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Autore: Julsss_    23/04/2016    4 recensioni
[DESTIEL AU CHE PRETENDE DI ESSERE UN PO' DIVERSA]
Colui che scrive e racconta questa storia, è Castiel Novak, uno scrittore alle prime armi che, per coltivare il suo sogno, si rifugia nella vecchia casa di montagna, dove incontrerà quell'uomo misterioso e tormentato dagli occhi verde smeraldo che si aggira tra i boschi suonando la sua chitarra. E, da quel momento, la sua vita sarà completamente sconvolta.
[AVVERTENZE]
- Il Rating potrebbe variare in ROSSO;
- ANGST FINALE.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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E sabato arrivò e Juls si ricordò 
di aggiornare una settimana sì e una no. 


Ci sentiamo a fine capitolo. 




















 

Hallelujah






 




















 

Chapter nine:

The End























E tutto finì lì.
Finì per davvero.

Dopo quel giorno non parlammo più come una volta.
Quando ritornai in casa, lo trovai rinchiuso nella sua camera. Non vi uscì finché non gli dissi che avevo preparato qualcosa.
Mangiammo in silenzio, non uno sguardo mi rivolse, il mio cuore piangeva. E poi ognuno nella propria stanza, l’uno lontano dall’altro. 
Un senso di angoscia mi pervase, ed io avevo davvero superato il limite con lui, ma era il mio diritto sapere, conoscerlo.
Non voleva che lo conoscessi, Dean non voleva farsi conoscere, ma perché? Cosa lo bloccava? Cosa nascondeva? Assumeva degli ansiolitici, perché l’ansia lo corrodeva da chissà quanto tempo. Ed io non potevo fare niente per aiutarlo, perché lui non si lasciava aiutare. E non voleva essere aiutato.
Quella notte mi lasciò solo, ero solo… di nuovo, nonostante lui fosse nella camera accanto.
Non dormii affatto, ero solo in quel letto freddo, sentendo la mancanza del calore del suo corpo che da un po’ di tempo mi aveva fatto compagnia. Le mie mani lo cercavano invano, il mio cuore lo cercava e sperava che poi sarebbe tornato da me. Ma non accadde.
Il giorno dopo peggiorò.
Dean non parlava.
Dean non era più la persona che avevo conosciuto, né la prima volta, né quella che aveva subìto un cambiamento dopo che ci eravamo amati.
Mi mostrò inconsapevolmente una nuova versione sé stesso: un Dean che soffriva di essere quello che era; un Dean consumato dall’ansia e un Dean che avrebbe avuto bisogno di qualcuno al suo fianco, ma che non voleva ammetterlo. Gli lasciavo i suoi spazi personali nell’attesa che mi avrebbe perdonato. Ma le cose purtroppo non cambiarono.

Non preparava più la nostra colazione con l'odore del caffè appena fatto e della crostata sfornata da poco sulla tavola. Mi mancava quell’abitudine così dolce, come la marmellata di ciliegie.

Non guardavamo più il tramonto.
Io continuavo ad andare al lago. Era l’unico momento della giornata in cui mi fermavo a pensare a quel che ci eravamo detti, e anche perché quella era l’unica cosa che mi legava ancora a lui… ma la spezzò, così all’improvviso. Quel momento che a lui piaceva così tanto… e non si presentò più.
Non lo guardava più. Spezzò ogni legame con me dopo quella conversazione.

Ricominciò a suonare la chitarra.
Ricominciò a cantare quella canzone triste che l’aveva accompagnato sin dal primo momento che l’avevo conosciuto. Tornava al pontile, o nella sua camera e faceva sempre quello che aveva fatto.
L’unica cosa che aveva, che lui desiderava avere, perché io non ero di certo quello che desiderava. Perché non riusciva a guardarmi negli occhi, mentre io lo cercavo.

Talvolta lo udivo piangere nella sua stanza. Avrei voluto andargli incontro, abbracciarlo e non lasciarlo mai più. Ma non lo feci, non lo affrontai.

Una sera in particolare, tornato dal lavoro, i nostri sguardi per un attimo s’incrociarono. Mi era mancato il suo sguardo su di me, il brivido che mi percorreva dietro la schiena. Tutto di lui mi mancava, soprattutto il suo sorriso.
Non mi trattenni.

« Dean » dissi, prendendogli la mano.
« Cas » rispose, non apponendo alcuna resistenza.

Si lasciò toccare.

« Parlami… per favore » dissi, guardandolo con speranza nei suoi occhi.

Ci fu una pausa lunga un’eternità.

« Tieni » disse dopo un po’.

Mi porse un pezzo di carta ripiegato. Forse era proprio quello che stava scrivendo tempo prima, quando ancora aveva il sorriso sulle labbra.

« Leggila solo quando sarai pronto » disse. « Promettimelo » i suoi occhi mi implorarono, non erano mai stati così lucidi.
« Cosa vuol dire tutto questo, Dean? » gli dissi, alzando un po’ la voce. « Non parli e mi dai una lettera. Io ti sto dando i tuoi spazi, ho smesso di farti domande, perché ormai ho capito che non posso avere risposte… »

Mi fermò.

« Lì ci sono tutte le risposte di cui hai bisogno, Castiel. Aprila quando ne senti il bisogno, quando ti senti pronto »

Mi lasciò col mio stupore e tornò in camera sua. Avevo ancora quel pezzo di carta nelle mie mani. ‘Leggila quando ti senti pronto’. Pronto per cosa? Perché scrivermi una lettera? Forse era l’unico modo per comunicarmi quello che provava, quello che nascondeva dentro di sé. Ed una cosa era certa: ciò che nascondeva non era qualcosa di semplice.


“Mi dispiace”









***




E Dean sparì.
Sparì, non come uno di quegli oggetti che non trovi più per caso, che non ricordi di averli dati via o riposti chissà dove, ma come quelli che decidi di lasciar andare quand’è arrivata la loro ora, nonostante tu ci tenga.
Sparì, lasciandomi solo, solo come ero sempre stato.
Dean era stato qualcosa di passeggero, come quei rari spettacoli della natura a cui ci si assiste una sola volta nella vita, ed io l’avevo vissuto appieno, fotografandolo coi miei occhi e stampandolo nella mia memoria per sempre.
Dean non se n’era andato per via della conversazione che avemmo, ma perché era giunto il momento, e la lettera me lo confermò.
Non era fatto per restare, non lo era mai stato. 
L’avevo incontrato, perché il destino voleva così. Pensavo, che il destino, volesse che mi riprendessi dallo stato di fermo in cui mi trovavo prima di conoscerlo; per reagire alla vita, quella vita che per me non aveva più un senso dopo aver perso tutti. Dean era stato solo di passaggio nel mio cuore per donarmi quel coraggio che non avevo.
Dean mi aveva donato speranza, coraggio e forza di andare avanti, intimandomi ogni volta a credere in quello che volevo fare, nonostante lui vivesse qualcosa di simile, ma che io non ero riuscito a dargli, o a donargli, quello che lui aveva dato a me.
Infine lessi la lettera.

Dopo due settimane che Dean se ne andò, lasciai Whitefish. Non avevo più bisogno di stare lì, avevo concluso il nuovo manoscritto e tornai in città, ma con un altro scopo: conoscere il vero Dean Winchester. Dean era di Lawrence, mi recai lì. Una volta arrivato, posai lo sguardo su tutto quello che mi circondava: case, negozi, alberi in fiore, strade. Pensai che Dean avesse camminato per quelle strade, magari in compagnia di qualche suo amico, o di suo fratello, mentre rideva, prendendolo in giro. Il sorriso era il suo punto debole. A distrarmi da questi pensieri, fu un uomo che mi sfiorò, chiedendomi scusa. Non lo guardai in volto. 
Iniziai a chiedere a molti passanti se conoscessero Dean e loro mi guardavano e sospiravano. Conoscevano Dean.
“Ah, Winchester… Povero ragazzo”, dicevano.
Poi una donna si fermò accanto a me.

« Stai cercando Dean? » mi chiese una gentile signora, dai lunghi capelli biondi e dal viso dolce. 
« Sì, Dean Winchester. Lo conosce? »
« E’… era mio figlio »

La signora era la madre di Dean, Mary Winchester. Avevano gli stessi occhi, impossibile confonderli. Il destino me l’aveva fatta incontrare. Mi chiese chi fossi e gli spiegai che avevo vissuto con Dean per svariati mesi. Qualche lacrima le scese sul viso e poi prese la mia mano, tremante.
Mary mi portò nella sua casa. Il profumo inebriante mi ricordava le crostate alla ciliegia che preparavo a Dean. Tutto sapeva di Dean in quella casa. Era il suo mondo, il suo passato.
Ci accomodammo nel salottino di quella splendida casa. Mary tornò con del tè e una fetta di crostata.

« Era la sua preferita » disse la donna, mostrando un sorriso malinconico.

Annuii, ricambiandole il sorriso.  E ricordai di quando lui la preparava la mattina presto.

« Lo ricordo bene » risposi.
« Ha imparato da me a farla. Tutti i giorni ci alzavamo presto e ne facevamo una per tutta la famiglia » disse malinconica.
« Mi dispiace ricordarle di questo »
« Non preoccuparti, sono bei ricordi » disse, sedendosi accanto a me. « Come mai sei giunto qui? »

Chiesi alla gentile Mary di raccontarmi del passato suo figlio, cui Dean aveva accennato nella lettera. Lei mi guardò con aria triste, i suoi occhi mi parlarono chiaro. 
Mi raccontò che furono tempi duri dopo quella terribile notizia, Dean si chiuse in sé stesso, trascurando lavoro e famiglia, soprattutto quest’ultima. Aveva litigato con suo fratello per via della decisione di lasciare tutto e tutti e poi non erano mai riusciti a riappacificarsi. E così, di punto in bianco, Dean li aveva lasciati, così come aveva fatto con me.
D’allora era passato quasi un anno dalla sua fuga, o scomparsa.

« Quando ho incontrato Dean, aveva uno zaino, una chitarra e una canna da pesca » le raccontai. « Avevo capito fin da subito che c’era qualcosa che non andava, che lo tormentava e quindi, decisi di aiutarlo, ospitandolo a casa mia »

Mary, in lacrime, prese le mie mani tra le sue, baciandole.  

« Castiel, non è così? » mi chiese.  « L’angelo del giovedì »
« Sì » le sorrisi.
« Mi ha raccontato di te molto tempo fa… di un bambino a Whitefish »

La guardai sbalordito, non avrei mai pensato che Dean ne avesse parlato con qualcuno. E che soprattutto pensava fossi importante.

« Dean mi ha lasciato una lettera » aggiunsi dopo un po’.
« Non è mai stato bravo con le parole » sentenziò la madre, asciugandosi le lacrime.

Gliela porsi e il suo viso, poco a poco che la leggeva, cambiava. Gli occhi lucidi mi mostrarono una madre distrutta dal dolore, ma appena accennò quel sorriso, restituendomela, mi fece capire che era serena.

« Grazie, Castiel. Grazie per averlo amato e grazie per aver vegliato come un angelo su di lui »

 


 

***


 
 

Sono passati anni da quando Dean se n’è andato da Whitefish e, di tanto in tanto, mi capita di tornare alla casa sul lago.
Ancora adesso però, quando ascolto una chitarra suonare, ricordo la sua voce e lui, seduto all’estremità del pontile, che canta quella triste canzone. E finalmente capii perché la cantava; la sua era come una preghiera e la recitava quando ne sentiva il bisogno, il bisogno di sperare e di andare avanti.
Quando torno alla casa nel Montana, mi reco al pontile dove ci conoscemmo la prima volta. Forse anni fa avrei dovuto alzare lo sguardo non appena mi invitò a stare con lui, magari anche parlandogli, ma poi ricapitò l’occasione. Destino suppongo. Lo stesso destino che poi me l’ha portato via.
Incredibile come la vita dia e tolga, in una frazione di secondo, quel che ti appartiene; incredibile come un attimo prima raggiungi la felicità con un dito, e il momento dopo sprofondi nel baratro più oscuro; incredibile come Dean tornò nella mia vita e fu incredibile come scomparve.
Avrei aspettato lì per sempre al pontile; avrei continuato ad assistere ai nostri tramonti, magari, voltandomi sempre dov'era solito stare, cercando il suo sorriso e quegli occhi che, da quel momento in poi, mi avevano cambiato la vita.













Angolo dell'Autrice esaurita:


Ebbene sì, sono in ritardo (come sempre), ma siamo giunti alla fine. 
Questo è l'ultimo capitolo di questa storia, che verrà seguito la settimana prossima (di sicuro, giuro) dall'EPILOGO.
Spero che abbiate apprezzato, nonostante questo finale davvero triste.
A sabato prossimo, lo giuro.
Juls

 

   
 
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