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Autore: Roxar    22/04/2016    1 recensioni
«L’ho tenuto stretto a me per tutto il tempo. Tremava forte. Diceva di avere freddo e io lo stringevo. Lo stringevo».
[Remus/Sirius, James/Lily | Angst | Death!fic]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Crew&Ship: Remus Lupin, Lily Evans, James Potter, Sirius Black | Remus/Sirius, James/Lily
Warnings: Death!fic, Angst, Romance
Note: Come la maggior parte delle cose che ho pubblicato di recente, anche questa risale a tre anni fa, più o meno. L'ho ritrovata oggi nella cartella delle fanfiction, di quelle che prima o poi restaurerò e rimetterò qui, e quindi eccola qui, rivista e corretta.
Buona lettura! (...oddio. Buona non direi. Comunque. Avete capito)

___

 

 

Per la quinta volta in due minuti, Remus Lupin sbirciò nuovamente l’orologio, la pena e la preoccupazione lampanti nella piega rigida della sua bocca. La lancetta dei minuti era ancora ferma sulla decima tacca del quadrante e, per la quinta volta, si sentì come se il tempo l’avesse colpito, preso a schiaggi, come se uno sciame confuso e rumoroso di secondi avesse impattato contro la sua guancia, colando lungo il mento, fluendo via attraverso lo spazio tondo tra le dita, impalpabile ed inafferrabile. Quella temporale, all’improvviso, gli pareva una dimensione distorta, deformata fino ad aver perso senso e consistenza. Sotto il peso del suo braccio, la schiena di Lily si afflosciò ancora più, curvandosi in una virgola dolente. La vide abbandonare il viso tra le mani, la guancia premuta contro la fede fredda che le stringeva l’anulare sinistro. Emanavano da lei disperazione e rassegnazione ad ondate simmetriche e costanti; Remus poteva quasi sfiorarle con le dita. In quello che sembrava lo spazio di una vita, le ore si erano addensate, confondendosi l'una con l'altra, appesantite dall’angoscia dell’attesa e dall’impotenza. Seppur per motivazioni differenti, entrambi erano stati dispensati dalle mansioni dell’Ordine; Remus era in via di guarigione dopo un plenilunio particolarmente sfiancante, la mente provata tanto quando il corpo. Lily doveva badare al suo bambino, che adesso dormiva al piano superiore, ignaro del delirio al di fuori della sua culletta di legno bianco.

«Non ce la faccio più, Remus» disse all’improvviso, riemergendo dal suo rifugio di carne, ossa e sangue. La sua voce tremava come in preda a spasmi di freddo, riflesso del tremore soffuso che le animava il corpo. Istintivamente, Remus mosse il braccio e la spinse contro di sé. Lily lo strinse in vita, premendo il viso contro l’incavo del suo collo.

«Non dire così. James e Sirius sono intelligenti, svelti e ottimi maghi. Torneranno, vedrai. Tornano sempre, no?»

Lily scosse la testa e la tirò indietro per lo spazio sufficiente a guardarlo negli occhi.

«Non lo so, Remus. Non lo so. E... e penso a Harry, penso a come farò a crescerlo senza James...»

«Non succederà, perché James tornerà a casa» le promise, suonando falso perfino alle proprie orecchie. Al di là della cortina appannata di dolore e apprensione, svettava razionalità, la stessa che gli bisbigliava all'orecchio che era passato troppo, troppo tempo, che fuori la temperatura era scesa sotto lo zero e che se non li aveva uccisi l’agguato dei Mangiamorte, allora se li era portati via il freddo. Ciononostante, non era ancora pronto a superare quella nebbia dentro la sua testa e scendere a patti con la realtà dei fatti, non quando Lily tremava e piangeva contro il suo collo, estremamente vulnerabile, estremamente provata. Non potevano permettersi di essere entrambi scoraggiati allo stesso tempo: uno dei due doveva essere quello forte e risoluto. Uno dei due doveva sorreggere l'altro. E se Lily non ne era in grado, per esclusione il compito spettava a lui.

Quando le lancette si sovrapposero sulla mezzanotte, il pianto di un neonato squarciò il silenzio, facendoli sobbalzare entrambi. Lily sfregò maldestramente le dita contro le guance umide, deglutendo ripetutamente e respirando profondamente e a più riprese, come un attore che si preparasse per entrare in scena. Remus ritrasse il braccio e si staccò da lei, vagamente imbarazzato, fissando ancora una volta l'orologio con una punta di odio.

«Devo allattare Harry» spiegò Lily senza che ce ne fosse realmente bisogno. Remus replicò con un cenno del mento, aggiungendo poi che l’avrebbe aspettata proprio lì, garantendole che non si sarebbe mosso di un millimetro. La promessa sembrò rincuorarla, perché la vide rilassare le spalle e l’espressione tormentata nei suoi occhi si attenuò, mitigata dalla gratitudine. Ma non appena Lily scomparve, inghiottita dalle scale, i muscoli della sua gola si gonfiarono tutti assieme e gli occhi, suo malgrado, iniziarono a pizzicare, mentre dietro le palpebre si ricostruiva, veloce e abbagliante, il lampo di un sorriso furbesco, il bagliore malizioso di un paio d’occhi grigi, la spennellata maldestra di un ciuffo nero come la pece. Respirò profondamente fino ad rilassare la gola e sbatté le palpebre per tutte le volte che furono necessarie a ricacciare indietro le lacrime. Non era decisamente né il momento né il luogo adatto a lasciarsi andare, non con Lily così sul ciglio di un collasso nervoso. Dopotutto, era l’unico uomo a cui poteva aggrapparsi, da cui farsi consolare nei momenti più difficili, quando sperare diventava particolarmente complicato. Esausto, si chinò in avanti fino a premere la fronte contro le ginocchia, aspettando, mentre un nome ripetuto all’infinito gli stringeva alla gola, soffocandolo.
Sirius, Sirius, Sirius.

___

All’alba, Lily dormiva contro la sua spalla già da parecchie ore. All’alba, di punto in bianco, Remus sussultò spaventato, come se una mano invisibile gli avesse battuto una pacca sulla schiena. L’impronta di quelle dita impalpabili sprofondò sotto pelle, adagiandosi sul cuore come un’ombra, l’alone evidente di un bruttissimo presentimento. E poi, con una certezza quasi inquietante, lo seppe: erano morti. E quell’intorpidimento al petto non poteva che essere il sintomo di un inevitabile distacco. All’alba, Albus Dumbledore bussò alla porta. All’alba, provato e tirato in viso, il vecchio mago disse: «Li hanno trovati a poche miglia da Birmingham». All’alba, lo stallo dell'attesa si piegò al peso di un’improvvisa frenesia, delle mani di Lily che, tremando un po', svegliavano Harry, lo calavano a forza in una tutina ripescata dal fondo dell’armadio e lo infagottavano nel minuscolo cappottino azzurro, infilando poi alle manine guanti grandi quanto una carta da gioco e stringendo al collo una sciarpina lunga appena mezzo metro. All’alba, Silente fu impegnato una discussione con Lily mentre cercava di farle capire che il bambino non poteva essere sottoposto a Smaterializzazione. All’alba, Remus decise finalmente di darci un taglio e si insinuò fra di loro, convincendola a lasciare il bambino sotto la custodia di Silente, perché, la convinse, con lui era perfettamente al sicuro. All’alba, sui gradini di casa Potter, Lily strinse spasmodicamente la mano di Remus mentre la Smaterializzazione li strattonava a centinaia di chilometri da lì, fin davanti all’entrata del San Mungo.

___

La luce che si riversava dal soffitto era abbacinante, al punto che Remus sentiva le pupille come bucarsi, lacerarsi irreparabilmente. Socchiuse allora un po' le palpebre, attenuando il fastidio solo di poco. La paura, poi, lo tallonava, lo incalzava, strisciava tra le scarpe consumate, inciampava tra un passo e l’altro, gli soffiava sul collo, gli premeva le dita viscide e fredde tra le scapole. L’aveva respinta ostinatamente per tutte le ore che gli era sgocciolate addosso, ma lì, tra le mura infelici dell’ospedale e la sua illuminazione cruda, le sue difese e la sua determinazione stavano crollando. Davanti alla camera centosei, Lily esitò. Come fuori da se stesso, semplice spettatore di quel che stava accadendo, si vide allungare il braccio e girare il pomello della porta, spalancandola. Lily, animata adesso da un'urgenza che sembrava quasi folle, corse fino all’unico letto occupato, dove una figura ammantata in una pesante coperta azzurra dava loro le spalle, seduta rigidamente sul materasso. Una figura, un letto occupato. Improvvisamente, non voleva sapere chi c'era sotto la coperta. Voleva volgergli la schiena e correre via, ovunque, lontano da lui, chiunque fosse. Lily aggirò cautamente il letto e un singulto di sorpresa animò il silenzio d ella camera. Remus la vide letteralmente scaraventarsi sul ragazzo coperto, stringendolo forte - era incapace di distogliere gli occhi dalle dita lunghe e bianche che creavano un così perfetto contrasto con l'azzurro vivido della coperta. C’era troppa possessività, in quelle mani bianche, troppo sollievo, troppo amore.

No.
No, no.

Ti prego, no.

Il lembo di coperta che copriva il capo scivolò sulle spalle, rivelando una matassa arruffata e sporca di capelli neri.
Neri
.
Senza accorgersene, Remus si fece largo nella stanza, un piccolo sorriso che iniziava a spuntargli sulle labbra, ma poi passo speranzoso si arrestò bruscamente quando, ad una seconda occhiata, realizzò che erano neri e corti e sparati in ogni direzione possibile. Voltando la testa, pur restando sempre nel cerchio protettivo e sollevato dell’abbraccio di Lily, James cercò i suoi occhi. Non c’era bisogno di dire nulla: le lacrime che scivolavano sul mento trascinavano con sé tutte quelle parole che Remus non voleva sentire. Ciononostante, James parlò con voce vacua, assente, che faceva il paio con occhi spiritati, quasi da folle. Per un attimo, Remus non riconobbe il ragazzo sporco e scarmigliato e distrutto che gli stava davanti.

«L’ho tenuto stretto a me per tutto il tempo. Tremava forte. Diceva di avere freddo e io lo stringevo. Lo stringevo» ripeté, deglutendo per cancellare dalla propria voce la nota annacquata del pianto. Lily continuava a ripetere qualcosa che suonava come “Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio”.
Quando James parlò nuovamente, era nuovamente se stesso. Quello, se possibile, fu ancora peggio.

«All’alba, Sirius non tremava più da ore» farfugliò, prima di scansare Lily, sgomenta e lievemente ferita, per mettere insieme pochi passi incerti e andargli letteralmente addosso, schiantarsi contro lui e stringerlo come un bambino si stringe alle gambe della madre. E come un bambino, pianse tra i suoi capelli, tremando. Remus non poteva più restare. Semplicemente, non poteva. Allungò alla cieca una mano in direzione di Lily e quando la sentì vicina, si scrollò James di dosso, forse con una punta di violenza, spingendolo nuovamente tra le braccia di sua moglie. A tentoni, sbattendo contro lo stipite della porta, ondeggiò lungo il corridoio, le mani tese verso il basso per impedire al pavimento di saltargli addosso, di travolgerlo. Alla fine del corridoio si scontrò contro una porta a vento, che lo inghiottì senza preavviso; l’urto inaspettato lo fece vacillare e le ginocchia si piantarono contro il pavimento duro, la caduta vagamente attutita dalle mani. Sorprendentemente, non c’era alcun dolore. Carponi e vittima delle vertigini, si arrampicò sul lavabo, rimettendosi faticosamente in piedi. Dallo specchio lucido, Sirius gli rivolgeva un sorriso mesto, una curva lenta e stropicciata agli angoli, che suggeriva un addio tanto imprevisto quanto prematuro.
Remus si piegò sul lavandino e, stringendo le dita contro la porcellana fredda, vomitò il pasto più recente.

___

Remus si rigirò tra le lenzuola sfatte, abbracciandosi al cuscino ancora caldo dei capelli di Sirius, che, in piedi davanti allo specchio, ammirava la propria figura, coperta solo dalle mutande nere.

«Non per vantarmi, Remus, ma sono proprio un bel ragazzo» si vantò invece e anche piuttosto palesemente, dando le spalle allo specchio e volgendo la testa per scrutare attentamente la curva accentuata del proprio fondoschiena.

«Lo sei» acconsentì. «Ma sei anche terribilmente vanitoso».

«Figurati. È un dato di fatto» ribatté distrattamente, sondando adesso la linea accentuata dei muscoli della schiena e delle spalle, dove, contro la pelle chiara, svettavano i recenti segni delle unghie di Remus. Il ricordo suscitò una fitta di eccitazione nel basso ventre, procurandogli un principio di erezione. Scoccò un’occhiata alla radiosveglia posata sul comodino; c’era ancora tempo prima di incontrare gli altri, alle porte di Birmingham. Perciò tornò a letto, camminandovi carponi sino a posizionarsi tra le gambe di Remus, la cui schiena ora premeva contro la testiera, sino ad allungare il collo per baciargli le labbra. Le mani di Remus sgusciarono tra i suoi capelli, tirandoli piano.

A Sirius piacevano le mani di Remus. Erano belle da vedere, morbide da premere contro la bocca, forti quando si aggrappavano alla sua schiena e ad ogni spinta stringevano un po' di più la presa per non perderla. Erano mani da pianista, con le dita lunghe e affusolate e le unghie lisce e tonde, mani che potevano cullare un bambino o impugnare una bacchetta per uccidere un uomo. Ma erano anche mani da amante, che avevano mandato a memoria il suo corpo, tutto corpo, imparandone la consistenza e il calore della pelle, nonché i punti più sensibili.

«Mi piacciono le tue mani» soffiò sulla sua bocca, sentendo quella dell’altro tirarsi in un sorriso timido e imbarazzato.

«A me piaci tu» replicò Remus pieno di imbarazzo, cercando quindi la sua lingua e toccando piano il cavo delle guance e il profilo liscio dei denti. Sentì Sirius gemere quando le sue mani scesero sul collo, i pollici posati sulla gola, tirandolo più vicino, come a volerlo inglobare dentro di sé, nascondendolo al mondo.

«Devo andare» ringhiò frustrato, chinando la testa nell’incavo del suo collo e sbuffando con enfasi. Remus si irrigidì, stringendolo inconsciamente in un abbraccio. C’era come una presenza ai margini della propria consapevolezza, un’ombra carica di negatività.
Presentimento
. Aveva un cattivo presentimento.

«Non farlo» si ritrovò a pregare, costringendolo a tirare indietro la testa per guardarlo negli occhi. Improvvisamente, sentiva il bisogno di imparare tutto di lui: il colore esatto dei suoi occhi, la ruga morbida tra gli occhi che gli spuntava quando si imbronciava o rifletteva, la virgola buia di una fossetta sulla guancia che spuntava ad ogni un sorriso, il profilo gonfio degli zigomi e quello spigoloso del mento, il suono uggiolante di una risata quasi canina, la voce dalle migliaia di sfumature, a volte dura come l'acciaio, altre dolce come un bacio.

«Tornerò prima di sera, promesso» garantì, avvalorando la promessa con un bacio che durò più a lungo del solito. Come se... come se anche lui provasse quello strisciante senso di sbagliato, di catastrofe imminente. Ma se anche così fosse stato, non lasciò trapelare nulla mentre ruzzolava via dal letto e, indumento dopo indumento, si rivestiva, tornando a somigliare un po’ più al solito Sirius e un po’ meno al suo Sirius. Lo vide indugiare sulla soglia, immobile, la mano chiusa sul pomello e la schiena ostinatamente rivolta a Remus. Poi voltò la testa di una spanna, abbastanza da rivolgergli un sorriso tirato, un po’ oscurato da un ciuffo di capelli sfuggito all’elastico nero. Quando uscì, sbattendosi la porta alle spalle, Remus si massaggiò il petto, per qualche ragione duro e indolenzito, punzecchiato da una sensazione simile al gelo, al fastidio, all’ansia.

Alla perdita.

___

Posò il fascio di fiori morbidi e colorati sul terreno rivestito di ghiaccio e neve. Ad occhi chiusi, trattenne la mano sul marmo gelido, come nel tentativo di imprimergli un po’ di calore. La neve, che fioccava lenta e svogliata, si addensò sulle sue spalle e sui capelli, gelandogli la nuca scoperta.

Fuori, da qualche parte, una campana rintoccò la mezzanotte.

«Buon Natale, Sirius. Buon Natale».

____

(Remus non lo avrebbe mai saputo, ma quando Sirius indugiò davanti alla porta stava per dirgli di essersi innamorato di lui.)

   
 
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