Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: chibinekogirl    22/04/2016    1 recensioni
Ted si sentiva impotente e svuotato come se qualcuno gli avesse artigliato vigorosamente il petto, affondando nelle profondità del cuore nere unghie acuminate.
Era questo l’amore quindi? Un sentirsi costantemente sotto esame mentre sai di non essere pronto?
Che cosa stava lasciandosi scappare? Cosa ci faceva in quel limbo?
“Victorie? ” grugnì con voce roca.
PARTECIPA AL CONTEST INDETTO DA _ Freya Crescent _ SUL FORUM DI EFP.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Remus Lupin, Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Until it’s Gone
 
 
 
 
 
Il flebile ticchettio del raffinato orologio a pendolo di Apolline Delacour segnò le due di notte quando Ted Lupin rientrò a casa, stanco e con i piedi doloranti.
Era stata una serata impegnativa quella a cui aveva partecipato, un continuo dover sorridere a superiori e colleghi facendo finta che la sua vita fosse idilliaca e magnifica.
Il prezzo da pagare per esser voluto diventare il Capo Ufficio Auror.
Il giovane passò svogliato la mano abbronzata tra i folti capelli azzurri e chiuse la pesante porta di rovere che si lamentò con un sordo e cupo cigolio.
Gli occhi color nocciola fingevano di vagare senza meta nella silenziosa stanza buia, osservando con disinteresse l’elegante mobilio che si dipanava intorno a lui. In realtà, però, cercavano l’unica cosa che non era presente.
Victorie non l‘aveva aspettato.
La luce lunare filtrava debole e assente dalle persiane, regalando un’atmosfera sterile all’intero soggiorno rischiarato dall’unico bagliore di una singola e solitaria candela su un basso tavolino di noce poco distante.
Ted allentò il nodo della cravatta e sbottonò un po’ la camicia, arrotolandosi le maniche fino ai gomiti. Si lasciò andare sulla poltrona di cuoio, nascondendo il volto all’inanimato sguardo dei muri bianchi.
Sospirò sonoramente e portò indietro il capo, nervoso e spossato.
Avevano litigato ancora una dannata volta.
Sembrava incredibile ma in quegli ultimi anni quasi non facevano altro. Ogni giorno c’era qualcosa per cui discutere e rimproverarsi. Futili frasi innescavano la rabbia  di entrambi e, alla fine, si ritrovavano sempre a urlarsi addosso, usando parole piccate con l’unico scopo di ferirsi.
Si sentiva impotente e svuotato come se qualcuno gli avesse artigliato vigorosamente il petto, affondando nelle profondità del cuore nere unghie acuminate.
Era questo l’amore quindi? Un sentirsi costantemente sotto esame mentre sai di non essere pronto?
Girò ripetutamente la fede d’oro intorno al dito una, due, tre volte, meditando sull’accesa discussione di poche ore prima e sulla frase che lei sbraitando gli aveva sbattuto in faccia.
Per lei si stavano ormai rovinando la vita a vicenda. Non aveva senso restare insieme ora che lei poteva ritrovare la serenità con Mèdard.
Si morse  il labbro, irrequieto, assaporando la viscosità rugginosa del  sangue tingergli il palato.
Da quanto lui e Victorie non si ascoltavano più?
Da quanto avevano smesso di essere come l’ossigeno che respiravano l’uno per l’altra?
Per quanto ci provasse non lo ricordava ed  incominciava ad essere stanco.
Forse era giusto  fare a pezzi quello che avevano costruito in quegli anni.
Forse due caratteri così diversi non erano fatti per stare insieme.
Si alzò sconsolato e spense lo stoppino della candela tra il pollice e l’indice. Prese la bacchetta di cipresso e si diresse lentamente in un corridoio quasi spoglio, ornato da piccoli quadri bucolici , fino ad una porta socchiusa che rivelava un letto disfatto occupato da una longilinea figura femminile.
Il mago respirò l’intenso odore di gigli e miele e rimase qualche secondo a fissare crucciato il corpo raggomitolato e assopito di Victorie.
Scrutava le spalle esili della moglie alzarsi e abbassarsi adagio, senza fretta, la bocca rosea leggermente schiusa e le folte ciglia che sfioravano gli zigomi scolpiti.
Nella penombra i suoi capelli biondi erano come argento liquido che scorreva lungo la bianca schiena quasi nuda.
Una schiena che Ted aveva agognato per tanto tempo prima di poter toccare e assaggiare e che adesso era diventata indescrivibilmente lontana.
Scorse più in là il luccichio della cornice sul proprio comodino, dove in bianco e nero si muovevano due figure sorridenti e spensierate vestite in abiti nuziali. Capovolse con un gesto brusco e stizzito la foto, facendola tintinnare sul comodino laccato.
Il loro amore conservato in una stupida fotografia sembrava essere rimasto dietro quel  vetro tagliente, come se lui stesse guardando persone lontane anni luce che non c’erano più.
Tentennò alcuni minuti prima di decidersi a restare nella loro stanza.
Al diavolo! Lui non si sarebbe spostato di lì.
Si spogliò ed entrò nel talamo, rabbrividendo al contatto con la ruvida stoffa di cotone, facendo attenzione a non sfiorare la strega.
Le volse brusco  le spalle e tirò la coperta verso di sé.
Era sempre lo stesso letto ma adesso sembrava inspiegabilmente più grande, come se qualcosa di scomodo e fastidioso si fosse annidato tra lui e Victorie rendendo impossibile avvicinarsi.
E non era solo Mèdard.
Chiuse gli occhi, cercando di allontanare quei pensieri che ingombravano la mente  ma dovette attendere solo le prime luci dell’alba per cadere in un tormentato e desiderato oblio.
 
Camminava incuriosito su una ampia e tortuosa strada acciottolata, passando la mano tra gli alti cespugli fioriti e verdeggianti. Un lungo steccato di legno consumato e muschio correva lungo entrambi i lati del viale, delimitando così il percorso da seguire.
Un uomo dinoccolato e magro si girò dalla sua parte e dopo averlo osservato per un paio di minuti allungò un braccio, invitandolo ad accostarsi.
Il suo sguardo era malinconico e adombrato, quasi velato da una patina trasparente e traslucida.  Ted si sentì inchiodato a terra e abbassò il viso vergognoso, stringendo i pugni fino a far diventare livide le nocche e affondare le unghie nel palmo della propria mano.
Appoggiò i gomiti sulla palizzata scrostata e fissò di sottecchi il silenzioso interlocutore fino a quando quest’ultimo non parlò con voce grave.
Un piccolo brivido corse veloce per le sue braccia, arrivando alla nuca.
Sapeva chi era.
“ Ciao, Ted.”
“Ciao, papà.”
Remus abbozzò un sorriso e preso dalla tasca logora un  piccolo sasso lo scagliò distrattamente verso il vasto prato fiorito. Un fioco tonfo arrivò alle loro orecchie, assieme al suono di uno stormo di passeri che volò via infastidito, stridendo forte.
“Perché sei cosi abbattuto figlio mio?”
Ted ci mise qualche secondo per riordinare le idee e rispondere.
“È per Victorie. La nostra relazione non è più come prima. Sta andando in frantumi.”
“ Capisco.” rispose pensoso.
“ Non credo.”
L’uomo si grattò la rada peluria intorno al mento e continuò.
Dimmi Ted, se dovessi chiederti perché ti senti così frustrato con lei, cosa diresti?”
Il ragazzo digrignò i denti e sentì la rabbia pervaderlo. Sbottò e diede un calcio alla palizzata, scorticando il verde muschio e la corteccia grigia.
“Lei è così testarda, papà. Mi rende qualsiasi cosa più difficile ed è anche ingrata... insomma, ha continuamente qualcosa di cui lamentarsi! Ted questo, Ted quello… non le va mai bene niente! Se ne sta li, sul suo piedistallo a rispondere e imbeccarmi in maniera irritante e altezzosa.  E adesso è riapparso anche quel francese borioso di Mèdard! Il nostro matrimonio era cosi felice all’inizio! Ma adesso… penso che non ve valga più la pena. Forse sono stufo dell’amore che porto verso mia moglie.”
Il silenzio si frappose tra loro nuovamente, portando con se solo il sussurro del tiepido vento primaverile che scompigliava le ciocche brizzolate di Remus.
Il mago scosse  forte la testa  e si accomodò ai margini dell’acciottolato, sull’erba più secca.
 “Non puoi abbandonare la gara solo perché l’abitudine sta vincendo su te e su voi. L’amore è un tumulto di emozioni, figliolo. Spesso fa soffrire tanto, è vero, ma è l’unica cosa che ci fa sentire vivi! Perche vuoi rinunciare a tutto questo?”
Ted sedette scocciato e pose il mento sulle proprie ginocchia.
“Non sono io che voglio rinunciarvi ma Victorie. L’amore fa così male, papà.  Dannatamente male! Quando arrivo a casa  spesso e volentieri lei  mi fa sentire come se… come se fossi un nemico da combattere, come se mi stesse sopportando a malapena! Non sono neppure il benvenuto a casa mia. Cosa ho in cambio per la mia gentilezza? Niente di niente, solo rimproveri e allusioni a uomini migliori di me! Ho cercato di dimostrarle in tutti i modi che tengo ancora al nostro rapporto e che non voglio separarmi ma è inutile! Lei non capisce!”
“ Gentilezze, dici. E le hai fatte con convinzione e passione,vero Ted?! Non hai nessuna colpa da recriminarti? Tua moglie all’improvviso ti odia e accetta le attenzioni di un altro uomo?” domandò alzando un sopracciglio, scettico.
Il ragazzo aprì la bocca per replicare, incaponito, ma da essa non uscì un singolo fiato.
Sarebbe stato meglio sentirlo alzare la voce piuttosto che essere rimproverato col  tono greve  e insoddisfatto di chi sa già la verità e si era illuso si sentirla dire.
“ Non può crogiolarti sul fatto che non è colpa tua, che non ci puoi fare niente, che lei vuole un altro. Eri presente quanto tua moglie chiedeva l’attenzione che meritava?”
Gli occhi di Ted iniziarono a pungere fastidiosamente.
Non poteva mentire a suo padre, dopotutto.
Si, pensò, aveva fatto mille sforzi per cercare di riconquistare Victorie ma erano stati banali e sconvenienti, fatti quasi per ripicca o per mettere a posto la propria coscienza. Per dimostrare a se stesso che sua moglie non lo apprezzava.
Remus prese la mano del figlio e la strinse forte.
“Io non ho amato veramente tua madre finché non ho capito cosa fosse davvero l'amore, Ted. Non si ama per ottenere una ricompensa, mai! Io ho scelto di  amare tua madre a prescindere che lo meritasse o no e lei lo stesso! È un passo a due e non un ballo solitario.” rispose acceso il genitore.
“ Papà.” sussurrò e nascose il viso sulla sua spalla.
Remus posò lieve le labbra  ruvide sui folti capelli del ragazzo.
 “Parlane. Ditevi tutto ciò che provate. I silenzi sono tra le cose più pericolose che esistano, Ted. Sono subdoli e pesanti come le pietre. E le pietre figlio mio, con il tempo, diventano muri. Muri che dividono.”
 
Ted si alzò di soprassalto, respirando affannosamente.
Quel sogno aveva destato in lui interrogativi latenti che avevano aspettato troppo.
Che cosa stava lasciandosi scappare? Cosa ci faceva in quel limbo?
“Victorie? ” grugnì con voce roca.
Allungò un braccio muscoloso verso il lato opposto del letto ma il freddo delle lenzuola lo informò  che sua moglie doveva essersi accorta della sua presenza perché si era alzata già da molto tempo.
Sbatté vigorosamente il pugno sul materasso di piume che attutì muto il rumore e, scostando le coperte dalle proprie gambe, pose i piedi nudi sul tiepido parquet scuro.
Doveva andare da lei.
 La rivoleva indietro.
Ripercorse a ritroso la stessa strada per arrivare in salotto, con il cuore martellante di dubbi e domande.
Superò il vuoto  assordante delle stanze con passi cadenzati e risoluti e uscì nel giardino, schermando gli occhi insonnoliti al tenue ma iridescente sole di mezzogiorno.
La delicata rugiada bagnava copiosa i fiori e gli steli d’erba che Ted calpestava indifferente mentre camminava svelto per raggiungere la  piccola serra di legno e vetro che occupava il rigoglioso terreno dietro la loro casa.
Non sapeva cosa avrebbe trovato o detto una volta di fronte a sua moglie ma era certo che non voleva vederla andare via dalla sua vita. Non ci si accorge di quello che si ha, finché non si è perduto.
Si sentiva come un predatore, come una grosso leone acquattato nell’ombra, in attesa del momento propizio per cattura la sua preda.
Victorie.
Lei era la sua antilope.
Si fece coraggio ed entrò nel vivaio, oltrepassando boccioli, piante e alberi nani.
Si arrestò a pochi centimetri dalla donna meticolosamente intenta  a separare in piccole sfere trasparenti della polvere nera come l’inchiostro.
Nonostante la tensione e l’animo esagitato,  Ted abbozzò un timido sorriso taciturno e si portò una mano sul petto.
Era stata proprio la Polvere Buiopesto Peruviana a farli avvicinare quel nevoso Natale di tanti anni prima a casa Potter.
Sì, ricordava bene ogni cosa.
La mente ritornò a quel pacchetto colorato preso erroneamente dalla giovane Weasley e allo spavento impresso nei suoi occhi sentendo il cupo rimbombo di uno schiocco.
Ricordò le risate di lui e Fred nel vederla comparire, spettinata e sporca , dalla gigantesca e impenetrabile nuvola corvina e l’inevitabile inseguimento nel frondoso vialetto innevato che gli era costata  una bella sgridata da Harry e sua nonna Andromeda, parecchi lividi e una gamba rotta.
Un piccolo inconveniente che alla fine era andato a proprio favore.
Victorie infatti, sentendosi in colpa, era rimasta al suo fianco per tutte le vacanze invernali.
E una volta tornati a scuola lei non aveva più smesso.
Si erano promessi di restare accanto per sempre, qualunque cosa fosse successa.
Era strano con  quanto ardore le persone possano giurare qualcosa che si pensa ingenuamente di poter mantenere. Di quante bugie nascondano anche le promesse più sincere.
Il giovane si face più vicino e posò lieve le mani sulle spalle esili di Victorie che trasalì, spaurita.
“Ted!” trillò con voce acuta.
“ Penso che dopo quello che è successo ieri sia opportuno parlare.”
La donna si voltò, irata.
“Io non ho niente da dirti. Non più. Ieri sera mi pare di essere stata molto chiara con te.”
“Penso che dobbiamo parlare.” ripetè più forte.
 “Oh, tu vuoi parlare adesso!?” sputò schietta, urtando una mano fuligginosa contro il suo petto.
Prese tra le braccia i sacchetti e s’incamminò tra piante di Belladonna e Gerani Zannuti verso un  vecchio mobile tarlato. Aprì l’anta cigolante, vi depose con cura i piccoli oggetti e tornò al tavolo.
 “ Non possiamo andare avanti così, lo capisci? Questa situazione è assurda!” azzardò il mago.
“  Oh benissimo. E te ne rendi conto ora? ORA!”
 “Victorie per favore, lasciami parlare! Dopo sarai libera di  arrabbiarti, urlarmi addosso o…”  inspirò forte e a malincuore continuò. “… o  di andartene con lui. Ma per adesso ascoltami e basta!” abbaiò risoluto.
Le arpionò le spalle, bloccandola davanti al tavolo impolverato.
La strega strinse le labbra e incrociò le braccia. Lo fissava in silenzio, seguendo ogni suo piccolo movimento con i cerulei occhi grandi.
Ted deglutì sonoramente e ricominciò.
“ Non sono stato perfetto, lo ammetto, ma neanche tu sai?”
“Io ho..”
Il mago le bloccò improvvisamente una gamba snella tra le proprie e si sporse verso il suo volto, spingendosi sul suo busto e mozzandole il respiro.
“Ti ho chiesto di fare silenzio, Victoire.”
Si squadrarono diffidenti, come due cuccioli randagi pronti a ringhiare.
“So che il tuo comportamento è solo una reazione al mio e… e per questo ti chiedo scusa.” mormorò cauto Ted.
La ragazza rimase interdetta e abbassò la guardia, meravigliata.
 “Che senso ha scusarsi adesso che stiamo andando via una dalla vita dell’altro, Ted? Spiegami! Mi sono sentita rifiutata e abbandonata così tante volte. Ho cercato spesso di spiegarti in mille modi come mi sentivo, ma niente! Tu eri troppo preso dal tuo lavoro, dalla tua promozione, dal riscattare la posizione tua e dei tuoi genitori per ascoltarmi davvero. Mi hai ignorata completamente. Ogni maledetto giorno ho aspetto di essere tra i tuoi pensieri. Ogni maledetta notte ti ho aspettato tra le mie braccia. E tu non sei mai venuto!”
Terminò la frase fievolmente e si lasciò cadere in ginocchio, scoppiando in lacrime. Le sottili mani affusolate coprirono il volto ovale, imbrattandolo di impalpabile pulviscolo color pece.
“ Mi dispiace. MI DISPIACE!!”  urlò Ted abbassandosi e prendendo tra i palmi il capo adamantino della giovane.
“Il mio orgoglio e i miei modi da egoista hanno fatto si che una donna forte e coraggiosa come te iniziasse ad uscire dalla mia vita piano piano,  poco a poco.”
Sospirò nel collo della moglie, lasciandosi lavare da quelle piccole gocce salmastre che ormai cadevano abbondanti. Sfregò la fronte accaldata sulla sua guancia, cercando di mantenere quel contatto il più a lungo possibile.
Victorie respirava profondamente, frustrata. Sentì un ciuffo ribelle ricaderle sul viso, ma quando alzò la mano per nasconderlo dietro l’orecchio, incontrò del dita del marito pronte a fare lo stesso.
“Non puoi farmi questo, adesso.” intimò lei, scuotendo il capo  con gli occhi chiusi, ridotti a due fessure.
“ So che avrei dovuto dedicarti tutto il mio tempo quando ne avevo la possibilità e che forse adesso è troppo tardi. Ma ti giuro che proverò seriamente a sistemare il casino che ho fatto in questi anni. Né Mèdard né nessun altro potrà spostarti di mezzo centimetro da me.”
“Non voglio altre promesse al vento. Tu non sai mantenerle. Vedi?” singhiozzò lei mostrandogli la fede d’oro.
Una morsa allo stomaco costrinse Ted a piegarsi.
“No, non importa fino a che punto siamo arrivati. Non posso e non voglio aspettare di vedere il domani senza te.”
 “Lasciami andare, Ted.”
 “ No.”
“Lasciami.”
“Tanti anni fa avevo rinunciato al mio cuore per te.”
“ Te lo sei ripreso in fretta però.” bisbigliò lei.
Ted fece più vicino, accarezzandole le labbra turgide e piene.
“ Voglio barattarlo di nuovo con il tuo, Victorie. Per tenerlo per sempre.”
La ragazza pianse più forte, incapace di trattenere i singhiozzi.
“Ti prego.” mormorò il mago e riempì in un soffio il brevissimo spazio che li separava.
Schiuse la bocca e con la lingua seguì le vene bluastre del collo, proseguendo sul mento arrotondato per poi catturarle la bocca tumida, urgente e affamato.
“Ti prego.” ripetè con un rantolo.
La strega restò ferma, poi, troppo debole, si arrese dolcemente.
Come erano potuti arrivare quasi a dividersi? si domandò Ted in silenzio mentre le passava le dita tra i luminosi capelli, sfiorandole le guance setose.
 La trascinò con lui sul pavimento di legno e le cinse i fianchi con le mani grandi,  baciandola piano ma deciso, lasciandosi dietro scie arrossate e umide.
Victorie tremò quando la sua pelle accaldata entrò in contatto con il freddo delle assi e, istintivamente, si aggrappò stretta del marito, in cerca di riparo.
Ted esultò intimamente e continuò quella lenta e dolce tortura, come l’andirivieni di un’onda che si infrangeva sulla sabbia;  finché lei non l’imitò e lui non riuscì a sentire il suo cuore battere furioso contro il proprio petto glabro.  
 Le bloccò i polsi in una morsa ferrea, costringendo la ragazza ad esporre il busto alla sua mercé.
 “ Stringimi e dimmi che non stai andando via, Victorie. Dimmi che stai aspettando me. Solo me.”  sussurrò  lui sottolineando ogni parola con una carezza audace, lasciando il tempo alla moglie di flettersi e gemere.
Sentiva il desiderio crescere e farsi strada sotto la pelle, bruciando come Ardemonio, lasciandolo boccheggiante ad annaspare per  po’ d’aria.
Ti prego.
Lei portò le dita ansiose sotto la maglia leggerla del mago, sfiorandogli pigramente i muscoli della schiena.
“Ted.”
Il proprio nome bisbigliato sommessamente nell’orecchio da Victorie  fu l’unica cosa che il ragazzo sentì da quel momento in poi.
Il sentimento che avevano dimenticato stava riaffiorando impetuoso come fiume senza argini e si stava riversando nelle loro ossa.
Incatenò il suo sguardo al proprio per un esitante attimo, come a cercare un tesoro celato dietro quegli occhi così limpidi e puliti. Restarono immobili un paio di minuti, a raccontarsi in silenzio tutte le paure e le incomprensioni che non si erano più detti da anni; passando dall’amore all’odio, dalla lussuria alla verità e poi di nuovo all’amore.
Non sarebbe finita.
Poi Victorie lo abbracciò stretto e lambì sensuale il labbro inferiore di Ted che grugnì roco, sottovoce.
 Si scostò da lei e la spogliò lentamente, lanciando gli indumenti vicino al grande sacco di iuta che sparse intorno piccoli coriandoli scuri che ricoprirono la loro pelle.
Nuda davanti a lui per la prima volta dopo tanto tempo, Victorie si ritrovò ad arrossire allo sguardo acceso che il marito le offriva, osservandola come se volesse divorarla; come a prolungare quell’attesa trepidante che gli avrebbe visti uniti.
La donna si strinse nelle spalle e si morse il labbro.
Ted lasciò cadere i pantaloni e raggiunse Victorie, riprendendo il posto che gli spettava, sistemandosi meglio tra le sue gambe lisce.
La sovrastò, sottraendola alla vista dei deboli  raggi solari che filtravano dai vetri,  posando lievi baci sulla sua pelle diafana come l’alabastro, morbida e profumata.
Le nascose il seno tra le mani accaldate, disegnando  linee  fuligginose, plasmando sotto il proprio volere il corpo febbricitante della moglie e si sentì sospirare al suono della sua immediata risposta.
Victorie ansimò  e irrequieta cinse i lombi del marito con una gamba, cercando di avvicinarlo ancora di più.
Si mosse lentamente e gli sfiorò il naso in un invito, sperando che lui non smettesse di toccarla.
Ted sorrise malizioso e le pose  una mano sul ventre, poi baciandola più irruento,  la fece sua con una lenta e profonda spinta.
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                             *
 
 
 
 
Resto immobile per alcuni istanti, assaporando la pungente aria salmastra della Cornovaglia mentre il sole tinge d’amaranto e oro  le piccole conchiglie sul tetto spiovente della villa e i gabbiani si librano in alto sulla scogliera erosa.
Ci sarei riuscita?
Sospiro, affondando i piedi nudi nella finissima sabbia fredda, tracciando intricati disegni circolari.
L’imbrunire mi aiuta a non pensare e le ombre che iniziano a scendere, nascondono le cicatrici che sfregiano la mia anima.
Le onde dell’oceano si infrangono silenziose, disperdendosi sul bagnasciuga.
Continuo a camminare isolata, avvolgendomi al grande scialle di lana beige che nonna Molly mi ha regalato per il mio compleanno.
Quest’anno però, non riesco ad essere così felice e a fare finta che vada tutto bene.
Sono come una piccola biglia che sta rotolando indifesa verso un baratro profondo, rischiando di finire inghiottita dal buio.
Come posso lasciare andare Lui, quando continuo a vivere fingendo di essere dove non sono più? Lentamente mi disgrego, inciampando tra le crepe del mio cuore infranto.
Vezzeggio dolcemente il rigonfiamento della mia pancia, seguendo con calma la linea dell’ombelico fino a quando non sento un tenue sussulto e abbozzo un malinconico e impercettibile sorriso. Poso il palmo caldo sulla pelle e sussurro il suo nome sottovoce, pensando a ciò che avevamo ormai perso.
Potevamo essere una famiglia.
Adesso è  solo un piccolo bozzo nascosto che forse non avrà il colore dei miei capelli ma avrà sicuramente gli occhi di suo padre. 
Suo padre, che lo avrebbe stretto tra le grandi e forti mani.
Suo padre, che aveva amato quei pochi, brevi momenti insieme a noi.
Suo padre, che adesso non c’era più.
La brezza marina mi scompiglia i lunghi capelli biondi, portandoli davanti al delicato viso niveo, tirato e stanco per le poche ore di sonno.
La debole luce dell’orizzonte illumina la fede dorata, facendo brillare le sfaccettature della piccola gemma nera che vi è incastonata nel mezzo.
 Sono passati già cinque mesi .
La porto più vicina e la osservo attentamente, lasciandomi sopraffare dalla moltitudine di immagini che passano veloci davanti ai miei occhi, come un film muto senza fine.
Quella era la pietra che Ted aveva sapientemente creato per me dalla Polvere Peruviana, come regalo per ricordare ad entrambi il giorno in cui ci eravamo finalmente ritrovati. Quel magnifico giorno in cui ci eravamo aperti l’uno all’altro come non mai ed eravamo tornati ad essere una cosa sola.
Il giorno in cui abbiamo dato vita al seme del nostro amore.
Conwell.
Una dimenticata perla cristallina si riversa sulla guancia sinistra, si arresta tremante sulle mie labbra rosee e si abbandona  inerme nel vuoto per seguire le sue sorelle.
L’unica cosa che vorrei ora è sentire il sangue ribollire al sapore che concedevano le labbra di Ted.
Continuo imperterrita a parlare tutte le notti alla tua dolce luna, sperando che tu dall’altro lato faccia altrettanto
 Sperando vanamente in una tua risposta.
Stringo al petto il monile, cercando di respirare lentamente, continuandomi a ripetere che potevo farcela.
Che dovevo farcela.
Oh Ted! Lo so, sarai stanco amore, perché è tutto il giorno che cammini nella mia testa, spalancando le finestre dei nostri ricordi. So che sei poco più avanti di me ma tuttavia cosi distante da non poterti riportare indietro.
Stiamo di nuovo giocando a nascondino tu ed io, ma questa volta durerà più a lungo.
Adesso tutto il passato mi sembra sprecato. Le lancette del nostro tempo hanno smesso di girare e si sono fermate troppo presto.
Un profumo invitante sale dal comignolo di Villa Conchiglia, richiamandomi alla realtà della mia vita senza Lui.
Risalgo mestamente la bassa duna sabbiosa, dirigendo i miei passi verso la scalinata di legno, lasciandomi cullare dall’armonioso suono della voce di Ted che, impressa, mi accarezza la mente.
 
 E quando sarò via Victorie, ti ricorderai di come ti baciavo senza fretta sotto i lampioni di Hogsmeade e di come sussurravo piano  al tuo orecchio quello che ti ripetevo ogni volta prima di andare via.
Aspetta che io torni a casa.
 
 
 
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: chibinekogirl