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Autore: Hudders_Umbrella    01/05/2016    2 recensioni
Sherlock ha sempre adorato stare al centro dell'attenzione e sminuire il prossimo. Stavolta, tuttavia, ha veramente superato il limite e Mycroft ne ha avuto abbastanza: è giunto il momento di ricordare al suo fratellino che non è il solo a saper giocare. Londra si prepari, la battaglia ha inizio.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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N/A: ed eccoci qua con grande e sommo ritardo. Come dicevo alla collega, il suo scherzo è stato talmente bello che ho cambiato idea tre volte per trovare una degna risposta e, ad essere sincera, dubito di esserci riuscita. Mi rimetto al vostro giudizio.

-          Umbrella

Figure di….

Quando l’orologio della cucina trillò, Gregory si infilò i guanti da forno ed estrasse dall’elettrodomestico una teglia di crostini fumanti, appena tostati. Li dispose in un piatto che poi mise su un vassoio sul quale aveva già posizionato alcune fette di formaggio, due scodelle di zuppa calda, una brocca piena d’acqua, posate e bicchieri. Dopo essersi assicurato che tutto fosse ben stabile, sollevò il vassoio con entrambe le mani e si diresse verso la camera da letto al piano superiore. Se c’era un lato positivo nello scherzo di gusto alquanto cattivo che Sherlock aveva giocato a suo fratello, era il fatto che, finalmente, aveva potuto mostrare a Mycroft che anche lui, nonostante avesse sempre poco tempo, sapeva cavarsela in cucina. Anzi, stando ai commenti del suo imbronciato e malato compagno, era anche piuttosto bravo. Sorridendo sornione, aprì con la spalla la porta della camera ed entrò.

“Ehi, è ora di cena”. Annunciò, vedendo che Mycroft, seduto sul letto, stava ancora lavorando. Passati i primi giorni di febbre alta e influenza, l’uomo aveva ritrovato abbastanza forza da mettersi a discutere sia con l’Ispettore che con la sua assistente per farsi dare quantomeno il lavoro burocratico da poter svolgere senza muoversi da casa, ottenendolo con la condizione che avrebbe accettato tutte le cure senza brontolare. L’accordo era risultato favorevole a entrambe le parti, così Mycroft aveva ottenuto il portatile sul quale stava scrivendo giusto in quel momento. Quando Gregory si sedette sul letto, posando con estrema cura il vassoio sul materasso, però, il politico chiuse lo schermo e spostò il computer sul comodino accanto al letto.

“Come ti senti?” gli chiese l’Ispettore, guardandolo scoprire una delle scodelle e portarsela più vicina.

“Sempre meglio” fu la risposta, accompagnata da un colpetto di tosse. “Se le mie stime sono corrette, tra circa due giorni, tre al massimo, la febbre sarà passata del tutto e potrò tornare al lavoro.”

“Ah.” Rispose Gregory, cominciando a bere la sua zuppa e cercando di ignorare quel sopracciglio così altezzosamente inarcato che gli era appena stato rivolto.

“Come sarebbe a dire ‘ah’?” gli chiese infatti Mycroft, prima di prendere un sorso di minestra. L’Ispettore sospirò.

“Non fraintendermi, sono contento che tu stia meglio e che tu torni al lavoro, però siamo stati molto insieme e non posso dire che mi sia dispiaciuto.” Confessò, voltandosi a guardarlo. “Lavoriamo molto entrambi e alle volte non ci vediamo per giorni, quindi sono stato contento di potermi occupare di te. Mi prenderai per un idiota sentimentale, ma per me è stato così.” Concluse, prendendo un’altra cucchiaiata e riportando lo sguardo sul piatto. Tra i due calò momentaneamente il silenzio, rotto dal rumore delle stoviglie mentre mangiavano.

“Sai” cominciò Mycroft, posando la sua scodella ormai vuota sul vassoio “la tua cucina in queste settimane è stata molto buona, ti ringrazio” concluse, rivolgendo un sorriso all’uomo accanto a lui, ricevendone uno sorpreso e a trentadue denti in risposta. Entrambi sapevano che quelle parole sarebbero state tutto ciò che avrebbe detto riguardo a quel periodo e per Gregory era sufficiente. Finì la zuppa a sua volta, poi cominciò a preparare i crostini con il formaggio.

“Ho avuto modo di riflettere in questi giorni.” Gli disse a un certo punto il politico, appoggiandosi meglio contro il cuscino alle sue spalle.

“Hai intenzione di dare un taglio a questa stupida guerra contro Sherlock?” gli chiese Gregory, porgendogli un crostino.

Au contraire” rispose Mycroft, prendendo il pane. “Lo sto tenendo d’occhio da un po’ e credo di aver trovato l’occasione per rispondere che fa proprio al caso nostro.”

“Tuo, non nostro. E non guardarmi così: questa è una cosa tra voi e io non voglio entrarci.” Gli disse Gregory, prima di addentare il suo crostino, stando attento a non sbriciolare sul copriletto. “Secondo me, però, dovresti darci un taglio. Sherlock ci sta andando giù molto pesante e mi pare che non si faccia problemi a causarti danni fisici anche gravi. Se continuerete qualcuno potrebbe farsi male davvero.”

“Non arriverebbe a tanto.” Replicò Mycroft, prendendo un morso a sua volta.

“A me sembra che stia un po’ esagerando, ma se dici di saperlo gestire allora fai pure, sei tu quello che lo conosce di più.” Gli ripose ancora Gregory, finendo il suo crostino e stendendosi su un lato per guardarlo.

“Gregory, non preoccuparti. Stiamo semplicemente giocando.”

“Oh, davvero un bel gioco!” esclamò l’Ispettore, sospirando “Tanto è come parlare a un muro, so che continuerai, che lui risponderà e che prima o poi qualcun altro resterà coinvolto.” Concluse e, vedendo che Mycroft aveva finito di mangiare, mise di nuovo piatti e stoviglie sul vassoio, prima di alzarsi dal letto.

“Lavo i piatti e torno. Non ti azzardare a metterti a lavorare di nuovo, stasera devo farti vedere quel film che ti dicevo.”

“Ah sì, com’era che si intitolava? Qualcosa a che fare con i servizi segreti e i cavalieri della Tavola Rotonda?1

“Più o meno. Aspettami.”

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La mattina seguente, dopo aver avuto il permesso di scendere in salotto, aver fatto colazione con Gregory e averlo salutato, Mycroft, seduto sul divano, prese il portatile e lo accese. Alla fine era riuscito a trovare un’idea che, magari, si allontanava un po’ dagli standard che si era dato all’inizio di tutta quella storia, ma Sherlock aveva dimostrato di non avere misura, dichiarando guerra aperta e, questo lui lo sapeva bene, in guerra ogni mossa era lecita per raggiungere il proprio scopo.

Dopo aver digitato la password, riprese il lavoro da dove l’aveva lasciato la sera prima, accedendo ad alcuni dispositivi sparsi per Londra e preparandosi ad attendere pazientemente che il suo caro fratellino avesse uno dei suoi colpi di genio per risolvere il caso a cui stava lavorando (alle volte si chiedeva se fossero davvero fratelli, perché Sherlock era così lento quando si trattava di fare deduzioni?)

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Frattanto, a qualche chilometro di distanza….

“John, ci sono, ho trovato!”esclamò l’unico consulente investigativo del mondo, balzando in piedi dalla sedia della scrivania. “Mettiti la giacca, forza, dobbiamo andare!”

Il dottore sbucò dal bagno, la faccia ancora coperta per metà dalla schiuma da barba. Aprì la bocca per protestare e chiedere di poter almeno avere il tempo per terminare, ma la richiuse subito, conscio del fatto che protestare sarebbe stato del tutto inutile. Sbuffando, tornò in bagno per pulirsi la faccia velocemente prima di uscire di nuovo e infilarsi la giacca, seguendo il coinquilino che era già in strada per fermare un taxi.

“Hai la soluzione del caso, immagino.” Gli chiese con un po’ di fiatone, mentre un taxi si fermava davanti a loro.

“Beh, mi sembra ovvio” fu la risposta di Sherlock, una volta saliti a bordo. “Ai Docks, il più in fretta possibile.” Disse all’autista, picchiettando poi le lunghe dita sul ginocchio in un chiaro segno di impazienza. Da circa due settimane si stava occupando di un caso affidatogli da Lestrade che lo aveva messo sulle tracce di alcuni trafficanti internazionali di droga. Gli ci era voluto un po’, ma alla fine era riuscito a capire come si muovevano e come svolgevano la loro attività: un piano ingegnoso, doveva ammetterlo. Sperava solo che John, per una volta, riuscisse a renderlo come si doveva, senza troppe figure retoriche e licenze poetiche. All’inizio, a dire la verità, aveva temuto che dietro quelle manovre così ben architettate, quel caso così ben costruito, ci fosse lo zampino di Mycroft, di cui ancora attendeva la vendetta dopo lo scherzo della doccia, ma alla fine si era tranquillizzato: suo fratello era troppo corretto e maturo per mettere a repentaglio un’operazione di Scotland Yard a capo della quale c’era il suo compagno solo per ripicca nei suoi confronti. Lungo il tragitto, chiamò Lestrade per comunicargli che aveva risolto il caso e che lo avrebbe aspettato ai Docks per concluderlo, sottintendendo ovviamente che glielo avrebbe fatto trovare concluso. Ciò che però udì in risposta lo lasciò di stucco.

“Come sarebbe a dire che siete già là?” esclamò, facendo sobbalzare John accanto a lui. “Ho appena trovato la soluzione, come fai a…” cominciò a domandare, prima di irrigidirsi. “È stato Mycroft, vero? È stato mio fratello a dirti dove andare per vendicarsi! Che razza di idiota!” sbottò, battendosi una mano sul ginocchio, mentre il dottore si schiariva la voce, indeciso su come comportarsi per calmarlo.

“Sono alla South Bank, sto venendo in taxi. Aspettatemi. E togliti quel ghigno dalla faccia!” gli gridò, prima di interrompere bruscamente la telefonata. Si sarebbe anche messo a inveire contro l’autista per incitarlo ad andare più in fretta, ma John lo fermò appena in tempo, spiegandogli che non sarebbe stato saggio insultare l’unico uomo che poteva portarli a destinazione in un lasso di tempo ragionevole. Fu così che, circa dieci minuti dopo, i due giunsero ai Docks e si trovarono davanti alcuni agenti di Scotland Yard che conducevano via degli uomini in manette. Poco lontano, Lestrade stava discutendo con il sergente Donovan e con l’Ispettore Dimmock. Appena uscito dalla vettura, lasciando a John l’incombenza di pagare la corsa, Sherlock si diresse a grandi falcate verso il terzetto.

“E così adesso devi affidarti anche a lui per risolvere i casi. Siete proprio penosi.” Esordì, senza riuscire a tenere a freno la stizza. Lestrade alzò gli occhi al cielo.

“Sherlock, non è come credi tu, abbiamo avuto una soffiata da un nostro uomo che stava qui di guardia al porto, Mycroft non mi ha chiamato.” Gli disse, mettendosi le mani nelle tasche del cappotto. “Abbiamo anche noi dei metodi di indagine e forse ti sorprenderà, ma qualche volta funzionano anche senza bisogno del tuo intervento.”

Sherlock si stava infuriando sempre di più e John, che intanto si era avvicinato, stava pensando di trascinarlo via per evitare che facesse qualcosa di sconsiderato, quando di colpo lo vide fermarsi, come se gli fosse appena venuta un’idea. L’espressione furibonda scomparve dal viso del consulente, sostituita da una che poteva essere sia ansiosa che speranzosa.

“Lestrade” cominciò infatti in tono molto più calmo. “Esattamente voi cosa avete fatto ora?” chiese, guadagnandosi l’occhiata sbalordita dei due Ispettori, del sergente e dello stesso John. Gregory, dopo un attimo di smarrimento, riuscì a riprendersi.

“Abbiamo arrestato la banda con le mani nel sacco, mi pare ovvio. Li abbiamo presi dal primo all’ultimo e abbiamo requisito la droga.” Gli rispose.

“Tutta la droga?” chiese ancora Sherlock, incalzandolo.

“Come sarebbe a dire ‘tutta’? C’erano delle casse da cui avevano recuperato le dosi da scambiare con gli acquirenti e le abbiamo prese.” Replicò Lestrade, sempre più costernato.

“Quindi non avete… oh!” esclamò il consulente, battendo le mani come un bambino la mattina di Natale, prima di scattare verso uno dei capannoni con gli altri che lo seguivano.

“Non abbiamo cosa? Sherlock, fermati un attimo!” gli gridò dietro l’Ispettore, cercando di raggiungerlo.

“Il resto, Lestrade! Come avete fatto a non trovarlo? Oh, adesso vedrete!” gli rispose Sherlock che, raggiunto uno dei capannoni, stava armeggiando con il portello. “L’aspetto geniale di questa vicenda era che tenevano la droga sotto gli occhi di tutti, in questo capannone.”

“Ma siamo venuti tante volte a ispezionare con i cani, anche in incognito, e non abbiamo mai trovato niente!” replicò Lestrade, stando un po’ dietro di lui e osservandolo insieme agli altri.

“Certo che non avete trovato niente! Era stata nascosta in modo che i cani non potessero fiutarla.”

Con un cigolio, il portone si aprì e tutti si portarono immediatamente una mano a tappare le narici, tossendo.

“Puah, che odore!” gemette Sally. “Ma che diavolo ci tengono qui dentro?”

“Beh, Donovan, come dovresti capire usando il tuo senso dell’olfatto, ammesso che funzioni a dovere, questo è un deposito di concime animale, comunemente definito..”

“Sì, Sherlock, sappiamo che si tratta di letame, grazie.” Lo interruppe John. “E dici che la droga è qua dentro?”

“Esatto” replicò il consulente, entrando nel capannone, seguito dal dottore. All’interno, c’erano molti scatoloni di legno piuttosto alti e grossi, sul cui contenuto, ormai, non era più necessario indagare. Almeno, non su quello di tutti. “Ora, se le mie informazioni sono corrette, dovremmo cercare il lotto 43 R” borbottò infatti Sherlock tra sé, cercando di ignorare l’odore e leggendo le targhe affisse sopra gli scatoloni.

Frattanto, Gregory, Sally e l’Ispettore Dimmock erano rimasti sulla porta a guardare i due aggirarsi per il capannone.

“Greg” cominciò la donna. “Non che me ne importi, ma secondo te dovremmo dirgli degli uomini che sono venuti prima a spostare uno degli scatoloni e l’hanno messo nel capannone accanto, sostituendolo?” chiese, guardando l’Ispettore, che parve pensarci un po’ su, mentre, piano piano, un’idea di quanto stava per accadere cominciava a formarsi nella sua testa.

“No, anche perché non credo che ci ascolterebbe. L’unico per il quale mi dispiace è John. Spero che abbia i riflessi pronti.” Commentò, senza riuscire a trattenere un sorrisetto divertito. “Suggerirei comunque di battere discretamente e silenziosamente in ritirata e di lasciare la conclusione all’antidroga. Tanto abbiamo comunque finito qui?”

“Spero che tu stia scherzando Greg!” esclamò Dimmock, prendendo il suo telefono. “Se ci troviamo di fronte ad un’occasione come quella delle altre volte a Scotland Yard non ho intenzione di perdermela.” Disse, selezionando l’opzione ‘videocamera’ dal display e cominciando a puntarla verso Sherlock e John, solo per essere fermato dal suo collega.

“Tim, se la punti ora, si insospettirà.” Gli disse Lestrade. “Abbi pazienza e vedrai che…”

“John, ci siamo, prendi un piede di porco!” la voce di Sherlock giunse amplificata dall’acustica del capannone, attirando l’attenzione dei tre agenti. Poco più avanti, illuminati soltanto dalla luce del sole che filtrava fuori, c’erano il consulente e il dottore fermi di fronte a uno scatolone.

“Sherlock, tu sei sicuro che sia questa, vero?” chiese John, portando comunque il piede di porco richiesto. “Perché mi sembra che l’odore sia comunque molto forte”

“Ne sono assolutamente certo, John. Non fidarti dell’olfatto, è stato contaminato dall’ambiente.” gli rispose Sherlock, prendendo il piede di porco e spezzando il lucchetto che chiudeva il cassone con un colpo preciso. John sospirò e si voltò, notando così il terzetto rimasto sulla porta. Lo colse un terribile sospetto e, anche se conscio del fatto che probabilmente era già troppo tardi, cercò di avvertire il consulente.

“Sherlock, non sono sicuro che…ATTENTO!”

Preso dalla foga, Sherlock aveva aperto lo scatolone e i due avevano avuto solo un istante prima di venire travolti da un’ondata di “concime animale” così come Sherlock l’aveva definito.

Gregory, Sally e Tim, che avevano ovviamente visto – e filmato accuratamente – la scena, rimasero fermi e immobili per qualche secondo, vedendo i due uomini sparire sotto la melma maleodorante e stavano giusto decidendo di andare ad aiutarli in qualche modo, quando una mano, poi un’altra, sbucarono da sotto l’ammasso, seguite dai corpi dei due uomini che, tossendo e sputacchiando, cominciarono a cercare di liberarsi.

“Tim, hai ripreso abbastanza?” chiese Lestrade al collega, senza perdere di vista Sherlock e John.

“Uh-uh” fu la risposta di Dimmock, che cominciò a riporre il cellulare.

“Ti sembra che stiano bene?”

“Stanno imprecando, quindi direi di sì.”

“Bene, allora io direi che possiamo anche andarcene, prima che ci chiedano un passaggio sulle auto di servizio.” Concluse Gregory, cominciando ad andare verso le loro macchine, seguito da Sally e dallo stesso Dimmock.

“Greg, non che siano affari miei e non che la cosa mi dispiaccia, ma perché suo fratello gli avrebbe fatto una cosa del genere?”

“Sally, come hai detto tu stessa, non sono affari tuoi e credimi, meno ne sai, meglio sarà.” Rispose Gregory, aprendo la sua auto.

“Sarà? Vuoi dire che ne vedremo altri?” lo incalzò la donna.

“Sally, sul serio, ti ho detto che…. Accidenti, arrivano. Forza, salite e andiamocene!” esclamò l’Ispettore che aveva visto Sherlock e John, sudici da capo a piedi, correre verso di loro. Anche gli altri agenti, i quali, pur non avendo assistito all’accaduto, si erano accorti di quello che stava succedendo, corsero verso le loro auto per partire a tutta birra dietro l’Ispettore (tutti tranne gli agenti che dovevano montare la guardia al capannone in cui era stata spostata la droga, che ebbero cura di chiudersi bene dentro).

“TORNATE QUI!” gridò Sherlock, furioso, guardando le vetture lasciare la zona. John lo raggiunse, appoggiandosi sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa.

È inutile, non torneranno. Nemmeno io ci farei salire, ora come ora. Dovremo arrangiarci.” Gli disse, un po’ affannato.

“Oh, non direi proprio, aspetta che mi senta…” borbottò Sherlock, recuperando il telefono dalla tasca e pulendo alla meglio il display, prima di chiamare l’autore di quel colpo basso.

“Ah, salve fratellino. Mi stavo preoccupando in effetti. Hai risolto il caso dunque?” la voce del maggiore degli Holmes, giunse alle orecchie del consulente, accompagnata da qualche leggero colpetto di tosse.

“Mycroft, questa volta hai veramente toccato il fondo!” esclamò Sherlock. “Compromettere le prove di un caso! È meschino!”

“Non le ho affatto compromesse. Ho lasciato che Scotland Yard facesse i suoi rilevamenti e poi ho agito. Non danneggerei mai Gregory, nemmeno per prendermi gioco di te.” Replicò Mycroft, ridacchiando “E parlando di fondo… non mi sembra che tu sia messo così bene al momento.”

“Ma che grandi capacità deduttive, fratellone! Bene, ti sei divertito, ora manda una delle tue macchine a prenderci!” Il consulente, irato, aveva preso a camminare avanti e indietro nello spiazzo intorno ai capannoni.

“Temo di non poterlo fare. Grazie al tuo scherzetto sono ancora a casa malato e ho mandato il mio autista in ferie fino a nuovo ordine. Non posso certo scomodare quelli degli altri. Se posso avanzare un suggerimento, ci sono degli idranti lì intorno. Fatevi un bagno e avrete maggiori possibilità di essere accettati da un taxi. Buona giornata, fratellino.”

Sherlock non ebbe neanche il tempo di replicare. Mycroft aveva riattaccato e sicuramente non avrebbe più risposto. Con un urlo frustrato, si mise a cercare uno degli idranti, seguito da John, che stava a sua volta cercando di soffocare l’irritazione per il fatto di essere stato coinvolto in quella stupida guerra.

FINE DEL CAPITOLO

1 Chi ha capito di che film si tratta?

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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