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Autore: nikita82roma    27/04/2016    2 recensioni
Ziva è a Tel Aviv, Tony a Washington con il resto della squadra.
Sono passati 3 anni da quando lei decise di rimanere in Israele, ma un evento inatteso sconvolge le loro vite e le loro decisioni: Tony viene rapito e portato a Tel Aviv e solo Ziva che ormai non fa più parte nè dell'NCIS nè del Mossad viene contattata.
Comincia così un percorso difficile per capire la verità sulle reali motivazioni e su quello che questo vorrà dire per il futuro privato dei protagonisti ed anche di tutta la squadra dell'NCIS.
Tony e Ziva si ritroveranno uno davanti all'altra e ricominciare da dove erano rimasti non sarà facile nonostante i sentimenti reciproci non si siano mai sopiti.
"Tra due giorni sono 3 anni, o forse dovrei dire domani, dato che è già mattina. 1096 giorni, 1096 notti. E mi chiedo ancora perché. "
Storia ad alto contenuto TIVA :)
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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… I cannot run a bullet
Cause i’m no hero
But I would spill my blood for you
If you need me to   …

 

- Io in tutta questa vicenda non riesco a capire una cosa - sbottai parlando a tutti e a nessuno, perché mi sembrava che nessuno mi stesse ascoltando in quel momento. - Come può un civile essere a conoscenza di una missione in incognito del Mossad e chi ne prese parte?
- Lo ha saputo da Eli David. - La voce e le parole di Benjamin attirarono l’attenzione di tutti, specialmente di Gibbs e Vance
- Come sarebbe da dire che lo ha saputo da Eli David? Il direttore non era certo la persona che si metteva a rivelare dettagli delle missioni della sua agenzia - Chiese Vance evidentemente turbato dalla cosa
- Innanzi tutto all’epoca non era ancora direttore. No, non rilevava dettagli delle missioni, ma gli piaceva molto in quel periodo elogiare il suo lavoro fatto con la figlia, fino a farla diventare uno dei migliori elementi a cui affidare le missioni più delicate. 
- Conosceva Eli David? - Lo stupore di Vance aumentava
- Sì, eravamo buoni amici. Ogni volta che veniva a Washington, compatibilmente con i suoi impegni, ci vedevamo. Veniva da noi, cenava in famiglia. I nostri rapporti con Israele sono sempre stati molto stretti, mi capisce, vero?
- Certo… capisco. Mi sembra strano, però, che Eli David non sapesse del rapporto tra suo figlio e la spia iraniana - Il direttore era visibilmente nervoso, io invece senza parole.
- Lui lo sapeva, ero stato io stesso a dirglielo, a dargli tutte le informazioni su dove si trovasse mio figlio con quella donna. Certo non sapevo che avrebbe mandato sua figlia a fare quella missione, Jared deve aver sentito una conversazione privata tra me e David, probabilmente quando venne a ringraziarmi per le informazioni determinanti per il buon esito della missione: fui io a chiedergli di eliminarla, stava rovinando il mio ragazzo! 
- Direi che c’è riuscita bene - mi lasciai sfuggire catturandomi uno sguardo di disprezzo da Benjamin Sandler
- La vita è strana, vero Anthony? Tu entri a far parte della nostra famiglia, ti accogliamo tra noi siamo felici della tua relazione con Michelle, sembri un tipo apposto nei modi e per come ti presenti. Un agente dell’NCIS, una persona affidabile. Poi sparisci, senza dire nulla, lasci nostra figlia nello sconforto e quanto rientri ti presenti con un’altra donna, che è la figlia di un mio caro amico che purtroppo non c’è più. Per colpa tua entrambi i miei figli vanno in prigione e la loro vita è rovinata. Cosa dovrei pensare io adesso di te?
- Non lo so signor Sandler, ma vediamo, io cosa dovrei pensare di chi ha contribuito a mandare la mia donna in ospedale, che l’ha fatta picchiare fino a farla abortire, che ora l’ha rapita e la tiene in ostaggio insieme a mio figlio di tre anni? Me lo dice lei cosa dovrei pensare dei suoi figli io adesso?
- Pensa che quello che è successo è una conseguenza delle tue azioni e del tuo comportamento.
- No, signor Sandler. È una conseguenza delle sue azioni - intervenne Gibbs - E’ stato lei determinante per l’omicidio delle fidanzata di suo figlio. Ziva è stata solo l’esecutrice, lei il mandante. E niente può giustificare quello che i suoi figli hanno fatto ed il solo fatto che lei lo possa pensare mi fa capire perchè sono così.
Michelle se ne andò via di corsa e Ruth scoppiò a piangere. Benjamin invece rimase impassibile, davanti a Gibbs, guardandolo negli occhi con aria di sfida. Il mio capo non si sottrasse a quello sguardo, nè indietreggiò, fino a quando non fu Sandler ad abbassare il suo.
- Ed ora mi scusi, signor Sandler - aggiunse Gibbs - devo pensare a come salvare una donna ed un bambino da un sadico psicopatico

 

———————

 

Era quasi sera. Continuavamo a rimanere lì, tra le minacce più assurde e Jared che sembrava divertirsi di quello. Nathan cominciava ad essere sempre più nervoso e tenerlo tranquillo era un vero problema, ma eravamo lì da ore, era comprensibile.
- Mamma quando viene papà?
- Tra poco lo vedrai papà, non ti preoccupare - Parlò Jared prima che potessi rispondere.
Prese poi in braccio Nathan che cominciò a piangere e lo passò ad uno dei suoi uomini.
Guardò l’orologio ed osservò il cielo fuori. Tra poco avrebbe fatto buio del tutto. Prese il mio pugnale che aveva lasciato sul tavolo e si avvicinò a me. Mi guardava da vicino i suoi occhi scrutavano i miei e cercavo di non far trasparire nemmeno un po’ di quella paura della quale lui si nutriva, con la quale si eccitava. Fece roteare il pugnale tra le mani, mi afferrò i capelli tirando forte indietro. Il mio collo era esposto a lui e il pulsare del sangue si avvertiva ad occhio nudo. Fece scorrere la punta della lama disegnando un arco da una parte all’altra del collo, poi la alzò facendomi vedere le gocce di sangue che scivolavano dalla lama, ricadendo sul pavimento. Passò un dito su quella traccia, non profonda, che aveva disegnato su di me a raccogliere il sangue che usciva da quel sottile ed inquietante graffio e mi macchiò una guancia con il mio stesso sangue. Non faceva male, bruciava, ma era fastidiosa la sensazione del sangue che lentamente gocciava lungo il collo. Avevo subito molto di peggio, quella mossa era più scenografica che punitiva. Mi scattò una foto con il suo cellulare e la guardò compiaciuto.
- Chissà Anthony cosa ne pensa di vederti così? Che dici, gli facciamo vedere la foto? No, dai, è arrivato il momento di andarcene da qui, usciamo, così ti vede direttamente.
Prese in braccio Nathan e con l’altra mano teneva una pistola. I suoi due uomini mi sollevarono e mi tennero bloccata e sotto la minaccia delle armi. Uscimmo da casa, mi guardai indietro per un istante, chiedendomi se ci sarei più tornata.

 

———————

 

- Gibbs, si stanno muovendo. - L’agente Page della SWAT si era staccato dallo schermo sul quale monitorava i movimenti interni al palazzo ed era venuto a riferire al mio capo le ultime novità
- Tenetevi pronti, ma non fate niente senza il mio ordine. Chiaro?
Quello annuì. La sua squadra si mise in posizione sorvegliando l’entrata. Gibbs mi passò un giubbotto antiproiettile, buttai via la giacca e me lo allacciai velocemente, così fecero anche gli altri. Ci allontanammo dall’ingresso lasciando un corridoio lungo il marciapiede e ci posizionammo al di là delle auto parcheggiate, non sapevamo la loro intenzione.
- Gibbs, niente di avventato - lo pregai
- Tony faremo di tutto.

Il portone si aprì ed il primo ad uscire fu Jared con Nathan in braccio, seguito dai suoi due uomini che tenevano Ziva ferma. Il mio sguardo si muoveva a ritmicamente tra loro due e quando vidi il taglio sul collo di Ziva mi dovetti sorreggere all’auto davanti a me. Jared rideva, guardandoci tutti, si soffermò sopratutto su di me e mi invitò a farmi avanti. Passai davanti all’auto e mi ritrovai a pochi metri da loro quando mi fece segno di fermarmi.
- Salutali Anthony, magari non li rivedrai.
Nathan fu l’unico a parlare in quel momento, mi chiamava e si spingeva con forza verso di me, ma Jared lo teneva sempre più fermo e non con le buone maniere. Muoveva il suo corpo, senza tenerlo mai fermo, spostandolo a destra o sinistra più in basso o in altro. Sapeva che così nessuno avrebbe mai potuto sparargli da lontano, era troppo rischioso per il bambino e Gibbs non avrebbe mai permesso di metterlo in pericolo. Provai a dire a Nathan di stare calmo, ma non ottenni risultati, anzi cominciò a piangere ed agitarsi di più, facendo innervosire Jared.

Ruth, contravvenendo ad ogni regola ed al buon senso, si fece avanti e mi raggiunse davanti al figlio, implorandolo di lasciar perdere tutta quella storia assurda. Lui nemmeno rispose alla madre, la guardava come se fosse un’estranea, cercava con lo sguardo gli altri suo familiari. Mi voltai per cercarli anche io e notai il disprezzo con il quale guardava il padre ed invece la tenerezza mostrata solo nei confronti della sorella, quella più in disparte.
- Lo faccio anche per te Michelle. -  Le disse. Sperai di sentire da parte sua un rimprovero al fratello, una richiesta di fermarsi, come quella della madre, ma non disse nulla. Rimase in silenzio. Lo stesso silenzio con il quale io e Ziva ci guardavamo, incapaci di dire qualsiasi cosa in quel momento.
Le richieste di Jared furono semplici. Voleva solo la sua auto. Gibbs fece cenno di allontanarci e di lasciargliela prendere. Mentre si spostarono provai ad allungare una mano verso Ziva e lei fece lo stesso con me, senza riuscire a sfiorarci. Poi salirono in auto, I suoi due uomini davanti, lui dietro con lei e Nathan.
Andarono via e non potei far altro che osservare mentre si allontanavano. Vance prese di petto il Benjamin Sandler, chiedendogli se il figlio avesse delle proprietà dove potesse andare adesso. L’uomo gli parlò di una casa comprata qualche tempo prima vicino a Rockville.

 

—————————

 

Ci stavamo allontanando da Washington. Le strade erano sempre più buie, più strette e sconnesse. Potevo vedere ai nostri lati solo alberi e qualche casa isolata ogni tanto.
Da quando eravamo saliti in auto, Jared mi aveva ridato Nathan che ora era stanco e stranito. Si lamentava e piangeva di tanto in tanto e rasserenarlo era sempre più difficile. Lo feci addormentare tra le mie braccia, cullandolo e tenendolo stretto a me. Non riuscii a non pensare che poteva essere l'ultima volta che lo facevo e l'unica cosa che speravo era che lui non si accorgesse di quanto stava accadendo. Speravo fortemente che Tony e gli altri riuscissero a portarci via ed avevo fiducia in loro, ma la paura per la vita di Nathan era più forte della speranza e della fiducia. Avevo costantemente davanti agli occhi il viso terrorizzato di Tony, la sua mano protratta verso di me che non ho potuto nemmeno sfiorare, negandoci quel contatto che avrebbe potuto non esserci più.
Lasciammo la strada principale per una stradina non asfaltata. Solo poche centinaia di metri, poi ci fermammo. Non c’era una luce artificiale e la luna era solo una piccola falce in cielo. Avvolti dall’oscurità ed illuminati solo dai fari dell’auto, Jared ci fece scendere. Era freddo, molto più che a Washington. Ci avvicinammo all’entrata della casa, l’interno era spoglio, attraversammo la prima stanza dove il grande camino dominava tutto l’ambiente, sorpassando anche le scale per il piano superiore, ed andammo in una stanza sul retro, altrettanto grande ma ancora più vuota: solo un tavolo, quattro sedie, una vecchia poltrona ed un letto singolo, in fondo, attaccato alla parete. Quella casa sembrava disabitata da anni e solo da poco riaperta, come lasciavano intendere i teli buttati per terra che avevano coperto lo scarno mobilio.
Ci fece mettere seduti sul letto, presi i due cuscini logori e sudici per metterli dietro la schiena appoggiandomi al muro.

Non so quanto rimanemmo lì, avevo perso la concezione del tempo. Non capivo se le minacce di Jared erano solo per portare avanti questa guerra psicologica tra di noi o erano vere. Voleva terrorizzarmi e ci riusciva. Ogni volta che si avvicinava a Nathan il mio cuore si fermava. Passava la canna della pistola lungo il suo corpo, sulla sua testa: non gli faceva nulla e poi tornava a sedersi e a guardarci ridendo di gusto. Diceva, tra le risate, che così non avrei mai capito quando lo avrebbe ucciso veramente e non avrei potuto fare nulla che non vederlo morire tra le mie braccia, coperta dal suo sangue, come lui si era macchiato con quello della sua fidanzata.

Anche i suoi due scagnozzi cominciavano a dare segni di insofferenza. Loro probabilmente avrebbero finito tutto molto prima, in maniera definitiva. Jared no, lui si eccitava nel vedere la paura negli altri, si eccitava sapendo che era lui a provocarla ed era stato solo questa sua macabra perversione a tenerci ancora in vita.
I due si vedeva, erano due delinquenti comuni, di quelli che se ben pagati fanno qualsiasi lavoretto senza fare troppe domande, ma i loro lavoretti sono semplici e rapidi ma, soprattutto, fatti a modo loro. Questa mania di Jared di comandarli e di dirgli come dovevano fare il loro lavoro gli stava cominciando a dare fastidio. Un figlio di papà che gioca a fare il criminale ed il sequestratore, che attira una squadra della SWAT e i federali per non ammazzare due persone, si vedeva che loro tutto questo non lo sopportavano. La postura del corpo era nervosa, entravano ed uscivano dalla stanza, guardando spesso fuori dalla finestra con le spesse imposte di legno, per capire quale fosse la situazione e Jared si stava spazientendo a tal punto che glielo disse: loro erano stati pagati per fare quello che diceva lui e lo dovevano fare. Punto. Ma i due non sembravano molto d’accordo con le parole del rampollo Sandler.


——————————————

 

La squadra degli SWAT si era appostata, gli alberi offrivano una copertura sufficiente. Eravamo arrivati tutti lì, la nostra squadra, il direttore Vance e la famiglia Sandler. Camminavo nervosamente avanti e indietro, ignorando le richieste di Gibbs di fermarmi e calmarmi, fino a quando non mi prese per le spalle, bloccandomi con la forza.
- Adesso basta Tony. Siediti.
Eseguii l’ordine come un automa cominciando a muovere ritmicamente una gamba per far uscire l’adrenalina dal corpo. L’unico che non stava guardando la casa era McGee che controllava su un monitor l’interno della casa, con il segnale rimandato dalle telecamere termiche che rimandavano la posizione dei corpi all’interno. Capimmo ben presto che Ziva si trovava nella stanza posteriore tenendo in braccio Nathan. Due uomini andavano e venivano da quella stanza a quella principale, mentre uno girava per la stanza dove si trovava Ziva ed era sicuramente Jared. Anche se non potevamo sentire nulla, almeno sapevamo dove si si trovavano e se fossimo dovuti entrare con la forza sarebbe stato fondamentale.

Più passava il tempo, più l’irruzione sembrava l’unica soluzione possibile. Impossibile provare a colpirli da fuori, i bersagli anche se rilevati dal calore corporeo non erano chiari e le finestre erano chiuse da pensanti infissi. Gibbs parlava con Vance e con il capo della SWAT per concordare il da farsi, almeno per darsi delle scadenze temporali per prendere le prossime decisioni. Ormai erano molte ore che andava avanti questa storia e non c’era stata nessuna evoluzione se non lo spostarci in questa località. Nemmeno la vista della madre o della sorella aveva fatto cambiare i programmi di Sandler. Gibbs mi chiamò vicino a se, per mettermi al corrente delle decisioni. Avremmo aspettato un’ora, poi ci sarebbe stata l’irruzione. Accettai la cosa, a condizione che prima di far entrare la SWAT saremmo entrati noi, io e lui. Sapevo che Gibbs al pari mio non avrebbe mai messo a repentaglio la loro vita. Acconsentì, nonostante il parere negativo del capo dei corpi speciali. Vance non disse nulla e ci lasciò libertà di scelta, anche se sapeva che non era una cosa che rispettava il protocollo.

Il rumore di due spari squarciò il silenzio della notte. Guardammo tutti verso McGee che era l’unico che stava vedendo qualcosa dell’interno.
- Due corpi a terra vicino alla seconda stanza - disse velocemente.

Mi allacciai stretto il giubbotto anti proiettili.
- Entro io Gibbs.
- Tony, tu sei troppo coinvolto.
- Proprio per questo entro io. Lì c’è la mia famiglia. Se qualcosa va male, voglio essere con loro. Fino alla fine. So quello che faccio. C’è solo Sandler, non fare entrare nessuno, chiaro? - Stavo dando degli ordini al mio capo e non mi importava.

Ruth mi si avvicinò in lacrime mentre mi dirigevo all’ingresso.
- Anthony, promettimi che farai di tutto per riportarmi Jared vivo.
- Mi dispiace, Ruth, non te lo posso promettere.
- Lo so che ha sbagliato, ma è mio figlio.
- E sta minacciando il mio. Non posso prometterti nulla che non posso mantenere. Mi dispiace.
Con un braccio la scansai non volevo perdere tempo e lei mi stava ritardando.

 

——————————

 

Tony entrò correndo Jordan lo sentì e si girò. Erano uno davanti all’altro entrambi con le pistole in mano. Girai Nathan verso il mio petto, lo strinsi cercando di coprirgli le orecchie. Sentii 3 spari, il rumore di due corpi che cadevano e poi solo il silenzio spezzato dal pianto di mio figlio.
Il proiettile di una Beretta 92 viaggia a 365metri al secondo. Il tempo che impiega da quando Jared preme il grilletto a quando raggiunge il corpo di Tony è meno di un battito di ciglia. Un centesimo di secondo, anche meno.
Quanto è un centesimo di secondo? Ha mai interessato qualcuno che non fosse un pilota di formula uno o uno sciatore? Forse un atleta a caccia di un record, ma nella nostra vita quando mai pensiamo a cosa è un centesimo di secondo? Eppure è un arco di tempo sufficientemente lungo per distruggere una vita. Anzi di più. Perchè il "non posso vivere senza di te" è reciproco. Un centesimo di secondo è il tempo che basta per togliere un padre ad un figlio, un futuro sposo ad una donna che lo ama, un amico, un figlio ad un padre anche se distante. Un centesimo di secondo basta per cambiare la vita di tante persone, per spezzarla una. 

Il sangue sul pavimento si stava spandendo. Il rosso vivo contrastava il grigio spento della casa. Lasciai Nathan e corsi verso Tony urlando il suo nome. Scavalcai il corpo esanime di Jordan. Arrivai davanti a lui e crollai in ginocchio vicino al suo corpo a terra. Sentii il suo respiro e ricominciai a respirare anche io di nuovo.
- Va tutto bene, avevo il giubbotto antiproiettile. Brucia solo un po’
Lo strinsi forte e si lamentò un po’, poi lo aiutai a rialzarsi. Nathan era rimasto con la testa nascosta tra i cuscini e piangeva. Tony ancora un po’ intontito ed indolenzito si sedette vicino a lui, lo fece voltare e gli asciugò le lacrime
- Ehy ometto basta piangere, va tutto bene ora, papà è qui.
Nathan si gettò addosso a Tony, lo stringeva forte, stringeva il suo papà.
- Te lo dicevo che papà dava la caccia ai cattivi, no? Lui era un cattivo che ora non farà più male a nessuno.

Gibbs entrò con Vance e una squadra di Swatt, ma l’unica cosa che poterono fare era constatare la morte di Jared e chiamare Ducky per venire a prendere il corpo per l’autopsia come di prassi. Ci trovarono tutti e tre seduti sul letto, abbracciati, incuranti di loro e della situazione. Ci stavamo respirando per far capire ad ogni parte del nostro corpo che eravamo ancora vivi e stavamo tutti bene. Gibbs e Vance si avvicinarono, volevano assicurarsi che anche Nathan stesse bene, vedendolo fermo tra noi si spaventarono temendo il peggio, ma come sentì la voce di Gibbs, si voltò di scatto verso di lui che lo prese in braccio sciogliendolo dal nostro abbraccio.
- Vado a dare la notizia ai genitori di Sandler - disse Vance guardando il corpo dell’uomo a terra esanime.
Noi annuimmo e Gibbs disse che portava fuori Nathan per farlo controllare dai paramedici, dandoci il tempo di riprenderci.

Tony si stava slacciando il giubbotto antiproiettile e fece una smorfia.
- Che hai Tony?
- Niente di grave, credo. Il contraccolpo del proiettile sulla costola.
Lo aiutai a togliersi quella roba di dosso. Persi il suo giubbotto, c’era il proiettile bloccato. Lo fissai, ci passai un dito sopra sentendo la differenza tra la stoffa ruvida e il metallo liscio, pensando a cosa mi avrebbe potuto portare via. La disperazione in ospedale quando se n’era andato sbattendo la porta, la paura quando mi sono trovata a casa sola ed era andato via in silenzio non erano niente rispetto a quei secondi nei quali si era concentrato tutto il terrore di averlo perso. Quanto mi aveva cambiato Tony? Quanto aveva dato alla mia vita? A quante piccole cose, che prima nemmeno consideravo, lui aveva dato un senso? Tutte le cose che pensavo di bello nella mia vita erano legate a lui, dallo stare abbracciati sulla spiaggia, ad una passeggiata, ad una scatola di cibo thailandese mangiato sul divano fino alla cosa più bella di tutte, la nascita di Nathan: c’era lui in tutto quello. Non so quanto rimasi davanti a lui a perdermi in quei pensieri, con il giubbotto in mano, ma mi ritrovai ad accarezzarli il volto quasi inconsciamente mentre pensavo a lui, che adagiò la testa nel mio palmo, piegandola leggermente, godendosi quel contatto, come lo facevo io. Avevo avuto paura di non poterlo più toccare quando le nostre mani si erano solo sfiorate, senza raggiungersi. 

- Amore, è tutto apposto. Ok? E’ finita.
- Tony oggi ho avuto paura. Veramente paura. Di perdere tutto. Te, Nathan… - non riuscii a tenere oltre le lacrime finalmente liberatorie.
- Siamo qua, Ziva. Siamo insieme.
- Scusami Tony se non sono stata all’altezza di proteggere Nathan.
Mi sentivo piccola e inadeguata. Mi chiedevo cosa ne era stato in quelle ore di quella ragazza che per anni è stata addestrata dal Mossad da quando era poco più di una bambina. Dove era finito il mio sangue freddo, la determinazione, l’assenza di paura.
- Non dire idiozie, Ziva, non potevi fare di più.
- In altre occasioni lo avrei fatto.
- In altre occasioni non c’era nostro figlio di mezzo. Lo hai protetto come una mamma, non esponendolo a rischi.
Fece passare le dita delicatamente sul mio collo, ripercorrendo il taglio ancora fresco che mi aveva fatto Jordan. Chiusi gli occhi mentre lo sentivo percorrere la mia pelle segnata, Tremavo per il suo contatto e per il freddo. Il mio tremore sembrò destare anche Tony.
- Dai, andiamo… questa giornata è durata anche troppo.
Appena usciti fuori vidi i genitori di Jared in lacrime e Michelle guardarci sempre con odio. Tony andò verso l’auto con la quale erano venuti e mi diede la sua giacca, mettendomela sulle spalle, mentre mi faceva sedere dentro.
- Devi farti controllare quel taglio
- Non sanguina più Tony.
- Sì, ma dovresti farti medicare, ci sono i paramedici lì, te li vado a chiamare.
Così prese Nathan che era stato appena visitato e fece venire un medico che disinfettò la ferita e mi medicò applicando una garza tutta intorno al collo, con del cicatrizzante. L’avrei dovuta portare fino al giorno dopo.
Tony teneva Nathan in braccio e vedevo che faceva delle smorfie quando lui gli si appoggiava sul petto, era lui quello che aveva bisogno di farsi curare più di me.

Non avrei mai voluto staccarmi da lui avevo bisogno di sentirlo vicino, di stare insieme, ma riuscii a convincerlo a farsi accompagnare in ospedale da McGee per farsi visitare. Gibbs venne a casa con me e Nathan: tutti i tentativi di fargli mangiare qualcosa furono inutili, quindi lo andai a mettere a letto anche se voleva aspettare il ritorno del papà, ma la stanchezza fu più forte della sua volontà e dopo poco si addormentò, apparentemente sereno.
Gibbs aveva il mio pugnale in mano, aveva ripulito la lama, non c’erano più tracce di sangue.
- È una prova? - Gli chiesi
- No, è il tuo pugnale. - Mi rispose mentre me lo porgeva
- Lo devo prendere?
- Hai paura?
- No - gli dissi pendendo l’arma in mano e portando l’altra inconsciamente sulla mia gola, incontrando la fasciatura.
- Sicura che non ti fa paura?
- No, Gibbs, non mi fa paura. Mi ricorderà di fare più attenzione - gli risposi secca.
- Non è necessario che ti metti sulla difensiva con me.
- Hai ragione. È stata una giornata lunga.
- Hai fatto quello che dovevi fare.
- Non ho fatto niente Gibbs! - Gli dissi sconsolata.
- Appunto. Non dovevi fare niente nella tua situazione. Ma hai fatto in modo di farci avere tutto il tempo necessario.
Gibbs andò verso il bollitore in cucina e mise a scaldare dell’acqua.
- Non sono stata io, i tempi li ha dettati lui.
- Allora diciamo che non gli hai fatto affrettare i suoi programmi.
- Oggi è stata dura Gibbs. Come non lo era mai stato.
- Perchè più persone ami, più sai che hai da perdere. Questo fa paura. Quando siamo soli, abbiamo molto meno da perdere e molta meno paura di quello che facciamo e delle conseguenze. Dovrai imparare a convivere con questa tua nuova situazione ed imparare che avrai reazioni diverse a quelle che hai sempre avuto.
Il fischio del bollitore avvisava che l’acqua era calda. Prese una tazza e mise del tè in infusione.
- Meglio che ti vai a cambiare - mi disse indicando la mia camicia strappata.
Andai in camera ed indossai una tuta, quando tornai da lui era seduto sul divano con la tazza in mano. Mi sedetti vicino a lui e me la porse.
- Grazie Gibbs.
- È solo un tè caldo.
- Per tutto il resto.
Sorrise, mi diede un bacio in fronte e mi appoggiai alla sua spalla scaldandomi le mani con il calore che emanava la tazza fumante.

- Devo essere geloso? - La voce canzonatoria di Tony mi svegliò, mi ero addormentata appoggiata a Gibbs che aveva provveduto a togliermi la tazza dalle mani prima che la rovesciassi a terra. Mi alzai di scatto e lo raggiunsi.
- Allora?
- Tutto bene, solo una costola incrinata ed un ematoma da far riassorbire. Ti sei preoccupata inutilmente, te l’avevo detto.
- DiNozzo, finiscila! Ha fatto bene a farti andare a controllare! - Intervenne Gibbs e Tony fece subito silenzio - Riposatevi un paio di giorni, poi ci rivediamo a lavoro. Per le deposizioni domani sentite McGee, passerà lui qui, non c’è bisogno veniate. 
- Grazie Capo - ripose Tony.
- Mi raccomando Ziva… - Mi diede un bacio sulla fronte e poi uscì.
Finalmente rimasti soli abbracciai Tony che mi chiuse tra le sue braccia sussurrandomi che andava tutto bene.

- Visto, nulla di grave come ti dicevo. - Mi rassicurò mentre eravamo seduti entrambi sul fondo del letto nella nostra camera.
- Dai, non ti affaticare, ti aiuto. - Gli dissi mentre lo aiutavo a sbottonarsi la camicia.
- Nathan si è addormentato tranquillo?
- Ha provato a resistere un po’ perché voleva aspettare che tornassi.
- Mi sembra impossibile sai? Non riesco ancora ad abituarmi a quanto è diventato affettuoso con me. Domani voglio una giornata solo per noi tre.
Tony si guardò intorno, posò lo sguardo sulla camicia strappata e la camera in disordine. Mi guardò serio, il sorriso che aveva quando parlava di Nathan si spense di colpo.
- Ziva che è successo?
- Niente, Tony.
- Non mi mentire, cosa è successo.
- Non ti sto mentendo. Credimi ti prego, non è successo niente.
- E allora perchè…  - non terminò la frase ma buttò uno sguardo prima sull’indumento logoro e poi sulla stanza.
- Perchè non è successo niente. - Replicai guardandolo dritto negli occhi - Mi devi credere, ok?

Si scostò e sospirò, girandosi dall’altra parte. Gli accarezzai le spalle ed il torace e mi appoggiai sulla sua schiena lasciando le braccia ad attorniare il suo petto.  Mi piaceva sentire la sua pelle nuda sotto le mie mani, avevo bisogno di sentirlo vivo, di sentire i battiti del suo cuore sotto le mie mani. 
- Credimi Tony - Gli sussurrai appoggiando la testa sul suo collo.
Istintivamente lo strinsi a me, lui si lasciò sfuggire un lamento e mi allontanai.
- Scusa non volevo farti male.
- No, ti prego, abbracciami ancora.
Lo feci e lui portò le sue mani sulle mie, ferme sul suo petto.
- Ti credo - mi disse prima di sciogliersi dal mio abbraccio e andarsi a stendere, ma non mi sembrava del tutto convinto. Non avevo voglia, però, quella sera di chiedergli altro, di pregarlo di ascoltarmi, di capire perchè non si riuscisse a fidare, ma le risposte le temevo.
Il torace, nudo, era segnato da un vistoso ematoma violaceo sulla sinistra, vicino al cuore nel punto dove il giubbotto antiproiettile aveva interrotto la corsa mortale della pallottola. Mi stesi vicino a lui, mi avvicinai piano, quasi chiedendogli il permesso per poterlo fare, fino a quando non fu lui che mi abbracciò. Mi staccai da lui solo un istante per prendere un gel dal comodino e spalmarglielo sul petto, delicatamente fino a quando non fu totalmente assorbito. Lo accarezzavo piano e ad ogni carezza mi scendeva una lacrima. Se ne accorse ma non mi disse nulla, passò solo la sua mano sulla mia guancia per asciugarla. Poi mi abbandonai su di lui, con la mano a coprire l’ematoma.
- Pensi di rimanere con la mano così tutta la notte? - Mi disse sorridendo
- Ti dispiace? - Chiesi stupita
- No, affatto.
- C’è scritto dopo l’applicazione va tenuto al caldo.
Posò la sua mano sopra la mia e mi strinse ancora di più a se.

NOTE: Alla fine non si è fatto male nessuno o quasi, almeno non fisicamente. Tony è un po' ammaccato ma si riprenderà presto. 
Come vedete, alla fine, i ricordi del passato tornano sempre a condizionare quello che accade nel presente, anche cose dimenticate di molti anni prima. 
Ziva ne esce più insicura su quelle che sono le sue capacità, con i dubbi su quello che era e che sarà. Tony manifesta che ancora non riesce a credere del tutto a quello che le dice, anche se si sforza di farlo, la paura che ci sia sempre qualcosa che non le dice è in agguato.

   
 
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