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Autore: Elwing Lamath    30/04/2016    4 recensioni
L'aveva cercato ovunque. Non aveva mai smesso di cercarlo. Da quando aveva recuperato la memoria, dissipando la nebbia di quei sogni di un passato lontano che lo avevano sempre avvolto sin dall'infanzia, non aveva mai abbandonato quella ricerca che diventava più disperata e meno sensata ogni giorno che passava.
Perché Arthur sapeva che Merlin era là fuori da qualche parte.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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NOTE DELL'AUTRICE: Buon weekend a tutti! Sono passati davvero pochi giorni dallo scorso aggiornamento, ma avendo il capitolo pronto, e sapendo cosa bolliva in pentola XD, non ho saputo resistere oltre. Spero che mi perdonerete in anticipo se il quarto capitolo si farà attendere un po' più a lungo la prossima volta (anche perchè vorrei prima aggiornare "L'Imperatore", la mia long sul mondo musicale). Che altro dire, ringrazio ancora una volta tutte le meravigliose lettrici che mi stanno sostenendo in questa storia coi loro commenti, il vostro contributo mi è prezioso, mi date sempre la carica <3.

Vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo!

Un bacio,

Elwing...

 

THE ONE THAT GOT AWAY


Capitolo III

Babe, there's something tragic about you,

Something so magic about you, don't you agree?

Babe, there's something lonesome about you,

Something so wholesome about you.

Get closer to me.


(From Eden - Hozier)


Merlin sbatté le palpebre un paio di volte, mettendo pienamente a fuoco quanto lo circondava, poi iniziò ad alzare il busto da terra. Arthur, che era ancora chino su di lui, si fece leggermente indietro per lasciargli spazio e cercò di aiutarlo ad alzarsi prendendogli le braccia con le mani, cercando di dargli stabilità. Sentì Merlin irrigidirsi sotto le sue mani, proprio come l’ultima volta. Cercò di ignorarlo.

“Merlin… Come ti senti?” Chiese Arthur con apprensione.

“Nnnghh…” Fallì nell’articolare mentre faticava a mettersi seduto. “… Bene, credo.” Disse Merlin quando si fu stabilizzato, portandosi una mano alla fronte, scostandosi la lunga frangia capelli corvini e massaggiandosi la testa, senza però alzare una seconda volta lo sguardo su Arthur, nemmeno mentre gli parlava.

Merlin cercò di mettersi in piedi, ma non fece nemmeno in tempo a provare a mettersi in ginocchio che fu colpito da un capogiro e dovette risedersi: le mani di Arthur scattarono di nuovo a sorreggerlo e Merlin istintivamente si protese ad afferrarle a sua volta, nel tentativo di fermare quel mondo che gli vorticava intorno.

“Io non credo proprio invece.” Commentò Arthur. “Forza, aggrappati a me. Ti aiuto.”

Merlin, il cui capogiro si era finalmente placato, emise un sospiro stanco, cercando di staccarsi dalla presa dell’altro. “Arthur… Senti, lascia stare. Ho solo bisogno di un attimo per riprendermi. Starò bene. Lasciami qui.” Disse stancamente, l’ultima frase come una preghiera dolente.

Arthur scosse il capo: “Sciocchezze. Non è mai stato nella mia politica lasciare un uomo chiaramente in difficoltà nel bel mezzo del nulla, solo e senza un trasporto. Quindi, che tu lo voglia o no, avrai il mio aiuto. Certo, se collaborerai mi renderai tutto molto più facile.” Disse con determinazione, con quel suo tono che non ammetteva repliche, nemmeno da Merlin.

Il mago, sconfitto in quella lotta di volontà, si limitò ad annuire senza aggiungere nulla e senza guardarlo. Si lasciò aiutare da Arthur a rimettersi in piedi. Le gambe erano molli come gelatina, si sentiva spossato in ogni fibra. Non si era sentito tanto debole da… Nemmeno si ricordava da quanto. Era una sensazione estremamente sgradevole, e per la prima volta in vita sua, avere Arthur al suo fianco a sostenere il suo peso, non alleviava in alcun modo la sua pena.

Permise che Arthur gli prendesse il braccio e se lo portasse dietro al collo, tendendolo per il polso con una mano e cingendogli il fianco con l’altro braccio, in modo da poterlo sorreggere. Altrettanto docilmente si lasciò condurre fuori dal cerchio di Nemeton e verso una macchina solitaria abbandonata su una piazzola vicino alla strada. Sapeva essere quella di Arthur, e ne ebbe conferma quando questi la aprì e lo condusse fino al posto del passeggero accanto al guidatore, aiutandolo a sedersi e chiudendogli praticamente la portiera in faccia.

Allora Merlin si permise di appoggiare la fronte contro il vetro freddo del finestrino, un contatto duro ma per certi versi confortante in quel suo bacio freddo. Chiuse gli occhi, ascoltando Arthur salire in macchina e accendere il motore. La leggera accelerazione della partenza lo spinse indietro quel poco che permise a una diversa porzione della sua testa di venire a contatto col vetro. Merlin si sentì incredibilmente stanco e impotente. L’intero movimento del mondo e della storia sembrava essere contro di lui, non importava per quanto si sforzasse o quanto fosse disposto a sacrificare, certe scelte erano sempre stati lussi che lui non si era potuto permettere.

Dopo alcuni minuti che si erano messi in strada, per la prima volta fu Merlin a prendere l’iniziativa e domandare debolmente: “Dove mi stai portando?”

Arthur si prese un attimo prima di rispondere, lo sguardo serio e concentrato sulla strada: “In un posto tranquillo, non manca molto.”

“Arthur, davvero, non devi farlo. Non è necessario.” Di nuovo quella preghiera stanca e dolorosa.

Merlin non ebbe bisogno di voltarsi a guardarlo per percepire dalla sua voce che Arthur aveva indurito la mascella, irritato e testardo: “Non sei nella condizione di stabilire cosa sia necessario e cosa no.”

Merlin non ebbe la forza di ribattere, ed Arthur considerò ancora una volta la questione chiusa e vinta.

“Che cosa cazzo è successo prima?” Chiese invece Arthur, cercando di nascondere il timore nella sua voce con un tono irritato.

“Non lo so.” Si limitò a dire Merlin con un filo di voce. Lo sapeva invece, eccome se lo sapeva. Ma neanche sotto tortura glielo avrebbe detto.

“So ancora riconoscere la magia quando la vedo.” Arthur parlava senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Perché siamo stati portati lì? Chi è stato?” disse più impaziente.

Merlin alzò appena la voce, stizzito: “Ti ho detto che non lo so. Non ho tutte le risposte.” Disse brusco.

“Già… Immagino di no.” Constatò Arthur con un retrogusto amaro.

Trascorsero il resto del viaggio in silenzio, un silenzio denso e teso in cui nessuno dei due si sentiva a proprio agio. I silenzi tra loro erano sempre stati momenti di conforto e pace, questo era straniante, strideva con tutto ciò che erano stati insieme, era pesante e sbagliato.

Il cervello di Merlin sembrò registrare a malapena gli eventi che seguirono. Svoltarono in un piccolo borgo isolato. Arthur fermò la macchina in un parcheggio davanti a un piccolo edificio in pietra grigia con le imposte rosse e tanti fiori alle finestre. Arthur lo aiutò ad uscire dall’auto. Fu solo quando lo condusse attraverso la porta d’ingresso che Merlin registrò di essere in un piccolo bed & breakfast. Il tempo passato davanti alla reception passò come inesistente. Si ritrovò davanti a una porta di legno vermiglio, il corpo di Arthur sempre solido al suo fianco, poi dentro a una semplice camera d’albergo. Il letto a due piazze, nonostante l’improbabile coperta cucita all’uncinetto, gli parve come una visione. Come se gli avesse letto nel pensiero, Arthur lo accompagnò fino ad esso, lo aiutò a sfilarsi il giubbotto e a stendersi sul materasso. Avvertì appena l’abbraccio caldo della coperta di lana che Arthur gli mise addosso, cadendo subito in un sonno spossato e senza sogni.

Non lo sentì nemmeno dirgli sottovoce: “Dormi, Merlin. Io… Io starò qui...”

 

 

Quando Merlin aprì gli occhi, la piccola stanza era ormai avvolta nella penombra del tramonto. Tutto era immobile, l’aria sospesa e quieta dopo essere stata abbandonata dagli ultimi raggi di sole svaniti dietro le case. Arthur non era lì, anche se Merlin indovinò essere sua la felpa rossa abbandonata su una poltrona di velluto verde sul lato opposto della camera insieme al suo giubbotto.

La testa per fortuna non gli girava più, e anche quella stanchezza mortifera sembrava aver abbandonato il suo corpo. Si puntellò con le braccia sul materasso, tirandosi su fino a che non fu seduto e si sistemò con la schiena appoggiata alla testiera del letto, le gambe distese. In quel momento si accorse di non aver più le scarpe. Le notò, riposte in un angolo sul tappeto ai piedi del letto. Arthur doveva avergliele tolte nel sonno. L’amara ironia di quel piccolo ribaltamento di ruoli rispetto alla loro prima vita insieme gli procurò una fitta alla bocca dello stomaco.

Poiché le energie sembravano essergli tornate, la prima cosa che Merlin pensò di fare, fu testare la sua magia. Allungò la mano davanti a sé nell’ombra che lo avvolgeva.

“Forbærne.” Sussurrò. Immediatamente i suoi occhi si tinsero d’oro e una palla di fuoco apparve sopra il suo palmo disteso. Merlin tirò un sospiro di sollievo: la sua magia era viva e reattiva in lui, la magia di Nemeton non l’aveva intaccata. Si rilassò, iniziando a giocare con la bolla di fuoco, facendola fluttuare lievemente da una mano all’altra, modificandone la forma e facendola muovere in complicate forme nell’aria sopra il letto.

Fu in quel momento che qualcuno girò la maniglia della porta, iniziando ad aprirla. Immediatamente, in un riflesso automatico acquisito in anni, secoli, in cui aveva nascosto la magia, Merlin fece svanire la palla di fuoco e distese le braccia lungo i fianchi, come se nulla fosse mai accaduto.

Arthur però, aprendo la porta della stanza, aveva notato il riflesso del fuoco magico su uno specchio appeso a un muro, e gli era quasi scappato un sorriso nel vedere come Merlin si era affrettato a farlo sparire. Entrò con una busta di carta tra le braccia che conteneva la loro cena. Era uscito a comprarla quando aveva notato che ormai il sonno di Merlin si era tranquillizzato e il sole aveva iniziato a calare sull’orizzonte.

Sentì gli occhi di Merlin su di sé mentre chiudeva la porta, si avvicinava alla scrivania e vi posava la busta col cibo.

Senza guardare direttamente il mago, cercando di farlo sembrare come molto casuale, Arthur disse: “Non serve che la nascondi, sai?”

Quando non ebbe alcuna risposta, voltò il capo verso il letto. Merlin lo fissava nella penombra con uno sguardo serio, indecifrabile, che sembrava volergli scavare dentro.

Il biondo accennò un sorriso appena ironico: “Mi sembrava che avessimo superato la fase in cui non ti dovevi far scoprire a fare magie, ricordi?”

Merlin abbassò lo sguardo, iniziando a giocherellare con le proprie mani, portandosele in grembo. “Presumo sia questione di abitudine.” Disse con voce atona.

Il sorriso di Arthur morì sulle sue labbra. “Come ti senti?” Gli chiese, decidendo di abbandonare la questione.

Merlin rialzò lo sguardo sull’amico. “Meglio. Molto meglio, grazie.”

Arthur trovò la forza di sorridere di nuovo: “Magnifico, perché ho portato la cena!” proclamò soddisfatto, estraendo dalla busta sulla scrivania un pacchetto di fish and chips.

“Ti ringrazio, ma non ho fame.” Ancora quel tono inespressivo.

Arthur sospirò, era lui ora a iniziare a sentirsi stanco di quella situazione. Abbandonò il cibo sulla scrivania, si avvicinò al letto e senza chiedere permesso si sedette sul materasso in modo da essere abbastanza vicino ma poter guardare Merlin dritto in faccia. L’altro sostenne il suo sguardo solo per poco, ritornando ad abbassarlo sulle proprie mani.

“Vuoi dirmi cosa sta succedendo?” chiese piano Arthur.

Non gli sfuggì che a quelle parole i palmi di Merlin si strinsero immediatamente a pugno e il suo intero corpo si irrigidì. Il mago però non rispose.

“Merlin… parlami. Dimmi cosa ti è capitato.” Uscì in parte come un ordine e in parte come una preghiera.

“Tu non capisci.” Sospirò amaramente il mago senza alzare lo sguardo.

“Allora spiegami!” Arthur iniziava a sentirsi esasperato.

Merlin scosse la testa, decidendosi finalmente ad alzare gli occhi, ora lucidi, e piantarli dritti in quelli di Arthur.

“Senti Arthur, non…” Disse ancora scuotendo il capo.

Il biondo lo fermò, più brusco di quanto forse avrebbe voluto: “No! Non ricominciare con la storia che me ne devo andare, perché sai benissimo che non lo farò.” Fece una pausa. Poi, il suo tono si addolcì un po’ e un piccolo sorriso nostalgico gli affiorò sulle labbra. “Ormai avresti dovuto imparare un paio di cose sulla mia testardaggine.”

L’ombra di un sorriso molto più amaro apparve sul viso di Merlin. “Temo proprio di sì.” Disse sottovoce, forse più a sé stesso che ad Arthur. Un altro breve momento di silenzio. “Ma devi credermi, non è un bene per te starmi vicino, e…”

“Io ho bisogno di te.” Disse Arthur in un fiato, senza lasciare che Merlin terminasse la frase.

Entrambi furono zittiti dalle parole di Arthur, ne rimasero storditi. Rimasero ad aleggiare per diversi secondi sul silenzio denso della camera.

Arthur si spostò sul materasso, facendosi un po’ più vicino all’altro. Merlin si riscosse, prese fiato come per dire qualcosa, ma Arthur lo precedette.

“Non allontanarmi di nuovo. Non dopo tutto quello che abbiamo passato.” Arthur vide gli occhi di Merlin brillare, liquidi e tristi, lo vide stringere le labbra come per reprimere tutto ciò che aveva dentro. Sentì i suoi stessi occhi pungere di lacrime, ma riuscì a trattenerle.

Arthur dovette farsi coraggio prima di dire: “Resta come me questa notte. Anche solo per questa notte.” Gli si avvicinò ancora, piano.

“Perché?” Sussurrò Merlin. La voce gli vibrò insicura, innocente come quella di un bambino.

Arthur sollevò leggermente le sopracciglia, con uno sguardo triste e agognante allo stesso tempo: “Non lo sai?” gli chiese con totale consapevolezza.

Merlin lo sapeva. Conosceva perfettamente cosa voleva Arthur, conosceva il suo cuore. Lo aveva capito sin dai quei maledetti ultimi giorni trascorsi insieme viaggiando verso Avalon. Arthur non aveva dovuto parlare perché Merlin capisse. Anzi, si era reso conto che forse lo aveva sempre saputo. Non avevano mai avuto bisogno di confessioni per sapere in un angolo del proprio cuore cosa provavano veramente l’uno per l’altro.

“Questa notte… e poi?” gli rispose invece Merlin.

Arthur era ormai entrato nello spazio di Merlin, i loro volti così vicini, sarebbe bastato così poco.

“Deciderai quello che vorrai fare.” Merlin sentì il fiato di Arthur solleticargli il volto quando gli parlò. “Domani.”

Il biondo si avvicinò ancora di qualche millimetro, dando a Merlin tutto il tempo di scostarsi se non avesse voluto andare oltre. Quello però non si mosse, anzi, spostò lo sguardo dagli occhi di Arthur alle sue labbra.

Arthur lo interpretò come il consenso che aspettava praticamente da una vita. Non esitò oltre: si fece avanti e lo baciò.

Il primo contatto tra le loro labbra, condotto da Arthur, fu dolce. Merlin sospirò sulla sua bocca, un sospiro di una tristezza infinita, ma necessario, dal quale però trasse nuova energia. Merlin rispose al bacio con vigore, prendendo il volto di Arthur con entrambe le mani e tirandoselo contro, aprendo poi la bocca per approfondire il bacio. Le mani di Arthur salirono ad accarezzargli le braccia, no, a stringerle, come se sapesse perfettamente che essere stretto era tutto ciò di cui Merlin aveva bisogno.

Si staccarono come se quel bacio fosse stato attraversato da una scossa elettrica, ma rimasero coi volti che si sfioravano.

“Mi sei mancato.” Sospirò Merlin quasi senza voce, con un tono così disperato che spezzò il cuore di Arthur. Solo un altro bacio poté rimetterne insieme i pezzi.

Si baciarono ancora, e poi ancora. Come due affamati, con un desiderio che nascondeva anche disperazione, un vuoto nello stomaco, come nel cuore, rimasto vacuo per entrambi troppo a lungo.

Non ci fu più spazio per la sola dolcezza in quei baci. Divenne questione di esigenza, di bisogno. Sentire le labbra salde e decise dell’altro contro le proprie fu per entrambi come crollare in cocci e ricostruirsi.

Le mani che esploravano reciprocamente il volto, le spalle, le braccia, il torso. Le lingue che si trovavano, le bocche che si assaggiavano. I corpi che si scioglievano e insieme si scottavano in quel contatto agognato tanto a lungo.

Arthur avanzò ancora, finendo per sedersi a cavalcioni di Merlin, senza staccarsi dalla sua bocca. Fu automatico e naturalissimo per Merlin salire con le mani lungo le sue cosce e afferrarlo per i fianchi, per poi tirarlo verso il basso, ancora più contro di sé, come se volesse farsi schiacciare dal suo corpo, come se volesse annegare in Arthur, sentendolo solido contro di sé.

Arthur rispose con un suono roco, disarticolato. Le mani del biondo si infilarono sotto la maglia di Merlin, esplorando con le dita la pelle tiepida. Merlin rabbrividì e sospirò a quel contatto. Arthur strinse maggiormente la presa, volendo imprimere la propria impronta su di lui. In breve quell’esplorazione non fu più abbastanza. Con un morso invitante al labbro inferiore, Arthur interruppe il bacio e praticamente strattonò la maglia di Merlin per toglierla. L’altro lo aiutò alzando le braccia e con un solo movimento rapido Merlin si ritrovò a torso nudo, a fissare Arthur dal basso all’alto, il respiro alterato e gli occhi grandi e colmi di desiderio. Arthur sembrò leggervi una tacita richiesta e in un attimo si tolse anche la propria maglietta, facendola passare dalla testa e buttandola lontano, da qualche parte sul pavimento.

Arthur si lasciò sfuggire un breve sorriso compiaciuto prima di riagganciare le loro bocche, prendendo le labbra di Merlin tra le sue. Ora che c’era così tanta pelle in più scoperta e da scoprire, il bacio fu come uno scoppiettio, tutti i nervi di Arthur tremarono.

Merlin con un sospiro gli succhiò il labbro inferiore, procurando un’esplosione di calore che si propagò nel petto di Arthur. Poi il mago con uno scatto energico invertì le loro posizioni. Arthur lo lasciò fare, ritrovandosi affondato nel materasso, il corpo caldo e sorprendentemente solido di Merlin a tenerlo lì ben fermo.

Guardò in alto verso di lui, per scoprire nei suoi occhi la stessa fame che sentiva nella propria pancia e che gli faceva formicolare tutto il corpo. Senza aggiungere altro, Merlin lo liberò dei pantaloni con un gesto veloce, esperto Arthur avrebbe osato dire, per poi alzarsi sulle ginocchia e finire di spogliarsi lui stesso con urgenza.

Poi Merlin gli si premette addosso ancora una volta, adesso finalmente nudi, entrambi. Gemettero a quel contatto così assoluto.

Merlin lo baciò di nuovo, muovendosi contro di lui, andando ad alzare le braccia di Arthur sopra le loro teste, a contatto con la spalliera, intrecciando poi insieme le loro dita. Arthur strinse le loro mani unite, forte, aggrappandosi ad esse con tutto sé stesso. Improvvisamente Merlin le districò dal quell’intreccio, come se ne fosse rimasto scottato.

Ma Arthur non fece in tempo a lamentarsi della perdita, che le mani di Merlin furono ovunque sul suo corpo: accarezzando, premendo, toccando. Oh, toccando.

Arthur si abbandonò, staccando completamente il cervello, godendosi il calore delle gambe di Merlin attorno ai suoi fianchi mentre lo sovrastava. Godendosi tutto Merlin attorno a sé, nel suo corpo, nella sua testa. Era magico, anche se Arthur era consapevole che questa volta la magia non c’entrava nulla, il modo in cui Merlin sembrava conoscere perfettamente come Arthur voleva essere toccato, stretto. Quali punti del suo corpo fossero capaci di strappargli i gemiti di piacere più alti.

Quella notte fu quasi una gara di forza per stabilire chi avesse più potere sull’altro. Ma entrambi erano in grado di piegarsi a vicenda, di spezzarsi se necessario, e questo era tanto terrificante quanto meraviglioso. Quella notte Arthur si aprì a Merlin completamente, in ogni senso possibile, come sapeva che non avrebbe mai fatto con nessun altro.

Crollarono infine esausti e soddisfatti uno sull’altro. La stanza era ormai avvolta nel silenzio denso e buio della notte.

Merlin giaceva supino, Arthur gli era abbracciato contro, un braccio del biondo a circondargli la vita, una gamba sopra quelle di Merlin, la testa tra la sua spalla e il petto. Un braccio di Merlin era andato automaticamente a circondargli le spalle, abbracciandolo e permettendogli di accomodare meglio il capo.

Arthur si godette profondamente quel momento di pace, calmando il suo respiro e assaporando la sensazione dei polpastrelli di Merlin che tracciavano linee morbide mentre gli accarezzavano distrattamente la schiena.

Arthur chiuse gli occhi. “Ti amo.” Disse piano, quasi sussurrando.

Percepì il petto di Merlin sotto di sé trattenere un respiro. Poi il mago espirò, rilassandosi.

Arthur non poté vedere le lacrime che Merlin non riuscì a trattenere in quel momento e che scesero silenziose a bagnargli le guance. Il mago strinse gli occhi, lasciando che altre lacrime sgorgassero.

“Dormi.” Gli rispose invece, dolcemente. La mano libera di Merlin volò ad accarezzargli i capelli biondi.

Gli occhi di Merlin si illuminarono d’oro. “Dormi.” Gli ripeté ancora.

Arthur fece appena in tempo a pensare che quella non era la risposta che si aspettava, ma poi si sentì le membra liquide, le palpebre pesanti, e l’abbraccio caldo del sonno insieme alle carezze confortanti di Merlin vinsero su di lui senza sforzo. Arthur si abbandonò morbidamente al dolce incantesimo di Merlin.

 

 

Merlin non si sarebbe addormentato, ma si concesse di rimanere ancora per un po’ lì, con Arthur vivo, caldo e addormentato contro di sé. Lo abbracciò a lungo, lo strinse ancor di più, anche se era consapevole che l’altro non l’avrebbe sentito, avvolto com’era dal sonno magico dell’incantesimo che gli aveva fatto.

Non avrebbe saputo dire esattamente quanto tempo fosse passato, Merlin se ne stava lì, immobile a piangere in silenzio con Arthur tra le braccia, la stanza ancora saldamente avvolta nel buio della notte, e il respiro profondo di Arthur addormentato e ignaro a solleticargli la pelle del petto.

Fece uno sforzo enorme per trovare la forza di fare ciò che si era promesso, no, ciò che doveva fare. Si sporse fino a deporre un bacio leggero sulla testa di Arthur. Strinse gli occhi e respirò a fondo il suo profumo tra i capelli chiari. Il più delicatamente possibile si districò da quell’intreccio di membra che erano i loro corpi. Si alzò, sistemò Arthur sotto le coperte e si rivestì in religioso silenzio, nonostante sapesse che probabilmente nemmeno una bomba atomica avrebbe potuto svegliare il biondo.

Era ormai pronto per andarsene, eppure non riusciva a staccare gli occhi dalla figura serena e dormiente di Arthur. Si concesse di aspettare ancora per un po’, rimanendo ai piedi del letto ad osservarlo. Mille pensieri vorticavano nella testa di Merlin, altrettante immagini erano impresse a fuoco dietro le sue iridi, della notte appena passata come di tante altre volte in cui Arthur aveva colmato la sua vita. Nel petto invece, già sentiva un vuoto assoluto.

Non avrebbe mai potuto attendere che arrivasse il mattino, come gli aveva chiesto Arthur. L’avventura di quella notte già di per sé era stata un errore, una debolezza di un momento, ma necessaria quanto l’ossigeno. Si pentì di aver dato un’illusione ad Arthur, di avergli permesso di sussurrargli quel ‘ti amo’ come una promessa, di avergli dato speranza. Doveva dirgli addio, per sempre. Ma non avrebbe avuto la forza di aspettare l’alba e vedere il cuore di Arthur spezzarsi attraverso i suoi occhi quando lui l’avrebbe lasciato. No. Almeno quel dolore ebbe la pietà di risparmiarselo.

“Farwell, fy nghariad*.” Gli sussurrò piano, con un nodo alla gola.

Poi, lentamente, protese un braccio in avanti, imponendo il palmo della mano verso Arthur. Con una magia silenziosa che tinse i suoi occhi d’oro vivo, creò una bolla di luce bluastra che si espanse morbidamente nell’aria, scendendo piano sulla figura del re e svanendo con un brillio appena più forte non appena entrò in contatto col corpo addormentato. Una benedizione dell’Antica Religione, un augurio di protezione, nulla di più. Era tutto ciò che Merlin ora poteva donare al suo re, oltre a sparire dalla sua vita.

Raccolse il giubbotto dalla poltrona, sfiorando appena la felpa di Arthur con le dita. Svanì oltre la porta della camera, chiudendosela alle spalle, non prima di aver dato un ultimo sguardo verso il letto, dove ancora Arthur riposava placido e ignaro.

 

NOTA:

*= Addio, amore mio  (traduzione dal Gallese, presa da Internet, non me ne vogliate se c'è qualche bestialità XD. Ho pensato di metterla in questa lingua perchè secondo alcune tradizioni Camelot si trovava proprio nell'odierno Galles)

  
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