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Autore: Himenoshirotsuki    22/04/2016    3 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - Old Friend



La contessa Frejie Lucisla Barazethai alzò infastidita gli occhi al cielo, poi borbottò una formula magica e lo specchio cominciò a svanire. Detestava chi osava contattarla per una consulenza e metteva in dubbio le sue conoscenze. Per Shamar, quanto poteva essere arrogante quel cacciatore!
Si cambiò, prese il mantello di broccato e si diresse nel suo studio, dove l’aspettava Angelika. Sperava vivamente che non avesse combinato alcun danno in sua assenza, la sola idea la faceva innervosire, visto che in meno di tre giorni era riuscita a rompere tre vasi appartenuti alla sua famiglia da ben tre generazioni. Quando arrivò, Megurine, il nuovo cameriere, aveva già portato il carrello della cena che la sua allieva, seduta a gambe incrociate sulla pelliccia davanti al camino, stava letteralmente mangiando con gli occhi, con i lunghi capelli biondi che le ricadevano sul naso e sulle spalle facendola sembrare una specie di animaletto affamato.
Come al solito, non appena si accorse della sua presenza, Angelika le rivolse uno sguardo pieno di ammirazione, che Frejie ricambiò con un sorriso di cortesia. Aveva sostituito l’abito blu scuro con uno di flanella semplice ma elegante, con giusto qualche cucitura d’argento nei punti strategici. Avrebbe dovuto togliersi la stella d’ossidiana, ma poi si era accorta che si accompagnava molto bene anche alla sua nuova acconciatura.
Si accomodò sulla sedia e fece cenno ad Angelika di fare lo stesso. La ragazza si tirò su, raddrizzò la schiena e camminò come le aveva insegnato, un piede davanti all’altro, ancheggiando lievemente ad ogni passo senza traballare, dimentica del dolore che l’aveva tormentata per giorni quando la maga le aveva di nuovo rotto il femore per poi rinsaldarlo nella posizione corretta. Quindi Frejie la servì con della zuppa d’avena e la guardò mangiare con appetito.
- Sei migliorata molto. -
- Grazie, maestra, ma ho ancora molta strada da fare. -
- Da quando sei qui hai fatto dei passi da gigante. - anche la maga assaggiò la minestra e fece cenno a Megurine che poteva andare, - Non stare curva e non azzardarti a pulirti la bocca con la manica. -
Angelika abbassò prontamente la mano, arrossendo di vergogna, e prese il tovagliolo che Megurine aveva lasciato di fianco al piattino di porcellana e alle posate d'argento.
- Scusate. -
- Cosa ti ho detto sullo scusarsi? -
- Che le maghe non si scusano, rimediano. -
- E tu cosa hai appena fatto? -
Angelika si morse le labbra e infossò la testa nelle spalle. Per tutto il resto della cena si sforzò di rimanere dritta e di mangiare composta, anche se, Frejie lo sapeva, avesse potuto avrebbe infilato la faccia nel piatto. Un leggero sorriso arcuò le labbra della maga. Non glielo avrebbe mai detto apertamente, ma era molto fiera di lei. Non era l’allieva più acuta che aveva avuto, però di certo era tra le più promettenti.
I primi giorni di convivenza non erano stati facili. Angelika era una ragazza mansueta, mite, molto portata per la magia, eppure riusciva sempre a combinare qualche guaio. Lanciare incantesimi le veniva naturale, come se lo avesse sempre fatto, però non aveva ancora imparato a leggere e a scrivere bene, quindi ne conosceva solo una minima parte. Quei pochi che aveva memorizzato li padroneggiava con un’abilità impressionante, tanto quanto i sogni che faceva.
Frejie si tagliò due fette di tacchino e le poggiò nel piatto.
- Hai dormito bene stanotte? -
- Domandare se ho sognato? -
- Sì, ti sto domandando se hai sognato. - la corresse paziente.
- No, maestra. -
- Allora perché sei così mortificata? -
- Mor… tificata? -
- Triste. -
Angelika spostò lo sguardo sul camino e osservò la danza frenetica delle fiamme attorno al ceppo di quercia annerito.
- Non lo so, sento un peso qui. - si indicò il petto, - Avere paura di dormire, a volte. -
Frejie si pulì la bocca col tovagliolo e suonò la campanella sulla scrivania. Subito due camerieri entrarono nella stanza e portarono via il carrello.
- Voi delusa? -
- No, non mi hai delusa. Ora però vai a lavarti, Fabrice ha già preparato la vasca. -
- E voi? -
- Userò il bagno al pianterreno. - si alzò e attese che anche lei facesse lo stesso, - Dopo ho un incontro importante, quindi non ci saranno le lezioni serali. Non voglio essere disturbata. -
Angelika annuì e fece un rapido inchino.
- Non correre. -
- No, maestra. -
- Ah, a proposito, ho sentito Alan poco fa. Ti saluta. -
Non le servì girarsi per vedere il sorriso di Angelika allargarsi e gli occhi brillare nel riflesso che le fiamme proiettavano sul suo viso. Poi uscì dalla stanza con passo regale, come Frejie le aveva insegnato. D'altronde, ormai era una donna e come tale doveva curare il portamento e le maniere.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Frejie udì lo scalpicciare frenetico dei piedi della sua allieva e sbuffò divertita, scuotendo debolmente il capo.
 
La vasca era già piena e l’acqua calda al punto giusto. Frejie si sfilò l’abito, lo consegnò a Claire e, dopo essersi tolta tutte le forcine dalla testa, entrò nella tinozza. Le tende della finestra che aggettava sul giardino interno non erano state tirate completamente e la luce chiara della luna giocava con il lucore aranciato sprigionato dalle candele.
Prese il pettine e lo accarezzò, scandendo una formula magica. Da quando la sua bambinaia, la signora Elith, era morta nessuno aveva più il permesso di pettinarla, non tanto perché tenesse a quella donna, quanto perché era l’unica a non farle male. Avrebbe potuto chiedere a Claire, ma l’ultima volta le era quasi venuto un colpo quando aveva visto la quantità di capelli che erano rimasti sul pettine. Da quel momento, aveva deciso che avrebbe fatto da sola. O con la magia.
Sorrise e appoggiò la testa sul bordo, godendosi il lento e delicato movimento dei denti del pettine tra i capelli. Quindi prese il sapone e cominciò a sfregarsi gli avambracci.
Uno stormo di corvi e cornacchie si alzò in volo a ovest e squarciarono il silenzio con il loro richiamo allarmato.
“Non è un buon segno.”
Sospirò e fissò lo sguardo sul lampadario spento sul soffitto, ripensando ai sogni di Angelika. Ne aveva fatti molti in quel periodo, uno più confuso e insolito dell’altro. All’inizio aveva provato a interpretarli, ma ben presto si era resa conto che, finché la ragazza non avesse assunto una maggiore consapevolezza del suo potere, sarebbero stati sempre molto nebulosi. Non che poi si aspettasse di capirli appieno, i sogni degli Oracoli non erano famosi per la loro chiarezza. In ogni caso, quello che le aveva raccontato l’aveva inquietata, l'aveva pure visto attraverso i suoi occhi.
Sovrappensiero, in un gesto quasi automatico, sfiorò con la punta delle dita la pietra del potere sul collo, poco sotto la nuca, la prima dell’impianto magico che le percorreva tutta la spina dorsale. Erano sedici, di un viola intenso, posizionate nel mezzo di un intrico di curve, rune e arabeschi in rilievo.
Non aveva mai eccelso nell’onomanzia, perciò aveva compiuto un enorme sforzo per connettere la sua mente a quella di Angelika. La ragazza era rimasta tesa a lungo quella sera, lo ricordava benissimo, e si era agitata ancora di più quando le aveva annunciato che avrebbe sognato con lei. Per tranquillizzarla le aveva dovuto dare un infuso di mandragola, henbene, morella, belladonna e valeriana, sperando che l’effetto calmante non prevalesse su quello allucinogeno. Non aveva dovuto aspettare molto: Angelika prima era scoppiata a ridere, poi aveva cominciato a ballare sulle punte con la testa di Peter tra le braccia e infine era crollata addormentata sul tappetto, accompagnata dalle mani invisibili della maga. Era stato allora che Frejie le era andata vicino e, dopo aver attinto all’energia magica delle pietre, aveva forzato la mente della ragazza ad accoglierla.
La prima cosa che aveva percepito era stato l’odore nauseante dell’umidità. Era seduta su un ramo di un albero e i suoi occhi si muovevano tranquilli tra le fronde degli alberi, alla ricerca di qualcosa. Davanti al suo naso, al di là della canna di un fucile senza alcun mirino puntata su un sentiero fin troppo vicino, si estendeva una piccola foresta e, sulla linea dell’orizzonte, svettavano i confini squadrati e nebulosi di una metropoli. In realtà, qualsiasi altro dettaglio al di là di quel sentiero e dei primi alberi erano solo contorni indistinti e fumosi.
D’un tratto il cielo si era oscurato e, sulla stradina di terra battuta, si era allungata l’ombra di una donna dal viso bellissimo e solo un paio di calzoni e una tunica stracciata a coprirle le ossa bianche delle gambe e delle braccia. Frejie aveva constatato con orrore che quell’essere era un’Eferia. Piangeva già, segno che si era appena nutrita, con le cinque paia di klauwen, grandi dita simili a petali, che fremevano ancora affamate. Colui attraverso cui stava guardando la scena aveva sbuffato. Poi c'era stato uno sparo e la pelle dura e nera che proteggeva il cuore al centro del petto del mostro esploso aveva tremato. Lo aveva guardato gorgogliare, trascinarsi ancora per qualche passo e infine si era accasciato a terra senza vita.
Aveva atteso qualche secondo prima di rimettersi sulla schiena il fucile e saltare agilmente giù. Non avrebbe saputo dire con esattezza per quanto cadde, ma aveva realizzato quasi subito di essersi sbagliata prima: l’albero su cui era appostata era alto più di dieci metri e il mostro era lontano almeno cento. Non poteva averlo colpito da quella distanza, non era umanamente possibile.
Aveva percepito le labbra arcuarsi in un sorriso compiaciuto quando aveva appurato che il mostro era morto. Poi si era inginocchiata e con l’ausilio di un coltello a serramanico aveva cominciato a fare a pezzi il corpo dell’Eferia. Dove la lama non riusciva a penetrare, bastava usare le unghie ricurve della mano destra, nere e dure come quelle di un rapace. Una volta finito, aveva infilato la testa e tutti gli organi che aveva estratto in un sacco nero e si era pulita le mani callose sui pantaloni neri, per poi incamminarsi svelta sul sentiero, lasciandosi alle spalle il corpo smembrato del mostro.
Interrotto il contatto, Frejie era stata assalita da un forte senso d’angoscia e, quando anche Angelika qualche ora dopo aveva ripreso conoscenza, aveva fatto fatica a mantenere la calma quando le aveva domandato che significato potesse avere quella visione. Si era limitata a delle risposte vaghe e poi aveva spedito la sua allieva ad esercitarsi nella scrittura runica.
Si riscosse e si passò una mano sul viso. Non aveva idea di chi potesse essere l’uomo attraverso cui aveva guardato, né perché lo avesse sognato, ma era più che sicura che si trattava di uno Slayer, abbastanza potente da non desiderare di incontrarlo. Per saperne di più avrebbe dovuto stabilire un altro contatto, ma vista la resistenza che Angelika aveva opposto la prima volta, la possibilità che le sue pietre del potere si rompessero o che il ritardo mentale della sua allieva peggiorasse erano troppo concrete per rischiare.
Fece trillare la campanella e Claire entrò con un vestito di broccato e biancheria di finissima seta nera tra le braccia.
“Io non sono in grado di controllare il potere oracolare di Angelika. Anche volendo dominarla, la nostra magia è troppo diversa. Però conosco chi può aiutarmi a farlo.” si morse le labbra, mentre si lasciava vestire e il ricordo spiacevole di un falco che volava via oltre la linea dell’orizzonte le provocò una fitta al cuore.
- Padrona, il vostro ospite vi aspetta nello studio. - la voce delicata della cameriera ruppe il silenzio.
- Che attenda. Hai preso le scarpe che ti avevo chiesto? -
- Sì, le ho lasciate fuori dal bagno. -
- Bene. Va’ pure a dirgli che a breve sarò da lui. -
La cameriera annuì e, dopo aver fatto un rapido inchino, sparì chiudendo la porta alle sue spalle, mentre Frejie si sedeva sullo sgabello davanti allo specchio e iniziava a prepararsi per l'incontro.
Circa un’ora e mezza dopo, Frejie entrò nel suo studio, ma lì per lì il suo ospite non parve nemmeno accorgersi della sua presenza. Con disappunto della maga aveva tirato le tende e stava osservando il paesaggio notturno dalla finestra, appoggiato appena al bordo della scrivania. Solo quando fu abbastanza vicina, lui si girò e la scrutò con i suoi occhi gialli da cobra.
- Ce ne hai messo di tempo. - esordì.
- Una signora deve essere sempre ben abbigliata quando riceve visite, Davlamin. -
- Anche se questo significa far aspettare ore? -
Frejie si sedette sulla poltrona accavallando le gambe: - Non sai proprio niente delle donne. -
Davlamin ghignò divertito, poi prese a rigirarsi un’ampolla tra le mani, lanciandole di tanto in tanto delle occhiate di apprezzamento quando pensava che non lo stesse guardando. Era molto alto, quasi due metri abbondanti di altezza, e, alla luce del fuoco, la sua carnagione verdognola assumeva una colorazione ancor più intensa che, assieme alle zanne sporgenti, gli conferiva un’aria selvaggia, feroce come quella dei suoi avi e dei suoi fratelli mezzi orchi che vivevano ai margini della società. Tuttavia, Frejie lo conosceva da troppo tempo per avere paura di lui.
- Allora, come mai mi hai chiesto di venire? -
- Volevo discutere di alcune questioni. -
- Sai che non posso parlare di quelle interne della Dogma. -
Frejie si umettò le labbra, ammiccando: - Ma se nessuno lo sapesse, sarebbe come se non mi avessi detto nulla, no? -
Davlamin incrociò le possenti braccia tatuate davanti al petto, facendo tintinnare le perline e gli anelli che gli ornavano le lunghe trecce. Erano molte e partivano dalla cute, scendendo giù fino al fondoschiena, in un’ordinata e compatta cascata nera.
- Ho anche del buon idromele e sidro da offrirti. - aggiunse Frejie e suonò il campanello.
Un istante dopo, Fabrice entrò, spingendo il carrello delle vivande con sopra due calici dorati, due bottiglie ancora chiuse e un cavatappi a forma di gru. Non appena se ne andò, Davlamin esaminò le etichette. Frejie annusò l'aria e distinse odore di inchiostro, di carta, di formaldeide, ed etere. Probabilmente il suo ospite si era fatto un altro tatuaggio. Guardando la sua figura di spalle, ricordò il periodo in cui avevano lavorato insieme alla Dogma. Avevano dovuto indagare sulla storia dell’Antico Impero, in particolare le differenze e somiglianze tra la loro magia e quella attuale. Era stato Davlamin a presentarla all’alchimista che le aveva fornito le pozioni necessarie per cambiare permanentemente aspetto ed era stato sempre lui a impiantarle le sedici pietre del potere subito dopo l’intervento. Quando la maga aveva deciso di abbandonare la Dogma, per lui era stato un brutto colpo. Forse non l’aveva ancora perdonata.
Quando stappò la bottiglia dell’idromele, però, Frejie seppe di avere vinto. Appoggiò la testa al pugno chiuso e attese che lui la servisse.
- Parla. Non ho intenzione di rimanere qui tutta la notte. -
La padrona di casa abbozzò un sorriso, che si premurò di nascondere dietro il calice. Davlamin aveva sempre avuto un debole per lei, persino quando aveva il vecchio aspetto. Magari sarebbe potuto nascere qualcosa di più di qualche occhiata fugace, se lei non se ne fosse andata. Però ormai il passato era passato e Davlamin aveva fin troppe mogli in casa per i suoi gusti.
- Hai scoperto qualcosa di più su questo fantomatico mostro che avrebbe devastato Eartshire? -
- Nulla di che. In realtà, io e gli altri siamo più che certi che si stata opera di un Antico, ma purtroppo quando gli Slayer sono arrivati sul luogo hanno trovato solo macerie. -
- E ne avete perso le tracce? Non me lo sarei mai aspettato, di solito siete molto efficienti. -
Davlamin la scrutò attentamente, quindi scrollò le spalle: - I tempi sono cambiati, ma i problemi rimangono quelli di prima. Gli Antichi non sono stupidi come la maggior parte dei mostri e questo, beh, è davvero intelligente. -
- Cosa intendi? -
- Prima ha distrutto una città intera, poi è sparito. -
- Strano. -
- Già. - concordò, tracannando in un solo sorso tutto l’idromele, - Perché ti interessa? -
Sapendo che avrebbe potuto leggerle nella mente, Frejie si era lanciata un incantesimo per schermare i pensieri e, quando percepì la forza di una magia estranea forzare la barriera, lo fulminò con un sorriso gelido.
- Non è carino quello che stai facendo, sai? - lo redarguì, ma Davlamin sostenne il suo sguardo.
- Il fatto stesso che tu mi impedisca di vedere, significa che hai qualcosa da nascondere. -
- Oppure che non mi piacciono gli uomini invadenti. -
Il mezzo orco contrasse la mascella, punto sul vivo: - Comunque questa è l’unica certezza che abbiamo. -
- Ed è un caso che sia apparso proprio lì? -
- No e mi sorprende che tu me lo chieda, visto che avevi anche una tenuta in quella zona. -
- Ho venduto quella catapecchia anni fa. -
- Sì, lo so, me lo avevi accennato. Comunque non è stato un caso. Recentemente, subito dopo l’attacco, abbiamo scoperto che sotto la città c’erano i resti di antichi palazzi, risalenti tutti più o meno all’Era del Fuoco. Tra questi ruderi c’era quello che Janna ha definito “prototipo di portale”. Non abbiamo trovato tracce evidenti di magia, ma quando gli Slayer hanno perlustrato l'area hanno trovato un residuo di potere non identificato proprio in prossimità del portale. -
- Dici che qualcuno lo ha attivato? -
- No, non credo. Però non ho indagato, non è esattamente il mio campo. -
- Capisco. Apri anche il sidro. -
Davlamin si allungò e, come prima, tolse il tappo a mani nude, senza la minima fatica. Frejie non si impressionò, si sistemò la gonna con noncuranza, lisciando le pieghe che la stoffa faceva sul corpetto aderente e sul merletto arricciato sulla spaccatura sulla coscia.
- Quasi mi aspettavo che mi offrissi roba più pregiata. -
- Non ho voglia di scomodare di nuovo la servitù. -
- Che persona di buon cuore. -
- A volte è conveniente averne uno. -
A quell’ultima affermazione il mezzo orco non ribatté e servì entrambi.
- Le indagini sono ancora in corso, ad ogni buon conto. - riprese Davlamin.
- Di chi è stata l’idea dell’orda di mostri? -
- Dei piani alti, suppongo. Meno attiriamo l’attenzione, meglio è, soprattutto ora che il Basnate si è messo in testa che vuole liberare tutti i bambini orfani delle nostre scuole di addestramento. -
- E tu non credi che sia una cosa giusta? -
- Io sono un semplice mago, non mi sono mai interessato alla politica, però questa è chiaramente una manovra per raccogliere consensi e chiudere le porte di altre città alla Dogma. È una mossa intelligente, ma se non ci fossero più Slayer il mondo cadrebbe di nuovo nel caso dell’Era del Buio e i bambini mutati andrebbero incontro a una brutta fine. Se eventualmente venisse emanata una legge che non ci permette di usarli più come cavie, quelli che sono sopravvissuti al trapianto e a tutti i riti a cui sono stati sottoposti verrebbero fatti a pezzi o, ancor peggio, abbandonati a loro stessi. -
- Pensi davvero che ci sia dietro il Basnate? -
- No, o almeno non all’inizio. Sua Eminenza non è famoso per il suo acume, né tanto meno per la ferrea moralità. Credo che il primo a proporlo sia stato l’Easpag ancyerese. -
- Quello che adesso sta cercando di rabbonire quel pazzo di Ianice III? Coraggioso… -
- Diciamo che il re non lo ama, vista la sua non proprio amata discendenza, ma l’Easpag Fergus Dun Cadhil non si è mai fatto intimidire. La questione dei bambini gli è sempre stata molto a cuore, non mi stupirei affatto se il Basnate abbia accolto la sua proposta per poi distorcerla per i suoi fini. Questi politici… parlano, parlano, ma alla fine non sanno come stanno davvero le cose. Speriamo che le tensioni tra Ianice e la nostra amata regina si plachino e che il Basnate la smetta di farneticare. -
Frejie annuì lievemente e fece ondeggiare il calice sovrappensiero. Uno dei motivi per cui aveva abbandonato la Dogma era proprio perché non riusciva a sopportare le urla delle cavie. Anche se era assegnata a un reparto diverso, nella sede di Dranlon prima o poi capitava a tutti di passare per i laboratori. Non voleva ricordare quel periodo della sua vita, non ce la faceva. Alan non sapeva niente di tutto questo, ma forse covava già dei sospetti.
- Qualcosa non va? -
La voce del mezzo orco la riscosse.
- Tutto bene, scusami. Stavo pensando ancora a quella traccia di potere sconosciuto. - mentì, ma l'altro non parve farci caso.
- Se ti interessa, Janna pensa che potrebbe essere stato un Viandante. -
- Ancora con questa storia? Credevo gli fosse passata la fissazione. -
Una risata roca uscì dalle labbra di Davlamin: - No, purtroppo. Hanno stanziato parecchie squadre di ricerca, direi quasi quante quelle che stanno cercando l’Antico. Sai, da quando quella vampira ci ha detto che… -
- Per Shamar, è successo più di duecento anni fa! - scosse la testa e roteò gli occhi, - Non hanno trovato nulla per tutto questo tempo e ancora non demordono? Peggio dei bambini di quattro anni. -
- Diciamo che sono dei fanatici della massima “la speranza è l’ultima a morire”. -
- A quanto pare. - rispose sprezzante, - E cos’hanno intenzione di fare? Dare la caccia a questi esseri per altri due secoli? -
Davlamin fece spallucce: - Non è mio compito discutere coi piani alti. -
- Lo so. - sbuffò.
- Ti infastidisce? -
- Abbastanza. -
- Allora perché non torni per provare a cambiare le cose? -
Frejie sgranò gli occhi, riuscendo a malapena a contenere lo stupore. Incrociò le braccia al petto, proprio sotto il seno, e si sforzò di sorridere, anche se l’espressione seria del mezzo orco lasciava intendere che non stesse affatto scherzando.
- Hai appena detto che non sei uno che si inimicherebbe i superiori. -
- La vecchiaia mi rende volubile. -
- Oppure stai cercando di convincermi a tornare in memoria dei vecchi tempi. -
- Forse. Ah, Frejie, ti conosco fin troppo bene per sperare di vederti tornare alla Dogma. - posò il calice sul tavolo e lo spostò lontano da sé, - Comunque ti avverto, non è un bene che continui a ficcanasare nei nostri affari. -
- Mi stai minacciando? -
- Ti sto solo dicendo di fare attenzione. - ripose con voce ferma mentre si alzava, lo sguardo adombrato e la mascella contratta, - Ho cercato di non farmi notare quando venivo qui e se mai mi facessero delle domande non parlerò. Però sappi che la Dogma ti tiene d’occhio e non tutti quelli che una volta definivi amici sono rimasti tali. Girano voci molto spiacevoli sugli uomini portati nelle sale degli interrogatori e tu sai benissimo quanto possano essere feroci gli Slayer. -
La maga si morse le labbra a disagio. Aveva eretto uno scudo tutto attorno alla villa prima che lui arrivasse, nessuno si sarebbe potuto intrufolare all’interno senza che scattasse l’allarme. Eppure ogni magia, anche la più potente, poteva essere in qualche modo elusa.
Come se le avesse letto nel pensiero, Davlamin aggiunse: - Ho usato un portale dimensionale per spostarmi dalla mia dimora alle vicinanze di Westmoth, lasciando con le mie mogli un mio clone. È più che sufficiente per ingannare eventuali inseguitori per un paio d’ore. -
- Va bene. Grazie ancora per il tuo aiuto, Davlamin. - disse porgendogli una mano.
- Per te questo e altro, Frejie. - le baciò le nocche.
Quindi estrasse un quarzo citrino dalla tasca dei calzoni e lo pulì sul lembo della tunica. Era una pietra piccola, grande come un soldo di cacio, che rifulgeva di energia magica.
- Non è meglio un semplice teletrasporto? -
- Ti devo ricordare con chi stai parlando? -
Frejie aprì la bocca per replicare, quando la porta si spalancò e Angelika irruppe nella stanza come un cavallo lanciato al galoppo e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi finendo con la faccia sul pavimento. Aveva il viso arrossato per la corsa e i capelli scarmigliati di chi si è appena svegliato.
Prima che la maga riuscisse a fermarla, esclamò: - Maestra, ho sognato! Alan! Cioè, no, forse non lui, ma somigliare molto a lui. -
- Angelika, taci. - sibilò secca, ammonendola con un'occhiata tagliente.
- Ma è importante! Io… -
Guardò la maga con quella sua espressione da cane bastonato, ma lo sguardo irritato di Frejie e le sopracciglia corrucciate di Davlamin furono più che sufficienti a farla desistere da qualsiasi altra cosa avesse intenzione di dire.
- Chi è lei, Frejie? - domandò il mezzo orco.
- Una mia allieva. - rispose e con finta noncuranza le si avvicinò.
- Pensavo che dopo Bragwen avessi smesso di insegnare. -
- Sì, avevo smesso, ma poi un amico mi ha presentato questa ragazza e ho deciso di provare a limare questo diamante grezzo. -
- E questo tuo amico si chiama Alan, per caso? -
- No. - mentì, - Alan è il padre di questa ragazza, un commerciante che ha deciso di affidarmi sua figlia quando si è reso conto del suo particolare talento. -
- E tu la stai addestrando nell’onomanzia? -
Frejie gli rivolse un forzato, freddo sorriso: - Sai come la penso sul metodo d’insegnamento, no? Deve essere una cosa solo tra la maestra e l’allieva. Ora scusami, ma devo farmi fare il resoconto del sogno prima che lo dimentichi. -
Davlamin la scrutò per alcuni brevi istanti e, anche se la maga non lo sentì tentare di forzare le barriere della sua mente, sapeva che tutta quella storia non lo convinceva. Aprì la bocca per dire qualcosa, forse per fare un’altra domanda, ma inaspettatamente scosse la testa.
- Di’ alla tua allieva che il modo migliore per non dimenticare i sogni è scriverli non appena ci si sveglia. -
Posò nuovamente lo sguardo su Angelika e, dopo averla studiata per un paio di secondi con i suoi occhi da rettile, ruppe il quarzo citrino a terra. Una nube color zolfo lo avvolse e, pian piano, la sua figura svanì.
Quando furono sole, Frejie schioccò le dita e rivolse alla ragazza un’occhiata carica di biasimo.
- Cosa ti avevo detto? -
- I… io… -
- Tu cosa? - l’afferrò per un braccio, affondando con rabbia le unghie nella pelle delicata, - Ti avevo ordinato di non entrare per nessuna ragione al mondo! -
- Ma Alan... io sognato e voi mi avete detto che dovevo... -
- Zitta. -
Angelika ammutolì ed emise un basso gemito dolorante. Frejie inspirò un paio di volte, prendendosi tutto il tempo necessario per calmarsi e riacquisire il suo abituale contegno. Quando allentò la stretta, all’interno del braccio, poco sotto il gomito, vide cinque piccole mezzelune arrossate e si sentì vagamente in colpa.
- Avanti, cosa hai sognato? - si arrese con un sospiro
- Penso fosse Alan, ma non lo so. Io lo stavo seguendo e… c'era uomo dell’altra volta, quello col fucile. -
Un brivido corse lungo la schiena della maga: - Continua. -
- Nulla di strano, ma io ridevo quando puntavo il fucile su di lui. -
- Gli hai sparato? -
Angelika abbassò lo sguardo, cominciando a tormentarsi le dita: - Sogno finito prima… non lo so. Era tutto confuso… -
Frejie fece per intonare una formula magica, poi si fermò. Non poteva contattare Alan adesso, non con il pericolo che ci fosse qualcuno che la stesse spiando. Si sedette sulla poltrona dietro la scrivania e nascose il volto fra le mani, riflettendo sul da farsi.
- Maestra, mi dispiace… -
- Scusami tu, Angelika. Hai fatto solo quello che ritenevi giusto e, alla fine, sono stata io a dirti che dovevi correre da me se avessi fatto altri sogni. Ora va’ a dormire o domani non riuscirai ad alzarti. -
Angelika inclinò la testa e la vergogna lasciò subito il posto alla curiosità: - Dove andiamo? -
- Dall’unica persona che penso possa darci risposte. -
- Oh, che bello! Peter sarà felicissimo. Allora andare subito a dormire. -
Si stropicciò gli occhi e, senza aspettare un’altra esortazione di Frejie, si avviò verso la porta.
Sulla soglia si fermò e disse: - Maestra… Alan starà bene. Alan forte. -
- Lo so. -
- Non preoccupare. - si accarezzò il palmo della mano, come sempre faceva quando riusciva a visualizzare i fili d’energia che l’aiutavano a percepire le emozioni della persona a cui erano legati.
- Buonanotte, maestra. -
- Buonanotte, Angelika. -
La porta si chiuse e nello studio piombò un silenzio carico di angoscia.
 
  
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