Il venerdì
pomeriggio aveva sempre un sapore speciale per Jack. Era il giorno della settimana in cui gli
veniva più semplice rilassarsi, abbandonarsi ai piaceri più comuni delle
persone – come il cibo o il riposo – nella totale speranza di dimenticarsi completamente
del mondo che continuava a ruotare fuori dalla porta di casa. Probabilmente ciò
era anche legato al fatto che il giovane aveva l’abitudine di uscire il venerdì
sera, dando fondo a buona parte dei risparmi che racimolava nell’arco della
settimana e pregustarsi quella prospettiva non era niente male per uno che
amava i locali affollati, i drink e i flirt con gli estranei.
Alle 16:51 il ragazzo era seduto dietro al proprio
pianoforte verticale intento a suonare un pezzo di Erroll Garner.
La finestra che aveva alle sue spalle proponeva la vista della prima periferia
di Washington, appena fuori dal cuore della città. Il pomeriggio autunnale era
mite e la luce, resa ancora più viva dal cielo terso, piacevole: la giornata
ideale da trascorrere fuori casa.
Quando
Jack fu prossimo a raggiungere uno
dei passaggi più complessi della canzone qualcuno suonò alla porta. Il
campanello squillo frettoloso e fu subito seguito da una serie di colpi che
battevano insistentemente e rapidamente alla porta. Dato che non stava
aspettando visite, il ragazzo rimase interdetto un momento, infine si alzò
dalla sua postazione, attraversò il soggiorno e andò ad aprire.
Davanti
a sé si trovo Louis nel suo soprabito beige, la ventiquattrore in mano. I
capelli dell’uomo erano perfettamente scompigliati come al solito, corte
ciocche bionde indomabili. La bocca di Jack si
sciolse in un sorriso quando si rese conto di essere incredibilmente felice e
sorpreso di vedere che Louis lo aveva raggiunto a casa. Solitamente il venerdì
non si erano mai incontrati.
Tuttavia
si accorse che l’uomo era piuttosto nervoso. Il suo respiro era mozzato e lo
sguardo chiaramente nervoso: era agitato.
«Ciao»
disse Jack, facendosi da parte perché
l’altro potesse entrare in casa. Ignorò volontariamente l’espressione
irrequieta di Louis, pensando che probabilmente avesse incontrato qualcuno nel
tragitto che separava il suo studio dall’appartamento. Louis, infatti, era sempre
piuttosto vigile quando si trattava di raggiungere Jack a casa sua. Non volendo far
sapere a nessuno della loro relazione – che avrebbe comportato non pochi
problemi al politico – prestava particolare attenzione a non farsi notare da
nessuno né quando arrivava, né quando se ne andava.
L’uomo
entrò, chiudendosi in fretta la porta alle spalle. Non si tolse neanche il
soprabito ma si limitò a posare in terra la valigetta contenente tutte le sue
cose. Jack rimase a guardarlo,
affascinato dalla sua figura e felice di vederlo in casa propria anche quando
non avrebbe dovuto esserci.
Louis
era più grande di lui di otto anni, ma a trentasei conservava ancora fascino
sufficiente a conquistare chiunque. L’uomo aveva il dono della parola. Era
capace di dire la cosa giusta al momento opportuno, di comporre frasi capaci di
scuotere le membra e di sussurrarne altre in grado di aizzare il desiderio. La
sua voce era decisa e vibrante, capace di tenere incollate alle sua labbra le
masse. Jack lo sapeva ed era rimasto colpito
e rapito da quella figura. Il fatto che anche Louis non fosse riuscito a
resistere al fascino innegabile emanato da Jack era stata
la fortuna del più giovane, che era così stato in grado di portare il pesce
fino alla sua rete.
«Sono
contento di vederti qui. Stavo suonando una canzone di Erroll Garner.»
Garner era uno dei compositori che Jack aveva fatto conoscere a Louis.
Era sua la canzone che Jack aveva
suonato quattro giorni prima, quando Louis si era risvegliato sul divano del
ragazzo dopo la loro riappacificazione notturna. L’ennesimo screzio che si era
risolto nel solito modo. Louis aveva raggiunto il giovane e si era scusato per
le parole che gli aveva detto poche sere prima al telefono e Jack aveva ceduto in fretta,
permettendo al suo corpo di diventare ancora una volta il foglio bianco su cui firmare
una nuova pace. In quella notte la rottura con Riley era immediatamente passata
in secondo piano.
Louis
rimase a guardare Jack seduto
dietro al pianoforte. Non diede segno di volersi muovere dalla posizione in cui
stava, né di volersi spogliare. Le mani di Jack cominciarono
a suonare note che conosceva fin troppo bene e che riempirono il soggiorno in
una sequenza perfetta.
Sollevò
gli occhi sull’uomo, convinto di essere in procinto di vedere il suo sorriso
perfetto, ma non fu così. Louis era rigido, serio e l’espressione era nervosa e
agitata. Qualcosa non andava e Jack sentì
le spalle cedergli appena se ne rese effettivamente conto.
«È
tutto a posto?» chiese, smettendo subito di suonare e inclinando leggermente la
testa di lato.
Lo
sguardo che Louis gli scoccò lo fece innervosire. L’uomo era imperscrutabile e
per Jack non era affatto un buon
segnale. Allontanò le dita dai tasti del pianoforte, portandosele in grembo.
Louis
prese una lunga boccata d’aria. Posò in terra la ventiquattrore e si decise ad
aprire bocca: «Lei lo sa, non è vero?»
Jack si morse istintivamente il
labbro inferiore a quelle parole, guardando da un’altra parte. Non gli serviva
indagare riguardo ciò che l’altro aveva appena detto, sapeva perfettamente che
si riferiva a Nicole. Il giorno prima sua madre gli aveva detto di essere a
conoscenza della relazione fra loro due, tuttavia non avrebbe mai pensato che,
in poco più di ventiquattro ore, il fatto di essere stati scoperti sarebbe
giunto anche alle orecchie di Louis.
«Chi…
chi te lo ha detto?» mormorò Jack, lo
sguardo sempre tenuto basso.
Louis
avanzò di qualche passo, appoggiando con forza le mani sulla cassa del
pianoforte. «Questo non ha importanza» esclamò. «Lei lo sa Jack.»
L’uomo
cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per il soggiorno. Si
tormentava le mani, in preda alla rabbia. Jack continuava
a tenere gli occhi bassi, alzandoli appena solo quando sentì l’altro riprendere
parola: «Non capisco come tu riesca a rimanere tanto tranquillo, a suonare il
pianoforte.»
Si
voltò verso Jack, che
si strinse appena nelle spalle.
«Nicole
manderà tutto a puttane. La mia intera vita, il mio matrimonio, la mia
carriera!»
Riprese
a percorrere la piccola stanza a grandi passi. «Non avrei mai dovuto infilarmi
in una simile situazione.»
Louis
continuò a imprecare verso se stesso e Nicole per un po’, mentre Jack continuava a seguirlo con lo
sguardo sentendosi sempre più avvilito. La gioia comparsa alla vista di Louis
era svanita in fretta, evaporata dal suo corpo già dal momento in cui l’altro
aveva posto la prima domanda. Tuttavia più l’uomo parlava più Jack si sentiva peggio. Ciò che
stava dicendo sulla loro storia era diventata una tortura, una lama infilata
nella carne e affondata lentamente. Il ragazzo non aveva ribattuto mentre Louis
parlava di ciò che c’era fra loro definendo il tutto un grossolano errore, una debolezza
inspiegabile, uno sbaglio immotivato.
Nonostante
tutte le parole pronunciate dall’altro Jack si
sforzò di guardarlo, sentendosi confuso. Louis non poteva aver pronunciato
tutte quelle cose volutamente, era probabile che la preoccupazione di essere
scoperto lo avesse innervosito più del dovuto. Sei mesi non potevano essere uno
sbaglio, non da parte di qualcuno che diceva di ricambiare i sentimenti di Jack, i quali erano sinceri.
«Louis»
lo chiamò.
L’uomo
smise di parlare e si voltò verso il ragazzo, serio. Jack si alzò dallo sgabello posto
dietro al pianoforte e si avvicinò all’altro, sorridendo. «Andiamo, non
preoccuparti. Risolveremo questa cosa insieme.»
Portò
le mani al viso di Louis, come aveva fatto più volte. Non appena le sue dita sfiorarono
il volto dell’uomo, però, quest’ultimo si divincolò in fretta, respingendo con
un gesto deciso Jack.
«Non
toccarmi!» ruggì.
Jack rimase sconvolto. Puntò lo
sguardo sul nulla, proprio davanti a sé, gli occhi chiari divennero improvvisamente
inespressivi.
Louis
lo guardò con un misto di rabbia e disgusto. «Tu non capisci. Qui non si tratta
di tua madre e del fatto che sappia di noi.»
Aveva
un tono freddo e distaccato, una voce gelida che Jack non gli aveva mai sentito prima. Non osò alzare
gli occhi su di lui quando lo sentì riprendere parola: «Non voglio più vederti.
Voglio cancellare questi sei mesi dalla mia memoria. Si è trattato solo di
sesso, Jack, e nient’altro. E vuoi sapere
un’altra cosa? Mi fa schifo quello che c’è stato fra di noi e non avrei mai
dovuto permettere che accadesse.
«Mi
sentivo solo, stavo attraversando un periodo di crisi e non sapevo più da che
parte guardare quando ti ho incontrato. Quando poi ho riaperto gli occhi e ho
capito cosa stava succedendo ho provato il voltastomaco verso me stesso.»
«Non
puoi pensarlo veramente.»
La
frase uscì rotta dalle labbra di Jack, come
un mormorio incerto e spaventato. Si era sentito disintegrarsi pezzo dopo pezzo
a ogni singola parola pronunciata da Louis. La rabbia di cui l’uomo aveva
intriso le sue affermazioni era evidente e maledettamente dolorosa.
«No,
lo penso veramente, invece.»
Il
nuovo affondo di Louis fu quello letale. Jack sentì
la gola chiudersi e si scoprì incapace di replicare. Tuttavia l’altro non aveva
ancora terminato. Recuperò la sua ventiquattrore e diede l’ennesima occhiata
furente al giovane. «Tua madre non avrà bisogno di dire ai giornali di noi. Non
capisco come io abbia fatto a essere tanto stupido. Non vale la pena mettere a
rischio la mia famiglia e la mia carriera per uno come te. Se ti sei illuso che
lo avrei fatto hai chiaramente sbagliato. Una vita misera come la tua non fa
per me.»
Uscì
di casa, sbattendosi dietro la porta, lasciando nel soggiorno Jack, talmente atterrato da
apparire come l’ombra di se stesso.
*
Dopo il
terzo bicchiere il gusto secco della vodka perdeva di intensità. Bevendola
direttamente dalla bottiglia Jack non
sapeva l’equivalente in bicchieri di ciò che aveva ingurgitato, ma il terzo
doveva ormai essere passato. Seduto al bancone della cucina con penisola, nella
casa dei genitori, il ragazzo stava trascorrendo un lunedì sera tetro. Teneva
gli occhi fissi sul televisore, le immagini del notiziario delle 22.30
baluginavano sullo schermo. Il giornalista fece poi partire un servizio girato
quel pomeriggio. Il nome di Louis Walker comparve in
sovrimpressione, ma Jack non
fece una piega. Continuava a tenere lo sguardo sul televisore in maniera
assente, la bottiglia vuota per metà stretta in mano e un senso di
inadeguatezza dentro.
Le
parole che Louis gli aveva urlato contro il giorno in cui lo aveva lasciato
erano state un autentico tormento per il ragazzo. Gli avevano martellato il
cervello per tre giorni, rimbalzando da una parte all’altra della sua mente e
portando a galla ricordi che gli avevano impedito di dormire.
Non
poterne parlare con qualcuno era stato il colpo del KO, ciò che lo aveva
portato a preferire l’alcol e la droga alla compagnia delle altre persone,
anche se quelle persone erano i suoi famigliari. Tuttavia ogni volta che
l’effetto della cocaina svaniva o che i postumi dell’alcol erano scivolati via,
la realtà tornava a tormentare Jack e il
senso di fallimento si mescolava in lui con la frustrazione. Invece di calare,
il dolore per il modo in cui Louis se n’era andato faceva sempre più male.
Prestò
un momento attenzione allo schermo televisivo. Non aveva idea di ciò che il
giornalista avesse chiesto a Louis, ma quest’ultimo stava rispondendo con
grande trasporto, mettendo in mostra la sua dote migliore: la parola. Louis era
in grado di articolare e comporre frasi per riuscire ad assoggettare chiunque,
per conquistare le persone o per distruggerle
proprio come era riuscito a fare con Jack.
Al
ragazzo, però, mancava. Continuava a guardare la sua immagine sullo schermo con
un senso di malinconia crescente. Per sei mesi lo aveva avuto accanto e
nonostante non potesse far sapere a tutti della loro storia gli andava bene
ugualmente perché era convinto che si trattasse solo di tempo prima che Louis
capisse di non poter fare a meno di lui.
Si
sentì infinitamente stupido per essersi illuso fino a quel punto e cominciò a
domandarsi in cosa gli rimaneva da credere dopo gli avvenimenti delle ultime
settimane. Non aveva più Louis e, prima di lui, aveva perso Riley. I suoi
progetti per il futuro continuavano a essere un mucchio di fogli stropicciati,
idee e budget che non possedeva e la sua famiglia lo faceva sentire
perennemente fuori luogo.
Alla
televisione Louis cominciò a parlare della famiglia americana, il nucleo da
tutelare assolutamente, ciò che, a suo dire, rischiava di perdere la propria
identità a causa dei democratici. A quelle parole un forte senso di nausea
percosse Jack che
spense il televisore in preda a un nervosismo crescente.
Non
sapeva a cosa pensare. Si sentiva completamente atterrato e privo di punti
d’appoggio per poter risalire a galla. Gli occhi grigio-azzurri erano lucidi
per via della stanchezza ma privi dei loro consueti riflessi.
Un
solo pensiero si appropriò di lui, un’idea che non aveva mai preso in
considerazione ma che, nello stato in cui si trovava, sembrava essere l’unica
da riuscire a seguire. La sua mente si era offuscata per via di tutte le
sensazioni avvilenti che aveva amalgamato al suo interno e l’alcol aveva
contribuito ad appannarla ulteriormente.
Il
suo corpo parve muoversi da solo. Prese un ultimo, lungo, sorso dalla bottiglia
di vodka e si alzò dallo sgabello, dirigendosi verso il garage in cui sua madre
parcheggiava l’auto ogni sera. Sul mobiletto proprio accanto alla porta del
garage, le chiavi della macchina giacevano immobili, riflettendo lievemente i
bagliore della luce proveniente dalla cucina. Jack le afferrò, lasciando al loro posto la
bottiglia aperta e quasi vuota che gli aveva tenuto compagnia nelle ultime ore.
Sempre con sguardo vacuo aprì la porta del garage e se la richiuse alle spalle.
Rimase a guardare un momento la berlina scura ed elegante tirata a lucido, il
portone chiuso dietro di essa. Scese i pochi scalini che lo separavano dalla
vettura in modo quasi strascicato e vi salì, infilando le chiavi nella
serratura e avviando il motore, dopodiché abbasso il finestrino.
Fu
un attimo. Appena il finestrino venne abbassato completamente il poco
autocontrollo rimasto a Jack si
disintegrò. Lacrime di rabbia e tristezza cominciarono a scendere dai suoi
occhi e lui non fu in grado di trattenerle. Il respiro gli venne strozzato dai
singhiozzi e anche stringere con forza il volante dell’auto non lo aiutò in
alcun modo a sfogarsi. Si abbandonò completamente al pianto, sentendosi sempre
più senza via d’uscita.
Intorno a lui, intanto, la stanza cominciò a
riempirsi di gas.