Prima di tutto: non sopporto le AU.
Sì, lo so che questa storia ha
l’avviso AU, ma non è colpa mia. E’ l’ennesima sfida
che ciaraz mi ha lanciato e che io ho colto, perché le avevo negato un
altro obbrobrio e a riprova del fatto che l’abisso della stupidità
umana non ha limiti.
Dunque, è proprio una AU. La prima
e ULTIMA. Ambientatela in un mondo come il nostro, vagamente, ché non ha
collocazioni più precise. E mai le avrà, dato che questo tipo di
storia mi è inviso e ben poco familiare. A tale proposito, se mi voleste
far sapere, caso mai, se la storia è completamente orrenda e senza
senso, vi sarò molto riconoscente. Comunque non sarà lunga,
perché non ne ho voglia, detto molto sinceramente. Non vedo l’ora
di tornare alla mia normale Konoha kishimotiana.
Anche il titolo, prendetelo un po’ com’è.
E premettiamolo, per chi non lo sapesse : otouto vuol dire « fratellino », mentre aniki vuol dire
« fratellone » e nii-san
ne è la contrazione affettuosa.
Ciò detto, auguri. Ne avrete bisogno.
suni
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Falcoinquilino
Guardò la schiena del fratello
con aperta noia e un fastidio nemmeno particolarmente dissimulato, mentre
quello continuava a muoversi per la cucina senza smetterla un attimo. Non stava
facendo nulla, se non aprire e richiudere sportelli come tenendo il conto di
cosa gli sarebbe stato strettamente necessario portar via. Ma Sasuke era sicuro
che i suoi occhi non si posavano nemmeno su quel che fingeva di osservare.
Itachi al momento pontificava, e basta.
“Ti farai da mangiare,
vero? Non ti voglio sulla coscienza,” stava dicendo, pacato.
“Nii-san…”
biascicò Sasuke, ritroso.
“E darai una pulita in giro? L’ho
sempre fatto io…” continuò Itachi, grave.
“Aniki,” sibilò il
più giovane, stizzito.
“Se solo tu non fossi ancora
minorenne…o sapessi almeno badare a te stesso…" sospirò
l’altro, stoicamente inamovibile.
“Aniki!” sbottò
Sasuke torvo.
“Forse dovrei restare a vivere
qui. Cioè, questo nuovo lavoro è importante per me, ma tu non sei
in grado di…” proseguì invariabilmente Itachi, con uno
sbuffo e un tono assorto, distante.
“ANIKI!”
Sasuke alzò rabbiosamente la
voce, esasperato, e il fratello maggiore sembrò accorgersi in quel
momento della sua presenza in cucina, come se non fosse stato a lui che
parlava. Parve però non notare la sua espressione irritata ed
accennò nella sua direzione un leggero sorriso condiscendente.
“…Volevi dire qualcosa,
Sas’ke?”
L’altro socchiuse le labbra
preso in contropiede, con espressione quasi sconcertata. Quindi
assottigliò le palpebre, vagamente astioso.
“…No. Volevo che
smettessi di parlare tu.”
Itachi sbatté curiosamente gli
occhi, quasi perplesso, poi annuì benevolmente, evidentemente senza dar
peso alle sue parole.
“Su, esprimiti pure,
otouto.”
Sasuke lo guardò storto,
estremamente infastidito da quell’atteggiamento. Suo fratello continuava
a parlargli come se avesse avuto ancora otto anni.
E a prendere altrettanto in
considerazione le sue opinioni.
“Non ho nulla da dire.”
“Strano.”
La nota d’ironia nella voce di
Itachi lo imbestialì ulteriormente.
“Mi tratti come se fossi ancora
un poppante e mamma e papà fossero appena morti. Qualunque cosa io dica,
sarà comunque come se non avessi parlato,” brontolò,
petulante.
“Non è affatto vero,
otouto,” lo contraddisse Itachi , con lo stesso fare paziente. “Dai,
dimmi.”
Sasuke lo occhieggiò attento,
valutando se dar credito alle sue parole. Infine, riluttante, cacciò le
mani in tasca e allontanò una ciocca di capelli corvini dal viso con un
gesto solenne del capo.
“Penso di essere in grado di
vivere da solo. Sono maturo per avere diciassette anni, e ti assicuro che me la
posso cavare,” affermò, fiero.
Itachi poggiò il dorso contro
il frigorifero, le labbra storte. Annuì meditabondo più volte,
con espressione compresa, quindi tamburellò le dita sul mento ed
espirò forte.
“Credo che telefonerò al
mio capo e gli dirò di annullare il trasferimento,”
sentenziò infine, sollevandosi con uno scatto per tornare verso la
porta.
“Aniki! “
ringhiò Sasuke indignato, scattando al suo seguito nel corridoio.
“Hai sentito cosa ti ho appena detto?” aggiunse, rabbioso.
“Certo, non sono sordo,”
confermò l’altro, noncurante. Quindi sospirò bonario,
impugnando il cordless. “Ascoltami, Sas’ke…”
iniziò, serio.
“NO! Tu ascoltami, per una volta! Tu vuoi quello stupido nuovo lavoro e
io non sono un cretino! Quando avevi la mia età mi facevi già
praticamente da genitore, perché io non dovrei essere in grado di
arrangiarmi?” continuò, fremendo d’impotenza.
Itachi scosse lentamente il capo,
controllato.
“Era una cosa diversa,”
osservò, neutro.
“Oh, certo! Perché tu sei
in gamba e io sono uno coglione, giusto?” esplose il minore, tirando una
manata alla parete. Itachi gli lanciò uno sguardo sorpreso, come se la
sola idea che fosse davvero quella la ragione che lo spingeva fosse stata
completamente folle.
“Stai farneticando.”
“No, invece! Sei uno stronzo,
ecco! Ora tu rinuncerai a una cosa che vorresti fare e rimarrai in città
e io continuerò ad essere il fratellino sotto la campana di vetro! Perché ?”
continuò Sasuke, frustrato.
“Pensa se lo zio Madara venisse
a sapere che ti lascio qui a vivere da solo,” fece
l’altro, ragionevole.
“Non è necessario che la
vecchia baldracca lo sappia, e comunque l’unica cosa che gli interessa
sono i nostri soldi,” sibilò Sasuke, risentito. Chinò
tristemente la testa, avvilito ad arte. “Ti prometto che staro attento…
Nii-san,” miagolò, sgranando supplice i lunghi occhi neri.
Itachi distolse immediatamente lo
sguardo, sospirando lungamente. Si grattò piano la testa e serrò
le labbra, malcontento.
“Ne parliamo stasera quando
torno dal lavoro, Sas’ke,” borbottò, improvvisamente meno
inespressivo e distante, premurandosi di non riportare gli occhi sul viso
speranzoso del fratello minore.
“Nii-san…”
continuò Sasuke, con lo stesso tono adorante dei suoi cinque anni.
“Ho detto stasera, sporco
ruffiano,” smozzicò Itachi, battendo rapidamente in ritirata. Infilò
la porta con la giacca ancora in mano, senza nemmeno voltarsi a salutare.
Sasuke sbuffò trucemente,
sconfitto.
I : Il primo che telefona
Sasuke aveva fatto diligentemente i
compiti per quasi tutto il pomeriggio, aveva riletto cinque volte la lezione
per l’interrogazione dell’indomani, aveva riordinato la propria
stanza e sistemato la posta. Al momento, sedeva davanti alla tavola già
apparecchiata e l’acqua per il riso sobbolliva serena. Si era preparato accuratamente
il terreno, pronto allo scontro finale col fratello.
Itachi l’aveva informato di un
possibile trasferimento con promozione annessa la settimana prima. Fuori
discussione l’idea di fargli cambiare scuola e città, primo per
non sottoporlo a nuovi traumi, secondo perché il suo tutore legale, lo
zio Madara, avrebbe impiegato mesi prima di sprecar tempo con qual genere di
beghe burocratiche. Sulle prime Itachi era parso ritenere che lui potesse
cavarsela anche in sua assenza – il posto che gli era stato offerto, a
quanto pareva, gl’interessava davvero molto – ma erano stati
sufficienti pochi giorni perché gli scrupoli cominciassero a rimordergli
la coscienza.
Itachi si era preso carico del
fratello minore fin da quando Mikoto e Fugaku Uchiha, i loro genitori, erano
morti in un incidente stradale. All’epoca Sasuke aveva otto anni e il
fratello tredici, sicché la loro tutela legale era stata affidata al
prozio paterno. Ma a Madara interessava ben poco dei due nipoti: quel che gli
stava a cuore era il pregevole patrimonio in denaro e immobili che gli
sfortunati genitori avevano lasciato loro, e che era stato lui ad amministrare
fino al raggiungimento della maggiore età di Itachi. Era comunque ancora
responsabile del più giovane Sasuke, ufficialmente. Ma sin dal principio
era stato di fatto Itachi ad occuparsi del benessere quotidiano di entrambi:
inizialmente lo zio aveva fissato la propria dimora legale nella grande villa
che era appartenuta al defunto fratello, ma le sue visite sporadiche si erano
diradate fino a diventare pressoché nulle e l’unica cosa che gli
premeva era che Sasuke non gli creasse noie e non gli facesse perder tempo. Di
certo, saperlo solo nella villa non gli sarebbe andato a genio, non tanto per
premura verso il ragazzo quanto perché, se fosse successo qualcosa, la
responsabilità avrebbe versato su di lui; ma Sasuke riteneva che non si
potesse certo permettere che fosse quell’opportunismo la ragione per cui
suo fratello avrebbe dovuto rinunciare a un’offerta conveniente, che gli
apriva nuove prospettive, e lui alla tanto agognata indipendenza, soprattutto.
Era dunque determinato ad essere lui
ad averla vinta, stavolta, costasse quel che costasse. Da cui, la cena pronta.
Dovette aspettare appena cinque minuti
prima che la serratura di casa scattasse e il passo leggero del fratello
risuonasse nel corridoio.
“Otouto?”
“In cucina,”
affermò, telegrafico.
Ed ecco arrivare Itachi, un po’
stanco ed apatico, e poi eccolo spalancare leggermente gli occhi per le
sorpresa e osservare la tavola pronta.
“Chi ti ha pagato?”
chiese, ironico.
Sasuke arricciò il naso,
superiore.
“E’ stata una mia
iniziativa.”
“Oh.”
Itachi lasciò cadere la giacca
nera sullo schienale d’una sedia, stiracchiando la schiena.
“Intendi corrompermi con le tue straordinarie abilità culinarie o
pensavi di avvelenarmi eliminando il problema alla radice?” s’informò,
noncurante.
“Non tentarmi,”
borbottò Sasuke offeso.
Itachi accennò l’ennesimo
sorriso bonario, abbandonandosi a sedere.
“Ci ho pensato su. Tutto il
giorno,” annunciò, grave. “Penso davvero che tu non debba
vivere qui da solo. Sei già una persona chiusa, se poi…”
“Ma io starò
benissimo!” protestò Sasuke, con foga.
“… Ma so anche quanto sia
importante per te liberarti del sottoscritto,” continuò il
maggiore, senza dargli retta.
“Sì!”
confermò immediatamente Sasuke, fermo.
Itachi tacque per un paio di secondi,
impenetrabile, quindi scacciò una ciocca di capelli dagli occhi.
“Già. Vedo,”
commentò, atono. “Comunque, dicevo, ho pensato ad un
compromesso.”
Sasuke si rischiarò, sollevato,
e sporse il busto in avanti.
“Ti telefonerò tutte le
sere. Potrai mandare Kisame o quella checca di Dei o uno qualunque dei tuoi
amici a vedere come sto, ogni tanto. Non sempre, eh,” borbottò,
ostile.
“Veramente, pensavo ad un
coinquilino.”
Sasuke spalancò la bocca come
un forno e sgranò gli occhi, prima di arricciare il naso con profonda
contrarietà.
“Nemmeno per idea!”
protestò vivamente. Non intendeva certo liberarsi del fratello per
trovarsi in casa un altro rompicoglioni, per di più sconosciuto. Non era
nemmeno da prendere in considerazione.
“Va bene. Allora resto,”
commentò Itachi, placido.
“Nii-san!” sbottò
Sasuke imbufalito.
“Pensaci, Sas’ke: un
coinquilino, un ragazzo che magari abbia più o meno la tua età,
con cui chiacchierare ogni tanto e che ti dia una mano a gestire casa. Sarà
divertente,” fece l’altro, promettente.
“A me non piace
chiacchierare,” sibilò Sasuke a denti stretti.
“Appunto.”
Sasuke scattò in piedi
bruscamente, furibondo.
“Non mi sta bene, aniki,”
affermò seccamente, freddo. “Non ho intenzione di…”
“Non ci sono altre opzioni
possibili, sappilo,” gli fece notare Itachi calmo.
“Ma perché? Non mi
piacciono le persone, e allora? Non è un crimine,” affermò Sasuke, insolente.
Itachi sbuffò tra sé,
insonnolito.
“Vedila come vuoi. O
così, o nulla,” concluse, a voce bassa.
Sasuke strinse i pugni, con una smorfia
risentita e colma d’astio. Itachi tuttavia non parve soffrirne
particolarmente, accennò un sorriso che ebbe il potere di indisporlo
ancor di più e tacque finché al minore non fu chiaro che non si
sarebbe smosso. Soltanto quando colse la scintilla della sconfitta nel suo
sguardo riprese a parlare.
“A me sembra che possa andare
bene. Comunque ho già diffuso un annuncio oggi pomeriggio,
e…”
“Tu hai fatto cosa?” ruggì Sasuke,
allibito.
“Beh, ho pensato di accelerare i
tempi,” spiegò Itachi, distogliendo appena lo sguardo.
“Lo hai fatto ancor prima di
sapere se mi stesse bene. Tu…” sibilò Sasuke, furente,
lanciandogli un’occhiata che sembrava d’odio.
“Ho pensato che se non ci
fossimo messi d’accordo avremmo potuto semplicemente dire agli
interessati che abbiamo già trovato qualcuno,” osservò
Itachi, senza impeto.
“Tu hai deciso di pensare anche
per me, come al solito,” affermò Sasuke, la voce bassa e fremente.
Itachi aggrottò leggermente la
fronte.
“Non essere ridicolo. E’
soltanto che abbiamo poco tempo. Ma ho segnalato il tuo numero di cellulare e
sarai tu stesso a scegliere la persona che…”
“E chissenefrega!”
ringhiò Sasuke, gelido. “Non me ne importa proprio un fico secco
di chi sarà quel tizio, perché tanto non gli rivolgerò la
parola nemmeno per errore,” affermò, con sprezzo. “Anzi, sai
che ti dico, il primo che telefona lo scelgo, parola d’onore!”
aggiunse, fosco e stizzito.
E senza una sola altra parola si
voltò, imboccò il corridoio e sparì in camera sua con un
coreografico frastuono di porta sbattuta con violenza.
Itachi abbandonò la schiena
indietro e si passò le dita a lato degli occhi, spossato.
“Ne ho sbagliata
un’altra,” mormorò, rassegnato.
L’indomani Sasuke trascorse una
mattinata orrenda. Si era svegliato di pessimo umore, molto peggio del solito,
e per le sei ore di lezione non aveva trovato nulla di meglio da fare che
restare in perfetto silenzio, cupo e incarognito, e incenerire con lo sguardo
chiunque osasse l’incauto gesto di azzardarsi ad avvicinarlo. I suoi
compagni, conoscendolo, si erano comunque tenuti ben alla larga e persino un
paio di professori erano parsi particolarmente restii a porgli domande. Non ce
n’era bisogno, comunque: Sasuke Uchiha era il miglior studente non solo
della scuola, ma dell’intera città.
Al suono della campanella, dunque, si
diresse all’uscita senza salutare nessuno o degnare chicchessia di uno
sguardo: sfilò altero e noncurante tra le compagni di classe adoranti,
oltrepassò gli amici, se così li poteva chiamare, e
s’incamminò all’esterno nel florilegio della propria
freddezza. Aveva appena oltrepassato il cancello quando la sua tasca posteriore
vibrò e il ragazzino cacciò la mano a recuperare il cellulare nei
meandri dei suoi larghi pantaloni neri.
Aggrottò la fronte, scoprendo
sullo schermo che il mittente della chiamata era un numero a lui ignoto.
“Pronto,” borbottò, ostile.
“Salve!” esordì una
voce vivace e squillante che lui etichettò immediatamente come FDO, Fastidiosa Da Omicidio. “Spero di
non disturbare, sto cercando casa.”
Sasuke storse le labbra in una smorfia
infastidita, poggiandosi contro il muro.
“Non è un problema di mia
competenza,” commentò, sdegnoso.
Ci furono un paio di secondi di
silenzio e gli sembrò di vedere il cervello del suo ignoto interlocutore
fumare, prima che la sua voce tornasse a importunare il suo prezioso timpano
destro.
Con una schietta risata.
Insopportabile.
“Voglio dire, ho visto
l’annuncio. Sto cercando una stanza e la tua offerta mi interessa. Sei tu
Sas’ke, no?”
Il modo in cui pronunciava il suo nome
non gli piacque. Aveva una cadenza larga e metteva un marcato accento grave
sulla e finale, sicché ne risultava un specie di Saskè.
“All’incirca è il
mio nome,” rispose ruvido. “Uchiha Sas’ke. Tu sei..?”
“Naruto. Uzumaki Naruto.”
“Che razza di nome
è?” commentò lui, sprezzante.
“Il mio,” rise
l’interlocutore, baldanzoso. “Bello, eh?”
Sasuke aveva dato la sua parola
d’onore che avrebbe scelto il primo che avesse telefonato, e non si
sarebbe rimangiato quella promessa nemmeno se ne fosse andato della sua vita:
era una questione d’onore. Ma realizzò immediatamente che non avrebbe mai
tollerato di vivere con lo stupido proprietario di quella voce da idiota.
Doveva assolutamente dissuaderlo.
“Bene, Naruto,”
affermò senza calcolarlo, superiore. “Sto cercando un coinquilino.
Detesto le persone rumorose e che ridono troppo, non mi piace la gente che fa
casino e sappi sin d’ora che la tua presenza in casa mia mi sarà
sgradita in ogni caso e che non intendo avere niente a che fare con te. Tra
l’altro, mi sei antipatico. Ma se questo non fosse sufficiente a farti
desistere, l’indirizzo è…”
“Ma chi ti credi di
essere?” sbottò l’altro con voce berciante, imbestialito. “Pensi
di poter…”
“…Sull’elenco
telefonico,” concluse Sasuke maligno, prima di interrompere la chiamata.
Si concesse un breve sorrisetto
soddisfatto, rimettendo il telefono in tasca: e il primo era andato. Per
sicurezza, comunque, spense l’apparecchio.
Itachi avrebbe presto dovuto
rassegnarsi.
“…Un pazzo?”
Sasuke annuì ripetutamente,
nobile.
“Sì, ti dico,”
smozzicò con sufficienza. “Gli stavo spiegando come arrivare alla
villa e quello mi ha chiesto chi credevo di essere, senza ragioni. E poi ha
messo giù.”
All’altro capo dell’etere,
Itachi sospirò stancamente.
“Capisco. Beh, sarò a
casa tra poco, cosi possiamo fare il punto della situazione.”
“Di già?”
“Sas’ke, me ne vado tra
una settimana. Sopportami ancora per qualche ora, vuoi?”
Lui socchiuse le labbra, con un vago
senso di vergogna, proprio mentre il campanello suonava. Si strinse nelle
spalle e infilò i piedi nelle ciabatte da casa.
“Non intendevo…suonano
alla porta. A dopo, va bene?”
Lanciò il cellulare sul letto e
scese trotterellando le scale, gettando un’occhiata nello schermo del
videocitofono, quindi aggrottò la fronte.
Non conosceva la persona che aspettava
fuori dal cancello degli Uchiha. Era un ragazzo che doveva avere più o
meno la sua stessa età, con lo zaino in spalle, un’orrenda giacca
a vento arancione e scompigliati capelli biondi, corti. Ignaro di essere filmato,
l’estraneo gesticolava animatamente, rabbioso, camminando avanti e
indietro davanti alla griglia.
“Chi è questo dobe che
parla da solo?” sospirò Sasuke tra sé, tediato.
“Sì?” esclamò dall’interfono.
Quell’altro fece quasi un balzo
su se stesso, prima di avanzare bellicoso verso il microfono.
“E’ questa villa
Uchiha?” chiese irritato, e Sasuke si ritrasse istintivamente, sgranando
gli occhi nel riconoscere istantaneamente la voce sonora dello stupido
aspirante coinquilino che l’aveva chiamato all’uscita da scuola. Si
schiarì la voce, seccato. Cosa diamine voleva il cretino?
“Sì, ma chi
è?”
“Sono uno che adesso spacca la
testa di Uchiha Sas’ke, ecco chi è!” starnazzò il
biondo tontolone esagitato, gesticolando. Sasuke accennò un sorriso
malevolo preparando una replica adeguata, ma non ebbe il tempo di esporla.
“Tu faresti cosa?”
intervenne infatti una voce ferma e lugubre proveniente dall’esterno. Il
tonto si voltò indietro, liberando la visuale, e Sasuke si tappò
la bocca con la mano per trattenere le risa nell’individuare la sagoma
immobile del fratello che osservava il nuovo venuto con un che di omicida,
avviluppato nel suo lungo cappotto nero. Si abbandonò sulla sedia:
peccato non avere uno schermo più grande, e popcorn, per godersi meglio
lo spettacolo di Itachi che spaccava il culo dell’idiota.
Quello, comunque, non parve
particolarmente intimorito.
“Spaccherei la testa di Sasuke
Uchiha,” affermò tronfio, o così gli parve sebbene non
potesse vederlo in faccia. ”…Sei tu, per caso?” aggiunse sospettoso.
“No,” rispose Itachi,
ugualmente cupo e inquietante. “Per quale ragione vorresti spaccargli la
testa, se non sai nemmeno com’è fatta?”
“Perché è un
dannato stronzo!” affermò il tizio con foga, e Itachi
s’accigliò ulteriormente. Sasuke si preparò a sentire il
rumore delle ossa del biondo che si frantumavano, soddisfatto. “Gli ho
telefonato per avere informazioni su una stanza in affitto e lui mi ha trattato
come un cretino, mi ha dato dell’antipatico, mi ha detto di cercare
l’indirizzo sulla guida e mi ha messo giù il telefono!”
“Lurido spione bastardo!”
protestò Sasuke indignato, prima di poterselo impedire. Tappò nuovamente
la bocca, ma ormai aveva parlato.
Itachi, impassibile, spostò lo
sguardo verso la telecamera.
“Buon pomeriggio, otouto.”
“Spione a chi?”
sbraitò il tonto, scagliandosi verso il cancello come per buttarlo
giù.
“Fermo, tu,”
sospirò Itachi, afferrando compassato la maniglia del suo zaino. “Se
intendi davvero rompergli la testa, mio malgrado dovrò
intervenire.”
L’altro lo guardò male,
imbronciandosi.
“Beh, sì,”
ringhiò risentito. “E poi, sto ancora cercando casa,”
aggiunse a mezza voce, scontento.
Itachi sollevò appena un
sopracciglio, mentre Sasuke sbuffava infastidito. Ma che doveva fare per liberarsi
di quel tizio? Ammazzarlo?
“Nonostante tutto?”
interrogò il primogenito, cauto.
Il ragazzo si strinse nelle spalle ,
spiccio.
“Non ho molti soldi, e sull’annuncio
c’era scritto che…”
“So cosa c’era
scritto,” lo interruppe Itachi, lapidario. Gli gettò
un’altra occhiata penetrante, prima di voltarsi nuovamente verso la
telecamera, al di là della quale Sasuke continuava a guardarli
indispettito.
“Aprici, otouto.”
Sasuke serrò le labbra, frustrato, premendo il pulsante. Il cancello
si spalancò lentamente, ronzando, mentre lui caracollava verso
l’ingresso con profonda contrarietà.