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Autore: suni    08/04/2009    10 recensioni
Quando si sta per scegliere un coinquilino, bisognerebbe starci attenti. Sasuke Uchiha, per puro dispetto verso il fratello Itachi, trascura questa regola elementare della convinvenza. E quando l'esimio nessuno Naruto Uzumaki gli piomba in casa, la vita gli si capovolge. E quella di Naruto con la sua.
“E chissenefrega!” ringhiò Sasuke, gelido. “Non me ne importa proprio un fico secco di chi sarà quel tizio, perché tanto non gli rivolgerò la parola nemmeno per errore,” affermò, con sprezzo. “Anzi, sai che ti dico, il primo che telefona lo scelgo, parola d’onore!” aggiunse, fosco e stizzito.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Altri, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Prima di tutto: non sopporto le AU

Prima di tutto: non sopporto le AU.

Sì, lo so che questa storia ha l’avviso AU, ma non è colpa mia. E’ l’ennesima sfida che ciaraz mi ha lanciato e che io ho colto, perché le avevo negato un altro obbrobrio e a riprova del fatto che l’abisso della stupidità umana non ha limiti.

Dunque, è proprio una AU. La prima e ULTIMA. Ambientatela in un mondo come il nostro, vagamente, ché non ha collocazioni più precise. E mai le avrà, dato che questo tipo di storia mi è inviso e ben poco familiare. A tale proposito, se mi voleste far sapere, caso mai, se la storia è completamente orrenda e senza senso, vi sarò molto riconoscente. Comunque non sarà lunga, perché non ne ho voglia, detto molto sinceramente. Non vedo l’ora di tornare alla mia normale Konoha kishimotiana.

Anche il titolo, prendetelo un po’ com’è.

 

E premettiamolo, per chi non lo sapesse : otouto vuol dire « fratellino », mentre aniki vuol dire « fratellone » e nii-san ne è la contrazione affettuosa.

Ciò detto, auguri. Ne avrete bisogno.

suni

 

 

 

 

 

 

 

______________________________________

 

 

Falcoinquilino

 

 

 

 

Guardò la schiena del fratello con aperta noia e un fastidio nemmeno particolarmente dissimulato, mentre quello continuava a muoversi per la cucina senza smetterla un attimo. Non stava facendo nulla, se non aprire e richiudere sportelli come tenendo il conto di cosa gli sarebbe stato strettamente necessario portar via. Ma Sasuke era sicuro che i suoi occhi non si posavano nemmeno su quel che fingeva di osservare. Itachi al momento pontificava, e basta.

“Ti farai da mangiare, vero? Non ti voglio sulla coscienza,” stava dicendo, pacato.

“Nii-san…” biascicò Sasuke, ritroso.

“E darai una pulita in giro? L’ho sempre fatto io…” continuò Itachi, grave.

“Aniki,” sibilò il più giovane, stizzito.

“Se solo tu non fossi ancora minorenne…o sapessi almeno badare a te stesso…" sospirò l’altro, stoicamente inamovibile.

“Aniki!” sbottò Sasuke torvo.

“Forse dovrei restare a vivere qui. Cioè, questo nuovo lavoro è importante per me, ma tu non sei in grado di…” proseguì invariabilmente Itachi, con uno sbuffo e un tono assorto, distante.

“ANIKI!”

Sasuke alzò rabbiosamente la voce, esasperato, e il fratello maggiore sembrò accorgersi in quel momento della sua presenza in cucina, come se non fosse stato a lui che parlava. Parve però non notare la sua espressione irritata ed accennò nella sua direzione un leggero sorriso condiscendente.

“…Volevi dire qualcosa, Sas’ke?”

L’altro socchiuse le labbra preso in contropiede, con espressione quasi sconcertata. Quindi assottigliò le palpebre, vagamente astioso.

“…No. Volevo che smettessi di parlare tu.”

Itachi sbatté curiosamente gli occhi, quasi perplesso, poi annuì benevolmente, evidentemente senza dar peso alle sue parole.

“Su, esprimiti pure, otouto.”

Sasuke lo guardò storto, estremamente infastidito da quell’atteggiamento. Suo fratello continuava a parlargli come se avesse avuto ancora otto anni.

E a prendere altrettanto in considerazione le sue opinioni.

“Non ho nulla da dire.”

“Strano.”

La nota d’ironia nella voce di Itachi lo imbestialì ulteriormente.

“Mi tratti come se fossi ancora un poppante e mamma e papà fossero appena morti. Qualunque cosa io dica, sarà comunque come se non avessi parlato,” brontolò, petulante.

“Non è affatto vero, otouto,” lo contraddisse Itachi , con lo stesso fare paziente. “Dai, dimmi.”

Sasuke lo occhieggiò attento, valutando se dar credito alle sue parole. Infine, riluttante, cacciò le mani in tasca e allontanò una ciocca di capelli corvini dal viso con un gesto solenne del capo.

“Penso di essere in grado di vivere da solo. Sono maturo per avere diciassette anni, e ti assicuro che me la posso cavare,” affermò, fiero.

Itachi poggiò il dorso contro il frigorifero, le labbra storte. Annuì meditabondo più volte, con espressione compresa, quindi tamburellò le dita sul mento ed espirò forte.

“Credo che telefonerò al mio capo e gli dirò di annullare il trasferimento,” sentenziò infine, sollevandosi con uno scatto per tornare verso la porta.

“Aniki! “ ringhiò Sasuke indignato, scattando al suo seguito nel corridoio. “Hai sentito cosa ti ho appena detto?” aggiunse, rabbioso.

“Certo, non sono sordo,” confermò l’altro, noncurante. Quindi sospirò bonario, impugnando il cordless. “Ascoltami, Sas’ke…” iniziò, serio.

“NO! Tu ascoltami, per una volta! Tu vuoi quello stupido nuovo lavoro e io non sono un cretino! Quando avevi la mia età mi facevi già praticamente da genitore, perché io non dovrei essere in grado di arrangiarmi?” continuò, fremendo d’impotenza.

Itachi scosse lentamente il capo, controllato.

“Era una cosa diversa,” osservò, neutro.

“Oh, certo! Perché tu sei in gamba e io sono uno coglione, giusto?” esplose il minore, tirando una manata alla parete. Itachi gli lanciò uno sguardo sorpreso, come se la sola idea che fosse davvero quella la ragione che lo spingeva fosse stata completamente folle.

“Stai farneticando.”

“No, invece! Sei uno stronzo, ecco! Ora tu rinuncerai a una cosa che vorresti fare e rimarrai in città e io continuerò ad essere il fratellino sotto la campana di vetro! Perché ?” continuò Sasuke, frustrato.

“Pensa se lo zio Madara venisse a sapere che ti lascio qui a vivere da solo,” fece l’altro, ragionevole.

“Non è necessario che la vecchia baldracca lo sappia, e comunque l’unica cosa che gli interessa sono i nostri soldi,” sibilò Sasuke, risentito. Chinò tristemente la testa, avvilito ad arte. “Ti prometto che staro attento… Nii-san,” miagolò, sgranando supplice i lunghi occhi neri.

Itachi distolse immediatamente lo sguardo, sospirando lungamente. Si grattò piano la testa e serrò le labbra, malcontento.

“Ne parliamo stasera quando torno dal lavoro, Sas’ke,” borbottò, improvvisamente meno inespressivo e distante, premurandosi di non riportare gli occhi sul viso speranzoso del fratello minore.

“Nii-san…” continuò Sasuke, con lo stesso tono adorante dei suoi cinque anni.

“Ho detto stasera, sporco ruffiano,” smozzicò Itachi, battendo rapidamente in ritirata. Infilò la porta con la giacca ancora in mano, senza nemmeno voltarsi a salutare.

Sasuke sbuffò trucemente, sconfitto.

 

 

 

 

 

 

I : Il primo che telefona

 

 

 

Sasuke aveva fatto diligentemente i compiti per quasi tutto il pomeriggio, aveva riletto cinque volte la lezione per l’interrogazione dell’indomani, aveva riordinato la propria stanza e sistemato la posta. Al momento, sedeva davanti alla tavola già apparecchiata e l’acqua per il riso sobbolliva serena. Si era preparato accuratamente il terreno, pronto allo scontro finale col fratello.

Itachi l’aveva informato di un possibile trasferimento con promozione annessa la settimana prima. Fuori discussione l’idea di fargli cambiare scuola e città, primo per non sottoporlo a nuovi traumi, secondo perché il suo tutore legale, lo zio Madara, avrebbe impiegato mesi prima di sprecar tempo con qual genere di beghe burocratiche. Sulle prime Itachi era parso ritenere che lui potesse cavarsela anche in sua assenza – il posto che gli era stato offerto, a quanto pareva, gl’interessava davvero molto – ma erano stati sufficienti pochi giorni perché gli scrupoli cominciassero a rimordergli la coscienza.

Itachi si era preso carico del fratello minore fin da quando Mikoto e Fugaku Uchiha, i loro genitori, erano morti in un incidente stradale. All’epoca Sasuke aveva otto anni e il fratello tredici, sicché la loro tutela legale era stata affidata al prozio paterno. Ma a Madara interessava ben poco dei due nipoti: quel che gli stava a cuore era il pregevole patrimonio in denaro e immobili che gli sfortunati genitori avevano lasciato loro, e che era stato lui ad amministrare fino al raggiungimento della maggiore età di Itachi. Era comunque ancora responsabile del più giovane Sasuke, ufficialmente. Ma sin dal principio era stato di fatto Itachi ad occuparsi del benessere quotidiano di entrambi: inizialmente lo zio aveva fissato la propria dimora legale nella grande villa che era appartenuta al defunto fratello, ma le sue visite sporadiche si erano diradate fino a diventare pressoché nulle e l’unica cosa che gli premeva era che Sasuke non gli creasse noie e non gli facesse perder tempo. Di certo, saperlo solo nella villa non gli sarebbe andato a genio, non tanto per premura verso il ragazzo quanto perché, se fosse successo qualcosa, la responsabilità avrebbe versato su di lui; ma Sasuke riteneva che non si potesse certo permettere che fosse quell’opportunismo la ragione per cui suo fratello avrebbe dovuto rinunciare a un’offerta conveniente, che gli apriva nuove prospettive, e lui alla tanto agognata indipendenza, soprattutto.

Era dunque determinato ad essere lui ad averla vinta, stavolta, costasse quel che costasse. Da cui, la cena pronta.

Dovette aspettare appena cinque minuti prima che la serratura di casa scattasse e il passo leggero del fratello risuonasse nel corridoio.

“Otouto?”

“In cucina,” affermò, telegrafico.

Ed ecco arrivare Itachi, un po’ stanco ed apatico, e poi eccolo spalancare leggermente gli occhi per le sorpresa e osservare la tavola pronta.

“Chi ti ha pagato?” chiese, ironico.

Sasuke arricciò il naso, superiore.

“E’ stata una mia iniziativa.”

“Oh.”

Itachi lasciò cadere la giacca nera sullo schienale d’una sedia, stiracchiando la schiena.

“Intendi corrompermi con le tue straordinarie abilità culinarie o pensavi di avvelenarmi eliminando il problema alla radice?” s’informò, noncurante.

“Non tentarmi,” borbottò Sasuke offeso.

Itachi accennò l’ennesimo sorriso bonario, abbandonandosi a sedere.

“Ci ho pensato su. Tutto il giorno,” annunciò, grave. “Penso davvero che tu non debba vivere qui da solo. Sei già una persona chiusa, se poi…”

“Ma io starò benissimo!” protestò Sasuke, con foga.

“… Ma so anche quanto sia importante per te liberarti del sottoscritto,” continuò il maggiore, senza dargli retta.

“Sì!” confermò immediatamente Sasuke, fermo.

Itachi tacque per un paio di secondi, impenetrabile, quindi scacciò una ciocca di capelli dagli occhi.

“Già. Vedo,” commentò, atono. “Comunque, dicevo, ho pensato ad un compromesso.”

Sasuke si rischiarò, sollevato, e sporse il busto in avanti.

“Ti telefonerò tutte le sere. Potrai mandare Kisame o quella checca di Dei o uno qualunque dei tuoi amici a vedere come sto, ogni tanto. Non sempre, eh,” borbottò, ostile.

“Veramente, pensavo ad un coinquilino.”

Sasuke spalancò la bocca come un forno e sgranò gli occhi, prima di arricciare il naso con profonda contrarietà.

“Nemmeno per idea!” protestò vivamente. Non intendeva certo liberarsi del fratello per trovarsi in casa un altro rompicoglioni, per di più sconosciuto. Non era nemmeno da prendere in considerazione.

“Va bene. Allora resto,” commentò Itachi, placido.

“Nii-san!” sbottò Sasuke imbufalito.

“Pensaci, Sas’ke: un coinquilino, un ragazzo che magari abbia più o meno la tua età, con cui chiacchierare ogni tanto e che ti dia una mano a gestire casa. Sarà divertente,” fece l’altro, promettente.

“A me non piace chiacchierare,” sibilò Sasuke a denti stretti.

“Appunto.”

Sasuke scattò in piedi bruscamente, furibondo.

“Non mi sta bene, aniki,” affermò seccamente, freddo. “Non ho intenzione di…”

“Non ci sono altre opzioni possibili, sappilo,” gli fece notare Itachi calmo.

“Ma perché? Non mi piacciono le persone, e allora? Non è un crimine,” affermò Sasuke, insolente.

Itachi sbuffò tra sé, insonnolito.

“Vedila come vuoi. O così, o nulla,” concluse, a voce bassa.

Sasuke strinse i pugni, con una smorfia risentita e colma d’astio. Itachi tuttavia non parve soffrirne particolarmente, accennò un sorriso che ebbe il potere di indisporlo ancor di più e tacque finché al minore non fu chiaro che non si sarebbe smosso. Soltanto quando colse la scintilla della sconfitta nel suo sguardo riprese a parlare.

“A me sembra che possa andare bene. Comunque ho già diffuso un annuncio oggi pomeriggio, e…”

“Tu hai fatto cosa?” ruggì Sasuke, allibito.

“Beh, ho pensato di accelerare i tempi,” spiegò Itachi, distogliendo appena lo sguardo.

“Lo hai fatto ancor prima di sapere se mi stesse bene. Tu…” sibilò Sasuke, furente, lanciandogli un’occhiata che sembrava d’odio.

“Ho pensato che se non ci fossimo messi d’accordo avremmo potuto semplicemente dire agli interessati che abbiamo già trovato qualcuno,” osservò Itachi, senza impeto.

“Tu hai deciso di pensare anche per me, come al solito,” affermò Sasuke, la voce bassa e fremente.

Itachi aggrottò leggermente la fronte.

“Non essere ridicolo. E’ soltanto che abbiamo poco tempo. Ma ho segnalato il tuo numero di cellulare e sarai tu stesso a scegliere la persona che…”

“E chissenefrega!” ringhiò Sasuke, gelido. “Non me ne importa proprio un fico secco di chi sarà quel tizio, perché tanto non gli rivolgerò la parola nemmeno per errore,” affermò, con sprezzo. “Anzi, sai che ti dico, il primo che telefona lo scelgo, parola d’onore!” aggiunse, fosco e stizzito.

E senza una sola altra parola si voltò, imboccò il corridoio e sparì in camera sua con un coreografico frastuono di porta sbattuta con violenza.

Itachi abbandonò la schiena indietro e si passò le dita a lato degli occhi, spossato.

“Ne ho sbagliata un’altra,” mormorò, rassegnato.

 

 

L’indomani Sasuke trascorse una mattinata orrenda. Si era svegliato di pessimo umore, molto peggio del solito, e per le sei ore di lezione non aveva trovato nulla di meglio da fare che restare in perfetto silenzio, cupo e incarognito, e incenerire con lo sguardo chiunque osasse l’incauto gesto di azzardarsi ad avvicinarlo. I suoi compagni, conoscendolo, si erano comunque tenuti ben alla larga e persino un paio di professori erano parsi particolarmente restii a porgli domande. Non ce n’era bisogno, comunque: Sasuke Uchiha era il miglior studente non solo della scuola, ma dell’intera città.

Al suono della campanella, dunque, si diresse all’uscita senza salutare nessuno o degnare chicchessia di uno sguardo: sfilò altero e noncurante tra le compagni di classe adoranti, oltrepassò gli amici, se così li poteva chiamare, e s’incamminò all’esterno nel florilegio della propria freddezza. Aveva appena oltrepassato il cancello quando la sua tasca posteriore vibrò e il ragazzino cacciò la mano a recuperare il cellulare nei meandri dei suoi larghi pantaloni neri.

Aggrottò la fronte, scoprendo sullo schermo che il mittente della chiamata era un numero a lui ignoto.

“Pronto,”  borbottò, ostile.

“Salve!” esordì una voce vivace e squillante che lui etichettò immediatamente come FDO, Fastidiosa Da Omicidio. “Spero di non disturbare, sto cercando casa.”

Sasuke storse le labbra in una smorfia infastidita, poggiandosi contro il muro.

“Non è un problema di mia competenza,” commentò, sdegnoso.

Ci furono un paio di secondi di silenzio e gli sembrò di vedere il cervello del suo ignoto interlocutore fumare, prima che la sua voce tornasse a importunare il suo prezioso timpano destro.

Con una schietta risata. Insopportabile.

“Voglio dire, ho visto l’annuncio. Sto cercando una stanza e la tua offerta mi interessa. Sei tu Sas’ke, no?”

Il modo in cui pronunciava il suo nome non gli piacque. Aveva una cadenza larga e metteva un marcato accento grave sulla e finale, sicché ne risultava un specie di Saskè.

“All’incirca è il mio nome,” rispose ruvido. “Uchiha Sas’ke. Tu sei..?”

“Naruto. Uzumaki Naruto.”

“Che razza di nome è?” commentò lui, sprezzante.

“Il mio,” rise l’interlocutore, baldanzoso. “Bello, eh?”

Sasuke aveva dato la sua parola d’onore che avrebbe scelto il primo che avesse telefonato, e non si sarebbe rimangiato quella promessa nemmeno se ne fosse andato della sua vita: era una questione d’onore. Ma realizzò immediatamente che non avrebbe mai tollerato di vivere con lo stupido proprietario di quella voce da idiota. Doveva assolutamente dissuaderlo.

“Bene, Naruto,” affermò senza calcolarlo, superiore. “Sto cercando un coinquilino. Detesto le persone rumorose e che ridono troppo, non mi piace la gente che fa casino e sappi sin d’ora che la tua presenza in casa mia mi sarà sgradita in ogni caso e che non intendo avere niente a che fare con te. Tra l’altro, mi sei antipatico. Ma se questo non fosse sufficiente a farti desistere, l’indirizzo è…”

“Ma chi ti credi di essere?” sbottò l’altro con voce berciante, imbestialito. “Pensi di poter…”

“…Sull’elenco telefonico,” concluse Sasuke maligno, prima di interrompere la chiamata.

Si concesse un breve sorrisetto soddisfatto, rimettendo il telefono in tasca: e il primo era andato. Per sicurezza, comunque, spense l’apparecchio.

Itachi avrebbe presto dovuto rassegnarsi.

 

 

“…Un pazzo?”

Sasuke annuì ripetutamente, nobile.

“Sì, ti dico,” smozzicò con sufficienza. “Gli stavo spiegando come arrivare alla villa e quello mi ha chiesto chi credevo di essere, senza ragioni. E poi ha messo giù.”

All’altro capo dell’etere, Itachi sospirò stancamente.

“Capisco. Beh, sarò a casa tra poco, cosi possiamo fare il punto della situazione.”

“Di già?”

“Sas’ke, me ne vado tra una settimana. Sopportami ancora per qualche ora, vuoi?”

Lui socchiuse le labbra, con un vago senso di vergogna, proprio mentre il campanello suonava. Si strinse nelle spalle e infilò i piedi nelle ciabatte da casa.

“Non intendevo…suonano alla porta. A dopo, va bene?”

Lanciò il cellulare sul letto e scese trotterellando le scale, gettando un’occhiata nello schermo del videocitofono, quindi aggrottò la fronte.

Non conosceva la persona che aspettava fuori dal cancello degli Uchiha. Era un ragazzo che doveva avere più o meno la sua stessa età, con lo zaino in spalle, un’orrenda giacca a vento arancione e scompigliati capelli biondi, corti. Ignaro di essere filmato, l’estraneo gesticolava animatamente, rabbioso, camminando avanti e indietro davanti alla griglia.

“Chi è questo dobe che parla da solo?” sospirò Sasuke tra sé, tediato. “Sì?” esclamò dall’interfono.

Quell’altro fece quasi un balzo su se stesso, prima di avanzare bellicoso verso il microfono.

“E’ questa villa Uchiha?” chiese irritato, e Sasuke si ritrasse istintivamente, sgranando gli occhi nel riconoscere istantaneamente la voce sonora dello stupido aspirante coinquilino che l’aveva chiamato all’uscita da scuola. Si schiarì la voce, seccato. Cosa diamine voleva il cretino?

“Sì, ma chi è?”

“Sono uno che adesso spacca la testa di Uchiha Sas’ke, ecco chi è!” starnazzò il biondo tontolone esagitato, gesticolando. Sasuke accennò un sorriso malevolo preparando una replica adeguata, ma non ebbe il tempo di esporla.

“Tu faresti cosa?” intervenne infatti una voce ferma e lugubre proveniente dall’esterno. Il tonto si voltò indietro, liberando la visuale, e Sasuke si tappò la bocca con la mano per trattenere le risa nell’individuare la sagoma immobile del fratello che osservava il nuovo venuto con un che di omicida, avviluppato nel suo lungo cappotto nero. Si abbandonò sulla sedia: peccato non avere uno schermo più grande, e popcorn, per godersi meglio lo spettacolo di Itachi che spaccava il culo dell’idiota.

Quello, comunque, non parve particolarmente intimorito.

“Spaccherei la testa di Sasuke Uchiha,” affermò tronfio, o così gli parve sebbene non potesse vederlo in faccia. ”…Sei tu, per caso?” aggiunse sospettoso.

“No,” rispose Itachi, ugualmente cupo e inquietante. “Per quale ragione vorresti spaccargli la testa, se non sai nemmeno com’è fatta?”

“Perché è un dannato stronzo!” affermò il tizio con foga, e Itachi s’accigliò ulteriormente. Sasuke si preparò a sentire il rumore delle ossa del biondo che si frantumavano, soddisfatto. “Gli ho telefonato per avere informazioni su una stanza in affitto e lui mi ha trattato come un cretino, mi ha dato dell’antipatico, mi ha detto di cercare l’indirizzo sulla guida e mi ha messo giù il telefono!”

“Lurido spione bastardo!” protestò Sasuke indignato, prima di poterselo impedire. Tappò nuovamente la bocca, ma ormai aveva parlato.

Itachi, impassibile, spostò lo sguardo verso la telecamera.

“Buon pomeriggio, otouto.”

“Spione a chi?” sbraitò il tonto, scagliandosi verso il cancello come per buttarlo giù.

“Fermo, tu,” sospirò Itachi, afferrando compassato la maniglia del suo zaino. “Se intendi davvero rompergli la testa, mio malgrado dovrò intervenire.”

L’altro lo guardò male, imbronciandosi.

“Beh, sì,” ringhiò risentito. “E poi, sto ancora cercando casa,” aggiunse a mezza voce, scontento.

Itachi sollevò appena un sopracciglio, mentre Sasuke sbuffava infastidito. Ma che doveva fare per liberarsi di quel tizio? Ammazzarlo?

“Nonostante tutto?” interrogò il primogenito, cauto.

Il ragazzo si strinse nelle spalle , spiccio.

“Non ho molti soldi, e sull’annuncio c’era scritto che…”

“So cosa c’era scritto,” lo interruppe Itachi, lapidario. Gli gettò un’altra occhiata penetrante, prima di voltarsi nuovamente verso la telecamera, al di là della quale Sasuke continuava a guardarli indispettito.

“Aprici, otouto.”

Sasuke serrò le labbra, frustrato, premendo il pulsante. Il cancello si spalancò lentamente, ronzando, mentre lui caracollava verso l’ingresso con profonda contrarietà.

   
 
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