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Autore: MadAka    23/04/2016    1 recensioni
Logan Jackson Miller – a tutti noto come Jack – è un personaggio tormentato. Dipendente da droghe, omosessuale, con una vita sentimentale complicata e con un progetto che desidera portare a termine fin troppo ardentemente. Un ragazzo destinato all’autodistruzione.
A impedire che ciò accada – facendolo a sua stessa insaputa – c’è Riley, la ragazza della porta accanto.
Un’amicizia forte la loro, un legame saldo, che in un momento di duplice debolezza si incrina profondamente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Il venerdì pomeriggio aveva sempre un sapore speciale per Jack. Era il giorno della settimana in cui gli veniva più semplice rilassarsi, abbandonarsi ai piaceri più comuni delle persone – come il cibo o il riposo – nella totale speranza di dimenticarsi completamente del mondo che continuava a ruotare fuori dalla porta di casa. Probabilmente ciò era anche legato al fatto che il giovane aveva l’abitudine di uscire il venerdì sera, dando fondo a buona parte dei risparmi che racimolava nell’arco della settimana e pregustarsi quella prospettiva non era niente male per uno che amava i locali affollati, i drink e i flirt con gli estranei.

Alle 16:51 il ragazzo era seduto dietro al proprio pianoforte verticale intento a suonare un pezzo di Erroll Garner. La finestra che aveva alle sue spalle proponeva la vista della prima periferia di Washington, appena fuori dal cuore della città. Il pomeriggio autunnale era mite e la luce, resa ancora più viva dal cielo terso, piacevole: la giornata ideale da trascorrere fuori casa.

Quando Jack fu prossimo a raggiungere uno dei passaggi più complessi della canzone qualcuno suonò alla porta. Il campanello squillo frettoloso e fu subito seguito da una serie di colpi che battevano insistentemente e rapidamente alla porta. Dato che non stava aspettando visite, il ragazzo rimase interdetto un momento, infine si alzò dalla sua postazione, attraversò il soggiorno e andò ad aprire.

Davanti a sé si trovo Louis nel suo soprabito beige, la ventiquattrore in mano. I capelli dell’uomo erano perfettamente scompigliati come al solito, corte ciocche bionde indomabili. La bocca di Jack si sciolse in un sorriso quando si rese conto di essere incredibilmente felice e sorpreso di vedere che Louis lo aveva raggiunto a casa. Solitamente il venerdì non si erano mai incontrati.

Tuttavia si accorse che l’uomo era piuttosto nervoso. Il suo respiro era mozzato e lo sguardo chiaramente nervoso: era agitato.

«Ciao» disse Jack, facendosi da parte perché l’altro potesse entrare in casa. Ignorò volontariamente l’espressione irrequieta di Louis, pensando che probabilmente avesse incontrato qualcuno nel tragitto che separava il suo studio dall’appartamento. Louis, infatti, era sempre piuttosto vigile quando si trattava di raggiungere Jack a casa sua. Non volendo far sapere a nessuno della loro relazione – che avrebbe comportato non pochi problemi al politico – prestava particolare attenzione a non farsi notare da nessuno né quando arrivava, né quando se ne andava.

L’uomo entrò, chiudendosi in fretta la porta alle spalle. Non si tolse neanche il soprabito ma si limitò a posare in terra la valigetta contenente tutte le sue cose. Jack rimase a guardarlo, affascinato dalla sua figura e felice di vederlo in casa propria anche quando non avrebbe dovuto esserci.

Louis era più grande di lui di otto anni, ma a trentasei conservava ancora fascino sufficiente a conquistare chiunque. L’uomo aveva il dono della parola. Era capace di dire la cosa giusta al momento opportuno, di comporre frasi capaci di scuotere le membra e di sussurrarne altre in grado di aizzare il desiderio. La sua voce era decisa e vibrante, capace di tenere incollate alle sua labbra le masse. Jack lo sapeva ed era rimasto colpito e rapito da quella figura. Il fatto che anche Louis non fosse riuscito a resistere al fascino innegabile emanato da Jack era stata la fortuna del più giovane, che era così stato in grado di portare il pesce fino alla sua rete.

«Sono contento di vederti qui. Stavo suonando una canzone di Erroll Garner

Garner era uno dei compositori che Jack aveva fatto conoscere a Louis. Era sua la canzone che Jack aveva suonato quattro giorni prima, quando Louis si era risvegliato sul divano del ragazzo dopo la loro riappacificazione notturna. L’ennesimo screzio che si era risolto nel solito modo. Louis aveva raggiunto il giovane e si era scusato per le parole che gli aveva detto poche sere prima al telefono e Jack aveva ceduto in fretta, permettendo al suo corpo di diventare ancora una volta il foglio bianco su cui firmare una nuova pace. In quella notte la rottura con Riley era immediatamente passata in secondo piano.

Louis rimase a guardare Jack seduto dietro al pianoforte. Non diede segno di volersi muovere dalla posizione in cui stava, né di volersi spogliare. Le mani di Jack cominciarono a suonare note che conosceva fin troppo bene e che riempirono il soggiorno in una sequenza perfetta.

Sollevò gli occhi sull’uomo, convinto di essere in procinto di vedere il suo sorriso perfetto, ma non fu così. Louis era rigido, serio e l’espressione era nervosa e agitata. Qualcosa non andava e Jack sentì le spalle cedergli appena se ne rese effettivamente conto.

«È tutto a posto?» chiese, smettendo subito di suonare e inclinando leggermente la testa di lato.

Lo sguardo che Louis gli scoccò lo fece innervosire. L’uomo era imperscrutabile e per Jack non era affatto un buon segnale. Allontanò le dita dai tasti del pianoforte, portandosele in grembo.

Louis prese una lunga boccata d’aria. Posò in terra la ventiquattrore e si decise ad aprire bocca: «Lei lo sa, non è vero?»

Jack si morse istintivamente il labbro inferiore a quelle parole, guardando da un’altra parte. Non gli serviva indagare riguardo ciò che l’altro aveva appena detto, sapeva perfettamente che si riferiva a Nicole. Il giorno prima sua madre gli aveva detto di essere a conoscenza della relazione fra loro due, tuttavia non avrebbe mai pensato che, in poco più di ventiquattro ore, il fatto di essere stati scoperti sarebbe giunto anche alle orecchie di Louis.

«Chi… chi te lo ha detto?» mormorò Jack, lo sguardo sempre tenuto basso.

Louis avanzò di qualche passo, appoggiando con forza le mani sulla cassa del pianoforte. «Questo non ha importanza» esclamò. «Lei lo sa Jack

L’uomo cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per il soggiorno. Si tormentava le mani, in preda alla rabbia. Jack continuava a tenere gli occhi bassi, alzandoli appena solo quando sentì l’altro riprendere parola: «Non capisco come tu riesca a rimanere tanto tranquillo, a suonare il pianoforte.»

Si voltò verso Jack, che si strinse appena nelle spalle.

«Nicole manderà tutto a puttane. La mia intera vita, il mio matrimonio, la mia carriera!»

Riprese a percorrere la piccola stanza a grandi passi. «Non avrei mai dovuto infilarmi in una simile situazione.»

Louis continuò a imprecare verso se stesso e Nicole per un po’, mentre Jack continuava a seguirlo con lo sguardo sentendosi sempre più avvilito. La gioia comparsa alla vista di Louis era svanita in fretta, evaporata dal suo corpo già dal momento in cui l’altro aveva posto la prima domanda. Tuttavia più l’uomo parlava più Jack si sentiva peggio. Ciò che stava dicendo sulla loro storia era diventata una tortura, una lama infilata nella carne e affondata lentamente. Il ragazzo non aveva ribattuto mentre Louis parlava di ciò che c’era fra loro definendo il tutto un grossolano errore, una debolezza inspiegabile, uno sbaglio immotivato.

Nonostante tutte le parole pronunciate dall’altro Jack si sforzò di guardarlo, sentendosi confuso. Louis non poteva aver pronunciato tutte quelle cose volutamente, era probabile che la preoccupazione di essere scoperto lo avesse innervosito più del dovuto. Sei mesi non potevano essere uno sbaglio, non da parte di qualcuno che diceva di ricambiare i sentimenti di Jack, i quali erano sinceri.

«Louis» lo chiamò.

L’uomo smise di parlare e si voltò verso il ragazzo, serio. Jack si alzò dallo sgabello posto dietro al pianoforte e si avvicinò all’altro, sorridendo. «Andiamo, non preoccuparti. Risolveremo questa cosa insieme.»

Portò le mani al viso di Louis, come aveva fatto più volte. Non appena le sue dita sfiorarono il volto dell’uomo, però, quest’ultimo si divincolò in fretta, respingendo con un gesto deciso Jack.

«Non toccarmi!» ruggì.

Jack rimase sconvolto. Puntò lo sguardo sul nulla, proprio davanti a sé, gli occhi chiari divennero improvvisamente inespressivi.

Louis lo guardò con un misto di rabbia e disgusto. «Tu non capisci. Qui non si tratta di tua madre e del fatto che sappia di noi.»

Aveva un tono freddo e distaccato, una voce gelida che Jack non gli aveva mai sentito prima. Non osò alzare gli occhi su di lui quando lo sentì riprendere parola: «Non voglio più vederti. Voglio cancellare questi sei mesi dalla mia memoria. Si è trattato solo di sesso, Jack, e nient’altro. E vuoi sapere un’altra cosa? Mi fa schifo quello che c’è stato fra di noi e non avrei mai dovuto permettere che accadesse.

«Mi sentivo solo, stavo attraversando un periodo di crisi e non sapevo più da che parte guardare quando ti ho incontrato. Quando poi ho riaperto gli occhi e ho capito cosa stava succedendo ho provato il voltastomaco verso me stesso.»

«Non puoi pensarlo veramente.»

La frase uscì rotta dalle labbra di Jack, come un mormorio incerto e spaventato. Si era sentito disintegrarsi pezzo dopo pezzo a ogni singola parola pronunciata da Louis. La rabbia di cui l’uomo aveva intriso le sue affermazioni era evidente e maledettamente dolorosa.

«No, lo penso veramente, invece.»

Il nuovo affondo di Louis fu quello letale. Jack sentì la gola chiudersi e si scoprì incapace di replicare. Tuttavia l’altro non aveva ancora terminato. Recuperò la sua ventiquattrore e diede l’ennesima occhiata furente al giovane. «Tua madre non avrà bisogno di dire ai giornali di noi. Non capisco come io abbia fatto a essere tanto stupido. Non vale la pena mettere a rischio la mia famiglia e la mia carriera per uno come te. Se ti sei illuso che lo avrei fatto hai chiaramente sbagliato. Una vita misera come la tua non fa per me.»

Uscì di casa, sbattendosi dietro la porta, lasciando nel soggiorno Jack, talmente atterrato da apparire come l’ombra di se stesso.

 

*

 

Dopo il terzo bicchiere il gusto secco della vodka perdeva di intensità. Bevendola direttamente dalla bottiglia Jack non sapeva l’equivalente in bicchieri di ciò che aveva ingurgitato, ma il terzo doveva ormai essere passato. Seduto al bancone della cucina con penisola, nella casa dei genitori, il ragazzo stava trascorrendo un lunedì sera tetro. Teneva gli occhi fissi sul televisore, le immagini del notiziario delle 22.30 baluginavano sullo schermo. Il giornalista fece poi partire un servizio girato quel pomeriggio. Il nome di Louis Walker comparve in sovrimpressione, ma Jack non fece una piega. Continuava a tenere lo sguardo sul televisore in maniera assente, la bottiglia vuota per metà stretta in mano e un senso di inadeguatezza dentro.

Le parole che Louis gli aveva urlato contro il giorno in cui lo aveva lasciato erano state un autentico tormento per il ragazzo. Gli avevano martellato il cervello per tre giorni, rimbalzando da una parte all’altra della sua mente e portando a galla ricordi che gli avevano impedito di dormire.

Non poterne parlare con qualcuno era stato il colpo del KO, ciò che lo aveva portato a preferire l’alcol e la droga alla compagnia delle altre persone, anche se quelle persone erano i suoi famigliari. Tuttavia ogni volta che l’effetto della cocaina svaniva o che i postumi dell’alcol erano scivolati via, la realtà tornava a tormentare Jack e il senso di fallimento si mescolava in lui con la frustrazione. Invece di calare, il dolore per il modo in cui Louis se n’era andato faceva sempre più male.

Prestò un momento attenzione allo schermo televisivo. Non aveva idea di ciò che il giornalista avesse chiesto a Louis, ma quest’ultimo stava rispondendo con grande trasporto, mettendo in mostra la sua dote migliore: la parola. Louis era in grado di articolare e comporre frasi per riuscire ad assoggettare chiunque, per conquistare le persone o per distruggerle proprio come era riuscito a fare con Jack.

Al ragazzo, però, mancava. Continuava a guardare la sua immagine sullo schermo con un senso di malinconia crescente. Per sei mesi lo aveva avuto accanto e nonostante non potesse far sapere a tutti della loro storia gli andava bene ugualmente perché era convinto che si trattasse solo di tempo prima che Louis capisse di non poter fare a meno di lui.

Si sentì infinitamente stupido per essersi illuso fino a quel punto e cominciò a domandarsi in cosa gli rimaneva da credere dopo gli avvenimenti delle ultime settimane. Non aveva più Louis e, prima di lui, aveva perso Riley. I suoi progetti per il futuro continuavano a essere un mucchio di fogli stropicciati, idee e budget che non possedeva e la sua famiglia lo faceva sentire perennemente fuori luogo.

Alla televisione Louis cominciò a parlare della famiglia americana, il nucleo da tutelare assolutamente, ciò che, a suo dire, rischiava di perdere la propria identità a causa dei democratici. A quelle parole un forte senso di nausea percosse Jack che spense il televisore in preda a un nervosismo crescente.

Non sapeva a cosa pensare. Si sentiva completamente atterrato e privo di punti d’appoggio per poter risalire a galla. Gli occhi grigio-azzurri erano lucidi per via della stanchezza ma privi dei loro consueti riflessi.

Un solo pensiero si appropriò di lui, un’idea che non aveva mai preso in considerazione ma che, nello stato in cui si trovava, sembrava essere l’unica da riuscire a seguire. La sua mente si era offuscata per via di tutte le sensazioni avvilenti che aveva amalgamato al suo interno e l’alcol aveva contribuito ad appannarla ulteriormente.

Il suo corpo parve muoversi da solo. Prese un ultimo, lungo, sorso dalla bottiglia di vodka e si alzò dallo sgabello, dirigendosi verso il garage in cui sua madre parcheggiava l’auto ogni sera. Sul mobiletto proprio accanto alla porta del garage, le chiavi della macchina giacevano immobili, riflettendo lievemente i bagliore della luce proveniente dalla cucina. Jack le afferrò, lasciando al loro posto la bottiglia aperta e quasi vuota che gli aveva tenuto compagnia nelle ultime ore. Sempre con sguardo vacuo aprì la porta del garage e se la richiuse alle spalle. Rimase a guardare un momento la berlina scura ed elegante tirata a lucido, il portone chiuso dietro di essa. Scese i pochi scalini che lo separavano dalla vettura in modo quasi strascicato e vi salì, infilando le chiavi nella serratura e avviando il motore, dopodiché abbasso il finestrino.

Fu un attimo. Appena il finestrino venne abbassato completamente il poco autocontrollo rimasto a Jack si disintegrò. Lacrime di rabbia e tristezza cominciarono a scendere dai suoi occhi e lui non fu in grado di trattenerle. Il respiro gli venne strozzato dai singhiozzi e anche stringere con forza il volante dell’auto non lo aiutò in alcun modo a sfogarsi. Si abbandonò completamente al pianto, sentendosi sempre più senza via d’uscita.

Intorno a lui, intanto, la stanza cominciò a riempirsi di gas.

  
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