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Autore: Selenity    26/04/2016    0 recensioni
"Chino il capo, disperata e incredula. L'altro ragazzo mi posa una mano sulla spalla e io lo respingo. Vorrei piangere ma non riesco, ondeggio stringendo la testa del ragazzo ormai senza vita. Sento le sirene della polizia avvicinarsi, vedo degli uomini che mi parlano con toni pacati, cercando di calmarmi, di allontanarmi da quel corpo ancora caldo. Non reagisco. Mi limito a cullare quello che una volta era un ragazzo allegro e coraggioso. Una lacrima, una sola lacrima, mi scivola sulla guancia e cade sul viso che stringo tra le braccia, mischiandosi al sangue." I primi capitoli sono un pò lenti e servono solo da introduzione alla storia e per presentare i personaggi.. già dal IV si entra più nel vivo della situazione
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto entrando.
Nella stanza ci sono sette persone davanti ai giornalisti e ai segretari. Mi accomodo tra esse, a disagio: il nuovo direttore, la vecchia moglie del defunto caporedattore, la nuova segretaria e la nuova assistente, i due nipoti del nuovo direttore e lui, un ragazzo mai visto prima che pare capitato lì per caso.
Un cenno di Marco, il direttore, mi indica che sono in ritardo e che indugiare sulla porta è sconveniente, perciò mi siedo vicino a Irma, la vecchia, e a Laura, la nipote di Marco.
Cerco di essere affabile, sorrido, saluto tutti e mi presentano il nuovo ragazzo, Matteo, seduto quattro posti più in là.
Dentro di me sbuffo indignata: otto persone per fare il lavoro di due sole. Assurdo. E di queste otto sei sono convinte di essere le migliori e che il precedente direttore si sia ucciso perché incapace di gestire il giornale. Solo io so la verità. Solo io so che è morto a causa delle continue pressioni di quei sei. Lo conoscevo bene, eravamo amici nonostante avesse quasi cinquant'anni più di me. Lo hanno portato sull'orlo della follia, lo hanno reso pazzo, e poi lo hanno spinto ad andarsene.
A pensarci bene è strano che mi abbiano chiesto di continuare a lavorare qui dopo la sua morte: mi hanno sempre odiata, dietro i loro ipocriti sorrisini. Forse perché sono talmente incapaci che perfino una ragazzina come me può sembrare loro una minaccia.
Davanti a noi sono assiepati i dipendenti, dalle facce annoiate e spente: si vede lontano un miglio che restano a lavorare lì solo in virtù della crisi. In effetti “Il Comitato direttivo” non è mai stato benvoluto e la scomparsa del direttore ha solo accentuato la cosa: troppe preferenze, troppi favoritismi, vecchi che dovrebbero essere in pensione già da tempo e che invece si ostinano a competere con giovani ventenni. Mi riscuoto alle parole di Davide, l'altro nipote di Marco, adottato da piccolo e sempre attaccato alle minigonne di Laura :
“Mai come nell'ultimo anno il giornale ha venduto così tanto! É certo merito della nuova immagine della redazione, senz'altro più fresca e giovanile!”
Trattengo a stento le amare risate e, prima che Marco faccia partire l'applauso, prendo la parola. Non mi risulta che le cose siano proprio così, anzi! Da quel che so è stato un anno di perdite ingenti e scarsi guadagni. E vorrei aggiungere che la colpa è dell'inettitudine di quei sei stupidi omiciattoli. Ma non lo faccio, ben sapendo che una lite non è quello di cui ho bisogno. Mentre parlo mi accorgo di un gruppetto di giornalisti freschi di laurea che sogghignano e si danno gomitate: succede sempre così, ormai sanno che sono io il bastian contrario, l'unica che può opporre una qualche resistenza al 'Comitato direttivo'. Loro sono i giornalisti alle mie dirette dipendenze, fanno infatti parte della sezione sportiva e della sezione di cronaca nera. Sono le due sezioni più inutili del nostro giornale, considerando che scriviamo di ciò che accade in una cittadina piccola e dimenticata da tutti, dove le notizie fanno prima a passare di bocca in bocca che dalle pagine di un giornaletto come il nostro, dove la squadra di calcio è sempre ultima in classifica e dove l'ultimo omicidio risale a trent'anni fa, quando un turista ubriaco investì per sbaglio un altro ubriaco. C'è stato poi il caso del vecchio direttore, che si è buttato dalla finestra di casa sua in circostanze poco chiare, anche su quello Irma mi aveva impedito di scrivere anche solo mezza frase, preferendo occuparsene di persona, come fa ogni volta che accade qualcosa di vagamente interessante in città. A me e ai miei ragazzi non rimane quindi altro da fare che scrivere noiosi pezzi su noiose partite di calcio dal risultato scontato, cercando allo stesso tempo di rimediare ai torti e ai disastri commessi da Marco, Irma, Davide, Laura e le assistenti-segretarie. Il pregiato, stimato e amato 'Comitato direttivo' è infatti composto da persone incompetenti, che non sanno neppure come si scrive un articolo ma che sono convinti di essere i migliori, i più intelligenti, i più bravi... senza accorgersi che perfino Eulalia, la più timida e goffa delle segretarie, è dieci volte migliore di loro.
Nessuna sorpresa, quindi, quando Irma interviene a difendere il povero e piccolo Davide:
“Eh no! Basta con questa storia! Non è vero! Ho qui gli scontrini del fisco che lo dimostrano!”
“Ma io pensavo che, dato che abbiamo venduto meno del solito...”
Non riesco a finire la frase perché anche Marco, con la sua falsa gentilezza, mi zittisce, lasciandomi intendere che io di economia non capisco nulla ed è meglio che stia zitta.
Fumante di rabbia mi appoggio allo schienale e incrocio le braccia: è vero, non sono un'economa esperta, ma rispetto una che chiama 'scontrini del fisco' le ricevute fiscali credo di avere qualche nozione in più.
Il resto della riunione è un'opera tragicomica. Nel senso che non so se ridere o piangere. Nel dubbio rimango impassibile. É la fiera delle vanità e delle falsità: vengono illustrati progetti già approvati e decisi da tempo travestendoli malamente da proposte.
Ogni tanto qualche giovane giornalista prova a ribattere o ad avanzare qualche dubbio, ma viene subito ridotto al silenzio più o meno gentilmente. In me intanto cresce la rabbia: talvolta provo a intervenire ma mi trovo sempre in disaccordo con le illuminate idee di Irma, e sono sempre costretta a ripiegare e a darle ragione, perché il 'Consiglio direttivo' deve mostrarsi unito e compatto di fronte ai dipendenti. Su questo sono d'accordo anche io. Non sono invece d'accordo con quasi tutte le loro proposte e questo spiega come mai io non sia mai stata invitata alle loro riunioni informali, tenute probabilmente a casa di Irma tra un caffè e l'altro. Ennesimo segno di disorganizzazione.
Alla fine rinuncio e mi chiudo definitivamente nel mio ascolto passivo: so già come finirà. Si creerà confusione, alla redazione nessuno saprà cosa fare e il giornale, come l'anno scorso, rischierà il fallimento. Bisognerà sistemare le cose e risollevare le sorti dell'azienda a prezzo di lunghe e frequenti notti in bianco. Ovviamente sapendo che il merito se lo prenderanno Irma, Davide e Laura, più naturalmente Marco, senza che nessuno di loro si accorga dello scampato pericolo o muova un dito per evitarlo.
Quello che succederà è ben chiaro a tutti nella sala, come testimoniano le occhiatine divertite e solidali del mio gruppo di giornalisti, o quelle delle ragazze della segreteria, o ancora le altre giornaliste o gli impaginatori. Li ignoro con un sorriso mesto e sto per sprofondare nello sguardo apatico che indica che ho smesso di rispondere quando noto il nuovo ragazzo, Matteo, che distoglie gli occhi non appena mi volto verso di lui. Non ho ancora ben capito chi sia e cosa faccia qui in redazione, Marco aveva solo accennato a un nuovo ragazzo che sarebbe rimasto con noi per qualche tempo, un paio di mesi forse, e che sarebbe stato affiancato a qualcuno della redazione per imparare. Imparare cosa non è dato saperlo, in un giornale come questo non si hanno grandi occasioni di imparare a essere un vero giornalista!
Lo osservo attentamente: sembra sveglio e deciso, anche se forse è timido. Non pare un raccomandato o uno della pasta di Davide e Laura. Chissà cosa farà qui dentro e che squilibri creerà tra i fantastici membri dello staff!
Dopo poco finalmente la tortura finisce: i ragazzi sono liberi di andare a casa, mentre noi otto siamo costretti a restare. Altro segno che il nostro giornale sta andando a rotoli è il fatto che alle 20:00 precise siano tutti liberi di andare e la stampa sia già avviata, tranne in casi eccezionali, come quando si deve risollevare il giornale dalla crisi. Nelle redazioni normali fino all'ultimo si lavora per aggiungere notizie, correggere refusi... qui no. É già bello se il giornale esce ogni giorno, con le stupide direttive cui dobbiamo adeguarci.
Usciti tutti Irma, con il suo solito atteggiamento da donna in carriera super impegnata, inizia a parlare: “Possiamo sbrigarci per favore?! Io ho un sacco di cose da fare e trovo sia inutile questa riunione!”
Sbuffo, bene conscia del fatto che si tratta solo di una delle solite recite, e altrettanto consapevole che quella riunione sarà davvero inutile. La mia vena ottimista tuttavia mi impedisce di andarmene e mi dispongo ad ascoltare nel modo più propositivo possibile.
Dopo la solita tiritera sull'importanza del giornale, Marco ci chiede se abbiamo qualche proposta diversa da quelle appena esposte. Alzo la mano, come a scuola, e dico che dovremmo forse darci un' organizzazione più schematica, più funzionale, per esempio non si può più fare come l'anno scorso, durante il quale nessuno aveva ben chiari i propri compiti.
Vengo zittita:”Che ne sai tu? Sei in fondo ancora una bambina!”
“Lascia fare a noi! L'anno scorso ha funzionato tutto benissimo, sarà lo stesso quest'anno!”
Vorrei urlare che se l'anno scorso è andato tutto bene non è certo stato per merito loro, ma la presenza del nuovo ragazzo mi trattiene.
Dato che non ci sono altri interventi Marco ci spiega, finalmente, che Matteo è stato mandato da noi allo scopo di trovargli un lavoro, seppur temporaneo, perché 'in una situazione di estrema indigenza', come recita la scheda mandataci dalla Caritas. Durante la lettura di questo documento noto come gli altri lo guardino con disprezzo mal celato mentre Laura, troppo stupida per sapere cosa vuol dire 'indigenza', continua a limarsi le unghie.
Mi sento dispiaciuta per il ragazzo, non tanto per la sua povertà quanto per le parole di Marco: provo vergogna al posto del direttore. Matteo infatti, pur rimanendo impassibile, si è irrigidito sulla sedia e ha serrato le labbra, alzato gli occhi sul volto di tutti noi, fiero e quasi pronto a sfidare chiunque osi dirgli qualcosa. Irma è palesemente urtata dalla reazione silenziosamente orgogliosa di Matteo, lo capisco da come lo guarda. Io invece approvo: finalmente uno che non si abbassa a leccare i piedi della gente.
Marco gli chiede a chi preferirebbe affiancarsi e lui, dopo aver fissato i nostri volti soffermandosi forse un secondo di più sul mio,dice che non lo sa, che per lui è uguale, indifferenza testimoniata anche dalla sua alzata di spalle: “Non voglio creare fastidio, scegliete voi!”
Immediatamente esclamo:” Se hai voglia puoi venire nella mia redazione!”
Al contempo Irma, dopo essersi consultata con lo sguardo con Davide, grida: ”Bhe, per me potrebbe seguire Dafne nello sport e nella cronaca nera! Non darebbe fastidio a nessuno!”
Ci guardiamo, stupite e sospettose: è raro, anzi, impossibile, che siamo d'accordo su qualcosa, poiché ognuna crede che l'altra voglia danneggiare l'avversaria.
“Molto bene, se Matteo non ha problemi seguirà Dafne” conclude Marco congedandoci.
Io e Matteo siamo gli ultimi a uscire, nonostante Laura, incapace di sedare i suoi ormoni, abbia cercato in ogni modo di avvicinarlo, vanamente.
Mi intimidisce, per quanto sembri assurdo, questo ragazzo. Non è solo il fatto di non conoscerlo, è più il timore del suo giudizio. Abbiamo solo scambiato qualche frase di circostanza prima di arrivare alla porta, dove siamo investiti da gran parte dei ragazzi della redazione. Come ogni volta si sono attardati per aspettarmi, nascosti in qualche bar per non farsi vedere da Irma, Marco e gli altri, ma stavolta li hanno visti passare e mi hanno raggiunta all'uscita dell'ufficio.
Hanno abbandonato la rabbia da tempo, ormai, e con ironia mi chiedono come è andata. Normalmente mi sarei fermata con loro e, pur rimanendo fedele alla linea 'il consiglio direttivo è unito', avrei scherzato con loro, ma stasera sono abbastanza stanca e di malumore, e inoltre c'è Matteo, di cui so troppo poco per parlare apertamente dei miei stimati colleghi. Ma, con mio grande stupore, è lui che risponde: “Tante chiacchere vuote e false!”
Lo guardo sorpresa e scorgo un cupo sorriso, a cui rispondo. Restiamo qualche minuto per strada, alcuni fumano, altri chiaccherano. Matteo ci saluta dopo poco, sorridendomi coi suoi denti un poco storti che danno un aspetto assurdamente rassicurante al suo viso.
“Forza, andiamo a bere una cioccolata!” mi esorta Luca, uno dei più fidati giornalisti di cronaca. Sorrido tra me e me. Loro sono tutti ragazzi dai venticinque anni in su, appena usciti dalle Scuole per Giornalisti, mentre io sono solo una ragazzina di vent'anni, al secondo anno di università e paradossalmente mi sono trovata a dirigerli. Eppure non me ne vogliono male, spesso mi trattano come una loro pari se non, addirittura, come una sorta di capo davanti al quale non si deve sgarrare. Però hanno il vizio di considerarmi una bambina per quanto concerne le abitudini: mi offrono cioccolata, non birra, a mezzanotte, massimo l'una, a casa.
  
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