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Autore: BrokebackGotUsGood    26/04/2016    5 recensioni
Per Sherlock l'amore non è altro che uno svantaggio pericoloso. Riuscirà John a fargli ammettere di essersi...beh, sì, sbagliato?
«Credo di star attraversando una...u-una crisi d' identità, ecco».
[...]
«Di identità sessuale?»
«Per l'amor del cielo, non pronunci quella parola!!».

[Johnlock]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III








-1 nuovo messaggio-

Elizabeth McLean ha mentito.
È chiaro che si trovasse con David ieri sera, hai visto le macchie sulla sua gonna?
S

[2:23 p.m.]

No, Sherlock, non le ho viste le macchie sulla sua gonna.
[2:24 p.m.]

Strano, credevo che fosse il primo posto su cui avresti posato gli occhi.
[2:24 p.m.]

Non sei divertente.
[2:27 p.m.]

Dobbiamo interrogarla di nuovo e subito, prima che parta per Maidstone.
Incontriamoci davanti alla Quintin Kynaston tra mezz'ora.

[2:28 p.m.]

Sherlock, sono ad un appuntamento! Ma in effetti non pretendevo che te ne ricordassi.
[2:28 p.m]

Me lo ricordo, John, e temo che dovrai dire a...Kate? Katy? di avere una questione urgente da sbrigare.
[2:29 p.m.]

E se invece non volessi venire?
[2:30 p.m.]

Andiamo, a chi vuoi darla a bere? Se fossi davvero così interessato a quella ragazza non staresti messaggiando con me, rispondendomi tra l'altro in un'arco di tempo piuttosto breve, che varia dai quaranta secondi a un minuto.
[2:31 p.m]

Oh, adesso tardi volutamente a rispondermi per farmi credere di n
on aver ragione? Pensavo mi conoscessi, John.
[2:35 p.m.]

Sono sicuro che te la caverai benissimo anche senza di me. In fondo io "mi limito ad esprimere la mia meraviglia riguardo alle tue osservazioni", giusto?
[2:35 p.m.]

Oh, per favore, non dirmi che sei ancora arrabbiato per quello che ho detto ieri.
[2:36 p.m.]

John.
[2:38 p.m.]

Lo sai che ho bisogno del tuo aiuto.
[2:38 p.m.]

Sarei perso senza il mio blogger.
[2:39 p.m.]

Irrigidii la mascella e strinsi la presa attorno al cellulare senza rendermene conto, mentre una sensazione del tutto indesiderata di calore prendeva prepotentemente possesso del mio stomaco.
Dio, com'era possibile che una semplice frase da parte sua riuscisse sempre, sempre a far vacillare ogni mio tentativo di negargli qualcosa?
Già, perché malgrado io ci avessi  disperatamente provato innumerevoli volte, non ero mai riuscito a dirgli di no, qualunque fosse la sua richiesta o per quanto bizzarra essa potesse risultare: lui era sempre riuscito a trovare un modo per ottenere la mia accondiscendenza e ciò era dannatamente frustrante.
Perché cedevo così facilmente al suo volere?
«Vedo che il tuo amico è piuttosto insistente, forse dovresti andare» disse Katherine con tono esitante, guardandomi dall'altra parte del tavolo con i suoi dolci occhi marroni.
Oh, una parte di me sapeva di voler andare, sapeva di voler proseguire le indagini su quel caso che per mia sfortuna si stava rivelando così fottutamente intrigante.
Sapeva di voler rivedere Sherlock.
Ma per una volta decisi di lasciare che l'altra parte, quella orgogliosa e determinata, prendesse il sopravvento.

Tu intanto vai ad interrogarla.
Quando Katherine dovrà andare al lavoro ti raggiungerò e mi riferirai le parole della signorina McLean.

[2:41 p.m.]

Rimisi il telefono in tasca e sorrisi cordialmente alla ragazza, che ancora attendeva una mia reazione con malcelata speranza.
«No, può aspettare ancora un po'» risposi con una decisione di cui io stesso mi stupii, facendole fare un respiro di sollievo.
Intanto, però, c'era sempre quella minuscola e fastidiosa vocina nella mia testa che si domandava il perché di quella sceneggiata del "Più-sto-lontano-da-Sherlock-meglio-sarà-per-me" e, soprattutto, se servisse davvero a qualcosa.
Ovviamente sapevo già la risposta ad entrambi i quesiti.
La verità era che mi sentivo tremendamente, maledettamente confuso da ciò che era successo quella mattina; niente che qualunque altra persona normale avrebbe ritenuto così sconvolgente, a dire il vero, ma che era stato comunque in grado di scatenare una serie di strane sensazioni che non riuscivo più a scrollarmi di dosso.
Raccontandola brevemente, stavamo avendo una delle nostre normali e non rare discussioni e ad un certo punto io mi ero stufato di starlo a sentire, così avevo deciso di uscire a prendere un po' d'aria, ma prima che potessi raggiungere le scale Sherlock mi aveva fermato, mi aveva preso il volto tra le mani e mi aveva chiesto scusa; poi, senza distogliere lo sguardo dal mio, aveva fatto scorrere le mani lungo le mie braccia fino a raggiungere i miei polsi, che aveva stretto delicatamente.
E in quell'istante, Dio, il mio cuore aveva preso a battere talmente forte che avevo avuto paura potesse schizzare via dalla gabbia toracica; avevo sentito la gola stringersi, lo stomaco attorcigliarsi, il respiro mozzarsi.
Avevamo passato qualche secondo in quella posizione, dopodiché Sherlock, come resosi improvvisamente conto della situazione anomala, si era ricomposto e se n'era andato in cucina come se niente fosse accaduto, lasciandomi lì in piedi con un grande punto interrogativo (a cui se n'era subito aggiunto uno esclamativo) ad aleggiare sopra la mia testa, perché, diamine, in passato avevamo già avuto contatto fisico, anche se il più delle volte involontario o imposto da circostanze pericolose, eppure nessuna di quelle volte mi ero sentito in quel modo. Nemmeno io sapevo definire cosa esattamente si fosse mosso dentro di me, ma era stato...spaventoso.
Avevo avuto paura di quelle sensazioni.
Ed ecco perché avevo praticamente evitato Sherlock per il resto della giornata (e lo stavo ancora facendo).
Così ora eccomi lì, in un ristorante indiano con una ragazza di nome Katherine che, in teoria, avrebbe dovuto distrarmi da ogni pensiero riguardante due iridi cristalline e penetranti e due zigomi alti e marcati, senza però riuscirci completamente.




Una volta giunto al termine l'appuntamento, mi incamminai verso un piccolo parco dall'altra parte della strada e, percorrendo il sentierino sassoso che attraversava un prato dall'erba ben curata, tirai fuori il cellulare.

Ora posso raggiungerti. Sei ancora a casa della McLean?
[3:15 p.m.]

Mi sedetti un momento su una panchina rivolta verso alcuni scivoli e altalene e sospirai, inalando l'aria fresca di aprile.
Quattro o cinque bambini si rincorrevano spensierati, ridendo, gridando e salutando di tanto in tanto i genitori che, pur parlando tra di loro, tenevano sempre un occhio vigile sui propri figli.
A volte mi ritrovavo a pensare a come sarebbe stato. Avere dei figli, intendo.
Crearsi una famiglia, condurre un'esistenza tranquilla e normale.
Ci sarei riuscito, se le cose fossero andate diversamente? Dove mi sarei trovato in quel preciso istante se Mike Stamford non mi avesse mai presentato Sherlock? Se avessi trovato un appartamento per conto mio e se, magari, avessi trovato una donna con cui condividerlo per il resto (o, se non altro, per gran parte) della mia vita?
"Non prendiamoci in giro. Quale vita? Se non avessi mai conosciuto Sherlock Holmes non ce l'avresti nemmeno, una vita".
Già, era ora che mi rassegnassi a quell'evidenza.
Sherlock mi aveva regalato qualcosa di diverso dalla monotonia, dalla disperazione, dalla solitudine.
Mi aveva regalato giornate fatte di azione e adrenalina, di meraviglia e di stupore e, quando capitava, di té bevuto davanti al camino con le dolci note di un violino in sottofondo.
Mi aveva regalato una persona che fosse in grado di riempire i momenti vuoti con la sua sola presenza, anche restando in silenzio per ore; mi aveva regalato un amico.
No, non credevo proprio che avrei cambiato la mia vita insieme a lui con una ordinaria, così come non sarei mai riuscito a cambiare lui con nessuna donna.
Feci un lieve sorriso sghembo senza accorgermene, fissando il vuoto.
Poi mi resi conto del fatto che l'oggetto dei miei pensieri non aveva ancora risposto al mio messaggio o, se lo aveva fatto, non avevo sentito il suono della notifica.
Ripresi il cellulare e, quando vidi che effettivamente la scritta ''1 nuovo messaggio'' era assente, aggrottai la fronte: di solito Sherlock mi rispondeva quasi immediatamente, a meno che non fosse estremamente impegnato, cosa che ritenevo improbabile, dal momento che doveva soltanto porre delle domande alla sospettata.

Beh? Che stai facendo?
[3:20 p.m.]

Attesi di nuovo.
Una madre portò via sua figlia dal parco e la bambina si mise a fare i capricci; un ragazzo e una ragazza mi passarono davanti camminando mano nella mano; una signora anziana si sedette sulla mia stessa panchina.
Passarono due minuti.
Tre.
Sei.
Ancora nessuna risposta.
''Andiamo, che diavolo stai combinando?''.
Poi ad un tratto, mentre cominciavo a pensare ad ogni possibile e plausibile causa per il suo ritardo, capii.
«Oh, adesso so a che gioco stai giocando» dissi a bassa voce, scuotendo la testa tra me e me con un sorrisino mezzo divertito e mezzo esasperato.

Cos'è, adesso sei tu ad ignorarmi per farmela pagare? Molto maturo da parte tua.
[3:26 p.m.]

Se la mia teoria era corretta, avrei dovuto insistere un bel po' prima di farlo capitolare e la cosa mi irritava non poco.

Senti, non puoi comportarti così solo perché ho deciso di rimanere ancora un po' con Katherine. Sarei venuto subito con te se si fosse trattato di qualcosa di più impegnativo di un interrogatorio.
[3:27 p.m.]

Comunque avevi ragione, sai. Non è poi così interessante.
[3:29 p.m.]

Sherlock.
[3:31 p.m.]

Per l'amor del cielo, mi vuoi rispondere?!
[3:34 p.m.]


Non riuscivo a credere che lo stesse facendo davvero. Perché mai mi chiedevo come sarebbe stato essere genitore? Avevo vissuto con un bambino fino ad allora!
Dopo altri due minuti d'attesa la mia pazienza raggiunse il suo limite, il quale si era abbassato notevolmente dal primo giorno in cui Sherlock era entrato nella mia vita e, rendendomi conto di star sprecando tempo e credito residuo, decisi di mandare al diavolo lui e il suo essere fastidiosamente -adorabilmente- permaloso.

D'accordo, come vuoi tu. Io vado a fare un giro, allora.
[3.36 p.m.]

Sospirai rumorosamente e mi alzai dalla panchina, incamminandomi a passo veloce verso i cancelli all'uscita del parco, ma prima che potessi raggiungere la strada il mio cellulare, il mio dannato cellulare, finalmente emise quel suono che avevo pazientemente atteso per venti minuti.
Lo feci quasi cadere, tanta fu la fretta con cui lo tirai fuori dalla tasca dei pantaloni; quando lessi il messaggio, invece, temetti che sarei stato io quello a finire a terra.

Aiuto
Baker St

[3:37 p.m.]

Per un attimo fu solo vuoto.
I rumori attorno a me divennero ovattati, i colori sfocati.
Il battito cardiaco assente.
«Cristo santo...» buttai fuori in un soffio, muovendo a malapena le labbra e barcollando lievemente, come se sentissi il terreno cedere sotto i miei piedi.
Poi, una volta ripreso il controllo dei miei sensi, non esitai un secondo di più e mi precipitai a rotta di collo verso il marciapiede per chiamare un taxi.
Fortunatamente non dovetti aspettare molto prima di riuscire a fermarne uno; salii velocemente, chiusi la portiera con un po' troppa forza e, senza disturbarmi a trovare una posizione decente sul sedile, mi sporsi in avanti verso il posto del guidatore.
«Baker Street» dissi al tassista con una più che evidente nota di urgenza e agitazione nella mia voce. «Faccia più in fretta che può!».





Nonostante stessi cercando con tutto me stesso di non farmi prendere dal panico, salii le scale a due a due e tirai subito fuori la pistola, assicurandomi che fosse carica; la porta del nostro appartamento era aperta come sempre e non appena giunsi al centro del salotto, l'arma puntata prontamente davanti a me, cominciai a guardarmi attorno.
«Sherlock!» gridai, non vedendolo né lì né in cucina.
Cercai di calmare il respiro e il battito cardiaco.
«Sherlock» ritentai, stavolta con voce più bassa.
Non ricevetti risposta e dopo essermi accertato che non ci fosse nessuno nemmeno in bagno e nella camera da letto di Sherlock, salii velocemente le scale che portavano al pano superiore, ignorando il nodo soffocante impossessatosi della mia laringe ; ''Dio, ti prego, fa' che stia bene'' implorai mentalmente e, sul serio, se gli fosse successo qualcosa non avevo idea di quale sarebbe stata la mia reazione (e non ci tenevo nemmeno a saperlo).
Benché non fosse decisamente il momento per lasciarsi sopraffare dai sensi di colpa, non riuscii a fare a meno di pensare che, mentre di solito eravamo sempre l'uno accanto all'altro nei momenti di pericolo, pronti ad aiutarci a vicenda, quella volta lo avevo lasciato da solo per la ragione più futile di questo mondo.
Se fossi stato con lui avrei potuto proteggerlo.
''No, John, non adesso: resta vigile e concentrato''.
Spinsi piano la porta della mia camera, facendola cigolare sui cardini, e strinsi di più la presa sul calcio della pistola.
In ogni angolo della casa regnava il silenzio più totale, nulla si muoveva, nulla emetteva suoni o rumori e non c'era nemmeno qualche indizio che facesse pensare ad un'irruzione: tutto sembrava esattamente al suo posto e perfettamente normale, anche lì dove mi trovavo.
Poi accadde tutto in una frazione di secondo.
Un'anta dell'armadio si aprì di scatto con un rumore secco, rivelando una figura femminile che inizialmente non riuscii a distinguere: l'istinto mi disse di sparare e lo feci, una, due, tre volte, ma, nonostante la vicinanza, a causa dell'incredibile agilità della donna i proiettili andarono a conficcarsi nel muro; si riparò dietro il letto e, dannazione, scoprii che anche lei era armata quando cominciò a sparare da sotto di esso, non sfiorandomi la gamba sinistra solo per pura fortuna.
Balzai sul materasso sia per evitare i colpi che per tentare di sorprenderla dall'alto, ma mi pietrificai improvvisamente quando vidi che, una volta alzatasi, stava stringendo Sherlock per il collo, puntandogli la pistola alla tempia.
Fu solo allora che la riconobbi: Elizabeth McLean.
«Non faccia un passo o lo ammazzo» mi minacciò con un ringhio, cominciando a spostarsi verso la porta. «Metta giù la pistola e tenga le mani in vista».
Guardai Sherlock con il terrore negli occhi, non solo perché le sue cervella sarebbero potute saltare da un momento all'altro, ma anche perché notai qualcosa di palesemente anomalo in lui: sembrava sotto l'effetto di qualche sostanza, e questa volta credevo proprio che non se la fosse somministrata lui stesso.
Avrebbe anche potuto essere qualcosa di letale e ogni momento passato ad esitare avrebbe potuto costargli caro.
Bastò quel solo pensiero a farmi obbedire all'ordine di Elizabeth: gettai la pistola sul letto e alzai lentamente le mani, che presero a tremare impercettibilmente.
Passarono istanti che sembrarono durare una vita intera e io continuai a tenere gli occhi fissi sul volto per niente lucido di Sherlock; dopodiché la donna lo lasciò andare bruscamente, uscì dalla stanza con uno scatto felino e pochi secondi dopo era già fuori dall'appartamento, trovando però l'edificio già circondato dalla polizia.
Sospirai di sollievo: fortunatamente Lestrade aveva sempre un ottimo tempismo. 
Dopo essermi ripreso almeno in parte dallo shock di tutto ciò che era successo nell'arco di cinque minuti, potei finalmente fiondarmi su Sherlock, sdraiato malamente sul pavimento, e gli presi il viso tra le mani.
«Sherlock? Sherlock, riesci a sentirmi?».
Tutto ciò che ricevetti in risposta furono dei mugugni, delle parole non collegate tra loro e... il mio nome.
«J-John...» disse a fatica, aggrappandosi alla mia giacca con le forze che gli erano rimaste.
Lo sollevai e lo strinsi al mio petto, posandogli una mano sulla nuca e cercando di tranquillizzarlo. «Sì, Sherlock, sono qui. Va tutto bene adesso»
«John, st...stai...con me».
Ebbi un tuffo al cuore.
Me lo chiese in maniera quasi supplicante, con lo sguardo smarrito.
«Sempre» risposi con voce spezzata. «Non ti abbandonerò mai più. Dio, mi dispiace tanto, Sherlock...».
Mi separai da lui quando Lestrade fece la sua comparsa alla porta con il fiatone e gli occhi sbarrati.
«Dio mio, state bene?» chiese preoccupato, guardando alternatamente me e il corpo sempre più debole di Sherlock che tenevo tra le braccia.
«Io sì, ma dobbiamo portare subito Sherlock in ospedale» risposi frettolosamente, non perdendomi a dare spiegazioni.














Ed eccomi qui dopo aver fatto passare altre due ere glaciali dall'ultimo aggiornamento :')
Sarà così almeno fino a giugno, mi dispiace :c
So che probabilmente vi aspettavate la reazione di John alla curiosa ricerca di Sherlock, ma non si può dire che comunque non si sia ritrovato a fare i conti con i sentimenti, no? XD E poi la questione si riaprirà alla fine, don't worry.
Sinceramente non so quanti capitoli avrà questa storia (non molti, comunque. Forse cinque o sei in tutto), è partita come un esperimento e perciò sto praticamente improvvisando (e nonostante ciò mi avete lasciato delle recensioni stupende e vi ringrazio di cuore per questo), quindi...ecco.
Nel prossimo avrete chiarimenti sul caso McLean e...beh,dicamo che John finalmente si sveglierà :)
Ci sentiamo!
Baci
Melissa
   
 
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