella penombra. Nel locale c'era un solo tavolino apparecchiato, al centro, illuminato da delle candele. Manuel allargò gli occhi e vide Tommaso, vestito come un damerino, che lo accolse con un sorriso.

“Allora, è già arrivato?”

“Sei impazzito? Doveva essere una cenetta semplice, non c'era bisogno di... di tutto questo!” esclamò allargando le braccia, non sapendo come descrivere la situazione.

“E il signore non ha ancora dato un'occhiata al menu. Me lo ha fatto Veronica con il computer. Quegli aggeggi infernali sono utili, alla fine.” Tommaso sorrideva come se fosse in Paradiso “Non ho fatto altro che pensare a ciò che avrei potuto cucinare. Finalmente ho la possibilità di usufruire del mio diploma di alberghiera. Ti farò vedere cosa so fare oltre ai panini.”

Manuel ebbe la sensazione che non fosse completamente in sé, ma era troppo tardi per tirarsi indietro e andò a prendere Arturo, spiegandogli la situazione.

“Ti deve volere bene.” sorrise il ragazzo, che per l'occasione aveva in testa una fascia nera che lo rendeva molto sexy.

Entrarono e i loro cappotti furono presi da una delle figlie di Tommaso, che fungeva da cameriera, vestita con la cresta.

“Mi dispiace, Meli, non pensavo che tuo padre avesse intenzione di fare una cosa del genere.” si scusò Manuel.

“Non preoccuparti, è stato divertente vederlo così impegnato. Neppure sapevo che sapesse cucinare piatti del genere.” lo rassicurò lei.

“Ha esagerato?”

“C'è il menu sul tavolo, giusto per farti un'idea di ciò che ti aspetta.” Sorrise maliziosa e sussurrò “Molto carino, vedi di non sprecare l'occasione.”

Si avvicinò al tavolo e spostò la sedia per Arturo.

“Sei davvero un gentiluomo.” fu il complimento del ragazzo.

“Che vuoi che sia.” si schernì Manuel “Non ho fatto molto per questa serata. E non so neppure che ci aspetta di preciso. Di certo, non panini.”

Passarono il resto della serata mangiando un raffinatissimo posto, sorseggiando champagne di marca (si sarebbe sentito in debito per tutta la vita!) e chiacchierando di tutto ciò che potevano per conoscersi meglio. Almeno Manuel fu sincero fino in fondo. Prima era morto suo padre, quando aveva appena dieci anni, in un incidente d'auto. La madre non si era più ripresa e lavorava saltuariamente quel tanto che le permetteva di pagare un equo canone e le bollette. Aveva quasi rinunciato allo studio, finché non era accaduto il miracolo.

“Qualcuno mi sta pagando gli studi.” rivelò Manuel “Tutti mi dicono che ne dovrei essere contento, ma non ho fatto nulla di eclatante per attirare l'attenzione e non capisco perché. Il preside si rifiuta di rivelarmi il nome e a quanto pare lui è l'unico che conosce l'identità del misterioso donatore.”

Arturo sorrise e cominciò a strisciare con un dito il bordo del bicchiere.

“Chissà! Magari hai fatto qualcosa di cui non ti ricordi o che non pensi che sia stato eccezionale.”

Manuel ci pensò su qualche istante, mentre assaporava un altra coppa di champagne, poi scosse la testa.

“Naaa, nulla.”

Melissa si avvicinò e intervenne.

“Tu fai un sacco cose buone, senza neppure rendertene conto.” lo rassicurò la ragazza “Nessuno avrebbe sacrificato dei soldi, come hai fatto tu, solo per salvare un gatto. Sono certa che se i suoi padroni lo sapessero, ti avrebbero ricompensato.”

L'allusione di Melissa troncò il fiato a Manuel. Il ragazzo cominciò a fissare Arturo che da parte sua tentava di fissare il muro, senza particolare successo. Melissa se ne andò, lasciando sul tavolo due soufflé che dovevano essere il dolce.

“Artie, ti ho parlato molto di me, ti ho raccontato cose che sanno solo persone molto intime.” esordì “Forse ora il caso che tu mi racconti qualcosa della tua famiglia.”

“Sono persone normali.” disse il ragazzo, sentendosi a disagio.

“E non sono persone ricche?” insistette.

“Normale.”

“Suppongo, allora, che se chiedo informazioni, nessuno mi dirà che i tuoi hanno una rolls con autista?”

Arturo non disse per un lungo attimo, poi si arrese.

“Se fosse, avresti dei problemi a riguardo?”

“Ce l'ho con chi mi paga gli studi senza motivo. Non ho bisogno del loro aiuto.” All'improvviso Manuel si era irritato. Non aveva mai volutola carità di nessuno, a fatica sopportava le gentilezze di Tommaso, anche se lo conosceva da tanto tempo che si arrendeva all'evidente inutilità della lamentela. Ora aveva la possibilità di scegliere e preferiva continuare a lavorare, lasciando magari gli studi per qualche anno, piuttosto che ricevere aiuto per un gesto che aveva compiuto senza secondi fini.

“Tu hai salvato loro figlio. Due volte.” gli rammentò alzando indice e il medio per rafforzare la sua posizione “Quando gliel'ho detto, stavano pensando di comprarti anche una macchina, ma li ho convinti che era prematuro. Sono contenti che ci frequentiamo, pensano che mi porti fortuna passare il tempo con te.”

Manuel non rispose e Arturo gli prese la mano sopra il tavolo e gliela strinse.

“Se preferisci posso chiedere ai miei di non pagarti più gli studi. Tu mi piaci e non voglio che un disguido del genere rovini tutto.” propose “Sempre che tu non abbia cambiato idea.”

Manuel scosse la testa, sorridendo.

“Scusami, ci sono rimasto di stucco, non mi aspettavo una cosa del genere.”

“Solo perché sei genuinamente buono e non ti servono ricompense o altro. Domattina parlo ai miei.”

“Ok, preferisco riprendere gli studi quando potrò permettermelo da solo.” Era contento che tutto si fosse risolto così facilmente, almeno con lui e sperò che anche i suoi fossero altrettanto disponibili. “E dimmi, dopo una storia del genere sarebbe sconveniente se ti invitassi a finire la serata nel mio appartamento?”

Arturo ricambiò il sorriso e gli strinse ancora di più la mano.

“Mi sarei preoccupato se non me lo avessi proposto.”

Ringraziarono e se ne andarono. Manuel aveva fatto capire a Tommaso che avrebbe pagato per quella cena, almeno i soldi della spesa, se non voleva quelli per il servizio. Ma avrebbe avuto tempo. Per quella notte voleva pensare solo a loro due.

 

 

 

 

Fare l'amore con Arturo fu un'esperienza straordinaria. Se all'apparenza sembrava un essere umano come gli altri, le sue caratteristiche feline apparivano nei momenti in cui si lasciava andare. Morsi, graffi, miagolii, fusa e una flessibilità fisica incredibile lo rendevano un amante insaziabile e passionale.

Ci furono parecchie notti e altrettanti giorni. I genitori di Arturo lasciarono andare il figlio con un certo timore, sempre paurosi per lui, ma erano felici che avesse trovato un ragazzo del genere, che lo amava e lo coccolava.

La vita con lui non era facile. I momenti in cui la sua natura felina prendeva il sopravvento erano imprevedibili e il fatto che avesse mani prensili, al posto delle zampe, gli impediva di tenerlo al chiuso senza un controllo. Per fortuna poteva portarlo al lavoro quando non era in sé: Tommaso continuava a essere un datore di lavoro molto permissivo. Alla fine aveva accettato la sua fortuna e il fatto che i genitori di Arturo gli pagassero gli studi. Essendo quasi parenti non aveva potuto più rifiutare e la loro conoscenza lo aveva sollevato. Erano davvero disposti a ogni cosa per la felicità del figlio. E anche lui lo era. Arturo era diverso dagli altri ragazzi e lo amava ancora di più per questo.

 

  
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