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Autore: HeavenIsInYourEyes    30/04/2016    5 recensioni
Così la strinse piano, trattenendola un po’ di più a sé, sussurrandole a fior di labbra un debole –Resti qui?- che era un po’ come dirle "Ho bisogno di te".
-Quanto vuoi.- la sentì bisbigliare dopo quella che gli parve un’eternità.
E si fece bastare quel "Quanto vuoi", che era un periodo di tempo ragionevolmente lungo visto che spettava a lui decidere quando mandarla via.
Già.
Peccato che in un momento di completo blackout mentale, si disse che nemmeno tutto il tempo del mondo gli sarebbe bastato.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, T.O.P.
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 34
Capitolo 34
Do you want me crawling back to you?

“But I crumble completely when you cry,
It seems like once again you've had to greet me with goodbye”

-505, Arctic Monkeys-


Quando Seung-Hyun si innamorava, ci si buttava a capofitto nelle storie ed era una peculiarità che Ji Yong gli aveva sempre invidiato: era una caduta libera in cui perdeva di vista tutto ciò che lo circondava, concentrandosi su quell’unica che gli mandava in pappa il cervello e il cuore ma –perché in certe cose c’era sempre un “ma”- mai si era lasciato andare a tal punto da farsi rivestire dalla sofferenza, quando questa inevitabilmente veniva a trovarlo. Le litigate, la fine di una storia avevano sì fatto male, ma non così tanto da cambiare la quotidianità della sua intera esistenza.

Fino a che America non aveva deciso di invadere ogni suo più piccolo spazio, mandandolo in tilt, forse senza nemmeno rendersene conto: le litigate, la fine di una storia sembravano lasciare cicatrici decisamente più profonde e che non si rimarginavano nemmeno dopo la riconciliazione.

La sensazione straziante di essere sempre vicini ad un’inevitabile rottura, aveva ricoperto ogni singolo istante trascorso assieme e Ji Yong, questo, lo aveva notato sin da subito… Non l’aveva mai visto così coinvolto, tanto da dimenticarsi che per almeno buona parte della giornata lui era T.O.P dei Big Bang e non Choi Seung-Hyun.

Marciando a passo veloce verso lo spogliatoio, un asciugamano bagnato sulle spalle e la mascella contratta per l’indignazione, Ji Yong cominciava a chiedersi se non fosse il caso di mandarlo in pensione quel demente del loro amico che, ma tu guarda un po’, aveva deciso di presentarsi in ritardo alle prove. Per la decima volta. In cinque giorni. E senza avvisare.

Senza nemmeno bussare, aprì la porta, trovandosi di fronte la larga schiena del ragazzo indaffarato a guardare l’armadietto aperto. Si appoggiò allo stipite «Ben arrivato…» soffiò mellifluo, rivolgendogli un sorrisetto quando i loro sguardi si incrociarono.

Seung-Hyun tornò a trafficare con la borsa «Fanculo.»    

«Insultala quanto vuoi, tanto non si chiuderà.»

«Veramente era rivolto a te.»

«Così mi commuovi» cantilenò ironico «Sei in ritardo. Di tre ore…» constatò con ovvietà, pregando che avesse a disposizione una buona scusa «Sei pregato di avvisare se--»

«Se faccio tardi perché voi non potete mica aspettarmi bla bla bla» sventolò una mano «Me l’hai già detto cento volte.»

«A quanto pare non è bastato a farlo entrare in quella tua testa…» sciorinò tremebondo, massaggiandosi una tempia quando dall’altra parte vide uno spesso strato di menefreghismo. Che. Palle. Non era in vena di scherzi, quel giorno, men che meno aveva intenzione di stare ad assecondare un ragazzino troppo cresciuto per rendersi conto che, ehi, la vita non era mica tutta rosa e fiori «Si può sapere qual è il tuo problema?»

«Lo sai benissimo chi è. O hai bisogno di una rinfrescatina?»

Ji Yong avvertì la vena pulsare sulla tempia, chiaro segno che di lì alla prossima parola sbagliata avrebbe sicuramente perso la pazienza «I tuoi problemi personali, tienili fuori dal lavoro.»

«Peccato che uno dei miei tanti problemi sia proprio qui, a lavoro» gli rivolse un’occhiata eloquente, squadrandolo da capo a piedi. Ji Yong si limitò ad arcuare un sopracciglio, senza lasciarsi minimamente intaccare dalla crudeltà delle sue parole. Che ce l’avesse con lui era palese, che ancora però non si fosse deciso a chiarire… Beh, non era da Seung-Hyun «Ma che parlo a fare? Per te è tutto così facile, tanto niente e nessuno ti sfiora.» sbatté l’anta dell’armadietto, riprendendo a ignorarlo.

Ji Yong roteò gli occhi, spazientito «Sei ridicolo.» e a quel punto, Top disse qualcosa che da tempo non sentiva. Qualcosa che Ginko, una volta, gli aveva confessato con le lacrime agli occhi e l’aria disillusa di chi vedeva la perfezione del proprio idolo sgretolarsi, scoprendo quanto imperfetto fosse in realtà.

Fu un «E tu sei una persona triste…» che lo paralizzò, impedendogli di ribattere con quel suo solito mordente che metteva a tacere chiunque «Te ne stai lì, a giocare con i sentimenti altrui perché sei troppo annoiato dalla tua vita per-per--» si portò le mani fra i capelli «Sei così infelice che devi per forza rovinare la vita degli altri, non puoi farne a meno. Guarda me e Lindsay, ad esempio» sbatté le mani sui fianchi «Ti sei impegnato così tanto per farmi cambiare idea su di lei e io come uno stupido ci sono cascato e guarda come siamo finiti--»

«Non sono stato io a farti innamorare di lei, hai fatto tutto tu e lo sai perché?» sollevò il mento, sfruttando quell’attimo di titubanza a proprio favore «Perché ti sei accorto che Lindsay è molto meglio di quello che da a vedere ed è per questo che sei così incazzato: sai bene che nessun’altra, là fuori, si dimostrerà così interessante e degna delle tue attenzioni» Seung-Hyun serrò le labbra, GD lo incalzò «E ora dimmi, ti fa più incazzare il fatto che non te lo abbiamo detto o la consapevolezza che anche sapendolo, lei non sarebbe rimasta?»

«Perché date tutti per scontato che non sarei riuscito a fermarla?»

Ji Yong lo guardò severo «Sei davvero convinto che sarebbe rimasta qui, con te, quando è stata ammessa alla Columbia? Seung-Hyun, apri gli occhi…» fece qualche passo nello spogliatoio, tenendosi a debita distanza.

«Oh, ma io gli ho aperti… E sai cos’ho scoperto?» ribatté convinto «Che è solo un’egoista, la peggiore, la--»

«E perché? Tu non lo sei?» inclinò il capo, beandosi di quel guizzo di timore che aveva scorto nei suoi occhi sfuggevoli «Te ne stai lì, a lamentarti perché pensi che tutti ti hanno preso per il culo quando nemmeno ti rendi conto che nessuno qui ha colpa o ragione. Come America…» Seung-Hyun arcuò un sopracciglio «Tu non hai provato nemmeno a capirla, te la sei presa con lei e con noi, come se questo potesse risolvere le cose.»

«Non è la stessa cosa» soffiò roco, costringendolo a fare i conti con la sua abissale stupidità «È lei quella che se ne va--»

«Sta andando a New York per studiare, questo dovrebbe renderti orgoglioso!» alzò la voce, seccato dal suo continuo barricarsi dietro la propria ottusità «Da quando sta con te ha deciso di  rendersi una persona migliore e anziché esserne felice e vivere con lei questo momento, te ne stai lì in un angolo a piangerti addosso perché resterai solo? Cristo, Seung-Hyun, tu non sarai solo, lei lo sarà!» vide i suoi occhi allargarsi «Tu hai noi, hai qualcuno pronto a starti accanto mentre lei non avrà nessuno e nonostante tutto, ha deciso di andare via perché sa che è la cosa giusta anche se ciò significa lasciarti indietro--»

«Sarebbe stato meglio non avervi affatto» glielo soffiò con rassegnazione, come se quel pensiero lo avesse sfiorato più di una volta e Ji Yong, che ne aveva passate di cotte e di crude, restò toccato da una confessione detta a cuor leggero «Credevo fossimo amici.» finalmente lo guardò, sollevando le spalle come a dire che ormai non aveva null’altro da aggiungere.

«Infatti lo siamo.»

«Quale amico si comporterebbe come te?» lo indicò, lasciando poi scivolare la mano sul fianco «Tu macchini dietro alle nostre spalle, ci tratti come dei pupazzi e quel che è peggio, ti diverte vederci soffrire. Prendi Ri e Ginko… L’hai rifiutata e non appena quei due si sono trovati, ti sei dovuto intromettere, perché sei un bambino a cui hanno portato via il giocattolo e--»

«Non tirarli in mezzo, loro non c’entrano con noi» calcò bene su ogni parola, lapidaria, con la speranza che Seung-Hyun si acquattasse in un angolo. Ma così non fu. Continuò a fissarlo, gli occhi pieni di rancore e la mascella serrata «Così come non c’entro io con te e America. Ti sei mai accorto di non essere mai stato sincero, con lei? Non le hai mai detto di amarla, spaventato al pensiero che potesse rifiutarti. Hai approfittato della situazione come ti si è presentata finché ti ha fatto comodo e ora che le cose non vanno come vuoi, pianti il muso? Hyung, andiamo, non sei poi così diverso da me.»

«Quindi sarei uno stronzo? Un pessimo amico? Un--»

«Un bambino a cui hanno portato via il giocattolo, ecco cosa sei» rinfacciò con un sorrisetto sghembo, facendosi avanti di qualche passo; in quel preciso istante, con il tonfo delle suole che risuona tetro ad ogni passo, Ji Yong si sente un novello Scar che sta per dire a un giovane Simba che sì, lui ha ucciso Mufasa e tanta lunga vita al re. Approfittò di quella calma improvvisa per renderlo partecipe del suo più grande segreto, quello che, a ben vedere, era stato il fautore di questo pandemonio «Vuoi sapere perché ti ho spinto verso di lei?» Seung-Hyun non rispose, se ne restava lì con la mascella serrata e l’aria avvilita di chi non sapeva più come barcamenarsi in quel discorso, sopraffatto da un fiume di parole inarrestabile e quando GD seguitò con un secco «Mi annoiavo da morire e voi due mi facevate ridere» lo vide chiaramente  qualcosa spezzarsi nei suoi occhi larghi, pieni di stupore ma questo non gli impedì di proseguire, sentendosi sempre più leggero ad ogni sillaba intrisa di sincerità «Continuavate ad odiarvi senza nemmeno rendervi conto di quanto ridicoli foste e io ho pensato che sarebbe stato divertente vedere fino a che punto poteva portarvi la vostra stupidità.»

Fino a che le cose non si erano fatte troppo perfino per lui che, da spettatore, si era dovuto limitare a dar loro qualche leggera spintarella per non vederli colare a picco nelle loro paranoie. Era stato un ottimo burattinaio, il migliore!, anche se ogni tanto le sue adorabili marionette avevano pensato bene di fare di testa propria, scombinando le sue strategie e a dispetto di ogni pensiero maligno, Ji Yong non era affatto soddisfatto del risultato perché un Seung-Hyun ridotto così era davvero uno spettacolo atroce.

Tutto questo però GD non glielo disse; o per meglio dire, non ne ebbe il tempo.

Anche ripensandoci, non saprebbe descrivere l’esatta dinamica dell’accaduto, fatto stava che si era ritrovato col culo sul gelido pavimento dello spogliatoio mentre la mano era finita a coprire le labbra, che bruciavano da morire. Si guardò le dita, una piccola scia di sangue le macchiava: quell’idiota col cervello da elefante gli aveva dato un cazzotto -e pure bello forte, a giudicare dal suo essere passato da leader intoccabile a sacco di patate rotolato dal furgone-.

Seung-Hyun, con il pugno stretto nell’altra mano che ne massaggiava le nocche e il fiato corto, lo guardava con un pizzico di  sollievo misto a dolore «Era da tempo che volevo farlo.» esalò, sul suo volto un barlume di sorriso vittorioso.

“Ah… È così, quindi…”

Con lentezza estenuante, quasi dovesse raccogliere le energie, Ji Yong si mise in piedi, pulendosi i pantaloni della tuta, gesto compiuto più per levar via la stizza che altro. A quel punto si disse che poteva agire in due modi: andarsene iracondo sibilandogli un letale «Non è finita qua.» o lasciarlo sbollire in uno di quei silenzi che gli avrebbe rivolto fino a che uno «Scusa.» sincero non fosse pascolato fra i loro sguardi gelidi. Se però non lo fece, fu solo perché Seung-Hyun non si limitò ad elargire quella confessione non richiesta, no. 

Continuò, come se quel discorso se lo fosse preparato un sacco di tempo prima ed era ora giunto il momento propizio per esternarlo, con tutta la rabbia che aveva in corpo «Ho sempre pensato che sarebbe stato un momento passeggero, che ti saresti ripreso e saresti tornato il solito Ji Yong ma continui a tenere un braccio teso davanti e non permetti a nessuno di avvicinarsi… E non lo fai perché temi che qualcuno possa vedere che hai paura; tu hai paura che qualcuno torni a farti essere quello di una volta. Quello che pensa al nostro bene, lo pensa sul serio; non quello che finge di pensarci quando, in realtà, cerca di far del bene solo a sé stesso… Tu sei cambiato e il problema è che ti piace quello che sei diventato. Ci manipoli e pretendi che stiamo dietro ai tuoi stupidi giochetti, fingi di aiutarci e invece ci stai solo dando la soluzione che ti è più comoda perché per te, noi, non siamo altro che giocattoli. A te non frega niente di me o di come sto, di Lindsay o di Ri o di Ginko… A te importa solo di come stai tu e come trarre vantaggio dalle nostre sofferenze e io sono davvero stanco. Tu invece sei patetico, sei--»

Ji Yong ne aveva già avuto abbastanza a quel «Ho sempre pensato che…» atto ad introdurre la scena madre di tutte le scene madri e se lo aveva lasciato continuare, fu solo perché il cervello aveva deciso di andarsene in vacanza, lasciandosi dietro un fastidioso ronzio che rendeva le parole del ragazzo un suono ovattato, distante, quasi surreale… Ma qualcosa si mosse, in Ji Yong, strisciò per tutto il corpo e risalì: la consapevolezza che Seung-Hyun stesse toccando tutti i tasti giusti, facendo ben attenzione a non mancarne nemmeno uno.

Agì d’istinto, del resto nulla in quella discussione aveva un senso e gli diede un pugno mirando a caso; Seung-Hyun si era coperto l’occhio, soffocando un gemito di dolore. Oh, allora nelle scazzottate ci sapeva ancora fare! E da lì, fu solo un pestaggio da ubriachi in un bar: schiaffi volanti, pugni rotanti e calci tripli dati nei punti giusti.

«Oi, dobbiamo riprendere a provare—Che Diavolo state combinando?!» la voce di Dae, entrato proprio nel clue della scazzottata, si levò di qualche ottava e non ebbe comunque l’efficacia di farli smettere «Volete smetterla?!» si catapultò verso Ji Yong e lo allontanò mentre Young-Bae, richiamato forse dalle urla e gli insulti, si era premurato di sollevare Top da terra e allontanarlo, facendo attenzione a non beccarsi i suoi calci random; Seung-Ri, povera stella terrorizzata, se ne stava sulla soglia pregando che nessuno giungesse a cazziarli.

«Che cazzo vi prende, si può sapere?» a gridare era stato Young-Bae, sul volto al classica espressione da padre stanco di ritrovarsi a che fare con un figlio ingestibile «Possibile che voi due non possiate mai affrontare le cose come persone civili?!»

«Mocciosi, siete dei mocciosi!» strepitò Dae.

«E lasciami!» berciò Seung-Hyun, divincolandosi dalla presa mentre riprendeva fiato.

Ji Yong si placò eppure non ebbe la forza per stare zitto, doveva chiudere quella faccenda buttando in tavola ogni più piccola e scomoda verità perché, a ben vedere, ce n’era una che ancora non era stata mostrata «America è stata sincera sin dall’inizio. Ti ha detto che non voleva storie serie e ti ha dato la possibilità di scegliere ma tu la volevi così tanto che non hai saputo dir di no. Se non hai rinunciato, se ti sei innamorato, se lei non resta… È solo colpa tua» soffocò una risata amara «Mi chiedo chi sia l’egoista, qui, tra tutti.»

Seung-Hyun fece per ribattere ma si ammutolì, scuotendo la nuca «Al Diavolo.»

«Certo, io vado al Diavolo. E tu?» la porta che sbatté fu un chiaro invito a non cercarlo e Ji Yong, che ci teneva al proprio faccino, optò per una momentanea resa, lasciandosi crollare sulla panca.

I tre si lanciarono occhiate esterrefatte, sbuffando in coro «Ah, quanto siete stupidi» borbottò Dae piegandosi con le ginocchia, tamponandogli la bocca con una panno bagnato «Fare a botte… Ma che vi passa per la testa?!»

«Ha cominciato lui.» borbottò apatico, roteando gli occhi al suo isterico «Bambini! Siete due bambini!» che gli altri accolsero con un simultaneo scuotere delle nuche.

«Tutto questo per una ragazza?» aveva domandato Seung-Ri con adorabile ingenuità, uscendosene dal proprio cantuccio «Continuo a credere che se Lin non fosse mai venuta qui, a quest’ora staremmo tutti meglio.»

«Lei non c’entra.» soffiò monocorde.

Ed era vero, Lindsay non c’entrava più.

Non era più c’entrata da quando avevano cominciato a rinfacciarsi tutto ciò che aveva portato allo sgretolarsi della loro amicizia, uno sgretolio che aveva radici ben più profonde. Lei era semplicemente stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso pieno di parole taciute per troppi anni.

Ma… Davvero? Sul serio finiva con Seung-Hyun che se ne andava chissà dove e con loro quattro a chiedersi dove sarebbe finiti di questo passo?

«E se decidesse di andarsene?»

«Credi lo farà?!»

«Se n’è già andato di casa, potrebbe decidere di lasciare il gruppo e--»


«Adesso. Mi sono rotto. Le palle.» sibilò Ji Yong a mezza voce, scalciando l’asciugamano scivolatogli dalle mani. Si diresse alla porta sotto lo sguardo sconcertato di Dae che, in preda ad un attacco isterico da madre stanca di non essere ascoltata dai pargoli ribelli, si ritrovò a domandargli «Si può sapere dove stai andando?!» che però non lo fece fermare.

«A mettere fine a ‘sto casino.» sventolò una mano in segno di saluto.

Che lo avesse cominciato lui o no, la cosa andava risolta.    

Perché se Seung-Hyun voleva mandare al Diavolo la sua storia con America, erano solo fatti suoi.

Ma se voleva mandare al Diavolo la loro storia, cominciata ben dieci anni fa, beh... Sarebbe dovuto passare sul suo cadavere.

**********


Appena trenta giorni e sarebbe tornata a New York ma per Lindsay fu come se la sua vita a Seoul fosse già terminata. Si era conclusa in una camera fiocamente illuminata, con una porta che sbatteva e una persona a lei cara che se ne andava. La seconda…

«Linnie, è permesso?»

Il lento aprirsi della porta la fece ridestare. Fece scivolare un auricolare, guardò suo padre e si accorse di quanto le sarebbe mancato questo suo cercare di intrufolarsi nella sua stanza, nella sua vita, quel suo modo impacciato di farle da genitore o almeno provarci.

Tornò a dargli le spalle, concentrandosi sui libri «Che c’è?»

«C’è giù uno strano tipo che ti cerca. Dice di essere tuo amico» lui assottigliò gli occhi, lei fece i conti con una fantasia fin troppo galoppante che le propinava la figura di Seung-Hyun, davanti all’ingresso, pronto a chiederle scusa e di trascorrere assieme quei pochi giorni che ancora restavano «Emily aveva ragione quando diceva che ti circondavi di gente strana. E io che credevo fosse solo paranoica!»

Roteò gli occhi prima di superarlo col cuore che le si era incastrato in gola ma quando scese l’ultimo gradino, si ritrovò di fronte uno dei suoi più grandi incubi…

«Oh, Linnie, che piacere vederti!»

Kwon Ji Yong… Vestito da scemo come suo solito. Con dei capelli a dir poco imbarazzanti, che facevano a gara con quel taglio alla moicana che aveva quasi fatto venire una sincope a Emily, quando aveva quindici anni.

Questo è un incubo… «Che sei venuto a fare?»

«Lindsay Cherilyn Moore, ma che modi sono?» Chyoko la fissò arcigna, rivolgendo poi un sorriso zuccheroso a quel pavone gongolante che per quell’occasione tutt’altro che gradita, sfoggiava una mise da far invidia a un pappagallo. C’era un limite di colori che la gente poteva indossare eccheccazzo!

La ragazza roteò gli occhi «Di grazia, a cosa devo la tua sgradevole visita?»

«Lindsay—»

«Ho detto “Di grazia”!» aprì le braccia, storcendo il naso quando il gallinaceo si mise a ridere.

«Perdonala, non fa sempre così. Quando la conosci è adorabile.» Chyoko si giustificò, come se ce ne fosse bisogno.

«Oh, ma lo so bene. Lindsay è proprio un amore.» le riservò un sorrisetto al miele e lei per poco non gli vomitò sulle scarpe sbrilluccicanti. Incredibile che qualcuno avesse prodotto scarpe così brutte. Ancora più incredibile era che qualcuno le avesse comprate, delle scarpe così brutte.

Mark l’aveva affiancata, grattandosi la folta barba «Ti prego non dirmi che è lui Seung-Hyun.» aveva mormorato al suo orecchio, facendole contorcere il volto in una maschera di puro disgusto. Ma che andava blaterando?! Cerco che quell’arcobaleno umano non era Seung-Hyun! Aveva buon gusto in fatto di uomini, lei!

La donna rimase a parlare con la sua nemesi per cinque minuti buoni, minuti in cui Lindsay si chiese perché un tornado non fosse ancora passato di lì pur di far finire quel teatrino pressoché orribile. Si chiese quanto ci avrebbe messo quell’idiota a mandare in pappa il cervello dei suoi «Possiamo offrirti qualcosa?»

Scosse la nuca «Non mi tratterò a lungo, devo solo parlare con Lindsay.»

Chyo insistette ancora un po’ e quando parve soddisfatta, trascinò via Minji e suo padre che, ancora sconvolto, continuava a ripetere «Quello ha i capelli rosa. Rosa!» sotto la risata della donna che, gioviale, aveva mormorato qualcosa come «A me sembra simpatico!»

Raccapricciante, sul serio…

Il ragazzo si avvicinò «Tua madre è una bella donna.»

«Non è mia madre.»

«Quel che è…» si grattò la nuca «Ma non puoi prendere i complimenti per come vengono e dire grazie?»

Lin arcuò un sopracciglio, assunse la sua solita aria strafottente prima di concentrarsi sul suo viso «Che hai fatto al labbro?»

«Un regalo del tuo tesoro…» Lin imprecò, Mark la rimproverò «Oh, tranquilla, anche io gliene ho lasciato uno!» cinguettò maligno, vedendola sbatacchiare le palpebre, confusa.

«Che Diavolo avete—»

«Non qui…» con un cenno del capo indicò la cucina «È una faccenda privata.» seguitò melenso, posandole un braccio sulla spalla. Lin si divincolò, facendogli segno di seguirla in camera propria. Solo dopo aver aperto la porta si rese però conto di quanto pericoloso fosse condurre quel babbeo nella propria tana e non perché avesse il timore di vederselo zompare addosso, quanto più perché si era dimenticata di un piccolo, minuscolo particolare…

«È Barbie la tua arredatrice?»

Le pareti della sua camera. Rosa. Rosa brillante, a dire il vero.

Si portò una mano sugli occhi «Azzardati a fare qualche commento e il labbro non sarà l’unica cosa rotta che avrai.»

«Il rosa è il colore preferito di Seung-Hyun, lo sapevi?»

«No. Allora, cos’avete combinato?» ignorò volutamente le sue frecciatine, studiando il suo labbro spaccato.

Sollevò le spalle «Abbiamo discusso ed è finita alle mani» Lin arcuò un sopracciglio, non ce li vedeva proprio ‘sti due a prendersi a scazzottate «E tutto per te, non sei felice?» gli rifilò un bel medio alzato e quello l’accolse con un sospiro sognante «Lo sai che mi mancherà questa tua spontaneità? E mancherà anche a lui, puoi starne certa!»

«Seh, immagino…» sfiatò atona, studiandosi le unghie. Quando la sua voce da gallinaceo non gli corrose più le orecchie, Lin ne fu dapprima felice… Fino a che non si rese conto che un Ji Yong silenzioso sapeva essere peggiore di un Ji Yong in vena di chiacchiere.

E infatti eccolo là, il pennuto, con in mano una copia de “I ponti di Madison County”, che se lo sfogliava manco avesse avuto tra le grinfie la biografia segreta di Jim Morrison.

«In un universo di ambiguità, questo genere di certezze viene una volta e una soltanto, per quante vite si possano vivere» lo sventolò «America, che carina! L’hai addirittura sottolineata--»

«Da qua!» lo prese tra due dita, guardandolo schifata «Adesso dovrò disinfettarlo.»

«Ti facevo più un tipo da Misery» l’angolo destro delle labbra guizzò all’insù «Seung-Hyun sa di questo tuo lato romantico?»

«È di Ginko, l’ha dimenticato qui» esalò tetra, gettandolo nella borsa «Allora? Cosa c’è?» arrivò al dunque, dimentica per un attimo che quello fosse un completo idiota.

«Andiamo, così mi deludi» arricciò le labbra, offeso «Dovresti già aver intuito perché sono qui.»

«Probabilmente il Karma ha deciso di farmela pagare mandando te. Oppure sei l’ultima piaga di Corea o--»

L’idiota scoppiò a ridere «America, dove la trovo un’altra con il tuo mordente?» confessò ilare, scoccandole un occhiolino che la fece sbuffare; quando il principe della coglionaggine si riprese, sentenziò un serio «Ad ogni modo, sono qui per Seung-Hyun…» che il cuore glielo fece battere a velocità impressionante, quasi da poterlo vedere uscire e scodinzolare per la stanza. Che altro avevano da dirsi, ancora?  

Lin si riparò in un abbraccio, deglutendo «Che c’è ancora?»

E Ji Yong assunse un’espressione tremebonda, quasi quella situazione lo stesse svuotando di ogni energia «Non torna.»

Sbatacchiò le palpebre «Non torna?»

Annuì «Non torna… È andato a stare da Se7en hyung e non vuole saperne di tornare. Viene a lavoro ma non ci parla. Devia le chiamate, non risponde ai messaggi, scende dopo in mensa a mangiare pur di non dover stare con noi…» Ji Yong portò le mani in tasca, guardandosi attorno «E’ convinto che tutti sapessero.»

Che idiota… Lo guardò con un sopracciglio arcuato «E quindi?»

Ji Yong smise di dondolarsi, guardandola con un sorriso nervoso «E quindi? Tu ti lasci dietro un casino immane e tutto ciò che riesci a dirmi è: e quindi?»

Alzò le spalle «Che dovrei fare, scusa? Correre da lui e portarvelo a calci?»

«Se servisse a qualcosa—»

«Scordatelo. Non ho voglia di discutere di nuovo» Ji Yong arcuò un sopracciglio «È stato abbastanza chiaro: non vuole più avere nulla a che fare con me.» sentenziò secca, mettendo fine a quell’assurda discussione.

Il maledetto però, il cui sorriso persisteva nonostante il suo palese fastidio nel trovarselo a pochi metri di distanza, si limitò ad alzare le spalle, guardandola come se fosse stupida «E tu? Non vuoi più averci nulla a che fare?»

Ora fu lei a guardarlo come se fosse scemo «Ha importanza?» Lindsay si stropicciò gli occhi «Tanto mi odia…»

Scoccò la lingua «Era arrabbiato. Non ricordi quanto fosse odioso quando ce l’aveva con te?» oh, certo che se lo ricordava! E quella sera non aveva disilluso i suoi ricordi: gli occhi affilati, la mascella serrata, le mani strette a pugno tanto da far divenire le nocche bianche… Seung-Hyun incazzato era un’immagine troppo forte per riguardarsela ad occhi aperti, senza sentire le viscere contorcersi «La verità è che ti vuole ancora bene, per questo è così incazzato.»

Lin lo fissò incerta, passandosi le mani fra i capelli prima di lasciarle scivolare sui fianchi «E quindi? Che dovrei fare?»

E lui sorrise in una maniera che non le piacque affatto, quello stesso sorriso che molte volte le aveva rivolto prima di iniziare uno dei suoi stupidi giochetti… Quello lo stesso sorriso strano che le aveva regalato alla festa, contorno di un sibillino «Continuate a farmi divertire.» 

Questa volta però non sembrava divertito e nel giro di una deglutizione e un respiro tarpato, Lindsay si rese conto che la sua vita a Seoul non era ancora terminata…

«Essere sincera, America. Completamente.»    

*************

«Ti decidi a scendere o no?»

Lin continuava a fissare il finestrino su cui si rincorrevano minuscole goccioline di pioggia «È una stronzata.» esalò sfiancata. Ah, la sua proverbiale rozzezza! Come avrebbe potuto vivere senza, come?

Si rilassò, fissando il cruscotto illuminato «Non lo è» proferì secco «Devi solo parlargli.»

«Come se fosse facile» si mosse a disagio sul sedile, cominciando a picchiettare il finestrino con un l’indice «Quando avevo otto anni, sono andata in cucina e ho visto mia madre in lacrime mentre mio padre era già sulla porta. Non si è nemmeno fermato a salutarmi prima di andarsene. Ricordo che sono stata tutto il tempo alla finestra mentre vedevo il taxi giallo scomparire con la speranza che tornasse. Quando mia madre ha chiuso le tapparelle, ho capito che non lo avrebbe fatto. Non si è fatto sentire per anni e poi un giorno è ritornato con questa donna coreana che teneva stretta un fagottino minuscolo» Ji Yong la guardò di sottecchi «Credo sia cominciato tutto lì. I ragazzi, gli incontri occasionali… Non volevo ridurmi come mia madre.»

«Seung-Hyun lo sa?»

«Non l’ho mai detto a nessuno» bisbigliò, stropicciandosi gli occhi «Non volevo si ripetesse una cosa del genere.»

«E invece è successo, mh?»  

La ragazza non fiatò, limitandosi a sollevare le spalle e regalargli un pesante silenzio, di quelli che forse solo uno come Seung-Hyun sarebbe riuscito ad alleggerire.

«Lindsay» la chiamò piano «Va' da lui… Vi meritate un po’ di felicità.» e se la meritavano davvero. E non perché fossero le sue cavie adorate, le migliori che avesse mai avuto, andava specificato!, tantomeno perché la loro unione era forse stato il capolavoro migliore che avesse mai creato, no… Se la meritavano perché erano suoi amici e, faticava ad ammetterlo, vederli entrambi così succubi delle loro paure erano uno spettacolo tremendo. Non pensava che i suoi giochetti sarebbero arrivati a tanto…

«E se fosse troppo tardi?»

La sua voce assorta lo ridestò «America, sono le nove. Probabilmente starà piangendo di fronte a Titanic—»

«No, tardi nel senso di—» deglutì, guardandolo con occhi larghi e mani che gesticolavano «Hai capito.»

«Veramente no.»

La vide roteare gli occhi «E se non mi amasse più?»

E di fronte al suo sincero dubbio, una risata spontanea gli sfuggì incontrollata «Quello non smetterebbe di amarti neppure tra un milione di anni. Funziona così a volte, sai? Certi amori restano, che tu lo voglia o no.» si appiattì sul sedile, godendosi il silenzio che le sue parole si erano trascinate dietro.

Dio solo sapeva quanto Seung-Hyun fosse ancora invischiato in quel sentimento incatramante. Lei non aveva idea di cosa volesse dire vederlo alzarsi e muoversi per forza di inerzia, senza vitalità alcuna, solo per arrivare a fine giornata e stendersi a dormire spossato così da non doverla pensare. E vederlo tremare quando il suo nome veniva pronunciato, vedere i suoi occhi brillare in mezzo alla loro vuotezza quando si ricordava di lei… Era uno spettacolo magnifico Seung-Hyun innamorato, davvero, emanava una bellezza che andava oltre il normale. E nonostante la rabbia, i dissapori e la delusione, era confortante vedere quanto ancora gli fosse cara.

Probabilmente andare fin lì era stata un’altra delle tante sue pessime idee ma quando il clack della portiera che si apriva divenne reale e lo scrosciare della pioggia non fu più ovattato, Ji Yong si ritrovò a sorridere sotto i baffi, conscio che America non lo pensava allo stesso modo. Si voltò a guardarlo, le labbra tremanti e gli occhi che saettavano da una parte all’altra dell’auto.

Ji Yong mise in moto, intenzionato a liberarsene il più in fretta possibile «Ora sta a te.»

Lindsay annuì e si gettò nella pioggia e Ji Yong, dopo un sacco di tempo, riuscì a intravedere la propria coscienza che faceva la standing-ovation, applaudiva e gli diceva qualcosa come «Questo è il mio ragazzo!»

La portiera del passeggero si aprì di colpo, facendolo sobbalzare «A proposito, va’ da lei e ridalle questo» i "Ponti di Madison County" si schiantarono sulle sue cosce «Te la meriti anche tu un po’ di felicità.» e Lin gli sorrise, sincera, incoraggiante… Era la prima volta dacché si erano conosciuti che si comportava con così tanta gentilezza.

Era anche la prima volta che Ji Yong decise di seguire il consiglio di qualcuno che non fosse sè stesso.

********


La prima volta in cui era piombata in casa di Se7en, lei e Seung-Hyun avevano parlato di gente che sta addosso meglio dei maglioni e di come certi ragazzi fossero buoni solo per fare da coperta, altre volte nemmeno quello. Ferma in ascensore, osservando i numeri colorarsi ad ogni piano raggiunto, Lindsay si rese conto che parlare con così tanta naturalezza di quelle che per lei non erano affatto banalità, non sarebbe stato affatto facile. E trovare qualcuno che l'ascoltava con attenzione, nemmeno stesse parlando della pensiero di Kant, si sarebbe rivelato complicato.

Il “ding” delle porte che si aprivano la ridestò e un miliardo di brividi le percorsero la schiena mentre si avvicinava piano all’appartamento, il desiderio irrefrenabile di scappare a pulsare prepotente. Bussò, speranzosa che nessuno dall’altra parte venisse ad aprirle e subito si ritrovò a sorridere per la propria stupidità perché, infondo, Lindsay sarebbe rimasta sempre una codarda. Lei si lavava la coscienza così, dava la colpa agli altri dicendosi «C’ho provato ma non è andata.» scrollandosi di dosso la colpa.

A differenza però di quella piccola bambina in salotto che attendeva l’arrivo del papà e continuava a darsi una colpa che in realtà non aveva… Questa volta ce l’aveva eccome. Se fosse stata sincera sin dall’inizio, se gli avesse permesso di prendere le sue decisioni senza obbligarlo a sottostare alle proprie paure e regole, se si fosse lasciata amare per vedere fino a che punto sarebbero potuti arrivare... Forse avrebbero potuto vivere tutti quei mesi in piena serenità.

«Lindsay?» Se7en la fissò sorpreso e Lin tornò a respirare «Cosa--»

«Devo parlare con Seung-Hyun» lui arcuò un sopracciglio, allora lei fece un breve inchino «Scusami per essere piombata qui a quest’ora.»

Le sue labbra si appianarono in un sorrisetto, che stonava con la fronte corrugata «È uscito.»

«Ah… Allora lo aspetto qui fuori» ma di fronte al suo mutismo, cambiò idea «Ripensandoci è meglio se me ne torno a casa.»

Ma il ragazzo si aprì in un sorriso, facendole spazio per entrare «Nah, entra pure. Non sta bene far attendere una signorina sulla porta e poi tra poco sarà di ritorno. Sono sicuro che gli farà piacere vederti.»

«Seh.»

Scoppiò a ridere «Dico sul serio!» le fece l’occhiolino «Dai su, ti offro un po’ di the. E dei vestiti, sei fradicia.»

Anche la prima volta che era entrata in casa sua le aveva dato dei vestiti puliti. E Seung-Hyun l’aveva tenuta stretta tutta notte.

Dubitava l’avrebbe fatto ancora.

************

Qualcosa non andava più come doveva andare. Poteva avvertirlo nell’aria, nell’atmosfera che respirava ogni volta che posava un piede fuori dal letto, venendo rivestito da uno strato di spesso grigiore che mai lo aveva attanagliato così tanto. Almeno, non in maniera così profonda. Era quella classica situazione in cui apriva gli occhi e si diceva: «Ma che cazzo mi alzo a fare? Anzi, perché non sono già morto?»

Patetico, decisamente. E poco Seunghiesco, doveva ammettere anche ciò. Che Lindsay fosse divenuta un tassello fondamentale della sua vita, lo aveva ormai capito da tempo; che non riuscisse a dimenticarla nonostante l’odio e il rancore che serbava per lei, questo andava oltre la sua capacità di metabolizzazione. Perché era così che doveva andare: la amavi, la odiavi e te ne dimenticavi.

«Dong, va che al supermercato hanno finito—Che cazzo…» quelle converse logore all'ingresso le avrebbe riconosciute fra mille. E pensare che lui adorava quando le donne camminavano sui tacchi alti, mettendo in mostra la loro sensualità. Incredibile invece che avesse imparato ad adorare una ragazza con indosso un paio di scarpe da ginnastica, trovandola addirittura ammaliante.

Si precipitò in cucina ma di Lindsay non v’era traccia. C’era solo Se7en, due tazze di the e quel suo sorrisetto strafottente condito con un melenso «Bentornato tesoro!» che non fece scemare affatto la rabbia.

Sbatté la busta sul tavolo «Dov’è?» domandò con sospensione, incapace di gestire quel mix tra gioia e fastidio che il suo organismo continuava a buttare in circolo. Il padrone di casa lo guardò, sospirò, poi tornò a trangugiare the con invidiabile tranquillità. Che.Stronzo «Dov’è?» ripeté con forza, la mascella serrata, i pugni chiusi e la voglia disperata di spaccare tutto.

«In camera tua. Era fradicia, le ho detto che poteva cambiarsi di là.»

«Le hai dato i miei vestiti?!» Bravo, focalizzati sulle cazzate!

«No, quelli di Han-byul» roteò gli occhi «Ma si può sapere qual è il tuo problema?»

«E’ lei il mio problema, lo sai bene—»

Dong-Wook a quel punto sbatté la mano sul tavolo, visibilmente innervosito «Senti, potresti smettere di essere incazzato per un attimo e aprire gli occhi?» Pure lui, fantastico… «Io capisco anche te, ma nessuno sembra aver capito lei...» seguitò più calmo, lambendolo con sguardo delicato «Ti costa tanto provare a capirla?»

«L’ho già fatto per troppo tempo, sono stufo.»

«E allora lasciala parlare, per una volta che vuole farlo…»

Seung-Hyun si stropicciò il volto e senza più aver la forza di ribattere, percorse il corridoio con lentezza estenuante, ripetendosi nella mente tutte quelle frasi preparate apposta per un’occasione del genere: vattene, non voglio più vederti, esci dalla mia vita e il sempre classico «Sei una stronza.». Aprì la porta con rinnovato desiderio di fuga, avvertendo i muscoli tendersi come fili di un’arpa quando scorse la sua figura svagata afflosciata sulla sedia della scrivania… 

«Seung-Hyun, ehi--»

E gli fu subito chiaro come tutte quelle frasi, non sarebbero mai state pronunciate.

«Chi ti ha detto che ero qui?»

«Ji Yong. Ma gli occhiali da sole?»

«Quello stronzo.»

«Perché li porti? Fuori è buio.»

«Hai bisogno di qualcosa? A parte infastidirmi, ovvio.»

Lin si sollevò, lasciandosi le pieghe della maglietta che lasciava scoperte le lunghe gambe chiare «Dobbiamo parlare. Mh, da dove comincio...»

«Avanti, sentiamo…» ma lei rimase immobile, torturandosi le dita. Si tolse gli occhiali con stizza, mettendo in bella mostra l’occhio nero «Senti, se non devi dirmi nulla puoi anche andartene--»

«Tu sei un imprevisto» ma le sue parole, ferree, lo pietrificarono «Dovevo stare qui solo per qualche mese, il tempo di far sbollire mia madre e capire cosa volessi fare, non ho mai pensato di fermarmi qui per il resto dei miei giorni. Insomma… Seul non c’entra niente con New York, non è casa mia… E poi sei arrivato tu» portò dietro le orecchie i lunghi capelli umidi «Quando ci siamo incontrati, mi hai fatto venire la voglia di tornarmene indietro e non mettere piede qui mai più perché, ammettiamolo, eri davvero un cretino e porco cane se mi stavi sulle palle» Seung-Hyun si irrigidì «Eri borioso, arrogante, ridicolo, mi trattavi male senza alcun motivo, detestabile, borioso, arrogante, borioso--»

«Non che tu fossi questo granché.» la interruppe brusco, fissandola arcigno.

Lin gonfiò le guance, deglutendo altri aggettivi poco lusinghieri «Io lo so di essere pessima. Ho un brutto carattere, parlo poco e quando lo faccio, combino solo guai e sono maleducata però tu—Tu hai voluto conoscermi lo stesso e… Non lo so, ma il fatto che uno come te abbia deciso di avere a che fare con una come me, mi ha fatto piacere--»

«Talmente tanto piacere che hai deciso di andartene» tamburellò le dita sulle gambe «Sai cosa mi fa incazzare di tutto questo?» Lin tornò a guardarlo, intimorita «È che io ho provato in tutti i modi a seguire i tuoi tempi, perché avevo il terrore che tu potessi andartene e guarda un po’?, non è servito assolutamente a niente! Tu te ne andrai, lasciandomi solo e--»

«Tu sarai da solo…?» lo frenò, sbalordita «E io non sarò da sola, a New York?» sbatté le mani sui fianchi «Tu qui hai i tuoi amici, Ginko, i tuoi genitori, io invece no--»

«L’hai scelto tu di tagliarci fuori.»

«Io non vi ho tagliato fuori, io ho fatto una scelta e se non la trovi giusta… Beh, lo è per me, anche se questo significa andarmene!» le parole rotolarono fuori con rabbia ma Lin si stropicciò il volto, riacquistando un po’ di calma «Non posso chiederti di venire con me, la tua vita è qui» si morse il labbro e a quelle parole, Lindsay ottenne la sua completa attenzione «Ci sono state delle volte in cui ho pensato a noi due insieme. Insieme sul serio» si torturava le mani, alla ricerca di un mucchio di parole che nella propria mente le erano sembrate adatte ma che ora, pronunciate ad alta voce, la facevano sentire stupida «Tipo… Avere una casa tutta nostra, stare assieme. Avere dei figli no però, sarebbe davvero troppo» storse il naso «Ci ho pensato sul serio ma non è la cosa che voglio. Non così…»

Seung-Hyun si passò le mani sul volto, sembrava esasperato «Così come?»

«Con te che torni dal lavoro che ti piace mentre io mi preparo per andare al Tribeca, finiamo per litigare e ci lasciamo.» sciorinò con velocità, senza dilungarsi in dettagli futili.

Seung-Hyun arcuò le sopracciglia, una risata nervosa gli sfuggì «Come fai ad essere così sicura che andrà a finire così?»

«Perché l’amore non dura per sempre» si grattò il naso «È una cosa che mi dice sempre mia madre ed è forse l’unica cosa su cui andiamo d’accordo…»

«Non sono tutti come i tuoi» si massaggiò la nuca, la rabbia sembrava scemare a poco a poco «I miei si amano ancora.» aprì le braccia, come se quella spiegazione potesse cancellare i suoi lunghi anni di solitudine. Il fatto era che non li cancellava, affatto.

«Ma io lo sono…»

«Non puoi saperlo.»

«Nemmeno tu… Guarda come ci siamo ridotti» gli sorrise amara «Non era mia intenzione farti del male ma te l’avevo detto, sapevo che te ne avrei fatto… Quando resto, gli altri non sono felici.»

«Non mi hai mai chiesto cosa ne penso io, però!» Seung-Hyun alzo la voce, stanco «Tu dai per scontato che gli altri debbano restare feriti senza nemmeno chiederti quanto bene fai a loro. Perché tu ne fai, per quanto possa sembrarti impossibile... Ci sono un mucchio di persone che si sentiranno sole senza di te, significa che forse qualcosa di buono l’hai fatto.»

Lin a quel punto si ammutolì. Si guardò i piedi, si torturò i capelli e le mani. Ancora una volta si riparò dietro quel suo solito muro di diffidenza che lui, nonostante la buona volontà, non aveva distrutto completamente.

Seung-Hyun si spazientì, era davvero arrivo al limite «Non posso capirti se non mi parli…» e quando Lindsay tornò a guardarlo, si disse che dovevano smettere di rincorrersi «O adesso o mai più.»

************


Era un ultimatum. O parlava o quella era la porta.

Si disse che sarebbe stato facile andarsene, superarlo senza dire una parola, lasciandogli credere ancora una volta che lei non aveva niente da offrirgli, che tutto quello che c’era stato altro non era che un piacevole passatempo sfociato in qualcosa di incontrollabile perfino per lei. Ma in quel momento si spinse più in là un altro pensiero: cosa sarebbe successo se i suoi non avessero divorziato? Era un pensiero fugace, passava di là di tanto in tanto solo per rammentarle che in lei c’era un po’ di entrambi e forse per questo era incapace di amare e lasciarsi amare. Solitamente bussava quando qualche ragazzo l’aveva piantata perché «Porca miseria se sei stronza!» o quando era lei a piantarli con degli annoiati «Sta diventando tutto troppo.» che non facevano male alcuno.

«Sono così terrorizzata» portò le mani fra i capelli, avvertendo il cuore farsi più leggero. Fu come se quella confessione fosse sempre stata lì, a corroderla. Lindsay era rimasta ferma a quella mattina di otto fa, con ben stampata in mente l’immagine di suo padre che se ne andava e sua madre in lacrime «Ho così paura di finire come i miei genitori che il solo pensiero, mi fa mancare l’aria.»

«Lindsay--»

«Avevo otto anni e Mark se n’è andato senza nemmeno salutarmi. Vedevo mia madre piangere e se cercavo di parlare di papà lei impazziva, si arrabbiava così tanto che finivamo col litigare. Per tutto questo tempo ho pensato che fosse colpa mia perché per anni non si è fatto più sentire, nemmeno una chiamata… E poi è tornato. Si era risposato con questa donna coreana, teneva Minji fra le braccia e la guardava come aveva sempre guardato a me. Mi ha detto: questa è tua sorella, e io ero così distrutta e arrabbiata perché mi sono sentita messa da parte» tirò su col naso «Era stato così facile per lui rifarsi una vita che ho pensato che forse di me e di Emily non gli era mai importato granché…» prese un respiro, chiedendosi perché non la stesse interrompendo o cacciando fuori a calci e, peggio, non riusciva a decifrare il suo sguardo «Ricordo che passavo le estati qui standomene chiusa in camera e se Minji tentava di avvicinarsi, le lanciavo i giocattoli contro» ridacchiò frivolmente al ricordo dei piagnistei della bimba mentre lei veniva rimproverata, stretta in un angolino «Fino a che non sono cresciuta e ho preferito non tornare più. Vederlo così felice, come se noi nemmeno esistessimo… Non lo so, ho cominciato a credere che forse davvero gli altri stanno meglio senza di me…» Seung-Hyun scosse la nuca e lei continuò «Poi sono arrivati i ragazzi. Io… Io avevo così paura di finire come loro due che finivo per scappare, quando le cose si facevano serie, me ne andavo prima ancora di capire se effettivamente provassi qualcosa o no ma con te—Tu…» lo guardò negli occhi, fregandosene del proprio imbarazzo, delle guance rosse o del trucco colato «Tu ti sei rivelato migliore di quanto avessi potuto immaginare, di tutti i ragazzi che ho frequentato. Sei buono, gentile, quando mi comporto male riesci sempre a salvare tutto e anche se non te l’ho mai detto, ho apprezzato ogni cosa che hai fatto per me: ascoltarmi, capirmi… Credo di essere rimasta per questo: riesci a capirmi e non fai nulla per cambiarmi, come se ti piacessi davvero così come sono.» le stava costando una fatica immane mettersi completamente a nudo ma per Seung-Hyun, che ancora una volta restava ad ascoltarla, lo avrebbe fatto, anche se ciò significava calpestare il proprio orgoglio già bello che in poltiglia.

«Tu mi piaci davvero come sei» fu l’unica cosa che le disse, con una delicatezza che ancora si chiedeva da dove la tirasse fuori, per lei poi!, che si era comportata come la peggiore delle stronze «Sapevo benissimo com’eri e cosa volevi, sei stata molto chiara ma speravo—Avevo la presunzione che con me saresti diventata una persona migliore e--» si passò le mani sul volto «Perché sei rimasta con me, per tutto questo tempo?» glielo chiese rassegnato ma nei suoi occhi c’era una vividezza che la impalò lì, vicino alla scrivania, con le mani attorcigliate e l’espressione vacua. 

La parola sbagliata, anche la più piccola sillaba, avrebbe rotto quel momento di sospensione in cui lui sembrava ancora cercare una soluzione per salvarli. Perché lui voleva salvarli sempre, anche quando era troppo tardi o lei era troppo stupida.

La vecchia Lindsay, succube delle proprie paure, avrebbe detto qualcosa tipo «Per il sesso, che altro?» dimostrando apatia nel vedere il suo viso creparsi, lasciando spazio alla sofferenza e a quel punto sarebbe stato facile andarsene, vanificando mesi e mesi di sforzi per non far colare tutto a picco. Ma quella frase non le passò nemmeno per la testa. Non di fronte ai suoi occhi, alle sue labbra serrate, alle mani strette dalle nocche bianche e all’amore che ancora continuava a dimostrarle, imperterrito.

Fu un sincero «Mi fai sentire abbastanza, come se valessi effettivamente qualcosa…»

«Essere sincera, America. Completamente.»


«E ti amo, che altro?»

***********


Quante volte aveva immaginato quel momento?

Di Lindsay che diceva di amarlo. Tante, talmente tante che quel pensiero dapprima eccitante era divenuto quasi uno spettro che passava a salutarlo, divenendo parte integrante delle sue giornate. Ci pensava quando non riusciva a dormire, mentre era in macchina, quando guardava un film, quando si ritrovava nel bel mezzo di una conversazione di cui, francamente, poco gliene fregava… E c’era lei. Con i capelli sciolti, legati, un vestito a fiori, un paio di jeans, le converse, gli stivali. A volte c’era la neve, altre la pioggia, altre ancora era sotto le coperte, durante la colazione, al parco, davanti alla tv, al Tribeca, sul portico di casa sua… Si era fatto un mucchio di film, giocando a proprio piacimento su ogni singola scena, cambiando le parole, le sue espressioni ma la propria felicità, quel senso di benessere che gli faceva dire «Era ora.», era sempre la stessa.

Di quella felicità a lungo immaginata, però, non v’era traccia.

C’era uno strano senso di vuoto a livello dello stomaco e la completa certezza che il suo incessante tremolio, fosse l’ennesimo addio…

«Di’ qualcosa.»

Era così… Vulnerabile.

«Di’ qualcosa, qualsiasi. Ma non andartene ancora, ti prego.»

Ed era reale.

Per la prima volta dacché la conobbe, Lindsay si dimostrò per quella che era: una ragazzina immatura incapace di barcamenarsi nei sentimenti, nelle situazioni difficile, che si appigliava all’amore che gli altri le davano e ci restava aggrappata per un po’, lasciandosi andare quando le acque si chetavano di nuovo. Una ragazzina spaventata, nulla di più.

E, non seppe spiegarsi perché, ma mandò completamente al Diavolo il cervello che continuava a dirgli di rispondere a quella sua confessione, di essere sincero una volta per tutte, così come lo era stata lei… E le si gettò addosso, riversando la propria frustrazione. La baciò, se la strinse contro, si lasciò trasportare dal fatto che Lindsay non lo respingesse e anzi, lo seguisse in quell’enorme cazzata. La fece sedere sulla scrivania e mise a tacere la coscienza mentre le sue gambe bianche si attorcigliavano alla sua vita.

Non era da lui sotterrare i dissapori con il sesso eppure, in quel momento, non aveva avuto che per la testa lei. Lei e il modo in cui sicuramente gli si sarebbe aggrappata per le spalle, i baci roventi, i suoi gemiti… Ma dove l’avrebbe trovata un’altra capace di mostrargli quanto, infondo, non fosse poi così diverso da tutti gli altri uomini?

Dopo che la scarica d’adrenalina si prosciugò, non riuscì ad allontanarsi da Lindsay. Che se ne restava lì aggrappata, una mano stretta sulla spalla e l’altra fra i capelli, il respiro affannato che andava affievolendosi contro il suo orecchio. Solo qualche minuto prima stava per dirle addio e ora si trovava lì, fra le sue gambe, domandandosi se fosse da maleducati chiederle un altro round. E in un impeto di rabbia, che continuava a rosicchiare tutto l’amore che provava per lei e che non se n’era mai andato, si disse che abbandonarla sarebbe stata la giusta punizione.

Punirla con la sua stessa moneta.

Lasciandola sola.

Andarsene con il ricordo di lei seduta su di una scrivania dalle cianfrusaglie sparpagliate, con la maglietta stropicciata e i lunghi capelli a incorniciare la sua figura, nascondendole il viso. Le avrebbe detto qualcosa come «Ora che hai avuto la tua scopata puoi anche andartene.» vendicando il suo ego calpestato, «Incontrarti è stata la cosa peggiore della mia vita.» riprendendosi un po’ di quella dignità che per lei aveva accantonato, «Meriti di stare da sola.» placando la sofferenza, «Tanto adesso è troppo tardi.» e mettere la parola “fine” su di loro. 

Una volta per tutte. 

Dopo tutto quello che aveva passato, una sorta di rivalsa gli sembrò quasi dovuta, come se i patimenti fossero serviti per giungere a quel punto, con lui che riprendeva in mano le redini della propria vita, una vita di cui Lindsay non faceva parte. Fu a quel pensiero che il fiato gli si mozzò in gola, costringendolo a chiedersi cosa cazzo stesse facendo: davvero abbandonarla sarebbe servito a qualcosa? Abbandonarla, non le avrebbe fatto cambiare idea e lui sarebbe comunque rimasto solo.

Usarle quel tipo di violenza, davvero lo avrebbe fatto stare meglio?

«Seung-Hyun…?»

Il suo nome risuonò incrinato e lui smise di pensare a tutto quello. Pensò invece che il proprio nome, pronunciato da lei, aveva davvero un suono diverso e non sapeva se ciò era dovuto al suo accento così particolare o a che altro, però gli piaceva. Gli piaceva il modo in cui si aggrappava quando lo facevano, il modo in cui le dita vagavano sul suo corpo con vacuità. I suoi sguardi adombrati, la sua risata, i suoi sorrisi mai dati così, tanto per... Solo perché ci teneva.

E gli sarebbe mancata.

«Resta.» per quella sera, per tutta la vita, ogni istante andava bene, francamente non gliene fregava più nulla.

Lin gli si aggrappò ancora di più, se possibile, quasi avesse il timore di vederlo scomparire da un momento all’altro «Devo avvisare a casa.» e tuttavia gli ricordò che, in fondo, quello sarebbe prima o poi finito.


A Vip’s corner:
Che dire?
Credo sia un miracolo essere ritornata qui. Un po’ è colpa dell’ispirazione volata verso altri lidi SHINee vi odio e un po’ perché… Boh? Ho attraversato una fase in cui sono stata seriamente tentata di cancellare tutto da EFP e sparire per sempre e no, non c’entra niente il fattore recensioni/lettori o che altro, semplicemente ero entrata in crisi per motivi miei.
Ad ogni modo bom, più o meno è stata superata e quindi eccomi qua… Con ‘sta roba, ngh.
Ammetto di non riuscire a giudicarla. A tratti mi piace, altre cose le cambierei volentieri ma ahimè non saprei proprio dove mettere le mani. Mi pare che tutto sia stato districato con frettolosità, eppure non ho tralasciato nulla di quello che volevo dire.
La dichiarazione di Lin è quel che è: mi imbarazzo a riceverne e dirne, figurarsi scriverle. Spero l’apprezziate comunque, anche perché è la prima volta che effettivamente si mette in mostra sul serio quindi non posso che essere soddisfatta del risultato. Su Seung-Hyun, Gd e la scazzottata non mi pronuncio XD Posso solo dire che è tutto voluto, non mi sono ammattita di colpo e che sì, anche se non sembra ho la situazione sotto controllo ^^
Ci avviciniamo alla fine, penso saranno ancora un due, tre capitoli + epilogo ma mi prendo la libertà di scriverne qualcuno in più se vedo che sto andando oltre la lunghezza massima (so che apprezzate quando scrivo un sacco ma non voglio farvi morire).

Ringrazio infinitamente quelle squisitezze di giorgtaker, xxxibgdrgn88 e Rachel_Daae per aver lasciato una recensione al precedente capitolo. Vi cospargo di amore cosmico e infiniti ringraziamenti. Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite
Chiunque avesse voglia di lasciarmi detto cosa ne pensa, è sempre il benvenuto :)

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.
   
 
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