“Lalage non mangia mai con nessuno?” “Com’è magra!” “Non è neanche così carina” “Sta sempre per i fatti suoi. Si crede di essere chissacchi” “Michel della D le ha chiesto di essere la sua fidanzata” “Cosa? Ma non piaceva anche a Colette?” “Infatti. Ha passato tutto il pomeriggio a piangere” “Poverina!” “Comunque è colpa di Lalage. È minuta, pallidina e magrolina e così tutti sono premurosi con lei!”.
“E poi si da tante arie solo perché suona già in Conservatorio!”
Non era vero. Lalage non si dava delle arie. Era dura frequentare due scuole. Era entrata in Conservatorio quando ancora faceva le elementari, ma spesso sua nonna la costringeva a saltare le lezioni e la faceva esercitare in casa, seguendola personalmente. Quelli del conservatorio lasciavano correre. Anche se in canto singolo e corale era appena sufficiente. Anche se si arrabattava ogni anno per un “Ammessa alla classe successiva” al corso di pianoforte complementare. Anche se a volte portava a lezione brani diversi da quelli assegnati. Perché la nonna di Lalage, ai tempi, era stata una leggenda del violino, una dea. Riempiva i teatri ogni sera che dava un concerto. E la nipote aveva un talento naturale straordinario. Le altre bambine però non giocavano con lei. Quando gli serviva una mano per le materie in cui era meno brava-matematica ad esempio- trovavano cento scuse per non andare a casa sua, o in biblioteca.
“Non ci fare caso, sono solo delle ochette invidiose”. Alzava gli occhi, e Ken era lì. I maschi lo chiamavano Mosca per via degli occhiali, ma nonostante tutto trovava il tempo per preoccuparsi di lei. La conosceva dall’asilo, ed era il suo unico amico. La aiutava con Matematica e Scienze, in cui era piuttosto bravo. La veniva a vedere ai concerti. A volte era difficile supportarsi l’un l’altra. “Guardali, i fidanzatini!” “Non è un po’ troppo per te Mosca?” “La Tomba e la Mosca, ma lo sai che tanto non ti rivolge parola?” “Guarda che è muta come una tomba Mosca!” .Ma poi un giorno… “Ciao, posso sedermi qui?”. Era una loro compagna di classe. Quando le altre parlavano male di lei, non si pronunciava. La chiamavano Laety. “Io sono Laetitia, piacere” “Piacere…” mormorò titubante Lalage. “Posso mangiare con voi? Certo che potrebbero evitare di darci la pasta al pomodoro no? Secondo me è tossica, guarda che aspetto ha!”. Aveva mangiato con loro quel giorno. E quello dopo. Tutti i giorni dopo. Lalage aveva un’amica, e si divertivano tantissimo ogni giorno. Laety era decisa e coraggiosa. Si difendevano, a vicenda, tutti e tre; facevano i compiti insieme- Laety era molto brava negli sport ma appena sufficiente nelle altre materie; i giorni festivi uscivano tutt’e tre insieme.
Era bello avere degli amici. “Sapete” disse loro una volta Laety mentre aspettavano la metro “la mia allenatrice, l’ultima volta che sono andata ad atletica, mi ha detto che per me avere due amici come voi è proprio l’ideale”. Ken sbocconcellava biscotti, mentre Lalage dondolava le gambe a tempo: un due tre, un due tre…”E perché?” “Perché” rispose Laety rubando un biscotto a Ken “ avere un buon amico, ha detto, nella vita, è avere qualcuno con cui correre” “Ma io sono scarsissimo, non faccio nemmeno dieci metri!” protestò poco convinto Ken, guardando con rammarico il biscotto perduto. “No, tu fai sollevamento pesi!” sogghignò Laety guardando di sottecchi le braccia graciline del ragazzino. “Con i tuoi compiti dei corsi di recupero?” “Touchè”. Risero. Tutti e tre insieme. E Lalage sentì che nessun problema, nessuna difficoltà, era insuperabile. Poi…
Poi, tutto il resto. Poi, i problemi del passato. Poi, il trasferimento necessario. Ma Laety aveva ragione-odiava ammetterlo: in ogni caso, era debitrice verso Ken. “Ehi, che faccia lunga! Non ho detto che dopo non possiamo parlare!” si sforzò di dire sorridendo. Ken si illuminò. ”Davvero?” “Sì, davvero. Però ora vai in classe. Mi devi raccontare come sono le lezioni!” “Roger! Allora ciao!” “Ciao!” lo salutò sorridendo Lalage mentre Ken salterellava verso l’aula. “Ciao…” e mentre continuava a salutare, era sempre meno convinta. Smise di agitare la mano. Guardò in fondo al corridoio e tirò un respiro profondo. “Qualcuno con cui correre…” rimuginò a bassa voce, avviandosi con passo misurato verso l’ufficio della preside.