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Autore: Francine    26/04/2016    5 recensioni
Ha deciso. Oggi si chiamerà Athanasios. Colui che non muore. Gli è sembrato un nome appropriato, anche se il soggetto che ha scelto non è l’uomo più puro al mondo. Anzi.
Suo fratello avrà qualcosa da ridire, su quella e su molte altre delle sue scelte, ma pazienza. I fratelli maggiori brontolano per contratto. E quel corpo deve piacere a lui, deve calzargli come un
exomis di buona fattura che non costringa i movimenti, ma li esalti.
E deve piacere a lei; quel tanto che basta per farsi ascoltare, si capisce. E decidere che, forse, il gioco vale la candela.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hades, Poseidon Julian Solo, Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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5.
 
 




Gli occhi della Terra si velano di pudore dietro le ciglia nere e folte.
Non pensava che potesse farle ancora quest’effetto. Non dopo tutti questi anni, non dopo tutto il livore, le parole grosse, il silenzio. Eppure, il suo animo freme. Come uno svolazzare di innumerevoli farfalle sull’anima. Se continua così, il cuore di questa ragazza cederà, pensa. Un’idea distratta, un volo appena di rondini nel cielo vespertino. Si chiama come lei. Dêmêtra. Un piccolo vezzo, dopotutto, non si nega a nessuno. E la Terra ha scoperto quanta civetteria potesse annidarsi nel cuore di un’amante abbandonata che incrocia una vecchia fiamma. Così, la Terra ha scelto un corpo che potesse ricordare ad un maschio distratto cosa s'è lasciato alle spalle. Lunghi capelli biondi, sciolti oltre le spalle da uccellino. Pelle chiara, baciata dal sole di maggio, occhi azzurri come il cielo in primavera. E caviglie sottili immerse nell’acqua fresca della sera.

Il Mare l’ha cercata nelle fattezze di Julian Solo.
«Riconoscerei la tua ombra tra mille», le ha detto il suo cosmo, la voce bassa e suadente della risacca al mattino. E la Terra è scesa da lui, sulla spiaggia di Glyfada, tra ombrelloni chiusi per la notte e lo stridio dei gabbiani nel sole morente. Che fosse bello, la Terra lo sapeva. Forte. Audace. Impetuoso. Ennosigeo è sempre stato tutto questo. E le sue viscere si sono sempre sciolte, in sua presenza. Fuse, come a voler diventare sabbia bagnata tra le sue onde spumose. E anche stavolta, ha scelto un involucro che ben si confà alla sua reale natura. La giacca appoggiata con disinvoltura sulle spalle è di ottima fattura. Lui le cammina allato, l’orlo dei pantaloni arrotolato sopra alle caviglie. Il vento gioca con i suoi capelli, intrecciando le sue dita invisibili in quella chioma selvaggia che gli ammanta le spalle come una criniera.

Una criniera di acqua e vento e spuma di mare.

La salsedine pizzica allegra la pelle, le gambe rinfrescate dalla brezza della sera. Ha fatto caldo, oggi. E ne farà ancora domani. E domani l’altro pure. È tempo suo, dice la saggezza popolare, ché se non c’è abbastanza calore d'estate, il raccolto non maturerà. E non ci saranno provviste, per l’inverno. Ammesso che importi ancora a qualcuno, si dice lei, prima che un pesciolino argento guizzi a pelo dell’acqua.
«L’hai visto?», gli dice. Indicandogli il punto in cui il pesce è scomparso, come una bambina piccola. E questo è sempre stata lei, tra le sue braccia. Una creaturina piccola e indifesa, che si lascia andare all’abbraccio avvolgente delle acque.
Julian – il Mare – sbatte le palpebre. Abbandona la giacca sulla sabbia con un gesto fluido. E si avvicina, chinando lo sguardo nella direzione indicata dal suo dito.
«No, perdonami», le dice. Ad un soffio dal cuore, la voce profonda e avvolgente di sempre. «Guardavo te

Un rossore furioso ed improvviso sconquassa le gote di Dêmêtra.
«Bugiardo», dice. Stornando lo sguardo ed il cuore verso quella massa d’acqua che batte e leva sulla terraferma. Come se non potesse fare diversamente.
«Sei ingiusta», la rimprovera la sua voce. Così vicina alla pelle che lei si aspetta che vi posi le labbra da un istante all’altro.
«Sono realista», ribatte lei, dopo aver trattenuto il fiato per qualche secondo di troppo. Niente carezze a fior di labbra. Non ancora.
«Sei severa», e lui le sfiora appena la mascella. Due dita, due soltanto, e il viso di lei si volta ad incontrare i suoi occhi ardenti.

Può una fiamma essere azzurra? Liquida?
Quando il mondo era ancora giovane, se lo chiedevano spesso, loro due, seduti a conversare sulla battigia, gli scogli come trono e i granchi per compagnia. Si fissavano, annegando l’uno nelle iridi dell’altro – chiari e fresche, quelle di lei, profonde e scure, quelle di lui – cercandosi con la pelle, l’anima e il cuore, per riemergere affamati di aria e nuovi baci. Ed una fiamma azzurra sono gli occhi del Mare, adesso che le incatena lo sguardo nel suo. La Terra conosce quel guizzo, tanto affascinante quanto pericoloso. La Terra sa che deve dire qualcosa, spezzare il suo incantesimo, prima che sia troppo tardi. Ma la Terra ha un cuore di donna che batte sotto il chitone rosso papavero. E cosa c’è di più dolce di un amante che torna a chiedere di te, per il cuore di una donna?

Nulla.

«È una serata stupenda, Dêmê…», e questo è davvero un colpo basso.
«Non dovresti usare quel nomignolo…»
«Non dovrei?», le domanda lui, con finta ingenuità. «Perché?»
«Lo sai», protesta lei, incapace di disingaggiare lo sguardo dalle polle blu del Mare.
«No, non lo so», ripete lui, osservando il suo bel viso come si fa con una pietra preziosa, o una conchiglia dai riflessi madreperlacei.
«Non sta bene», e la Terra abbassa gli occhi, le guance più rosse dei suoi amati papaveri.
«E questo è mai stato un problema, per me? Per noi?», le chiede. Facendo fremere ogni fibra del suo essere.
«No», mormora lei. «No, non lo è mai stato»

Gli dei non sottostanno alle leggi dei mortali. Gli dei si mischiano tra loro, ché solo un ventre divino può sopportare il seme di un dio. E lasciarlo crescere dentro di sé. Germogliare. E portare frutto. Ed Ennosigeo è sempre stato pronto a cingerle i fianchi e ad annegare in lei, trascinandola con sé sotto le sue onde iridescenti. Se solo non avesse incontrato gli occhi della Fanciulla, si dice la Terra, e a quel pensiero una boccata di fiele le invade l’animo.
Si scioglie dal suo abbraccio e mette qualche passo di distanza tra di loro.
Così è troppo facile. Ennosigeo non può tornare da lei e fare i propri comodi, come se tra loro non fosse mai successo niente. Non dopo aver calpestato ed irriso la sua dignità di donna e madre. Per chi mi hai preso, Ennosigeo?
Non si accorge di aver pronunciato ad alta voce quelle parole fino a quando non sente il Mare risponderle.
«Tu sei la Terra. Mia sorella. La mia prima amante. La madre di mia figlia.»
Pausa. Lei si volta, tremante. Quelle parole sono come la lama di un pugnale che struscia contro ossa levigate dal tempo.
«Tu sei la mia Dêmê», e le braccia giovani e forti di Julian Solo si aprono verso di lei. Che cede. Ed i suoi passi si muovono verso di lui, ed il cuore di Dêmêtra sfarfalla come un cardellino che frulla le alucce, ed il suo petto è forte e sicuro, come uno scoglio che emerge dalle acque agitate.
Odora di salsedine. Come sempre, pensa la Terra, mentre le sue dita – le dita di Dêmêtra – si stringono sulla camicia tesa sopra ai muscoli di Julian.
«Oh, Dêmê…», le sussurra all’orecchio. Piano, un sospiro appena che le increspa la pelle di velluto. «Quanto mi sei mancata, agapê mou…»
«Enosictono…», lo chiama lei. Sollevando il viso imporporato, il ventre che si contrae all’indugiare di quello sguardo liquido sulla sua pelle e sulle sue labbra. Un sospiro, un ansimare dell’anima, e la Terra chiude gli occhi, pronta a ricevere il ramoscello d’ulivo. Un bacio – agognato – che ricucirà il loro rapporto. Che lo legherà di nuovo a sé. E gli farà dimenticare la Fanciulla, Anfitrite e quei quattro scherzi della natura che lui ha il coraggio di chiamare figli.
Le labbra di Ennosigeo sfiorano appena le sue. E il cuore della Terra s’incammina per sentieri dimenticati, ma non perduti, sciogliendosi nell’abbraccio del Mare, affidandoglisi anima, corpo e cosmo.

La ragazza sviene tra le sue braccia, e sarebbe anche una scena romantica – di quelle da filmetto strappalacrime ad un tanto al chilo – se lei non avesse strabuzzato gli occhi mostrando la sclera e non avesse buttato indietro la testa di scatto ed i suoi capelli non stessero strusciando sulla sabbia umida come i tentacoli di una medusa sfilacciata.
«Pesa…», mormora la voce di Julian, mentre la adagia sulla battigia.
«Complimenti!», si sente dire. Alle sue spalle, Athanasios sta battendo le mani, lo sguardo più che soddisfatto. «Adesso capisco perché ti cadevano tutte ai piedi…»
«È una dote di natura», ribatte il Mare, sgranchendosi la schiena.
«Non ti secca se uso un paio di quelle frasi, vero?»
Julian china la testa di lato, come un cane che non ha compreso cosa voglia da lui il suo padrone. O come un lupo che si appresta ad azzannare la preda sulla giugulare.
«E che te ne faresti, di grazia?»
Athanasios si stringe nelle spalle. Come a dirgli, e me lo chiedi?
E poi lo dice: «E me lo chiedi?».
«Sì», ribatte la voce di Julian, le mani sui fianchi. «Queste sono frasi da dire all’amante, non alla moglie.»
«I tempi sono cambiati», ribatte lo Sconosciuto, avvicinandosi, le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni logori. «Oggi puoi chiedere alle mogli quello che ti aspetti da un’amante…»
«Basta così. Discorso chiuso», lo interrompe il Mare.
Lo Sconosciuto sogghigna.
«Scusa tanto, paparino…»
«Non chiamarmi paparino…»
«E come dovrei chiamarti?»
«Diamoci un taglio», e la voce del Mare è densa come acciaio fuso. «Dov’è il Sonno?»
Le labbra dello Sconosciuto si arricciano all’insù.
«Arriva, arriva», dice. «Volevo solo chiacchierare un po’ con te, prima…»
«Lei potrebbe svegliarsi», ribatte il Mare, guardando un punto indefinito all’orizzonte. «Che le raccontiamo, a quel punto? Abbiamo scherzato
«Nossignore. Non ha mai avuto il senso dell’umorismo, lei», conviene lo Sconosciuto. Schioccando le dita nell’aria frizzante che sale dal mare.

Alle sue spalle l’aria si trasforma a poco a poco. Un vortice violaceo che collassa su se stesso, da cui emerge la figura aggraziata del Sonno.
«Avete chiamato, Mio Signore?», domanda, i capelli color dell’oro che sfiorano appena la sabbia ancora calda.
«La Terra s’è addormentata», gli dice, indicando la ragazza sdraiata sul bagnasciuga con un gesto distratto della spalla. «Vorresti occuparti tu, dei suoi sogni?»
«Sarà un piacere», risponde il Sonno, e alla vista del lampo ferino che gli illumina lo sguardo, il Mare non può che provare una fitta di pietà per la Terra.
Il Sonno allunga una mano sul corpo della ragazza. Ne esce una luce del colore del grano maturo, screziata di rosso. Rosso papavero, pensa il Mare, mentre le dita sottili del Sonno si chiudono a coppa attorno a quel cosmo addormentato. Un piccolo inchino, e le mani del Sonno spariscono sotto al suo mantello prima di varcare il vortice violaceo da cui è apparso. L’aria torna immobile e sulla spiaggia restano solo loro due, Julian Solo e il marinaio Athanasios.

«E anche questa è fatta…», dice lo Sconosciuto, sgranchendosi le spalle. Si stiracchia le braccia, si allunga verso l’alto ed emette un mugolio di soddisfazione. «Però... bel bocconcino, s'è scelto, la cara Terra...»
«Non calcherà troppo la mano, spero…», domanda la voce di Julian.
«Naaa, non preoccuparti», lo rassicura lo Sconosciuto. «Il Sonno sa il fatto suo.»
Sarà, pensa il Mare, con una punta d’inquietudine.
«Senti», gli dice poi la voce di Athanasios. «Quello che ho detto alla Fanciulla vale anche per te.»
«Sarebbe?», gli chiede il Mare, sondandolo col suo sguardo azzurro.
«I tuoi guerrieri», dice Athanasios, raccogliendo una conchiglia vuota dal bagnasciuga. La valva di una vongola. Un granchio avrà pasteggiato per bene, si dice, prima di lanciarla contro il sole, a pelo dell’acqua. «Se vuoi riaverli indietro, puoi…»
«No», dice il Mare. Raccogliendo la valva lucida di una cozza, ed imitando il fratello. Il suo lancio increspa l’acqua per tre volte, poi più nulla.
«Bel tiro», commenta Athanasios, raccogliendo un po’ di munizioni. «Perché, no?»
«Perché», dice il Mare, pescando dalla mano del fratello, «l’ho promesso alla Fanciulla.»

E quando?, gli chiedono gli occhi di notte senza stelle dello Sconosciuto, mentre il Mare colpisce l’acqua per cinque volte. E poi capisce. Sotto il pergolato di limoni. Lo sguardo lunghissimo che si sono scambiati quei due. Un dialogo muto. Silenzioso. Una conversazione da amanti, quasi, e se lo Sconosciuto non sapesse che è impossibile che la Fanciulla si sia decisa a cedere le armi, sarebbe quasi pronto a fischiare d’approvazione, e a riempire la schiena del fratello di pacche virili.

«L’hai promesso, eh?»
«Ho dovuto», ribatte il Mare. «Ho dovuto, perché le ho già promesso che sarei rimasto a sonnecchiare nell’anima di questo ragazzo…»
«E richiamare indietro i tuoi guerrieri avrebbe significato che non sei poi così disposto a rispettare quella promessa.»
«Bravo», commenta il Mare, restando ad osservare le onde, le mani sui fianchi.
«Però! Sa il fatto suo, la Fanciulla…»
«Puoi dirlo forte», sospira la voce di Julian.
«Perché non molli?», gli chiede lo Sconosciuto, prendendo a prestito il lessico di Athanasios. «Perché non la lasci perdere?»
«Perché sono fatto così», risponde il Mare raccogliendo un tortiglione bianchissimo. Lo porta all’orecchio, poi dice: «Non si sente niente».
Lo Sconosciuto si stringe nelle spalle. Il Mare lancia la conchiglia a pelo dell’acqua.
«Sei cerchi!», esclama, divertito. Si volta verso il fratello con un sorriso trionfante.
«Sei cerchi», ammetto lo Sconosciuto. Poi prende un sassolino. Grigio. Liscio. Dagli angoli levigati dall’incessante lavorio della marea. «Sette cerchi», afferma. Poi prende la mira. E tira.  

 


Saint Seiya, ® Masami Kurumada, Toei Animation, 1986. Grafica ® Francine.




Note:
La tradizione attribuisce ad Ennosigeo il potere di provocare alcune forme di disturbo mentale, un po' come Dioniso e le Menadi. Qui, ho lasciato che la voce di Julian ipnotizzasse le orecchie della Terra. In fondo, il suono della risacca non è di per sé ipnotico?

Enosictono (=scuotitore della terra) è una versione arcaica di Ennosigeo. Il mito ci ricorda che Poseidone, che all'inizio era il compagno di Demetra, avesse il potere di scatenare i terremoti. ho scelto questo nome come se fosse un nomignolo da innamorati.

Dêmêtra (Dimitra) è la versione moderna del nome della dea, ed è un nome frequentemente usato in Grecia. Insomma, anche alla Terra piace la solfa del nomen, omen, al punto da scegliere il proprio involucro coi capelli di grano e gli occhi di cielo. Ovviamente, una fotomodella. Mica scema, la ragazza...

   
 
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