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Autore: Infelicecronica    26/04/2016    0 recensioni
-Ma a nessuno importa veramente di lui. Sono io l' unica illusa che lo sta ancora aspettando, e che rimarrà su questa piattaforma grigia per sempre, ad aspettare qualcuno che potrebbe non tornare mai più; ma non ho altra scelta. Non posso uscire di qui, tornare a dormire, impormi di dimenticare, di dimenticarlo, e tornare a vivere come se non fossi mai stata nell' arena con lui, non lo avessi mai curato, nutrito, ingannato, fatto soffrire, fatto ridere, fatto arrabbiare, incoraggiato, insultato, spronato, ammirato, guardato, pensato, baciato; come se fosse stato tutto un lungo, lunghissimo incubo. Semplicemente, non posso.-
Mah, forse è scontato, ma ho pensato molto a come sarebbero andate le cose se Peeta (il mio personaggio in assoluto preferito della trilogia *-*) non fosse stato depistato...e, come ogni irrecuperabile, inguaribile romantica ho pensato di scrivere una serie dove lui è ancora il nostro ragazzo del pane. Nel primo capitolo mi sono voluta concentrare sulla coppia Haymitch-Katniss, e sul loro rapporto (a mio parere) molto profondo. I due stanno attendendo il ritorno della squadra inviata a Capitol City per liberare Peeta, e sono gli unici a non arrendersi di fronte alla possibilità che nessuno potrebbe più tornare da questa spedizione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una trentina di metri o poco più mi separano dall'hovercraft, i cui motori si stanno lentamente riaddormentando. Rimane solo il confuso vociare di infermieri e soldati del 13 nell'aria, assieme ad un odore di polvere e cemento mischiato ad una fragranza vagamente dolciastra e metallica, che non riesco ad identificare. Il portone d'accesso dell'hovercraft è spalancato, e gruppetti di quattro uomini alla volta ne entrano ed escono continuamente, chi scaricando armi, chi portando barelle, chi tenendo sottobraccio altri uomini dai volti contratti dal dolore. Devono essere i prigionieri liberati da Capitol City, non può essere altrimenti: pelle giallastra e ferita, guance ed orbite scavate dalla fame, ampi cerchi violacei sotto occhi stralunati e confusi. Improvvisamente vengo trafitta dal ricordo di un altro volto come quelli, il mio, riflesso nella porta a vetri oltre la quale i medici di Capitol City avevano amputato la gamba di Peeta, dopo che eravamo scampati ai primi Hunger Games. Una vocina dentro la mia testa mi ricorda che neppure adesso devo avere un aspetto migliore, con gli occhi gonfi e arrossati e i capelli arruffati e spettinati, ma non importa, lui sarà comunque felice di vedermi, molto felice. Il pensiero mi dipinge un leggero sorriso sulle labbra. I miei passi sono rapidi ma po' barcollanti mentre mi avvicino all'hovercraft e la vista mi si sta annebbiando rapidamente, ma non posso permettermi di cedere alla stanchezza, non proprio ora, quando manca così poco...allungo una mano per appoggiarmi all'ala dell'hovercraft, che ora è proprio davanti a me. “Delle garze, datemi delle dannate garze! Qui, garze!”Tuona una voce roca, per poi disperdersi tra le tante altre simili a lei. Mi volto, e a chiedere aiuto è un soldato sulla cinquantina, dalla spalle ampie e le folte sopracciglia grigie, inginocchiato accanto ad un fagotto viola, strappato e annerito in più punti. Un braccio latteo esce da esso, stendendosi ai piedi del soldato. “Garze! Gar-..” I suoi occhi grigi si fissano improvvisamente nei miei occhi grigi, incatenandoli. “Ghiandaia, questo ragazzo è di Capitol, è ferito, ha bisogno di..” “Garze.” Sposto lo sguardo sul volto del ferito, su suoi capelli ricci e neri come la pece. Il volto è una maschera di sangue. “Torno subito.” Le mie gambe iniziano a volare sul pavimento dell'hangar, leggere e sicure, e nella mia mente soffoco l'impulso di tornare indietro e correre via, lontano dal soldato, lontano dal ragazzo ferito, lontano da tutti. Verso un' unica persona, l'unica della quale io abbia bisogno, adesso. Peeta. Ma tutti, qui e ora, hanno bisogno di qualcosa. Afferro alcune garze da un tavolino che delle infermiere del 13 stanno allestendo e torno indietro. Il soldato è ancora lì, ma ora sostiene il capo del ragazzo ferito con le mani guantate. Una macchia rossa e scura si sta allargando sul pavimento intorno a loro. L'uomo alza la testa, mi vede, interrompe l'ennesimo comando che stava impartendo a tutti ma a nessuno, e mi strappa le garze di mano senza troppe cerimonie. Poi sembra ricordare qualcosa. “Grazie, Ghiandaia Imitatrice.” “Katniss” farfuglio, inciampando nelle mie stesse parole. “Solo Katniss.” Il soldato mi fissa per una frazione di secondo. “Allora grazie, Katniss.” Accenna un breve sorriso, poi dispiega le garze e inizia a tamponarle con forza contro il torace del ragazzo ai suoi piedi. Un gemito soffocato si leva dalla sua bocca, accompagnato da una schiuma rosa che gli esce dalle labbra. “Piano” Mi accovaccio accanto al veterano. “Con più...” cerco disperatamente la parola giusta. “Con più delicatezza. Così.” Prendo un'altra garza e la appoggio sul costato destro del ferito. Uno squarcio violaceo lo attraversa, lasciando intravedere il biancore delle ossa. Il petto del ragazzo si alza e riabbassa freneticamente con uno spasmo, e poi le sue palpebre si sollevano, le sue pupille dilatate si fissano sul mio volto. Le sue iridi hanno un colore così scuro da sembrare un unico, profondo pozzo nero con le iridi che racchiudono, e riesco a scorgervi il mio riflesso. Le labbra del ragazzo si schiudono, e i suoi occhi frugano disperatamente nei miei, mentre il dolore fa contrarre il suo volto sudato. “Vi-vicin-o” formula con le labbra. “P-più vi-vicino.” Il soldato del 13 mi guarda, incerto. “Dice a te, Katniss” Mi abbasso rapidamente sul torace del ragazzo ferito, posizionando l'orecchio destro proprio sopra le sue labbra ancora schiuse. Un odore acre di sangue e di fumo sale fino alle mie narici, pungendole, mentre il lieve respiro di questo ragazzo sconosciuto, di questo ragazzo che muore per una guerra che, in fondo, non è mai stata la sua, ma solo la mia, solletica i miei capelli. “Arber” sussurra pianissimo, ma tutto d'un soffio. “Ricordati il mio nome, Ghiandaia Imitatrice.” Un brivido gelido accarezza la mia schiena, seguito da uno sparo. Qualcuno urla, mentre il mio ventre esplode. “Ricordatelo mentre muori.”
   
 
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