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Autore: DarkYuna    23/04/2016    1 recensioni
"Trovate l’Argus Apocraphex.".
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*100 occhi non bastano*








 
Shannon appariva più sgomento di me, sfiorava la dicitura sibillina, la esaminava, leggeva ad alta voce, scrutava e revisionava, neppure sapesse cosa riportassero gli oscuri vocaboli che sporcavano il lindo muro color panna.
Il fatto che la vedesse anche lui era rincuorante: non ero ammattita.
 
 
Cos’era l’Argus Apocraphex?
Un oggetto? Una persona? Una maniera per andarcene? E più di questo, dove iniziare a cercare qualcosa in un posto di cui non ci si  riusciva ad orientare? Era come trovare un ago in un pagliaio.
 
 
Incrociai le braccia, tenendomi a pochi passi dietro di lui.
<< Sai cosa dice? >>, chiesi, angustiata dal fatto che qualcuno fosse acceduto nel nostro rifugio e non ce ne fossimo nemmeno accorti. Chiunque sia stato, non aveva avuto intenzioni ostili, altrimenti non saremmo stati ancora qui, ma saremmo stati così fortunati la prossima volta? Se era stato così facile ingannarci, allora sarebbe stato facile per loro stanarci ed ucciderci. Non volevo trovarmi a meno di diecimila chilometri dallo psicopatico con il martello.
 
 
Boccheggiò appena, assottigliò lo sguardo e fu sul punto di svelare qualcosa di importante. Si fermò, respirò rapido due volte.
<< Giuro che so cos’è… e non lo so. >>, accettò sconfitto, la soluzione gli era sfuggita via. Sapevo esattamente che cosa intendesse e non gliene feci assolutamente una colpa.
 
 
Mi avvicinai adagio, gravandogli delicatamente una mano sul bicipite sodo.
<< Non preoccuparti Shannon, troveremo delle risposte. Hai detto che ti sentivi di entrare nel Partenone di Nashville, giusto? >>.
 
 
Mugugnò un cenno di assenso, gli occhi ardenti incontrarono i miei.
 
 
<< Allora proviamo ad andare, che abbiamo da perdere alla fine? In fondo non potremmo nasconderci ancora per molto. Dista molto da qui? >>.
 
 
<< Due isolati. >>.
 
 
Indicai una parte indefinita alle mie spalle, con il pollice.
<< Come faremo con la nebbia? È praticamente impossibile spostarci e sperare di non fare pessimi incontri. >>.
 
 
Ci pensò su pochi secondi, poi schiacciò affabile l’occhio e il primo vero sorriso si affrescò sulla bocca maliziosa.
<< Passiamo per la metropolitana, se ho visto giusto, dovrebbe condurre proprio davanti al Partenone. >>. Afferrò la tuta da motociclista e la indossò rapido, sbloccò la porta e prima di uscire dall’appartamento mi fece segno di rimanere in silenzio e di lasciare andare lui in avanscoperta. Si comportava come se intendesse farmi da scudo con il suo corpo.
 
 
Quel che trovammo una volta fuori di lì, non fu il pianerottolo, l’abitazione corrispondente al piano, l’ascensore e le nove rampe di scale, bensì un lungo ed interminabile corridoio, che iniziò ad allungarsi a dismisura, in replica di una mostruosa rappresentazione concreta di un film horror.
 
 
Dire che l’infarto era prossimo, sarebbe stato un sottile eufemismo, per spiegare che il cuore batteva così veloce che stava per deflagrare nel petto.
Di getto afferrai la mano di Shannon, l’unico appiglio sicuro, e lui la prese salda di rimando.
Alla fine dell’inferno, in mezzo a tanto buio, sulla destra un’unica porta era spalancata e la luce era un segnale materiale che non eravamo più da soli. Se fosse positivo o negativo, l’avremmo capito solo una volta giunti fin lì e per arrivare al Partenone, non dovevamo far altro che passare davanti a quella porta aperta: facile a dirsi, ma non a farsi.
Il pericolo era in agguato.
 
 
Prima di scoprire cosa avremmo dovuto affrontare, Shannon si volse.
<< Qualsiasi cosa accada, Jennifer, se dovesse succedermi qualcosa, scappa via, non voltarti. Vai al Partenone, trova il modo per andartene e vattene! >>, impose rigido ed imperativo.
 
 
Non lo conoscevo, era l’obiettività, tuttavia non l’avrei abbandonato, la mia anima me lo me impediva, eravamo nella merda in due e in due ne saremmo usciti in qualche modo.
<< Scordatelo! Non durerei dieci secondi, senza il tuo aiuto. >>, ammisi sincera, mi sentivo al sicuro, da sola sarebbe stato agghiacciante e non volevo neanche pensarci, tremavo alla sola idea.
 
 
Il pomo d’Adamo andò su e giù varie volte sotto la pelle della gola. Era indeciso, non si muoveva e varie volte gettò occhiate ad intermittenza tra me e la porta aperta. Piegò il polso, in modo tale da obbligarmi a restargli alle spalle, ci addossammo alla parete e scivolammo a passo felpato.
A metà della traversata, udimmo un botto sordo derivante dall’appartamento dove avevamo alloggiato fino a poc’anzi e di esso non vi erano più tracce. Puff, sparito nel nulla. Se anche avessimo voluto, non potevamo più tornare indietro.  
Vigili e pronti alla fuga ci approssimammo alla luce e dopo un attimo di incertezza, ci affacciamo sull’unica porta aperta, in un corridoio che non aveva porte.
 
 
“Oh mio Dio… abbi pietà delle nostre anime.”.
 
 
Non era un consueto alloggio, l’innovazione non stava in ciò: ce l’aspettavamo.
C’era un mondo oltre la soglia, un mondo oscuro, polveroso, cosparso di tizzoni ardenti, un cielo che non aveva fine composto da fiamme corvine, odore tossico di zolfo che mi faceva tossire, mucchi di teschi che si accumulavano su un sentiero polveroso che portava ad un sinistro e limaccioso fiume bordeaux.
Alla riva, in piedi su una piccola imbarcazione nera, un uomo scheletrico e prominente, tra le mani ossute reggeva un remo, coperto da una palandrana vecchia e lisa, era a guardia del passaggio. Il naso adunco era l’unica fattezza cerea che si poteva distinguere. Sulla terra ferma, decine e decine di persone disperate, si contorcevano spasmodiche, latravano, oltraggiavano e si azzuffavano, alla prostrata brama di un modo per avere pace, in un luogo di dannazione eterna.
Ai lati dell’entrata apparvero sculture in pietra di uomini e donne in miniatura grigia, incastrati tra di loro, presero a muoversi impudichi, replicando atti osceni, assassinii e gesti contro natura.
 
 
Era così che avevo sempre immaginato l’inferno e adesso mi si era spalancato davanti.
 
 
Shannon aveva lo sguardo sbarrato, le vampe cupe del cielo gli si specchiavano sul viso stravolto e pareva che stesse per addentrarsi in quel luogo minaccioso, protagonista di sofferenze atroci ed inimmaginabili. Se non l’avessi tenuto per mano, sarebbe già avvenuto.
 
 
La puzza insoffribile di zolfo e morte, mi fece starnutire due volte di seguito, attirando su di noi la spiacevole attenzione totale del popolo maledetto della dimensione parallela.
<< Oh. Merda. >>, mimai con la bocca, la voce era un caro ricordo e, come se il contesto non fosse già marcio di suo, dalla parte inferiore del viottolo sterrato sbucarono incoercibili lo psicopatico con il martello e una folle con l’ascia.
 
 
Shannon trasalì, ridestandosi dalla trance: lo psicopatico per me, la folle per lui.
 
 
I due esseri dalla forma umanoide, si girarono in un punto dove il mio raggio visivo non giungeva e dalle fauci dell’inferno venne risputato il più impensabile dei mostri, a cui improbabilmente sarebbe stato fattibile sottrarsi.
Il deforme e mastodontico cane a tre teste, era ricoperto da serpenti velenosi, anziché peli, che ad ogni suo latrato si rizzavano, facendo sibilare le proprie orrende lingue. Le bocche di Cerbero erano composte da chiostre di denti acuminati, che non chiedevano di meglio che di affondare in carne viva, strappare ed ingurgitare fino a sazietà.
Shannon ed io rappresentavamo il pasto perfetto.
 
 
Non attesi oltre e prima che lo psicopatico con il martello, la folle con l’ascia e il mostruoso guardiano degli Inferi, intraprendessero il gioco fatale della caccia all’ultimo sangue, spinsi malamente sulla schiena il mio accompagnatore.
<< Andiamo, andiamo, andiamo! >>, strillai, con un’impellente urgenza nelle esclamazioni. Filammo spediti giù per le interminabili rampe di scale. Ci tenevamo ancora per mano, ma lui era più veloce ed agile di me, mi strattonava il braccio, rischiando varie volte di farmi perdere l’equilibrio e cadere. I gradini non finirono mai, ed evitai di constatare se loro erano alle calcagna, mi sarei distratta ed avrei finito per inciampare sui miei stessi piedi.
Il grugnito raccapricciante di Cerbero, bastava ed avanzava per indurmi all’orlo del pianto disperato.
La nebbia si era diradata e tra la leggera foschia ubicata, emerse una città discorde da quella che avevamo lasciato prima di addentrarci nell’edificio.
 
 
Infilai una mano tra i capelli lunghi, guardandomi attorno smarrita: nulla era come prima, la realtà era mutata nuovamente.
<< Dove siamo? >>. Era la completa combinazione tra l’antica Grecia mescolata ad un presente sconosciuto.
 
 
<< Che cazzo è successo? >>, farfugliò disorientato lui. L’entrata sotterranea alla metropolitana non era dove aveva detto, in compenso in fondo alla strada, il Partenone di Nashville emergeva imponente, unica via d’uscita.
 
 
Correre era l’unica decisione. Non avevo idea se andare verso il Partenone era la cosa giusta da fare, però era l’unica che potevamo ghermire.
La sequela di parolacce irripetibili, si accalcavano nella mente.
 
 
Loro arrivarono in strada.
Sempre più veloci, sempre più incontrastati, sempre più vicini, sempre più pericolosi. Dei tre, Cerbero era il più incombente, bieco e pericoloso, nonché quello che si approssimava in maggior misura, avvertivo il respiro bollente e putrido martellarmi sulla schiena, la terra tramare al suo passaggio.
 
 
La gratinata accanto ad un curatissimo prato verde, venne quasi divorata dai nostri piedi svelti.
Il portone dell’edificio era socchiuso e, dato che ogni altra costruzione aveva avuto bisogno di essere scassinata per accedervi, scioccamente credetti che fosse l’agognato segnale che stavo attendendo, forse non tutti ci volevano morti, forse qualcuno ci stava aiutando, forse delle risposte erano dietro l’angolo.
Richiudemmo il pesantissimo ingresso principale, ed indietreggiammo, poiché il cane a tre teste tentò per un paio di volte d’entrare, ma non ci riuscì. Neppure lo psicopatico con il martello e la folle con l’ascia approdarono all’interno: eravamo al sicuro.
Per ora.
 
 
Shannon mi fissò, pallido, provato, respirava a fatica, sudato e bellissimo.  
L’insieme degli episodi ci aveva scombussolati e presi alla sprovvista.
 
 
Faticai a riprendere fiato, i polmoni sforzavano a pompare ossigeno nel corpo sfinito. La stanchezza, però, non era fisica, la stanchezza era mentale, come se fosse il cervello a compiere il lavoro e non il corpo.
<< Non chiedere, è meglio. >>, lo fermai, con un cenno della mano.
 
 
Cosa voleva che fosse? Una scritta insanguinata, ci eravamo ritrovai alla bocca dell’inferno, due pazzi scriteriati e Cerbero ci avevano inseguiti per ucciderci, la città fantasma si era trasformata. Che spiegazione plausibile potevo dare? In quale realtà fondata, accadevano simili casi arcani?
 
 
<< Stai bene? >>, appurò.
 
 
Inspirai profondamente ed espirai, annuendo varie volte.
<< E tu? >>.
 
 
<< A parte lo shock… sì, credo di sì. Dovremmo essere al sicuro qui o almeno spero. >>.
 
 
Il Partenone di Nashville era una replica delle stesse dimensioni del Partenone di Atene in Grecia. L’edificio rettangolare era rischiarato di luce propria, dato che di lampadari non se ne scorgevano.
Se qualche nozione scolastica di storia m’era rimasta impressa, ci sarebbe dovuta essere una statua alta tredici metri di Atena Parthenos, fedele replica della statua scolpita da Fidia che era presente nel Partenone dell'antica Atene. Non sapevo chi fossi, ma sapevo bene altre cose, come se avessi accesso solo a determinate notizie, che mi potevano essere utile per sbrogliare la matassa.
 
 
Comunque, non fu esattamente la statua di Atena Parthenos che trovammo in fondo alla grande sala ellenica. Di statua era una statua, non vi erano dubbi, ma effigiava la scultura straordinaria e maestosa di un fiero angelo guerriero, provvisto di un’armatura dorata, una spada in una mano e uno scudo nell’altra, dell’identica altezza. Due grandi ali piumose si stagliavano dalla schiena.  
La piastra di marmo alla base del solenne monumento, riportava in caratteri eleganti e corsivi la parola “Lux”.
 
 
<< Lux. >>, lessi a bassa voce, accostandomi alla statua. << È latino: luce. >>. La mente si avvitò spedita in riflessioni, congetture ed ipotesi, alcune sensate, altre pazzesche, ma ognuna di loro aveva un fondamento a cui non potevo totalmente voltare le spalle. Il mal di testa esplose del tutto, divenendo più che insopportabile e tollerabile.
 
 
<< Studiosa molto zelante. >>, si complimentò una soffice voce maschile. Un uomo anziano era poggiato ad una delle colonne del Partenone, le iridi azzurre erano velate da un paio di occhialetti rotondi che ciondolavano sul naso grande, due piccole penisole di radi capelli nivei ai lati del cranio. Indossava una veste lunga d’argento e portava con sé un grosso libro dalla rilegatura antica di pelle scamosciata. L’aspetto era inoffensivo e di un nonno molto saggio, ma avrei giurato che non fosse umano.
 
 
D’impulso Shannon si interpose tra me e il nuovo venuto, deciso a dar battaglia, anche se a mani nude.
<< Sta’ indietro! >>, intimò, in posizione d’attacco.
 
 
Il vecchio ridacchiò amabile per l’atto di coraggio inaspettato e non richiesto, nessuno era in pericolo attualmente.
<< Calma ragazzo, non è mia intenzione fare del male a te o alla tua graziosa accompagnatrice. >>. Tese la testa da un lato per analizzarmi meglio attraverso le lenti degli occhialini. << Jennifer, giusto? >>.
 
 
Passai di lato al bicipite gonfio di Shannon, guardando dubbiosa l’anziano uomo che ero certa di aver già visto in passato, così come ero certa di aver già parlato con lui e che ciò fosse già avvenuto in passato. Una sorta di déjà vu di cui non avevo alcuna memoria.
 
 
<< Mi ha chiamato ragazzo? >>, ripeté sconcertato Shannon a me, neanche si sentisse insultato dell’essere stato definito come un giovincello senza esperienza, anziché un uomo che sapeva il fatto suo.
 
 
<< Mi conosci? >>.
 
 
<< Ovviamente, mia cara ragazza. Conosco anche colui che ti affianca… Shannon. Vi aspettavo. Mi presento. >>. Si inchinò elegantemente. << Il mio nome è Ptah, il custode del Cancello. Siete giunti prima di ogni mia previsione, solitamente voi umani ci impiegate molto più tempo, altri non sono così fortunati, gli Obscurum li catturano prima che riescano a vedere. >>.
 
 
<< Vedere cosa? >>, si frappose Shannon, impensierito e allerta: non si fidava. Ci scambiavamo occhiate che dicevano molto, senza usare le parole. Non era detto che, sciogliere i nodi della matassa, avrebbe portato a qualcosa di buono o alla salvezza stessa. A volte era meglio non sapere.   
 
 
<< Oh mio caro ragazzo, cento occhi non bastano per vedere sul serio. Voi avete usato l’unico occhio che bisognerebbe usare e che negli umani è cieco. Non è facile vedere con gli occhi della fantasia, quando non hai fatto altro che usare gli occhi solo per vedere. >>.
 
 
“Solitamente gli occhi a quello servono.”.
 
 
<< Cosa c’è da vedere? >>, riprovò Shannon spazientito. Il mistero e gli enigmi lo infastidivano, ma avevo l’impressione che il tira e molla facesse parte del gioco insalubre.
 
 
<< Più del “cosa” vedere, è più importante il “perché”? >>, disse, inserendo nuovi quesiti a quelli esistenti, come se non fosse già tutto abbastanza macchinoso.  
 
 
<< Il perché? >>, ripetei confusa. O era pazzo lui o eravamo pazzi noi che lo stavamo ad ascoltare.
 
 
<< Sì! >>, sbottò infervorato. Cercava di dirci qualcosa, ma lui ci stava mostrando il percorso, dovevamo essere noi ad attraversarlo. << Il perché dovete vedere. >>.
 
 
Shannon aveva un vistoso punto interrogativo stampato sul volto, ed io non stavo messa meglio. Più che indizi per risolvere il problema, il vecchio ci stava dando indizi per complicarcelo.
 
 
<< Seguitemi. >>, ordinò ad un certo punto, ora era lui che non voleva più indugiare. Fece strada attraverso il Partenone e ci condusse in una vertiginosa libreria, che non aveva nulla di regolare, come niente in questo posto del resto. Era un solo un unico ed immenso scaffale, contenente in sé i libri del mondo, quelli scritti e quelli mai scritti, che piantava le radici nel nulla, come se scendesse dal cielo stesso e terminasse nei meandri della terra. Da un lato una cascata si gettava nel vuoto, il rumore di acqua scrosciante era cadenzato, quasi musicale e calmava i nervi.
Vi si poteva accedere solo grazie a scale mobili chilometriche, che le ruotavano attorno.
 
 
Shannon prese nuovamente la mia mano, nel semplicistico gesto erano racchiusi coraggio, forza e speranza, che ci trasmettevamo tramite la congiunzione dei nostri corpi.   
Passammo adiacenti all’interminabile biblioteca e ci fermammo ad una scrivania, su cui il vecchio saggio vi depose il libro che teneva saldo sotto il braccio. Vezzeggiò la copertina, ed aprì il manoscritto a casaccio.
 
 
<< La risposta ce l’avete sotto gli occhi, ma non usate gli occhi per vederla. >>, esortò ermetico.
 
 
“E cosa dovremmo usare?”.
 
 
Le arcaizzanti pagine di pergamena ingiallite erano piene zeppe di simboli illeggibili, in lingua apparentemente matematica, con caratteri geometriche, cerchi, triangoli, rettangoli, che non avevano alcun nesso logico tra di loro. Anche per Shannon fu impossibile capire.
 
 
Aggrottai la fronte, ed iniziai a sentirmi seriamente presa per i fondelli
<< Cos’è questo libro? >>, chiesi secca.
 
 
<< Il Libro delle Parole Sacre. Contiene in sé, tutte le risposte dell’universo, ma non si può decifrare se prima non si impara ad intendere la lingua e a conoscere i caratteri con il quale è scritto. >>.
 
 
Shannon schioccò la lingua al palato, contrariato.
<< C’ero arrivato anche io a questo, guarda un po’! La domanda è una sola, dove cazzo siamo e come ce ne andiamo? >>.
 
 
Ptah guardò tranquillamente Shannon, in seguito gli occhi colmi di una sapienza impenetrabile, gravarono su di me. Sembrava che facesse molto più affidamento a me che a lui, come se la soluzione di tutto giungesse dalla sottoscritta. Shannon era troppo agitato per capire.  
 
 
<< Che cosa state cercando? >>, rispose con l’ennesimo quesito.
 
 
Il mio compagno roteò gli occhi al cielo e si arrese.
<< Se vabbé, parlaci tu, che mi sembra sordo. >>.
 
 
Affilai lo sguardo, intuendo che, dietro ad ogni termine, anche quello che pareva superfluo ed inutile, in verità, conteneva concetti ben precisi: lui sapeva. Eravamo noi all’oscuro.  
 
 
<< L’Argus Apocraphex. >>, divulgai, e  Ptah sorrise apertamente, con enorme disappunto di Shannon. << È una persona? Un luogo? Una parola? >>.
 
 
<< Può essere tutto e può essere niente. Vi lascerò a disposizione la mia conoscenza, >>, indicò la libreria senza fine, << usufruitene per fare le vostre ricerche. Inizierete congiuntamente, ma tenete ben presente che non sarà un percorso collettivo, ma individuale. Risolverete l’enigma ed uscirete da questo mondo da soli, non sperate di farlo insieme. >>.
 
 
Ciò significava che, purtroppo, uno di noi doveva abbandonare l’altro, alla fine, fino a quando non si arrivava alla verità singolarmente.  
 
 
<< Hai definito questo posto un mondo? >>, fece notare Shannon, più attento di quanto paresse, reinserendosi nella discussione. Poggiò entrambe i palmi delle mani sulla cattedra di noce. << Non siamo sulla terra? >>.
 
 
<< Non nel modo che lo intendi tu. Le risposte che cercate sono già dentro di voi, dovete solo vedere per trovarle. Ciò che posso dirvi è che parte di voi si trova nel Limbus: la quarta dimensione. Un mondo che non ha ubicazioni, canoniche entrate ed uscite, sprovvista di tempo umano. Si trova nel mezzo tra Mortalis il mondo da cui provenite voi, il Caelum e l’Infernum. >>.
 
 
<< Caelum? >>. Shannon domandava, fissandomi sconcertato.
 
 
<< Il paradiso e l’inferno. >>.
 
 
Era vero dunque, era proprio l’inferno ciò che avevamo visto nel corridoio della palazzina, come veniva rappresentato nella mitologia greca. Un solo passo e ne saremmo stati risucchiati.
 
 
<< Nel Caelum si muovono i Lux, forze angeliche che mantengono l’ordine in questo mondo. E poi ci sono gli Obscurum, che avrete di certo incontrato. Per ogni essere umano che giunge nel Limbus, ve ne è uno, a loro spetta il compito di rompere l’equilibrio e di trascinare all’Infernum il maggior numero di umani. Entrambe le forze possono manifestarsi liberamente, mentre in Mortalis sono solo un debole sussurro nel vento, in grado di influire sul libero arbitrio. >>.
 
 
“Una gara. Una gara a chi si aggiudica più umani.”.
 
 
Torturai le dita, atterrita dalla relativa decifrazione, che proiettava ulteriori ombre.
<< Com’è possibile? Non ricordo niente, né come ci sono arrivata qui, né il mio passato. >>. Rammentavo solo mia madre, dopo averla sognata per una frazione di secondo e poi nulla più, ma prima di ciò, lei non era esistita per me. Dopo un po’ avevo preso a dubitare che fosse sul serio mia madre.
 
 
<< Per ogni umano è diverso il modo in cui approdano nel Limbus, così come diversifica la maniera di andarsene. Cercate l’Argus Apocraphex e molte cose vi saranno chiare. >>. Girò su se stesso e fece per andarsene, così come era venuto.
 
 
 
<< Dove vai? >>, interrogai sgomenta. Avevo ancora un milione e mezzo di domande da presentargli, non poteva filarsela come se niente fosse.
 
 
Ci guardò da sopra la spalla, ma non si fermò oltre.
<< Vi ho portato la luce, spetta a voi illuminare le vostre tenebre. Un giorno, forse, ci rivedremo. Buona fortuna. >>.









Note:
Due mesi di ritardo credo che non abbiano scusanti, però ahimé, il tempo e volato e spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo. 

Cerco di spiegare a grandi linee alcune cose del capitolo, provando a non svelare troppo la trama: 

-Ptah nella mitologia Egizia era il Dio del sapere e della conoscenza. Per questo l'ho scelto come personaggio che avrebbe dato degli indizi a Jennifer e Shannon. 

-Il libro delle parole sacre, scritto da Thoth, altra divinità Egizia. Si dice che abbia scritto un libro in cui è contenuta la conoscenza del magico e dell'incanto e li abbia sigillati in una cripta. 

-Ho usato alcune frasi prese dal Libro di Galileo Galilei. 

-Per il libro delle parole sacre, mi sono ispirata anche al filoso Pitagora, che aveva una sorta di libro segretissimo, che conteneva tutti i segreti del mondo. 

-Per fare chiarezza: La Terra è Mortalis. Il Limbus è il luogo di mezzo dove si trovano Jennifer e Shannon. Infernum è l'inferno. Caelum è il Paradiso.
I Lux sono forze angeliche che cercano di mantenere l'equilibrio nei quattro mondi. Gli Obscurum coloro che cercano di rompere l'equilibrio, per ogni essere umano ne esiste uno. 
Non rivelo altro, altrimenti darei troppi indizi. 

-Ho usato concetti di ricerche fatte sull'Argus Apocraphex, che probabilmente tutti conoscono, come Argos Panoptes il mostro a 100 occhi e Apocraphex, apocrifo, cioè tenuto segreto. In un viaggio in cui tutto è segreto e nulla è ciò che gli occhi vedono. 

-Ho lasciato vari indizi disseminati anche in questo capitolo

Bene, detto questo, spero di non aver omesso nulla. Sì lo so, forse ho giocato troppo alla playstation o guardato troppi film, ma la mia testa ci lavora da anni e niente, ho una mente bacata xD



Ringrazio di cuore le anime pie che mi hanno letta e commentata, chi ha aggiunto la mia storia tra le seguite e le preferite. Ringrazio anche i fantasmini che leggono solamente, spero che un giorno lascerete anche un piccolo commento. 

La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna

 

 
  
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