Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: Leonhard    27/04/2016    2 recensioni
"Il Lifestream circola all'interno del Pianeta: vedilo come un corso d'acqua all'interno di un percorso circolare".
"Allora, se io ad un certo punto getto un ramo all'interno del Lifestream, dopo qualche tempo lo vedrò passare nuovamente dal punto in cui l'ho buttato?". Cloud si prese il suo tempo per rispondere.
"Spero di no..." rispose, ma la faccia era seria, preoccupata. Aveva probabilmente colto nel segno.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
8. Piume e spade

Era vero.

Guardando la Buster Sword essere impugnata da quello che in quel momento era il secondo avversario più pericoloso davanti a lui avrebbe dovuto dargli fastidio, fargli sentire quella stizza che sentiva ogni volta che Marlene o Denzel di avvicinavano troppo alla sua moto, la stessa di quando aveva scoperto che il suo telefono nuovo, che aveva acquistato dopo una difficile ed estenuante scelta, era nato rotto, o anche quella che provava quando Tifa disarmava la sua moto senza dirgli nulla.

Il fastidio venne, ma non fu quello: non fu lo stesso fastidio che provava normalmente quando qualcuno maneggiava le sue cose senza il suo permesso. No, quel fastidio era quello che aveva sentito quando aveva scoperto che Kadaj aveva contaminato di oscurità le acque della Città Dimenticata: era la stessa sensazione di fastidio, come una cavalletta che percorre la spina dorsale con passo lento infischiandosene tranquillamente del solletico che può provocare. Rufus non aveva preso la sua vecchia spada, ma aveva profanato una tomba.

Il fatto che avesse intenzione di usare una lapide a forma di spada come arma lo indispettiva, che quella lapide a forma di spada indicasse la tomba di Zack Fair lo faceva infuriare non poco, ma nessuna traccia del fastidio che sentiva quando qualcuno profanava una cosa sua. Nemmeno l’ombra.

La Buster Sword non era mai stata sua e questo lo sapeva: la sua spada, o meglio LE sue spade erano quelle assemblate sapientemente in una sola, grande lama. L’aveva scelta grande per abitudine, non certo per comodità, ma anche per una questione di scaramanzia: aveva vinto contro Sephiroth per ben tre volte con una spada ingestibilmente grande.

Non aveva giocato alla lotteria, ma in quel momento non gli era sembrato un compito impellente.

Le armi le aveva acquistate e le aveva affidate a Cid perché le modificasse secondo certi progetti che aveva disegnato in qualche angolo della sua testa e così erano nate sei lame assemblabili. Perché sei?

Beh, in realtà il progetto iniziale prevedeva cinque lame. Cinque come i progetti che coinvolgevano Jenova: una lama per ciascuno.

Genesis, Angeal, Sephiroth, Zack. E ovviamente lui stesso.

Quella lama dai mille significati e dai mille utilizzi l’aveva veramente sentita sua: era nata nella sua mente e per anni era stata con lui, servendolo fedelmente e togliendolo un sacco di volte dai guai, salvandolo da tante battaglia che lo davano per spacciato. Quella spada che in quel momento riposava tranquilla nella rastrelliera della sua Fenrir, fin troppo lontana da lui. Non l’avrebbe cavato d’impaccio questa volta.

E la Buster…no, non aveva mai sentito un legame con quella spada: lei gli aveva solamente dato un’eredità, un lascito da rispettare. Lui era il lascito di Zack in parte perché impugnava la Buster Sword. No, quella spada non era la sua.

Per quel motivo l’aveva lasciata lì, sulla rupe del deserto di Midgar, assieme al legittimo proprietario, a qualcuno con tutti i diritti di reclamarla come sua. Non era stato uno spreco, ma la cosa giusta da fare. Il fastidio che sentiva guardando Rufus impugnarla con quell’irritante facilità, con quella fastidiosa tranquillità era dato dal fatto che aveva rubato una spada che non gli apparteneva. La spada di Zack.

Alternava lo sguardo da Rufus a Sephiroth: entrambi erano immobili, a scrutarsi l’un l’altro, a chiedersi chi avrebbe fatto la prima mossa, chi avrebbe dato il via a quel massacro, quella battaglia tra progetti che coinvolgeva anche lui.

“Capisci perché ti ho arruolato, Cloud?” chiese Rufus, sventolando pigramente lo spadone. “Hojo ti ha classificato come esperimento fallito, ma sei un esperimento fallito estremamente stabile. La comparsa dell’ala è il segno che la fissione con le cellule Jenova sta vivendo il rigetto e Sephiroth lo ha scoperto: per questo è stata una mossa eccellente la tua scagliarlo nel Lifestream. Il solo grande mistero è perché continua a tornare”. Si volse verso il SOLDIER leggendario, che non si era mosso di un millimetro, e gli pose la stessa domanda. “Perché continui a tornare?”.

Sephiroth lo stava guardando con il suo sorriso sornione, lo sguardo di ghiaccio, quelle occhiaie nere che delineavano la pazzia che lo corrodeva, sottolineavano l’instabilità della sua mente. Il soprabito era immobile e la Masamune riluceva la poca luce che filtrava attraverso il fumo dell’ammasso di rottami avvolti dalle fiamme che in un passato fin troppo vicino era stato un elicottero.

“Così vuole mia Madre” rispose infine.



Ai suoi occhi non erano nulla più di due infedeli. Avevano usato le cellule di Jenova, sua madre, per cercare di avvicinarsi a lui. Beh, Cloud non l’aveva fatto volontariamente, ma era stato l’unico la cui umanità non gli aveva permesso di riconoscere la missione. La missione era la cosa più importante. Quel pianeta, così piccolo, misero, ma al contempo estremamente potente era la chiave d’accesso per la Terra Promessa, il mezzo per la Terra Promessa.

Ma loro non se ne rendevano conto, oh no, loro erano così attaccati alla loro insignificante involucro da ammutinarsi. Ammutinati erano ed ammutinati erano rimasti. Ribelli, traditori. Rinnegavano la missione, la Terra Promessa, la Madre. Lui era il prescelto e come tale doveva assicurarsi che le cose andassero per il verso giusto, esattamente come era stato scritto. Come la Madre voleva che fosse.

Ma non era importante: no, non lo era. Sua Madre stava piangendo dentro di lui, non avrebbe più pianto. L’avrebbe fatta smettere perché lui era un bravo figlio. Un bravo figlio non fa piangere la madre, oh no: un bravo figlio deve asciugare le sue lacrime, cancellare la preoccupazione dalla sua mente, far tornare il sorriso sulle sue labbra. La sua spada vibrava e riluceva e assumeva quel tocco mistico che si sposava perfettamente con la sua figura di figlio prediletto ma non era ancora il momento di usarla contro il biondo che aveva osato far piangere sua madre: prima c’era quell’altro, quel burattino ribelle

fili avevo ed or non più

che si stava ribellando con tutto sé stesso, rinnegando il suo essere un semplice strumento come aveva fatto Cloud tempo prima. Sapeva che solo il suo pupazzo preferito era degno di possedere un nome: nessun Jenova, nessun pupazzo aveva mai avuto un nome. Solo un numero e la cosa era sempre andata bene a tutti, tranne a lui e non capiva il perché.

“Bello vederti, Cloud” disse.



Il biondo si sentì gelare il sangue; quella voce così stentorea, pacata e fredda come il ghiaccio non era cambiata di una virgola. Sentiva la smania nella sua voce, il desiderio di incrociare le lame con lui e riprendere quel meraviglioso gioco al massacro in cui la testa del perdente sarebbe rotolata nella terra del deserto. Senza la sua spada si sentiva nudo, vulnerabile e piccolo, spaventosamente piccolo. Niente spada, niente vento: era solo contro un titano e mezzo.

Ma non sentiva paura. Nonostante la situazione esigesse un nervosismo che strizzasse l’occhio al panico, era completamente privo della paura. Provava rabbia, quella non mancava mai nell’incrociare gli occhi di Sephiroth; provava un’urgenza di mettersi in campo ed il desiderio di sentire la sua carne lacerarsi, le sue ossa frantumarsi ed il suo respiro estinguersi. Sentiva la voglia matta di guardare i suoi occhi e vedere la vita spegnersi in essi.

Sentiva una voglia matta di fare a pugni e nemmeno una goccia di paura.

Rufus spiegò l’ala e saettò verso di lui, la Buster Sword spianata, i muscoli tesi ed il suo insopportabile sorriso di vittoria stampato in faccia. Scartò di lato e schivò il fendente, che tagliò l’aria con un sibilo; immediatamente dopo percepì la lama girarsi nuovamente verso di lui e si buttò in avanti. Con una capriola ed il suono dell’arma che impattava con l’arida terra nelle orecchie si salvò dal secondo assalto, si volse e scattò contro Rufus.

Il suo intento originale era bloccare il fendente che aveva previsto arrivare afferrando il braccio di Rufus e disarmarlo in qualche modo, ma Sephiroth si mise in mezzo. Il biondo venne sbalzato via dall’ala corvina e le due spade entrarono in contatto con un assordante clangore. Si rimise immediatamente in piedi e corse verso la schiena del SOLDIER, che si abbassò quel tanto che bastava per fornirgli un trampolino. Cloud saltò sulla sua schiena e fu addosso a Rufus, che spiccò il volo. Sephiroth si volse verso Cloud.

“Per una volta, renditi utile Cloud” disse; la voce era fredda, ma lui capiva che si stava divertendo, esattamente come quando combatteva con lui, ed or non più o con Zack.

O come quando aveva combattuto contro Genesis ed Angeal. Si era sempre divertito un mondo. Ma quelli non erano ricordi suoi.

Subito dopo spiccò il volo verso il punto nero in alto nel cielo, lasciandolo a terra a riflettere sul fatto che stavano combattendo insieme. Fu un pensiero fugace che solo per qualche istante attraversò la sua mente, poi svanì per lasciare spazio ad un verde intenso.

(Quelle ali…) pensò. (Le voglio anche io…). Poi si lasciò andare. Lo spallaccio di cuoio saltò via, la divisa fendette l’aria con un piccolo, secco strappo, i muscoli del braccio sinistro s’intorpidirono per pochi secondi appena e poi fu nuovamente in compagnia del vento.

eppur non cado giù

Si trovò accanto a Rufus in pochi istanti e lo sbalzò con un calcio verso la Masamune. L’uomo deviò la traiettoria del suo volo verso l’alto e si fermò a contemplare i due.

“Il nemico del mio nemico è mio amico, eh Cloud?” commentò. I due erano immobili a mezz’aria ed il biondo si stupiva della facilità con cui governava il suo nuovo corpo. Non aveva mai volato ed in quel momento era come se l’avesse fatto per una vita. Attorno a lui una nuvola di piume color pece danzava e la sua ala nera, che faceva capolino imponente e neonata da sotto i resti del suo coprispalla, si palesava agli angeli presenti, facendo presente a tutti che quel burattino vuoto avrebbe trovato il modo di riempirsi.

E l’avrebbe fatto in compagnia del vento, com’era giusto che fosse.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Leonhard