Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Carme93    26/04/2016    0 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo quarto

La profezia

«Al!».
«Ciao, ragazze» rispose il ragazzo, senza sollevare gli occhi dal libro che stava leggendo.
«Ma tu studi sempre?» chiese Cassandra Cooman.
«No. Non credi che basta Rosie a fare domande sceme?».
«Studia sempre. Ma faremo in modo che non faccia la fine di Molly» disse Rose, chiudendo il libro di Aritmanzia del cugino, ignorando le sue proteste.
«Rosie, ti prego. La De Mattheis ha segnato un mare di compiti!».
«Abbiamo bisogno di te» disse Rose tirando fuori una pergamena dalla tasca e spiegandola sulla scrivania. Vi era disegnato alla meno in meglio quello che sembrava l’interno di una villetta con indicazioni sommarie sulle varie stanze.
«Che roba è?».
«La villa di mia zia Sibilla».
Albus osservò entrambe le ragazze. Aveva anche paura di chiedere spiegazioni: sentiva già odore di guai.
«Ci sono delle cose che dobbiamo cercare ed abbiamo deciso di andarci stanotte, quando gli adulti saranno andati a letto».
«Voi vi siete fumate qualcosa!» sbottò Albus.
«Al, è fondamentale! Se i Neomangiamorte sono andati da lei, è perché si aspettavano di trovare delle informazioni».
«Ma non le hanno trovate, no?» disse esasperato Albus.
«Credo che non le abbiano cercate nel posto giusto» sussurrò Cassy, «Una volta quando io e Davie eravamo più piccoli siamo rimasti qualche giorno a casa di zia Sibilla perché mio padre aveva un convegno in Cina sulle nuove tecnologie e mia mamma l’ha accompagnato. Zia Sibilla aveva il vizio di bere la sera ed a un certo punto crollava e russava in modo insopportabile. Non aveva né la tv né altro e così io e Davie le mettevamo a soqquadro la casa per passarci il tempo ed in una delle nostre retate abbiamo scoperto un cassetto segreto. Quella casa è appartenuta alla mia omonima e c’è roba che le apparteneva e zia Sibilla non lo sapeva secondo me. E quindi nemmeno gli Auror. Quelle cose mi toccano di diritto».
«Non sarebbe più facile dirlo ai nostri genitori?» chiese Albus, rivolgendosi specialmente a Rose.
«No. Zio Percy ci ha spiegato che quando gli Auror confiscano qualcosa che fa parte di indagini deve trascorrere un tempo preciso prima che siano costretti a restituirli ai proprietari. Cassy li vuole prima e noi l’aiuteremo».
Albus gemette conoscendo la sua testardaggine. Non aveva dubbi del perché non avesse posto le stesse domande alla madre: lei avrebbe capito che non era mera curiosità culturale.
«Ragazze, non dite stupidaggini! Gli Auror hanno posto i sigilli alla villa! Commetteremmo una grave infrazione della legge!».
«Non lo sapranno! Entriamo e poi rimettiamo i sigilli al posto» replicò Rose.
«Allora il piano è questo: aspettiamo che tutti si addormentino; usciamo e ci allontaniamo un po’ dalla Tana; chiamiamo il Nottetempo e ci facciamo portare poco lontano dall’abitazione di mia zia; entriamo, prendiamo quello che mi serve e ce ne andiamo».
«Al, i soldi del Nottetempo ce li metti tu, ok? Perché mamma non mi dà più la paghetta. Si è fissata che non so usare i soldi…».
«No, no. Assolutamente no» disse Al, scuotendo la testa. «Voi siete pazze. Cioè ce n’è abbastanza per farci mettere in punizione fino ai diciassette anni! Uscire di casa di notte, da soli e senza permesso e ciliegina sulla torta c’è ne infischiamo dei sigilli imposti dagli Auror! Che non so se ricordate da chi sono comandati!? Vi do un piccolo indizio. Mio padre… Vi dice niente????».
«Al, stai andando in iperventilazione» commentò Rose.
«Mi farete diventare matto… sì, io lo so… pazzo, mi rinchiuderanno al San Mungo!» la ignorò lui, camminando nervosamente per la stanza.
«Noi ci andremo comunque con o senza di te» dichiarò Rose e Cassy annuì al suo fianco.
«Sta volta non vi seguirò e non vi darò nemmeno i miei soldi!» ribatté Albus. Smile, la sua fenice, emise una bassa nota melodiosa.

*

«Frank? Che fai qui?».
Il ragazzino si voltò verso il padre, che era appena entrato nella sua stanza da letto, e nascose ciò che teneva in mano dietro la schiena. Neville si accigliò, ma non dovette far domande, perché Frank si lamentò e tirò fuori un dito insanguinato. Lo bloccò prima che lo mettesse in bocca.
«Come ti sei tagliato?».
Il ragazzino gli mostrò il portafoto con il vetro in frantumi che teneva tra le mani.
«Quante volte ti devo dire che il vetro è pericoloso!» lo rimproverò Neville. Si sedette sul letto e gli prese la mano. «È solo un graffio, per fortuna». Estrasse la bacchetta e mormorando un incantesimo fece sparire il taglio.
«Grazie» disse Frank.
«Figurati. Ora dimmi perché lo stavi nascondendo. Non ne vedo il motivo. Reparo».
Il portafoto torno perfettamente integro.
«È una lunga storia» borbottò Frank.
«Finché non si mette a piangere Aurora sono a tua disposizione» replicò Neville.
Frank osservò la sorellina di a malapena un mese e mezzo, che dormiva beatamente nella culla vicino al letto. Ormai aveva imparato a prenderla in braccio, anche se aveva ancora paura di farla cadere. La piccola non faceva altro che mangiare, dormire e piangere (ed i suoi pianti erano più difficili da interpretare di una versione di rune antiche); da una parte non vedeva l’ora che iniziasse a parlare ed imparasse a camminare, dall’altra pensava che dopotutto stava meglio di tutti, proprio nella sua incoscienza. Sospirò e rispose al padre.
«Ti sembrerà assurdo ma Alice ed Augusta dicono di aver visto zia Elisabeth al parco. Così hanno preso il portafoto con la foto di mamma e degli zii e se la sono portati con sé per vedere se qualcuno la riconosceva. Accidentalmente però, mentre passavano dal campetto, li è arrivata addosso una pallonata; il portafoto è caduto e si è rotto».
«Ma perché anziché dirci la verità, ne avete comprato un altro?» chiese Neville indicando la nuova cornice sul comodino della moglie.
«Mamma ci tiene tantissimo, non volevamo darle un dispiacere e poi siete molto nervosi entrambi ultimamente».
Neville sospirò e si passò una mano sul volto. «Mi dispiace, Frank, siamo solo un po’ stanchi. Aurora ha scambiato il giorno con la notte e noi non riusciamo a riposare bene».
«Lo so, tranquillo. È per questo che non ti ho detto nulla. Volevamo risolvere il problema da soli».
«Avete comprato una cornice d’argento?!» disse sorpreso, mentre la osservava.
«Certo, doveva essere uguale a quella di prima perché la mamma non se ne accorgesse».
«Ma quella della mamma non è d’argento! Come vi è venuta una cosa del genere in testa? Come l’avete pagato?».
«C’è costato tutti i nostri risparmi» borbottò Frank.
«Oh, Frankie! Quante volte vi ho detto che potete dirci qualunque cosa? Certo, mamma si sarebbe arrabbiata, perché le tue sorelle non avrebbero dovuto toccare la foto sapendo che lei ci tiene tantissimo…».
«Ma mamma sarebbe stata contenta se davvero avessero trovato zia Elisabeth e poi mica l’hanno fatto apposta. E abbiamo cercato di rimediare».
Neville sorrise: «Ti faranno diventare matto quelle due. Non dovresti darle filo così tanto. Sono abbastanza grandi da assumersi la responsabilità delle loro azioni, sai?».
«Non credo».
«Vi darò metà dei soldi che avete speso, non di più e solo perché avete agito in buona fede. Mamma sarà contenta del nuovo portafoto, ma non ditele che vi è sembrato di vedere sua sorella. Non voglio che si illuda. Ha sempre sofferto molto per questa storia».
«Va bene».
Neville posò il vecchio portafoto sul comò e cominciò a cercare qualcosa nell’armadio. «Sai per caso dove mamma ha messo la tutina rossa di Aurora?».
«Di certo non nel vostro armadio. Guarda nel settimino. L’altro giorno ha riposto lì tutte le cose di Aurora. Nell’ultimo cassetto».
«Ah, sì giusto. Credo che me l’abbia anche detto» bofonchiò Neville.
«Posso andare in camera mia o mi devi dire qualcos’altro?».
«Vai, ma mi raccomando qualunque cosa non ti fare scrupoli a parlarmene».
Frank annuì; appena entrato nella sua stanza si buttò sul letto. Forse avrebbe dovuto parlargli di Calliance e gli altri almeno si sarebbe tolto un peso. Charles Calliance era un suo compagno di Scuola e di Casa che fin dal primo anno l’aveva preso di mira insieme ai suoi due scherani Alcyone Granbell e Halley Hans. A fine anno sua sorella e la sua migliore amica li avevano fatto uno scherzo che li aveva messi in ridicolo davanti a tutta la Scuola e li aveva fatti finire nei guai per vendicarsi, ma a quanto pare avevano capito perfettamente che era colpa loro ed avevano cominciato a scrivergli delle lettere con degli insulti. Tutta la situazione lo abbatteva particolarmente. Solo quella mattina ne aveva ricevute tre. Si sfogava con Roxi, la sua migliore amica, via lettera ma non era abbastanza. Trascorse quasi tutto il pomeriggio a lambiccarsi il cervello su questa cosa, finché non decise che ne avrebbe parlato con suo padre alla prima occasione che fossero rimasti da soli di nuovo. Poi si ricordò di non aver toccato libro, nonostante l’avesse promesso alla madre e si alzò di scatto. Non aveva la minima voglia di studiare e tra non molto l’avrebbero chiamato per la cena. Non si era nemmeno accorto del tempo che passava, nonostante la stanza fosse diventata buia. Si vergognava troppo a mentirle. Prese un libro a muzzo dalla scrivania e tornò a sedersi sul letto. «Cavoli» si lamentò, aveva preso proprio quello di Pozioni. Odiava Pozioni, era la materia in cui andava peggio ed erano giorni che la mamma gli diceva di lavorare su quella. Era stanco e nervoso, con un moto di stizza scagliò il manuale a terra.
«Frank, tutto ok?».
Il ragazzino sobbalzò e si voltò verso il padre, che lo osservava interrogativo appoggiato allo stipite della porta. L’aveva visto lanciare il libro?
«Ti devo parlare». Le parole gli uscirono dalla bocca senza che se ne rendesse conto e se ne sorprese lui stesso.
Neville annuì e si chiuse la porta alle spalle. Si sedette di fronte al figlio sulla sedia della scrivania, ma non prima di aver raccolto il libro da terra. Frank trattenne il respiro quando vide che il suo occhio cadde sul nome vergato a chiare lettere sulla prima pagina del libro: Albus Severus Potter.
«Perché hai il libro di Al? ».
«È una storia lunga».
«L’hai detto anche prima» gli fece notare pazientemente il padre, appoggiando il libro sulla scrivania.
«Sì, ma stavolta è lunga sul serio. Inizia dal mio primo anno ad Hogwarts».
«Ti ascolto».
Frank fece per parlare, ma si accorse di non sapere da dove iniziare o meglio non ne aveva il coraggio. Aveva pensato un milione di volte a quel discorso, ma nella sua fantasia era molto più facile: ora non ci riusciva.
«I-io… No niente… scusa non volevo farti perdere tempo… Volevo solo dirti che non ho studiato nulla nemmeno oggi».
«Sì, questo l’avevo immaginato. Sei stato tutto il giorno appresso alle tue sorelle. Però Frankie, non è questo che volevi dirmi. Sono giorni che sei nervoso e distratto. Perché?».
Frank tentennò un attimo, poi si alzò e tirò fuori dall’ultimo cassetto della scrivania un blocco di lettere e gliele porse. Neville le prese e ne lesse qualcuna.
«Di chi sono?» chiese infastidito.
«Non riconosci la scrittura?».
Neville sbuffò: «Avrò centinaia di studenti all’anno, Frank. Non ricordo la calligrafia di tutti! La conosco, ma non sono in grado di dire di chi sia».
«La maggior parte sono di Charles Calliance». Ecco l’aveva detto, si sentì lievemente più leggero, ma era solo l’inizio.
«E le altre? Fammi indovinare questa è di Hans? Dico bene?». Frank annuì. «Da quanto dura questa storia?».
«Le lettere o gli insulti?».
Neville lo fulminò con lo sguardo: «Entrambi».
«Le lettere da quasi tre settimane… gli insulti… dal settembre del primo anno».
«E PERCHÉ NON ME NE HAI MAI PARLATO PRIMA!?» urlò Neville. Frank non rispose, un po’ spaventato dall’insolita reazione del padre. Questi se ne rese conto e tentò di calmarsi, d’altronde non ce l’aveva con il figlio. Sedette sul letto accanto a lui e gli cinse la vita con un braccio. «Scusa non dovevo alzare la voce. Ma alcuni di questi insulti sono pesanti. Sinceramente non avrei creduto che dei ragazzini di tredici anni potessero scrivere certe cose! Perché non ti sei confidato con me?».
«Non volevo farti preoccupare e volevo cavarmela da solo. Pensavo che avrebbero smesso».
«Ma non l’hanno fatto».
«No, anzi. Sono diventati più pesanti».
«Ho notato. Ed il libro di pozioni che centra?».
«Charles ha usato l’incantesimo reducto sul mio» rispose mogio Frank.
Neville sbuffò: «Frankie, avresti dovuto parlarmene subito! È una cosa grave!».
«È stato nel periodo in cui mamma è stata poco bene e non era così importante da farvi preoccupare ulteriolmente».
«È vero, sarebbe stata una preoccupazione in più, ma è meglio affrontare subito le cose. Oppure avresti potuto parlarne con Ernie. Ti avrebbe aiutato senz’altro. O con Teddy».
«Non è così facile» borbottò Frank.
«Cosa?».
«Se tu, o comunque un altro insegnante, fossi intervenuto sarebbe stato peggio… gli altri non avrebbero capito… tutti penserebbero… insomma…» Frank non sapeva come esprimere il nodo cruciale della questione senza fargli dispiacere.
«Non è facile essere il figlio del prof, vero? A te viene più difficile che ad Alice affrontare la cosa».
«Come lo sai?» chiese sorpreso.
«Vi osservo sempre, sai? Anche se non intervengo, proprio perché so che dovete imparare certe cose da soli, ma alle volte avete ancora bisogno di noi. Ho cercato di non intromettermi davanti a tutti e trattarti sempre come gli altri, anzi magari alle volte sono stato più severo, per cui scusami».
«Tranquillo. I miei compagni però pensano che tu mi favorisca e che lo facciano anche gli altri professori. Mi punzecchiano sempre su questa cosa, io cerco di ignorarli e soprattutto di far in modo di non dare supporto alle loro accuse».
«Per questo tieni sempre un profilo basso a lezione?».
«Sì, anche perché questa storia è iniziata dopo il primo mese di Scuola. All’inizio mi piaceva intervenire o rispondere alle domande, poi loro però hanno iniziato a tormentarmi… così ho preferito starmene per conto mio».
«Raccontami che altro ti hanno fatto» chiese gentilmente Neville.
«Va bene, ma lo racconto a te e non al direttore di Grifondoro».
Neville lo osservò per qualche istante in silenzio, poi acconsentì: «Come vuoi. Posso benissimo affrontare la questione da genitore».
«Ma…».
«Niente ma» lo bloccò, «raccontami tutto e non mi nascondere nulla. Sono qui per aiutarti Frankie».
Quando Hannah più tardi entrò a chiamarli per la cena, li trovò ancora abbracciati a parlare.

*

«Al, è un idiota. Meno male che non può fare la spia… violerebbe il Codice dei cugini…» sbuffò Rose.
«Mmm stiamo vicine» replicò Cassy, che squadrava spaventata le ombre che i lampioni gettavano sul marciapiede. Era trascorsa da un pezzo la mezzanotte e le strade era quasi del tutto deserte quanto meno in quella zona. La ragazzina deglutì, quando un gatto passo veloce poco distante da loro due. «La villa è quella, andiamo… Rosie, ma sei ancora sicura? Io comincio ad avere paura… tu no?».
«Paura di che? Siamo Grifondoro».
Cassy non replicò e scostò il cancelletto arrugginito. Il giardino era incolto, ma sua zia non aveva mai avuto il pollice verde. «Qualcosa si è mosso» strillò terrorizzata, indicando un punto indistinto nell’erba alta.
«Ma che dici! È solo il vento».
Cassy non ne fu convinta, non era una serata molto ventosa, ma comunque si avviò verso l’ingresso. Rose toccò il nastro che copriva il massiccio portone di legno. Fu un attimo e poi vi fu un suono assordante, che le costrinse a coprirsi le orecchie. Per un attimo non capirono più nulla. Videro delle ombre e poi fu buio completo.
Quando le due ragazze ripresero i sensi, videro un gruppo di uomini con gli occhi puntati su di loro. La prima reazione di Rose fu cercare la bacchetta, ma non la trovò. Era disarmata. Poi si rese conto che indossavano una divisa scarlatta: erano Auror. Per un attimo si rilassò, poi la sua mente si mise in moto.
«Voi ci avete schiantato!» sbottò mettendosi a sedere.
«E dimmi signorina, che cosa ti aspettavi? Un comitato di benvenuto?» disse sarcastico un Auror, che Rose non riconobbe.
«Molto spiritoso! Abbiamo solo quattordici anni! Per chi ci avete preso?».
«Per quello che siete» replicò adesso duro lo stesso Auror, «Piccole delinquenti! Che intenzioni avevate? Rubacchiare?».
«Come si permette? Lei chi è?» disse Rose alzandosi e squadrandolo male.
«Qui le domande le faccio io. Immagino che non avete un documento d’identità, vero?».
«Ehm no» rispose Cassy, che si era tranquillizzata.
«Ora ci seguirete al Quartier Generale» disse l’Auror di prima e Rose comprese che era lui a comandare il gruppo.
«Non possiamo risolvere tra di noi?» tentò Cassy.
«Infatti, ci dispiace molto per avervi disturbato…» disse, invece, Rose, facendo per andarsene ma gli Auror serrarono i ranghi.
«Non siamo ladre. Abbiamo semplicemente sbagliato casa. Al buio… la stanchezza… queste villette sono tutte uguali…» riprovò Cassy.
«Sì, certo. È sempre per sbaglio avete fatto scattare l’Incanto Gnaulante, vero?» disse l’Auror prendendo per il braccio Rose.
«Mi molli! Non ha il diritto di toccarmi! Mi molli! Lo dirò a mio padre!».
«Stai tranquilla, che appena arriviamo al Ministero lo convochiamo noi tuo padre…».
«Lewis, non l’ha riconosciuta?» disse una voce. Un Auror che era rimasto nell’ombra fino a quel momento si fece avanti.
«Samuel!» strillò Rose.
«Ciao, Rosie. Sai che tuo zio ti ucciderà?» replicò il giovane.
«No, se voi non glielo direte» ribatté immediatamente lei, facendogli gli occhi dolci.
L’altro rise e si avvicinò alle due ragazzine: «Dì un po’ Rosie, hai idea di quello che tuo zio farebbe a noi se non gli dicessimo che qualcuno ha violato i nostri sigilli?».
«No, ma hai idea di quello che mi farebbe mia madre?».
«Credo che di mezzo non ci siano lunghissime guardie ad Azkaban… se ci va bene…».
«Sarebbe capace di tutto…».
«Ora basta! Harper, chi sono queste ragazze?».
«Mmm quella con i capelli castani non la conosco… la rossa è Rose Weasley».
Un forte mormorio si levò dal gruppo.
«È così sei la figlia del Vice Capitano…» disse Lewis, ripresosi dalla sorpresa.
«Già… Ora che è tutto chiarito, possiamo andare?» chiese Rose con la sua miglior faccia da schiaffi.
«Naturalmente no… Conners, manda un patronus al Capitano… Quanto a voi due… voglio sapere nome e cognome della tua amica e che cosa ci fate qui».
«Mi chiamo Cassandra Cooman e dovevo prendere delle cose che mi appartengono» sospirò Cassy.
«Che cosa?».
«Non sono affari suoi» ribatté la ragazzina.
«Oh, sì che lo sono… Comunque lo direte al Capitano… Non c’è problema…».
«Sul serio, non volevamo far male a nessuno… se voi ci aveste lasciato in pace a quest’ora saremmo già a casa… e saremmo tutti felici…». Rose aveva trascorso gli ultimi dieci minuti a tentare di convincerli in ogni modo a lasciarle andare.
«Sì, certo e si ritroverebbero nella sezione Centauri del Ministero…» replicò una voce dura ed a lei perfettamente nota.
Tutti scattarono sull’ attenti nel vedere l’uomo che si avvicinava, anche Samuel Harper che fino a quel momento aveva ascoltato divertito i tentativi di Rose di filarsela.
«Capitano, mi dispiace di averti buttato giù dal letto ma mi è sembrato doveroso» disse Lewis.
«Tranquillo, Rick. Non sei tu a doverti preoccupare. Fammi rapporto» replicò Harry Potter, incenerendo con lo sguardo le due ragazzine.
L’Auror riferì puntualmente quanto accaduto.
«Hai capito zio? Ci hanno schiantate!» provò Rose, ma l’occhiata di Harry le fece capire che forse sarebbe stato meglio tacere.
«Hanno l’ordine di schiantare tutti coloro che si avvicinano alla villa. Nessuno escluso» disse lapidario. «Che cosa stavate cercando? E pretendo una risposta».
«U-un taccuino, dei tarocchi e delle rune che erano appartenute alla mia omonima» rispose Cassy, evidentemente intimorita da Harry.
«Non abbiamo trovato nulla del genere. La mia squadra ha perquisito la casa con estrema attenzione».
«Mica tanto» borbottò Rose.
«Ci sono dei cassetti a doppio fondo» spiegò Cassy e poi gli raccontò di quando l’avevano scoperto lei e Davie.
Harry rifletté sulle sue parole e poi disse: «Rick ed Edward, andremo a controllare insieme. Cassy guidaci».
Rose non aspettò di essere invitata: quando lo zio tolse i sigilli con un incantesimo scivolò dentro insieme a Cassy. Lo zio le rivolse l’ennesima occhiataccia, ma finché non si fosse messo ad urlare le andava benissimo.
Cassy li condusse fino ad una stanzetta al piano di sopra. Era piccola, ma particolare. Il soffitto era incantato in modo che rappresentasse tutte le costellazioni ed i movimenti dei pianeti. I mobili erano pochissimi: un letto, una scrivania ed un cassettone. Si vedeva che più di una persona vi aveva rovistato senza particolare delicatezza.
«Allora?» la esortò Harry.
Cassy si avvicinò al cassettone ed aprì il primo cassetto, tentennò un attimo e poi si volse verso di lui: «Davie aveva già compiuto diciassette anni ed ha usato un incantesimo… tanto per giocare… la stanza è particolare e si chiedeva se ci fosse qualcos’altro… ma non so che incantesimo fosse…».
Harry si avvicinò e mormorò qualcosa, come Cassy aveva predetto il fondo del cassetto si sollevò; prese quello che vi era all’interno ed osservò preoccupato i suoi uomini. «Rick, controlla un po’ questo cassetto».
Si scambiarono un segno di intesa e l’Auror eseguì. «Magia nera» dichiarò dopo qualche secondo.
«Il taccuino è strappato, mancano delle pagine…» sospirò Harry. «Cassy, ricordi cosa c’era scritto?».
«Vagamente. Mi era sembrata una specie di diario personale… c’era un accenno ad una profezia, che lei aveva pronunciato… Cercava di interpretarla… Una cosa del genere…».
«E queste?».
«Tarocchi e rune. Le veggenti li usano alle volte».
«Controllateli» ordinò a Rick, mettendoglieli in mano, «Quanto a voi due, ora andiamo a casa. Domani avvertirò i tuoi genitori Cassy».
«Ma zio non puoi…».
«No, non posso. Avete superato ogni limite questa volta».

*

«Signore, c’è la signora Weasley».
«La faccia entrare» rispose Harry alla segretaria.
«Ciao, Harry».
«Hermione! Com’è andata?».
«Nulla di fatto ancora una volta. Flint ha richiesto nuovamente il rinvio del voto finale, quando ha visto che avrebbe potuto perdere… Non sono riuscita ad impedirlo».
Harry sbuffò e chiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Flint si è assicurato un certo appoggio… Non ci crederai, ma l’unico che stava ad ascoltare le mie ragioni era Malfoy…».
«Ha paura per Scorpius, Hermione» sospirò Harry, «Gli altri?».
Hermione si sedette nella sedia di fronte alla scrivania: «Michael Corner ritiene che sia un’idea fantastica…».
«Gli hai detto che cosa temiamo io e Terry?».
«Ha risposto che siete paranoici… soprattutto tu…».
«È un idiota».
Hermione ridacchiò e l’amico la guardò male. «E dai Harry, sei ancora geloso perché è un ex di Ginny? È un ottimo Capo Ufficio!».
«Sì, sì, vai avanti».
«Elias Dennis dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche mi ha dato ragione… Quel cretino di Cormac Mclaggen farebbe di tutto, anche buttarsi dal Tower Bridge, pur di darmi torto…».
«E poi sono io quello che non dimentica il passato» borbottò Harry.
«E Parkinson appoggia Flint in tutto e per tutto».
«Facendo i conti…» disse Harry pensieroso.
«Michael alla fine voterebbe no, ne sono sicura… è un ex-Corvonero… un uomo intelligente… i suoi figli sarebbero in pericolo… In definitiva, vinceremmo noi. Flint lo sa e per questo ha voluto prendere tempo… Però non so cosa voglia ottenere…».
Harry sbuffò: «Cosa? Hermione, su non essere ingenua… lavoriamo in questo posto da anni ormai… sono tutti degli squali… Flint farà girare un bel po’ d’oro…».
«Sì, ma chi si venderebbe per un po’ d’oro? Michael? Non ce lo vedo. Malfoy? Ne ha un sacco e per lui Scorpius è più importante di ogni altra cosa… Ed Elias l’ho sempre reputato un uomo corretto…».
«Quindi tu pensi che dobbiamo stare tranquilli?».
«Sì, non possono vincere loro».
«Quando sarà la prossima riunione?».
«Il dieci agosto».
«Non ci resta che aspettare, allora».

*


Harry stanco dopo alcuni controlli che si erano protratti per tutta la sera, entrò nella sua stanza da letto convinto di trovarla vuota. Ginny era stata mandata in Germania per un’intervista alla sua nazionale di Quidditch che aveva vinto l’Europeo; ma trovò Albus seduto sul letto a gambe incrociate e con in grembo Felpato, il cucciolo nero di labrador. Il nome l’aveva scelto lui e con gratitudine doveva ammettere che nessuno se n’era lamentato, anzi ne erano stati felici.
 «Al? Che fai qui? Credevo che stesse dormendo tutti».
«Ciao. Ti abbiamo lasciato la cena nel forno. Non mangi?».
«No, sono troppo stanco. Preferisco andare a dormire e tu?».
Albus sospirò e lasciò andare Felpato che scodinzolò felice verso Harry, che lo accarezzò distrattamente.
«Ho bisogno di parlarti. Capisco che sei stanco, ma è importante».
«Certo, ti ascolto. Di che si tratta?».
«Cassy».
«Sei preoccupato per lei? Non devi, stiamo cercando qualcuno che sia in grado di aiutarla a controllare il suo potere».
«Ha avuto un’altra visione».
Harry rimase con la mano in aria mentre stava per prendere la maglia del pigiama e lo guardò: «Che ha visto?» chiese a mezza voce.
«Me mentre prendevo una profezia al Ministero. In quella Sala di cui ci avete parlato».
«La Sala delle Profezie? Ne sei sicuro?» domandò Harry dopo aver deglutito vistosamente.
«Cassy ha detto che era un posto con scaffali altissimi pieni di quelle che sembravano palle con la neve».
Harry si lasciò cadere sul letto senza commentare ed Albus decise di dire tutto il resto subito.
«Rose dice che dobbiamo ascoltarla. Ehm se ti dico una cosa prometti che non ti arrabbi con nessuno dei tre?».
«Fammi indovinare vorreste entrare stanotte nel Ministero da soli?».
«Mmm il piano non è ancora definito. Rosie vorrebbe tirare qualcosa in più a zio Ron per capire se ci convenga meglio di mattina o di notte».
Harry sbuffò. «Gli uomini di Terry pattugliano la zona, nessuno può avvicinarsi di notte. Figuriamoci entrare senza essere fermati».
«Zio Bill aveva detto la stesse cosa a Louis, prima che Palazzo Flamel venisse attaccato».
«Al, mi stai dicendo che tu, Rose o Cassy sapreste usare la Maledizione Imperius su un agente scelto? O che vi permettereste davvero di ricorrere ad una maledizione senza Perdono? E loro non si sono già messe abbastanza nei guai?».
«No, no. Non sapevamo fosse così protetto».
«Diciamo che il fatto che Rufus Scrimgeour sia stato assassinato dentro il Ministero nel 1997 e pochi mesi dopo io, Ron ed Hermione siamo penetrati lì dentro, nonostante fossi il ragazzo più ricercato di Inghilterra, ha fatto, direi finalmente, pensare che ci fosse qualche problema di difesa. E la mattina non so quante possibilità avreste. In più lì comanda Richard Parkinson, non mi piace quell’uomo. Non si fa molti scrupoli».
«Mi stai cercando di dire che un’idea stupida?».
«No, Albus. Spero che a questo ci arriviate da soli e non siate così sciocchi. Non te lo perdonerei facilmente» disse fulminandolo con lo sguardo.
«Sì, tranquillo. Però che facciamo? Loro ce l’hanno la profezia, hanno strappato le pagine del vecchio taccuino di Cassandra Cooman con tutti i suoi appunti».
«Gli unici testimoni dell’esistenza di una profezia sono Cassy e suo fratello David… e non siamo nemmeno sicuri che abbiano capito bene quello che hanno letto anni fa» gli fece notare Harry, che torturava i capelli con la mano.
«E nel dubbio non dovremmo conoscere la profezia? Se io prendo la profezia in mano vuol dire che sono coinvolto. Io voglio rendermi utile».
«Sai Al, forse dovrei vietarti di trascorrere tutto il tuo tempo con Rose. Ti mette strane idee in testa».
Albus non replicò, anche perché il tono del padre era stato particolarmente aspro.
«Domani verrai al Ministero con me. Porteremo anche quelle due, così non ti tortureranno per sapere. Ora vattene a letto» disse bruscamente Harry.
Albus, però, rimase lì ad osservarlo.
«Allora? Non mi hai sentito?» domandò dopo aver finito di cambiarsi.
Il ragazzino sbuffò e si alzò: «Non capisco perché alla fine riesco sempre a deluderti! Sono venuto a parlare con te, nonostante Rose mi ucciderà. So benissimo che sarebbe stato stupido tentare di penetrare al Ministero di nascosto. Ti assicuro che non credo minimamente di essere un mago così capace. Scusa tanto, eh». Uscì dalla camera e Felpato gli trotterellò dietro. Harry si sorprese di quell’atteggiamento da parte di Albus; si sciacquò la faccia in bagno e cercò di riprendere il controllo, solo dopo si recò nella stanza del figlio.
«Al, perdonami. Sono molto stanco e nervoso in questi giorni. Hai fatto bene a raccontarmi queste cose. E Rosie ha ragione: abbiamo bisogno di conoscere la profezia sia che loro non la conoscano e soprattutto se la conoscono».
«Domani verrò con te e farò quello che mi dirai» fu la replica di Al, che si era sdraiato e gli dava ostinatamente le spalle.
«Al, voltati per favore», ma il ragazzino non si mosse, «Mi dici quand’è che mi avresti deluso? Non l’hai mai fatto, meno che mai questa sera. Te l’ho detto, sono solo nervoso».
«Come no?» si bloccò bruscamente Albus. «Io non ho preso nulla da te, a parte l’aspetto fisico. Bell’affare! Tutti non fanno che dirmi che non sono come te! Gli unici ad esserne contenti sono i professori…».
Harry non poté fare a meno di sorridere a quest’ultima affermazione del figlio. «In effetti non sono mai stato uno studente modello. La professoressa McGranitt non si capacitava di come in ogni cosa ci fossimo in mezzo io ed i tuoi zii. Per quanto Hermione ci abbia salvato molte volte. E poi perché dovresti essere come me? Tu hai il tuo carattere».
«Sì, ma io vorrei esserlo».
Harry si commosse alle sue parole e distolse lo sguardo per un attimo trovò interessanti i libri accatastati disordinatamente sulla scrivania del figlio e quello aperto di Difesa. Smile lo osservava intensamente, sembrava volesse a sfidarlo a far soffrire Al in qualunque modo. «Non so quanto ci guadagneresti. Sei migliore di me, questo è l’importante. Sei abbastanza assennato, da non commettere i miei stessi errori, molto spesso dettati dall’impulsività. Solo per colpa mia è morto Sirius. No, sul serio. Vorrei che tu ed i tuoi fratelli foste migliori di me».
«È per questo che ti sei arrabbiato tanto quando siamo entrati nella Foresta Proibita?».
«Anche, ma non certo perché hai violato le regole. Figurati, sai quante volte l’ho fatto io. Non è quello che mi interessa. L’onestà di una persona si comprende soprattutto nel modo in cui tratta gli altri a mio parere».
«Ma non sono alla tua altezza. Sono un disastro in Difesa. Posso imparare a memoria il libro e l’ho fatto, ma quando vado a duellare… non ci riesco… ho paura di sbagliare o non controllare l’incantesimo e quindi rischiare di far male al mio avversario… Robards si incavolava sempre, ma io proprio non ci riuscivo… Non volevo attaccare nessuno, nemmeno i Serpeverde! Sono uno scemo».
«Al, smettila di sminuirti per favore. Non sei uno scemo, sei solo molto sensibile. E si tratta di un pregio, non di un difetto. Io penso che tu ne prenda molto da tua nonna Lily e ti assicuro che dovresti esserne molto fiero. Era una donna fantastica. E per Difesa, l’importante è che tu impari gli incantesimi difensivi, non certo gli offensivi. Lascia stare Robards».
«Ti voglio bene. Scusa se ti ho risposto male prima. È che ci tengo al tuo giudizio ed alle volte mi sembra più difficile rendere fiero di me te piuttosto che la mamma».
Harry sorrise e disse: «Se fossi in te mi preoccuperei più della mamma».
Albus ricambiò il sorriso e lo abbracciò di slancio. «E comunque hai fatto bene prima. Ho parlato a sproposito. Anche io ti voglio molto bene. E domani non voglio che vieni e fai quello che dico io. Voglio che vieni e mi aiuti. Pensando a Sirius, mi sono ricordato che Silente ha cercato a lungo di nascondermi la verità per difendermi ed io ho combinato solo un sacco di disastri. Non voglio commettere il suo stesso errore. Anziché allontanarvi da me e mettervi in un pericolo maggiore, preferisco che mi aiutiate».

*

 «Potter, sei sicuro di quello che fai? Se ti stessi sbagliando tuo figlio potrebbe farsi molto male».
«Sì, Parkinson. Ne sono sicuro. Non far finta di preoccuparti per mio figlio; non è necessario».
Harry serrò la mascella e non aggiunse altro. La Sala delle Profezie gli riportava alla memoria solo brutti ricordi. Strinse la spalla di Albus accanto a lui. Dietro di loro procedevano Rose e Cassy. Chiudevano la fila Terry Steeval, Ron e Gabriel Fenwick.
«Ecco qua. È una profezia molto vecchia. Cassandra Cooman la pronunciò nell’800. È assurdo che crediate che si avvererà proprio adesso, dopo tutto questo tempo».
Harry ignorò Parkinson ed osservò il figlio in attesa. Avevano già parlato e non aveva intenzione di dire nulla di fronte a quell’uomo, che proprio non sopportava. Albus avanzò e allungò la mano verso la profezia indicatagli. Il silenzio divenne ancor più teso e quando il ragazzino la strinse tra le mani molti trattennero il respiro in attesa.
 
«Cave tibi mondo della magia
i tempi stanno per cambiare
nuova incurabile malattia
incombe, le tenebre minacciano di tornare
 
giovani virgulti, Esculapi novelli
gli abeti del Pelio beccheggianti nel blu
tutto è pronto: velatura, scotta, bozzelli
si schiudono le porte dell’avventura, si veleggi a sud.
 
In numero uguale agli immemori tomi
e alle virtù dello Stagirita;
si rovescino i troni
agli ordini di chi al potere preferisce la vita.
 
Spazzacamini redentori
le muse a voi innalzeranno cori
alla ricerca di una pace che sia tale
e non quale vedere si vuol fare».
 
«E che diavolo vuol dire?» sbottò Ron.
«Weasley, di che ti sorprendi? Le profezie non sono mai chiare» ghignò Parkinson. «Soddisfatta la vostra curiosità? Ora potete andarvene».
«Stai tranquillo, non è nostro interesse rimanere qui» replicò Harry.
Nessuno fiatò finché non raggiunsero il suo ufficio e vi si chiusero dentro.
«Allora secondo voi che significa?» chiese Harry osservando tutti i presenti.
«La mia ava era una pazza» borbottò Cassy.
«Poco ma sicuro» la sostenne Rose.
«La prima parte sembra scritta apposta per noi. Com’è che diceva?  Nuova incurabile malattia /incombe, le tenebre minacciano di tornare? È quello che sta succedendo…» disse Gabriel.
Harry prese un pensatoio, certo meno antico ed elegante di quello di Silente ma comunque funzionale, vi riverso dentro il suo ricordo e riascoltarono più volte la profezia, mentre Gabriel la trascriveva.
«Beh i nostri salvatori stavolta saranno dei giovani virgulti, Esculapi novelli, a quanto pare» commentò quest’ultimo.
«E la terza strofa dovrebbe dirci quanti sono, ma che sono gli immemori tomi e le virtù dello Stagirita?» aggiunse Harry.
Nessuno seppe rispondergli.
«E ci dice chi li guiderà» s’inserì Ron.
«Già. Chi al potere preferisce la vita» concordò Harry.
«E la quarta strofa? Alla ricerca di una pace che sia tale e non quale vedere si vuol fare?» chiese Gabriel.
Ma nonostante rimasero lì a ragionare per ore non ne vennero a capo.

*

«Buon compleanno, Capitano! Lavora anche oggi?» esordì un giovane Auror.
Harry sorrise e gli strinse la mano. «Non ho molta scelta, Maximillian. Grazie per gli auguri. Tu come stai?».
«Bene, grazie. So che qui in Gran Bretagna la situazione non è delle migliori, quindi non le chiederò come sta. È per questo che mi ha convocato?».
«Esattamente. Ho un nuovo incarico per te, qui in Gran Bretagna».
«Ottimo, sono felice di tornare a casa. Mi ero stancato di girare. Mia madre ne sarà felice. Di che si tratta?».
«Devi sostituire Robards nel suo ultimo incarico».
Harry lasciò che l’altro ci arrivasse da solo e non ci impiegò molto. Lo vide sgranare gli occhi. «L’ultimo incarico di Robards? Sta scherzando, vero?».
«No. Voglio che tu vada ad Hogwarts e che insegni Difesa Contro le Arti Oscure».
«No, sul serio con tutto il rispetto lei è pazzo. Mi ci vede a me ad insegnare?».
«Sì, hai sostituito più volte gli istruttori dell’Accademia e…».
«È successo quasi dieci anni fa e non è la stessa cosa. E poi è stato prima dell’incidente, da allora non sono più sceso in campo» replicò l’altro scuotendo la testa.
«Meno di dieci anni e l’incidente non ha diminuito le tue capacità, ma ti ha solo rallentato. Io sono sicuro che saresti bravissimo, sei un tipo che si adatta e sei in grado di farti apprezzare dai ragazzi… Naturalmente, puoi anche rifiutarti».
«Credevo fosse un ordine» replicò Maximillian sarcastico.
«In teoria lo è, ma dopo l’esperienza con Robards l’anno scorso… beh non possiamo commettere lo stesso errore. Non lo puoi fare per forza, gli studenti di Hogwarts arriveranno ad odiare tutti gli Auror. Robards non si è fatto amare, anzi».
L’altro rise. «Robards farsi amare? Immagino abbia traumatizzato metà Scuola! Ho visto allievi dell’Accademia scappare con la coda tra le gambe per colpa sua e per fortuna il direttore è Simon Scott e non lui, in caso contrario non ci sarebbe quasi più nessun allievo».
«È stato terribile, la professoressa McGranitt ha ricevuto un sacco di lamentele e si è scontrato anche con i suoi colleghi. È stato un errore. Vedi che comprendi? Sono sicuro che sapresti trovare il giusto equilibrio. Naturalmente puoi rifletterci, ma non troppo tempo. La professoressa McGranitt deve completare l’organico per il nuovo anno scolastico».
«No, non ho bisogno di riflettere. Mia madre mi ucciderebbe se tornassi a casa e dicessi che penso solo di rifiutare un incarico del genere. Accetto, ma non le prometto nulla. E poi è sicuro che la Preside sarà d’accordo?».
«Oh, sì tranquillo. Si ricorda di te a Scuola, ne è felice. Poi il professore Vitious è convinto che tu sia la persona giusta per prendere il suo posto».
«Un attimo, un attimo. Il professor Vitious? Non devo insegnare Difesa?».
«Certo, ma il professore è andato in pensione per cui qualcuno deve sostituirlo come Direttore della Casa di Corvonero».
«Eh? Dovrei farlo io?».
«Lui si fida di te».
Maximillian sbuffò: «Se le dico di sì, non è che esce qualcos’altro? Che so, ci mancherebbe solo che debba fare anche il vicepreside!».

*

«Buon compleanno!» urlarono tutti insieme, mentre Harry, Louis e Neville soffiavano insieme le candeline. I due adulti compivano quarant’anni ed il piccolo undici (in realtà Neville gli aveva compiuti il giorno prima, ma avevano deciso di festeggiare tutti insieme).
«Siamo stati bravi io e Frank a decorare il giardino, vero?».
Rose sollevò gli occhi su Albus per un attimo e poi tornò a giocare con i fili d’erba.
Il ragazzino sbuffò: «Ho capito che ce l’hai con me, ma non puoi continuare ad ignorarmi in eterno!».
«Posso eccome».
«Mi hai parlato!» disse Albus trionfante.
«Sei un cretino Albus Severus Potter! Diventerai peggio di Molly! Hai violato il nostro codice!».
«Merlino! Volevi entrare al Ministero di nascosto!».
«E tu sei andato subito a dirlo a tuo padre!».
«Non è stato meglio?! Tu sei già nei guai fino al collo! Se avessi fatto davvero una cosa del genere penso che zia Hermione ti avrebbe chiuso da qualche parte e buttato la chiave fino al compimento della maggiore età! Su dammi una possibilità…».
«Per la prima volta in quattordici anni mia madre è rimasta senza parole… Sai che soddisfazione!».
Albus per non contrariarla non le fece notare che zio Ron si era vergognato tantissimo.
«Al! Vieni a farti una foto con tuo padre!» lo chiamò Ginny.
«Arrivo!» rispose il ragazzo alzandosi da terra.
«Ehi Potter» lo richiamò Rose, «poi torna qui. So come puoi farti perdonare».
Albus deglutì preoccupato e raggiunse il resto della famiglia. Dopo un po’ tornò dalla cugina e le porse un piattino con un enorme fetta di torta. «Ho preso la fetta più grande per te».
«Ruffiano». Rose prese la torta e lo squadrò con calma. «Non pensare di cavartela così facilmente. Tra poco ti dirò che devi fare».
Albus sospirò e si allontanò per andare a chiacchierare con Frank, rassegnato al suo destino; in fondo se gli avesse chiesto qualcosa di impossibile avrebbe potuto sempre rifiutare. Prima o poi l’avrebbe perdonato. Rose, però, lo cercò solo molto più tardi. Si avvicinò a lui furtiva e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Molti degli adulti presenti li osservarono interrogativi. Ginny Potter gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
«Dai, Rosie…» tentò di protestare Albus.
«Non ti sto chiedendo nulla di difficile… se non fai una cosa così per me, forse non ci tieni davvero alla nostra amicizia…».
«Ci tengo ma…».
«Niente ma o lo fai o non lo fai… Vengo con te… insieme per sempre… ricordi il nostro patto?».
«Sì, me lo ricordo… andiamo e facciamola finita…».
Albus si guardò un attimo intorno: la madre stava parlando concitatamente con zia Angelina, probabilmente di Quidditch e nessuno degli adulti stava più facendo caso a loro. Raggiunsero la piscina gonfiabile senza che qualcuno chiedesse loro che intenzioni avessero. Salirono dalla parte opposta, completamente in ombra. Rose con un sorriso malandrino gli porse la mano e lui la strinse.
«Pronto?».
«Sì».
«BAGNO DI MEZZANOTTE!» urlò Rose, mentre insieme saltavano vestiti in piscina. Al suo urlo risposero tutti i cugini Weasley-Potter ed i vari amici, che di lì a poco li raggiunsero.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Carme93