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Autore: nikita82roma    29/04/2016    3 recensioni
Ziva è a Tel Aviv, Tony a Washington con il resto della squadra.
Sono passati 3 anni da quando lei decise di rimanere in Israele, ma un evento inatteso sconvolge le loro vite e le loro decisioni: Tony viene rapito e portato a Tel Aviv e solo Ziva che ormai non fa più parte nè dell'NCIS nè del Mossad viene contattata.
Comincia così un percorso difficile per capire la verità sulle reali motivazioni e su quello che questo vorrà dire per il futuro privato dei protagonisti ed anche di tutta la squadra dell'NCIS.
Tony e Ziva si ritroveranno uno davanti all'altra e ricominciare da dove erano rimasti non sarà facile nonostante i sentimenti reciproci non si siano mai sopiti.
"Tra due giorni sono 3 anni, o forse dovrei dire domani, dato che è già mattina. 1096 giorni, 1096 notti. E mi chiedo ancora perché. "
Storia ad alto contenuto TIVA :)
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ziva David
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '3 Years Later'
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… How I wish, how I wish you were here 
We're just two lost souls  
swimming in a fish bowl               
Year after year,
running over the same old ground   
What have we found?  
The same old fears.     
Wish you were here  …

 

Era la mattina della vigilia del nostro matrimonio. Avevamo deciso di sposarci di giovedì sorprendendo un po’ tutti, ma solo perchè avevamo in mente di ritagliarci un week end un po’ lungo solo per noi. Avevamo spiegato più volte a Nathan che sarebbe rimasto qualche giorno con Abby e Stevy mentre noi eravamo fuori, ma lui era stato irremovibile: voleva stare con Gibbs che pur di far felice lui e noi acconsentì a prendersene cura, provocando più di qualche dispiacere ad Abby che adorava fargli da zia, ma Nathan aveva un debole per Gibbs e non c’era stato niente da fare.
Quella mattina mi svegliai presto per accompagnarlo all’asilo e lasciai Tony a dormire a casa. Quando tornai era sempre in camera, silenzioso, seduto sul bordo del letto. Sul comodino c'era una piccola scatola aperta. Stava con la testa bassa e le braccia appoggiate sulle gambe. Tra le mani una vecchia foto.
- Disturbo? - gli chiesi sedendomi vicino a lui e cingendogli le spalle.
- Mai - mi rispose senza alzare lo sguardo dalla foto.

Era lui, avrà avuto 3 o 4 anni, abbracciato a sua madre. Era incredibile come lo faceva esattamente nello stesso modo in cui Nathan abbraccia me. Se fisicamente Nathan sembrava assomigliare molto di più a me, occhi a parte, aveva tanti degli atteggiamenti di Tony e pensandoci adesso mi rendo conto che li ha sempre avuti, non era stato influenzato da lui, era semplicemente così, uguale a suo padre in tante piccole cose e più li vedevo insieme, più me ne rendevo conto: come dormivano, come sbuffavano, l’espressione soddisfatta quando mangiavano qualcosa di loro gradimento, come si rabbuiavano quando qualcosa non andava secondo i loro piani, come mi guardavano quando volevano qualcosa ed io faticavo a resistergli.
Solo su una cosa lo stava plasmando a sua immagine e somiglianza: come vestirsi. Aveva pian piano rivoluzionato il suo guardaroba lasciandomi poca possibilità di obiettare: indubbiamente Tony aveva gusto, sapeva scegliere vestiti di classe per se, solo che spesso non erano propriamente adatti ad un bambino di nemmeno tre anni ed il più delle volte le sue spese esagerate per i vestiti di Nathan erano fuori luogo, visto che non avrebbe sfruttato quei vestiti a lungo, ma lui non se ne curava, come la prima volta che eravamo andati a fare shopping per lui insieme. Io speravo che quella fosse solo l’eccitazione della “prima volta” invece era solo l’antipasto di quello che sarebbe sempre stato. Così i normali vestiti pratici da bambino e le tute sparivano pian piano dal suo guardaroba lasciando sempre più spazio ai vestiti firmati scelti da Tony, casual sì, ma sempre di classe. La cosa buffa era che Nathan vedendo il papà che passava tanto tempo a specchiarsi ed aggiustarsi vestiti e capelli, aveva cominciato anche lui a fermarsi davanti al nostro grande specchio in camera a guardarsi ogni volta, passandosi una mano sui capelli ed in realtà se li spettinava di più, ma non potevo fare a meno di guardarlo e sorridere di quel piccolo, vanitoso, DiNozzo in miniatura.

Tony non si era mosso dalla sua posizione, sempre con gli occhi fissi sulla foto.
- È molto bella. - gli dissi. Era la prima volta che vedevo una foto di sua madre.
- È vero - mi rispose sembrava non aveva voglia di parlare
- Ti manca molto, eh... 
- Tantissimo. Chissà cosa penserebbe di me oggi…
- Sarebbe sicuramente orgogliosa.

- Vorrei che fosse qui. Vorrei che ti conoscesse e vorrei che conoscesse anche me. - Si era rotta la sua diga, ed ora parlava come un fiume in piena - Sai qual’è la cosa che mi rende più triste? Che fatico a ricordarmela. E’ una traccia nella mia memoria sempre più sfocata, come il suono della sua voce. E quando nella mia mente torna qualche ricordo più vivo o magari la sento che mi sgrida o mi chiama, mi aggrappo a quel pensiero e lo stringo con forza perché non la voglio lasciar andare via. Ricordo benissimo le sensazioni e i gesti, ma la sua immagine e la sua voce sono sempre più lontane. Come se ora che sono adulto mi stesse lasciando, come se pensasse che ora non ho più bisogno di lei. 

Lo avvicinai a me e appoggiò la sua testa sulla mia spalla. Gli passai più volte la mano tra i capelli e chiuse gli occhi lasciandosi trasportare dal mio tocco che cercava di essere il più delicato possibile. Due lacrime rigarono il suo volto e le lasciò scivolare via. Guardai la foto che teneva in mano ed ora era tanto simile a quel bambino ed aveva bisogno della stessa cosa, l’abbraccio di sua madre. Lo capivo bene perché tante volte, soprattutto negli ultimi anni, avevo sentito lo stesso bisogno. Le braccia di Tony erano il mio rifugio da ogni cosa, il mio posto sicuro nel mondo. Però alcune volte l’abbraccio di cui si ha bisogno è diverso, è quello che solo una madre ti può dare, quello che va al di sopra di ogni cosa. Lo avevo capito quando era nato Nathan.
Sapevo che in quel momento qualsiasi cosa avessi fatto per Tony non era quella della quale lui avrebbe avuto bisogno, ma lo strinsi ancora di più, come lui aveva fatto tante volte con me, ora ne aveva l’urgenza lui.  Fece un respiro profondo e senza aprire gli occhi, né spostandosi da quella posizione ricominciò a parlare. Fermai la mia mano tra i suoi capelli, ma lui mi pregò di continuare e così ripresi ad accarezzarlo.

- Mia madre si ammalò prima dell’inizio della primavera, a metà luglio morì, poco dopo il mio compleanno. Per il mio ultimo compleanno insieme lei già stava molto male, non si alzava più dal letto, ma quel giorno volle farmi una sorpresa e nel pomeriggio venne in giardino dove avevano organizzato la mia festa. Si era truccata, acconciata i capelli e si era messa un abito elegante che le stava larghissimo per quanto si era dimagrita, ma per me era bellissima. Io stetti tutto il tempo vicino a lei, smisi di giocare, non mi interessavano i regali. Mi sedetti nel divanetto vicino a lei all’aria aperta e passò tutto il tempo ad accarezzarmi i capelli. Forse avrebbe voluto che andassi a giocare con i miei amici, ma non mi disse niente e mi tenne con se, sapeva meglio di me che sarebbe stata una delle ultime volte. - Si fermò e deglutì - Non smettere di accarezzarmi anche tu, Ziva, ti prego… 

La mia mano si fece improvvisamente pesante a sentire le sue parole e la sua richiesta. Ricacciai indietro le lacrime e continuai sfiorare i suoi capelli con dolci movimenti circolari.

- Quando ci fu la torta tutti mi dissero di esprimere un desiderio. Io chiusi gli occhi più forte che potevo, talmente tanto forte che mi feci male desiderando che la mia mamma stesse bene e soffiai con rabbia su quelle candeline. Lei si sforzo anche di mangiare un po’ di torta e giocammo con la panna, me la mise sul naso ed io feci lo stesso con lei, tutte cose che non mi aveva mai permesso di fare, perché con il cibo non si gioca, mi diceva. Ed invece quel giorno sì. E rise e quella risata sì, quella me la ricordo.
Il giorno che morì passai tutto il tempo sul letto vicino a lei, era una giornata molto calda, ma lei tremava per il freddo. Le sue mani ormai pelle e ossa mi accarezzavano i capelli ed il viso ed erano gelide. Io stavo rannicchiato vicino a lei e non volevo andare via. Poi mi disse di non piangere, perché lei da ora in poi sarebbe stata bene, che non mi dovevo preoccupare, perché mi sarebbe sempre stata vicino anche se io non la vedevo più…

Tony fece un sospiro e si fermò: aveva la voce rotta, stava piangendo come quel bambino che era vicino a sua madre.

- L’abbracciai e la pregavo di non lasciarmi mai. Mi diede un ultimo bacio e poi disse a mia zia di portarmi via. Non la vidi più. 

Stavo piangendo anche io. Non avevo resistito di più. Lui sentendo che anche io piangevo, si alzo subito, si asciugò gli occhi verdi che ora erano tutti arrossati e mi guardò sorridendo, un sorriso dolce e triste. Mi asciugò con le sue mani le mie lacrime ed io mi vergognai un po’ per questo, ma lui era così, doveva sempre asciugare le mie lacrime, secondo lui.

- Sai, - riprese il suo racconto, ora guardandomi negli occhi - per anni sono stato convinto che se era morta era colpa mia. Io avevo desiderato che lei stesse bene e lei prima di morire mi aveva detto che ora sarebbe stata bene. Ed ho detestato il mio compleanno. Questa cosa è la prima volta che la dico a qualcuno.
- Ti sei portato dentro questo da quando avevi otto anni?

Annuì solamente. Avrei voluto una macchina del tempo per andare a prendere quel bambino di otto anni e stringerlo e coccolarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che non era colpa sua, proprio come stavo facendo con lui adesso.

- Quando hai capito che non dovevi sentirti in colpa per una cosa così?
- Ero un po’ più grande. Abbastanza più grande. - Mi sorrise
Gli strinsi forte le mani. Volevo fargli capire che non era più solo.

Dovevo fare lo stesso passo che aveva fatto lui, anzi, non dovevo, volevo. Così cominciai anche io a raccontargli di mia madre.

- Quando le missioni di mio padre cominciarono a diventare più frequenti, diventò più frequente anche il suo rapporto con Orli. Mia madre lo sapeva, per molto tempo aveva fatto finta di nulla, poi dopo le ennesime minacce ci portò via. Passammo del tempo a Londra e Madrid. Non stavamo mai tanto tempo nello stesso posto. Poi ci stabilimmo per un periodo più lungo a Parigi. Mia sorella Tali era piccola e sempre impaurita dalle litigate tra mamma e papà che non mancavano mai, anche per telefono, anche quando mio padre venne un paio di volte a trovarci. Era uno strazio. Poi tornammo in Israele alla fine di un’estate, poco prima che io compissi 12 anni e Tali ne aveva 8, stavamo da mio padre. Ripresi la scuola a Tel Aviv, cominciai i primi addestramenti privati nel Mossad fatti da mio padre in persona, un gioco, come la metteva lui. 
Mamma mancava a me e mancava tantissimo a Tali che chiedeva sempre a mio padre quando sarebbe tornata e lo chiedeva anche a lei ogni volta che telefonava. Poi le telefonate cessarono e una sera che mia sorella non smetteva più di piangere perchè voleva nostra madre, mio padre bruscamente, disse ad una bambina di otto anni che la madre era morta e non sarebbe più tornata. La mia infanzia è finita quel giorno. 

- Cosa è successo a tua madre?

- Non lo so. Non l’ho mai saputo. Mio padre disse che era stata uccisa, ma non ho mai saputo di più. Ho cercato notizie, soprattutto dopo che ero entrata nel Mossad, ma nulla. Non c’era niente da nessuna parte. Mio padre sono sicuro che sapesse la verità, che sapesse cosa le è successo, ma non me lo ha mai detto.

- Pensi che sarebbe stata diversa la tua vita?

- Credo di sì, mia madre non avrebbe permesso quel tipo di addestramento, non così piccola. Ho cercato di rimuoverla dalla mia mente e dal mio cuore per anni, di non pensarci. Poi da quando sono rimasta incinta il suo ricordo è diventato costante. Mi sono ritrovata tante volte a cercare il suo aiuto, a pensare a quante cose non ha potuto insegnarmi, a come mi avrebbe aiutato e sostenuto quando Nathan era appena nato. Ogni cosa che facevo la facevo con il labile ricordo di quando è nata Tali. Ricordavo la dolcezza con la quale si prendeva cura di lei, come la cullava ed ero anche gelosa di lei appena nata, allora mamma appena lei si addormentava, mi prendeva tra le sue braccia e mi stringeva forte. Quei momenti li avevo cancellati dalla memoria per troppo tempo, ora invece non voglio abbandonarli più. Vorrei riuscire a dare a nostro figlio lo stesso amore e senso di protezione che lei dava a me.
- Non credo che glielo potresti dare di più, è impossibile - mi disse mentre le nostre mani continuavano ad essere congiunte. Ci guardammo negli occhi fino a perderci in una serie infinita di baci. 


I vestiti erano abbandonati in fondo al letto ed io ero ancora nel mio stato di beatitudine che solo fare l’amore con lui mi sapeva donare. Tony mi guardava e sorrideva, mentre io continuavo a guardarlo sognante.
- Se non mi garantisci che anche dopo sposati sarà sempre così, non ti sposo più - gli dissi e lui rise dandomi un bacio, poi prese il lenzuolo e ci coprì e si avvicinò di nuovo a me, abbracciandomi. Eravamo una davanti all’altro, con le fronti appoggiate, dandoci ogni tanto qualche bacio, parlandoci in punta di labbra.

- Tony, tu ci pensi mai a noi?
- Ziva, ti sposo, vuoi che non ci penso?
- Intendevo a noi prima
- Prima? Non mi ci far pensare se no voglio il bis
- Il bis l’hai già avuto… - gli dissi maliziosa
- Allora il tris - rispose allungando una mano e facendola scivolare pericolosamente dalla mia pancia verso il basso.
- Finiscila non dicevo questo. - Bloccai la sua mano controvoglia - Dicevo noi come eravamo prima… prima che io andassi via.
- Ah quel prima… 
- Sì, perché secondo te non abbiamo mai fatto il passo in più?
- Perché non eravamo pronti o avevamo paura.
- Tu ti ricordi come eravamo?
- Certo! Eravamo sicuramente più giovani. Poi io ero affascinante, bello, elegante, atletico, simpatico, divertente e tu… Beh tu eri irascibile, vendicativa, permalosa, precisina, saputella e tremendamente sexy Agente David…
- Credo che la tua descrizione sia un po’ di parte Agente DiNozzo. Per te vedrei più adatto infantile, ritardatario, sbadato, chiacchierone ma con un fondoschiena notevole. Pensavo a quanto tempo… - Non mi fece finire la frase, mi baciò per farmi tacere.
- Sei felice ora? Con me e Nathan?
- Certo, che domande mi fai!
- Allora non pensare a quello che poteva essere.

 

————————————

 

Ormai era tardo pomeriggio ed avevamo passato tutta quella giornata invece che a preparare le ultime cose per il nostro matrimonio a fare gli adolescenti in camera da letto, alzandoci solo per andare a prendere poco tempo prima Nathan dall’asilo. Ero poi rimasto a giocare un po’ con lui, sapevo già che nei prossimi giorni mi sarebbe mancato tantissimo.

- Sei nervosa? - Chiesi a Ziva mentre prendevo il portaabiti e la borsa con le mie cose.
- Dovrei esserlo? - Mi rispose sorpresa di quella domanda. In effetti era calma non so se lo fosse realmente oppure era una maschera per non farsi vedere. 
- Di solito è così.
- Per noi magari è diverso, viviamo già insieme, abbiamo un figlio… Abbiamo passati momenti molto più pericolosi insieme di un matrimonio, no?
- Non lo so, non mi sono mai sposato con nessuna
- Scemo.
- Allora è tutto pronto?
- Sì, non è che c’era molto da preparare.
- Sei sicura che vuoi rimanere sola con Nathan stasera? Perchè non hai fatto venire Abby lei ci sperava…
- Verrà domattina presto. Preferisco così.
- Ultima notte da donna libera a casa tutta sola con un altro uomo! - La provocai
- Smettila di fare lo scemo Tony!
- Quando mi hai detto che ti aiutava Abby ad organizzare tutto mi sono preoccupato, non è che devo aspettarmi un matrimonio dark ed una sposa con abito rosso sangue, vero?
- Chi lo sa… 
- Ziva guarda che ci ripenso eh!
- Provaci - Mi baciò appassionatamente
- Se mi baci così io stasera non vado da nessuna parte, quindi vedi tu che devi fare…
- Sei tu quello che vuole rispettare le tradizioni.
- Appunto. A Gibbs poi hai detto niente?
- No Tony… Ho paura che questa cosa lo possa far pensare troppo a Kelly, lo possa far soffrire.
- Oppure lo potrebbe fare felice.
- Non si può avere tutto. Ed io ho già te, ho Nathan… Sono fortunata.
- Io voglio che tu possa avere tutto.
Un ultimo bacio, passai a salutare Nathan ed andai via. L’avrei rivista il giorno dopo e sarebbe stato per sempre.

Guidavo verso casa di McGee che mi avrebbe ospitato per quella notte. Ripassavo mentalmente se avevo preso tutto: vestito, scarpe, gemelli, camicia, cravatta, anelli…
Era tutto perfetto, tranne una cosa che mi assillava… Presi il telefono
- Gibbs, ti posso parlare?
Fu una conversazione breve, con lui non c’era mai bisogno di troppe parole e spiegazioni. Capì subito, senza bisogno che giustificassi quella richiesta.

Arrivai da McGee subito dopo essere passato a prendere un paio di pizze per cena. Poi mi feci prendere la mano ed insieme alle pizze presi molte altre schifezze fritte da mangiare, una confezione di birre ed una bottiglia di champagne.
Se qualche anno fa mi avessero detto che avrei fatto il mio “addio al celibato” a casa di McGee a mangiare pizza da asporto e pollo fritto bevendo birra li avrei presi per folli. Uno perchè non credevo che mi sarei mai sposato, due perchè la mia festa di addio al celibato ero sicuro sarebbe stata del tutto diversa, in pieno DiNozzo style… o forse quello che era il DiNozzo style, mi corressi mentalmente.

- Ehy McTestimone! Scendi che non ce la faccio a portare tutto su da solo! - Gli citofonai e quando lo vidi aprire il portone gli diedi tutta la roba presa al take away, preoccupandomi di portare su solo i miei vestiti e quanto mi sarebbe servito per il giorno successivo.

Tim mi fece lasciare tutte le mie cose nella stanza degli ospiti. Da precisino qual era, sul letto mi aveva fatto trovare un set completo di asciugamani e accappatoio ed un paio di ciabatte bianche tipo quelle da hotel.
Andai in bagno mi diedi una veloce rinfrescata e mi misi una tuta leggera per stare più comodo. Notai i due spazzolini al bagno e quando rientrai in camera anche una pila di scatole etichettate.
McGee aveva ordinatamente disposto tutto il cibo sul tavolo in sala davanti alla tv, con il suo cellulare stava scorrendo le cartelle del suo hard disk che conteneva un’ampia collezione cinematografica. Ci teneva a dare sfoggio del suo lavoro di collegare tutte le apparecchiature elettroniche della sua casa e di poterle controllare con il suo smartphone. Alla fine scelse un film di James Bond tra i miei preferiti: “Licenza di uccidere”

- Visto che il festeggiato sei tu, un film di tuo gradimento!
- Perfetto Pivello!
Ci sedemmo sul divano le pizze dentro i cartoni erano già tagliate e fumanti. Andammo entrambi a prendere uno spicchio dello stesso gusto.
- Ehy Tony, ma perchè proprio questa scelta?
- La pizza? Beh è una delle mie preferite. E poi è quella che ho mangiato con Ziva la prima volta, anzi che lei si è presa.
- No, Tony, non dicevo la pizza, però come sei romantico! Dopo tutti questi anni ancora ti ricordi che pizza hai mangiato la prima volta con lei! Comunque intendevo perchè questa scelta di fare qui il tuo addio al celibato, cioè, così… semplice. Io immaginavo il tuo addio al celibato in qualche locale con ballerine, champagne a fiumi…  
-  Tim, tu ti ricordi, vero, con chi mi sto per sposare? - Gli dissi serio
- Ah. Ma è così… - fece una pausa per trovare la parola giusta - pericolosa anche a casa? - McGee non lo diceva, ma aveva sempre avuto soggezione di Ziva. Io scoppiai a ridere di gusto.
- Anche peggio McGee, anche peggio!
- Dai Tony non fare lo scemo! - Si accorse che lo stavo prendendo in giro - Io te lo chiedevo seriamente!
- Vedi Tim - presi un altro spicchio di pizza con il salame piccante - prima ci stavo pensando anche io. Ora non mi interessa, una festa ballerine, alcolici… Non ho bisogno di evadere, di sballarmi. Ho quello che voglio. E mi mancava solo una serata con un mio amico, una pizza, un film, quattro chiacchiere…
Tim era rimasto senza parole, beh, non era da me parlargli così. 
- Ti posso fare una domanda Tony? Quando hai condiviso quella pizza con Ziva?
- La prima sera che è venuta all’NCIS, quando Gibbs mi ha detto di pedinarla.
- Ah però…
- Avresti mai detto Pivello che saremmo arrivati a questo punto?
- Beh, non subito ma poi… beh sì…
- E me lo dici ora così Pivello?
- Veramente avevo provato a dirtelo anche in altri momenti altre volte, ma tu niente! 
- Sai McGee, stamattina ho detto a Ziva di non pensare a quello che sarebbe stato se ci fossimo comportati in modo diverso prima ed ora ci sto pensando io, invece.
- Risponditi quello che le hai risposto!
- Già… Ma tu, invece? Tra un po’ tocca anche a te, ho visto che Delilah già sta portando qua le sue cose eh!
- Eh… - sospirò
- Che è, ci stai ripensando?
- No! È che sono nervoso!
- McGee, ti sposi a fine agosto, io domani e sei tu ad essere nervoso? - Risi di gusto e rise anche lui. - A proposito già pensato all’addio al celibato tu?
- Lasciamo perdere Tony! Il fratello di Delilah… ha detto che penserà a tutto lui!
- E allora? 
- Non lo conosci, è un PR per alcuni Club tra i più famosi della East Coast. Ma non potevo dirgli di no, altrimenti Delilah ci sarebbe rimasta malissimo.
- Beh, almeno ci divertiremo! - Gli feci l’occhiolino
- Tu sarai sposato e a casa ti aspetterà Ziva.
- Giusto! Allora ti divertirai McGee!

Le immagini di James Bond scorrevano senza che ci prestassimo attenzione, ma l’avere sullo sfondo Sean Connery e Ursula Andress lo trovavo in qualche modo rassicurante. Continuammo a parlare a lungo io e McGee, come non facevamo da tempo o forse non avevamo mai fatto, ma era normalissimo essere lì e farlo. Mangiammo la pizza, il pollo fritto, le patatine, bevemmo birra ed infine lo champagne, per suggellare la fine di quella serata. Era quasi l’una quando decidemmo di togliere tutto di mezzo ed andare a dormire. La cerimonia sarebbe stata alle 11:00, quindi avevamo tempo di fare tutto con calma, senza nessuna sveglia all’alba.
Salutai il mio amico ed andai nella mia stanza. Era dal giorno che ero andato a prendere Nathan in Israele che non dormivo da solo. Improvvisamente quella solitudine sembrò opprimermi. Aprii la finestra e mi affacciai fuori a guardare fuori, la strada completamente vuota, le auto non passavano in quel quartiere residenziale che sembrava quasi un dormitorio. Pensai che questa tradizione del dormire separati la notte prima delle nozze e non vedersi fino a quando dovevamo sposarci era una cazzata, ma l’avevo voluta io.
Presi il cellulare e fissai a lungo la foto di sfondo, eravamo noi tre insieme a Barcellona, poco più di un mese prima. Avrei voluto chiamarla per augurarle la buona notte e chiederle come stava, se anche lei era angosciata come me al pensiero di stare lontani oppure si faceva coccolare dal suo antistress preferito. Se dormiva, però, l’avrei svegliata. Allora mandai solo un messaggio, al massimo l’avrebbe letto la mattina seguente.

 

NOTE: C’è un piccolo salto temporale, siamo al giorno prima del matrimonio. Ormai anche questa storia è quasi al termine. Oltre a questo capitolo ci saranno altri due dedicati al matrimonio con la notte prima di Ziva ed uno per la cerimonia stessa, e due di “conclusione” molto brevi. Spero quindi, che abbiate ancora un pochino di pazienza per arrivare fino alla fine.

Questo capitolo è stato abbastanza difficile. Ci volevo mettere qualcosa in più del passato dei nostri due, toccando un argomento lasciato sempre molto sul vago, come i rapporti con le rispettive madri, così qui sono andata completamente di fantasia. Allo stesso tempo però non volevo che fosse troppo pesante e dare un po’ di spazio a McGee, lasciato da me volutamente molto sullo sfondo per tutta la storia, però volevo uno spazietto tutto per i due amici prima della fine.

   
 
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